Federparchi
Federazione Italiana Parchi e Riserve Naturali


PARCHI
Rivista del Coordinamento Nazionale dei Parchi e delle Riserve Naturali
NUMERO 19 - OTTOBRE 1996


Natura e uomo:
una traccia per ragionamenti intorno ai piani ambientali
Franco Viola* e Dina Cattaneo*


Ecologia per la pianificazione
Conservazione della natura e uso delle sue risorse sono obiettivi di pianificazione che inevitabilmente si pongono in conflitto quando vengono calati sul medesimo ristretto territorio.
Alla pianificazione ambientale, quella cioè destinata ai parchi, viene affidato il compito, pressoché impossibile da realizzare, di rendere tra loro del tutto compatibili queste due contrapposte esigenze.
Di "esigenze" infatti si tratta, ché l'uomo non può crescere senza "consumare" o trasformare materia ed energia, né può sperare di sopravvivere a lungo senza rispettare gli equilibri antichi di un pianeta che, ormai offeso, si sta dimostrando preoccupantemente restio ad offrirci ulteriore e sicura ospitalità.
E' stato scritto che lo sviluppo più recente delle "scienze ambientali", stimolato dalle retroazioni sempre più evidenti, talvolta catastrofiche, della natura castigata da interventi pesanti e spesso male o non programmati, ha anche portato alla revisione critica della pianificazione territoriale. Sicuramente la scienza di Hackel ha innescato l'evoluzione di nuovi corpi disciplinari, come la pianificazione ecologica del territorio, oppure l'ecologia del paesaggio, che fondamentalmente sono l'integrazione di parti preesistenti di antichi e consolidati saperi e di sperimentati metodi operativi, resi più funzionali alla soluzione dei nuovi problemi dalla consapevolezza scientifica della loro esistenza e della loro gravità.
Restano tuttavia fondamentali, sia sul piano culturale sia su quello operativo, alcuni concetti e principi dell'ecologia classica che progressivamente tendono a sfumare e a disperdersi nella considerazione di chi si dedica alla pianificazione del territorio. La loro ignoranza a volte risulta fatale alla buona riuscita degli interventi, come hanno dimostrato alcuni fallimenti del passato, e non solo di quello lontano.
Ad esempio, gli ampi orizzonti che si aprono a chi opera nella pianificazione paiono rendergli superflua la considerazione degli equilibri che ogni organismo vivente instaura con l'ambiente interno al suo habitat. Anche l'ecoide è un sistema, che va considerato nella sua interezza, al pari di sistemi più ampi e visibili, come quelli considerati nell'ecologia del paesaggio. Ma a nessuno può sfuggire che spesso le emergenze che il piano ambientale di un parco sempre vuole tutelare sono costituite da ecoidi, che vanno come tali ben conosciuti per evitare che un intervento od un'azione antropica, pur se per via mediata, non ne trasformi l'habitat compromettendone le possibilità di sopravvivenza.
Molti parchi e molte aree protette comprendono o si collocano in territori provvisti di caratteri ambientali al limite delle condizioni idonee alla vita. Anzi, sono proprio gli aspetti spettacolari dell'ambiente limitante e delle modalità con cui la vita vi si manifesta, che rendono opportuna e condivisibile l'istituzione di un regime di tutela. Si pensi alle crode o alle cime oltre al confine superiore della vegetazione arborea, o alle fasce ecotonali in cui tutto cambia col divenire continuo di condizioni favorevoli all'uno o all'altro dei sistemi che si contendono quell'unico spazio. In queste condizioni ogni azione capace di mutare uno solo dei caratteri ambientali risulta determinante nel negare ulteriori possibilità di vita per molte delle specie che popolano quei particolarissimi ecosistemi.
Allo stesso modo è fondamentale aver coscienza della capacità diagnostica che ogni specie porta con sé, manifestandola con efficace potenza attraverso la distribuzione dei suoi individui sul territorio. Molti studiosi sono competenti nel tradurre in strumenti di diagnosi territoriale le conoscenze auto ecologiche dedicate all'osservazione della flora e della fauna. Ma molto più importante di un'indagine concentrata nel tempo, di norma dedicato agli studi preliminari di un piano, è la conoscenza diacronica degli spettri floristici e faunistici, che sono la più efficace testimonianza dei cambiamenti d'ambiente, e dunque degli effetti prodotti dalle scelte maturate nel piano.
Non poche volte a chi è portato a considerare il territorio, che è sistema di sistemi, senza ignorare la presenza di emergenze naturalistiche in forma di ecoidi, sfugge la sottile interazione che lega l'un l'altro i membri di una collettività vegetale o animale. Passano così in subordine, rispetto alla sopravvivenza dell'individuo, i problemi legati alla sopravvivenza della popolazione, che dipende sì dalla mortalità che colpisce chi già occupa il sistema, ma anche, e soprattutto, dalla natalità che dipende non solo dalla popolazione esistente, ma anche dalle condizioni di ambiente che essa sa plasmare al suo interno. E' questo, ad esempio, un tema fondamentale per i cultori dell'ecologia e della demo ecologia forestale, che dedicano le proprie competenze tecniche e scientifiche a garantire la continuità della rinnovazione del bosco più che a favorire il successo della produzione legnosa e dell'economia dell'azienda silvana. Sono così giustificate le attenzioni riservate ai cambiamenti nei rapporti tra luci ed ombre all'interno della copertura delle chiome, alle minute variazioni del flusso della pioggia e della neve fino al suolo e ai caratteri chimici e fisici di questo, che dipendono molto anche dalla presenza e dalla frequenza dell'uomo.
Ormai a nessuno più sfugge la stretta interazione che lega reciprocamente tutte le componenti di un ecosistema, come ad esempio gli alberi del bosco e le popolazioni animali che vi ritrovano ricetto. Pur tuttavia, fatta salva la considerazione generalizzata per i temi ormai elementari della sinecologia strutturale, pare che non molti tra i pianificatori dedichino attenzione ai flussi di materia e di energia, unici veri controllori delle potenzialità di funzionamento dell'intera struttura, che, essendo sistema, è appunto fatta di parti non certo indipendenti.
Ogni scelta in merito agli usi del territorio non può dunque prescindere da conoscenze riguardo la funzionalità degli ecosistemi. Chi promuove un'azione su di una componente deve conoscerne le conseguenze, differite nel tempo e diversamente dislocate nello spazio, a carico di ogni altra componente del sistema.
A questi livelli si pongono gli ormai annosi problemi legati al recupero areale del bosco, al cessare delle pratiche zootecniche in montagna, oppure quelli connessi col dinamismo delle popolazioni di ungulati in conseguenza di quello delle popolazioni di animali domestici degli alti pascoli, oppure quelli della diffusione delle zecche o di altri patogeni con gli incrementi avvertiti nella mobilità di molte specie animali portatrici di pregio naturalistico.
 

La complessità della natura e dei suoi problemi

L'ecologia ha dato e può dare questi ed altri contributi di conoscenza alla pianificazione del territorio destinato a tutela naturalistico-ambientale. Ma come sostiene R. Brewer l'ecologia non è solo scienza fatta di dati sperimentali e di relazioni tra essi; è anche, e soprattutto,forma mentis e ratio nell'affrontare l'analisi e la soluzione dei problemi. Ad essa si possono avvicinare i cultori di ogni altra scienza, pur se con la modestia e l'umiltà che sempre sono necessarie nell'affrontare uno studio nuovo per contenuti e per criteri di approccio.
Per sua natura l'ecologia non è semplice, benché molti dei suoi concetti siano stati divulgati in maniera lineare ed esemplarmente accessibile.
Solo da qualche anno, e proprio a causa della necessità di affrontare le gravi situazioni ambientali che il nostro stesso regime di vita ci sta proponendo, si è presa coscienza che l'ecologia è disciplina della complessità. La pianificazione, che come si è visto ne ha recuperato in larga misura lo spirito e le conoscenze, ne ha portato anche alla ribalta i legami con altre scienze, soprattutto con quelle sociali.
Per tale motivo oggi è quasi di moda porre a confronto, se non in antitesi, due aspetti della complessità, quella dell'ambiente, ormai da tutti scoperto ricco di meccanismi capaci di condizionare la bontà delle scelte gestionali e di stravolgere anche le previsioni di "buoni piani territoriali", e quella dei sistemi antropici, che è il risultato di culture e di sensibilità che si differenziano all'interno di ogni pur piccola popolazione locale e che portano ad attese variegate verso l'ambiente.
Per giungere a saldare tra loro le differenti esigenze di società e di ambiente naturale, senza castigare le une o le altre, pare oggi fondamentale rivisitare con umiltà i modi con cui si fa pianificazione: rifuggendo sia alla tentazione di ridurla a semplice e scarna enunciazione di regole "basate sul buon senso", spesso non dipendenti da buone motivazioni scientifiche, sia a quelle di portarla a processo, anche questo complicato, di conoscenza approfondita, reiterata, perfezionata, e dunque interminabile, dei continui cambiamenti cui soggiace ogni parte di territorio.
E' indubbio, comunque, che gli obiettivi di conservazione, di ripristino o di valorizzazione ambientale coinvolgano oggi nuovi orizzonti scientifici e tecnici, come ad esempio quelli che si aprono verso la comprensione dei meccanismi con cui l'ambiente e gli ecosistemi spontaneamente si assetano verso nuovi equilibri imposti dai cambiamenti conseguenti alle attività umane o quelli che coinvolgono la compatibilità tra componenti naturali e queste attività, oppure, ancora, la mitigazione degli impatti da esse provocati.
Non poca importanza, sul piano "politico", riveste il fatto che quei nuovi equilibri vengono raggiunti in tempi solitamente molto lunghi rispetto a quelli compatibili con le esigenze di sviluppo manifestate dalla società.
Tutto ciò richiede conoscenze e consapevolezze maturate su principi diversi rispetto a quelle bastanti solo fino a ieri.
Territorio e ambiente, non solo in montagna, dove tutto pare più fragile e delicato, non possono più essere considerati parti separate da una realtà più importante, come spesso ancora viene sentita la collettività umana, ma componenti intimamente saldate ad essa, a costituire un'unità indivisibile nella sua interezza. Il degrado di una parte provoca, inevitabilmente, quello di tutte le altre parti dell'insieme. Donde la necessità di conoscere natura e comportamento di tutte queste componenti per poterle, nel caso, gestire con consapevole sicurezza.
 

Interdisciplinarità
Si impone così un nuovo modo di fare pianificazione, basato sull'interdisciplinarità, intesa non come moda culturale, ma come meccanismo forte di interazione e di integrazione di conoscenze e di capacità propositiva; con essa si mira a superare quella imperfetta multidisciplinarità che ancora era bastevole fino a qualche anno fa e che portava a ottime sintesi di conoscenza, incapaci però a tradursi in regole d'uso e di comportamento.
Sul piano delle conoscenze questo meccanismo deve essere attivato già nelle premesse del piano, cioè nella fase di organizzazione delle indagini, per essere poi esteso alla fase di valutazione dei dati che via via vengono raccolti per essere interpretati e adibiti alla comprensione dei molti fenomeni che qualificano l'insieme formato da territorio e società.
Attraverso questo meccanismo si dovrebbe generare la necessaria sintonia di fondo tra gli esperti delle discipline chiamate a contribuire al piano; essa va cercata, e subito perfezionata, già nella definizione di un metodo di lavoro, cioè di analisi, valutazione e sintesi conoscitiva, che va concordato collegialmente affinché vengano raccolte ed impiegate informazioni della cui natura e validità tutti siano consci e parimenti responsabili, eliminando ridondanza di dati e riducendo i costi sostenuti per disporre di informazioni la cui utilità non deve rivelarsi marginale. Ne viene l'importanza di avere subito chiari e nitidi gli obiettivi trasmessi al piano, a livello generale e a quello di settore, e di averne consapevolezza che tutti questi sono tra loro legati e interattivi, cosicché il fallimento di uno si ripercuoterebbe negativamente sul raggiungimento di tutti gli altri.
Oggi, con i nuovi e gravi problemi di controllo dei processi territoriali e con la continua e inarrestabile emergenza che ci investe da ogni parte, anche gli obiettivi di conoscenza paiono assumere importanza paritetica a quella degli obiettivi di governo. Si tratta, tuttavia, non più di una "conoscenza descrittiva", o "strutturale", che coinvolge cioè l'essere momentaneo e sincrono delle cose, ma di una conoscenza "funzionale", connessa cioè coi processi e col divenire, contemporaneo e interinfluente, delle medesime strutture in una visione diacronica del nostro habitat. Questo è il presupposto culturale dell'ecologia dei sistemi, nell'accezione ormai antica e classica di Troll, che interpreta il paesaggio come sistema di sistemi, su cui poi si innesta l'uomo a generare il total uman ecosystem, come l'ebbe a definire, più tardi, Zev Naveh.
Tutti ormai paiono d'accordo sulla necessità di un lavoro interdisciplinare in pianificazione. Non mancano, tuttavia, forti ostacoli a che questo ideale si realizzi; il più grave sta nella necessità di superare cristallizzate supremazie scientifiche, o più genericamente culturali, come sono quelle che ancora pongono in antitesi i cultori delle discipline esatte, di solito quantitative, con quelli delle discipline che si mantengono tradizionalmente descrittive.
Circa gli obiettivi calati sulle aree protette pare non vi siano più spazi d'ombra o motivi per alimentare qualche dubbio sostanziale.
Sia la legge-quadro sia la nutritissima normativa regionale in materia sono chiare: come sempre va tutelata la natura con tutte le sue componenti e i suoi caratteri fisici, biologici e paesaggistici. Rispetto ad un passato anche recente vi è però oggi una nuova concezione di natura, che non è più, utopicamente da noi, luogo libero da ogni contaminazione umana, ma soprattutto sistema di ottima integrazione tra libera evoluzione ed evoluzione saggiamente guidata. Merita dunque d'essere conservata anche l'opera dell'uomo, con i segni dell'ingegno che egli ha lasciato nel tempo a testimoniare la sua capacità di convivere bene con il mondo naturale. Accanto agli aspetti culturali, legati alla trasformazione del paesaggio ottenuta con strutture ed infrastrutture di pregio artistico ed architettonico, si pongono così anche i segni, a volte minuti o leggibili dai soli esperti, delle coltivazioni e delle trasformazioni ecosistemiche concepite ed attuate per creare equilibri colturali stabili quasi quanto quelli naturali.
La presenza dell'uomo sul territorio porta in ogni caso a trasformazioni strutturali e funzionali nelle compagini territoriali. Anche per questo motivo va subito focalizzato e risolto, sul piano ecologico, un problema concettuale assolutamente primario e che si riverbera direttamente sull'impostazione del processo di piano, a partire dalla definizione degli oggetti più meritevoli di analisi sul territorio, per terminare ai criteri dell'interpretazione dei sistemi e delle loro componenti, e al metro di valutazione circa le opportunità di tutela e l'intensità delle azioni necessarie a ottenerla nella maniera più pronta e efficace. Hanno allora senso domande cui difficilmente si danno risposte univoche, del tipo: va considerato quanto oggi si vede oppure il perenne e naturale dinamismo del territorio e delle sue componenti? Ovvero vanno tutelati i sistemi e le loro componenti di pregio, così come oggi si vedono, o si vuole invece tutelare la naturale spinta al cambiamento, all'evoluzione, che inevitabilmente porta alla scomparsa, o alla modificazione, di quanto ora si vuole conservare?
Ed ancora: si deve mirare alla tutela dell'individuo, della specie, del sistema ecologico, oppure a quella delle funzioni che ciascuno di essi esercita nei confronti di ogni altra unità del paesaggio universale? Si ha da tener conto, fino alle estreme conseguenze, che gli organismi viventi non possono essere considerati separatamente dall'ambiente e dagli habitat che occupano in un dato territorio?
Non si tratta di considerazioni di poco spessore, né di scarsa rilevanza sul piano operativo. Molte opposizioni all'idea di parco sorgono infatti dall'ignoranza di questi aspetti; esse potrebbero forse essere agevolmente rimosse attraverso la diffusione di una rapida, mirata e forte informazione al riguardo.
 



Prospettive di metodo per i nuovi piani ambientali
Stimolata anche da questi interrogativi e dalle discordi risposte che ne venivano date, intomo alle procedure di pianificazione si è recentemente attivata una vivace attività accademica, in larga misura organizzata sugli aspetti scientifici dell'indagine territoriale e alle connessioni tra conoscenza e valutazione dei sistemi e del loro comportamento.
Del coordinamento, pur se parziale e lacunoso, delle posizioni assunte da diversi esponenti dell'ecologia applicata si è fatto carico anche il Ministero dell'ambiente; del lavoro finora compiuto porta sintesi discretamente ampia un documento informale (prot. SNC/ST/95/4678 del 3 aprile 1995) che riporta, in forma di linee guida per studi mirati alla pianificazione dei parchi, la sintesi di un'indagine eseguita dall'Università di Camerino e finalizzata alla riperimetrazione del Parco nazionale dello Stelvio (F. Pedrotti, in collaborazione con Cise, Milano, et al.).
Si tratta di un documento mirato all'organizzazione degli studi preliminari al piano più che alla loro concreta traduzione in strategie di governo territoriale; ma poiché la gestione della natura richiede conoscenze di dettaglio e di sicura qualità, si arguisce l'importanza di definire con precisione e con competenza il metodo della loro raccolta.
Da questo documento comunque traspare in larga misura l'impianto culturale della pianificazione ecologica del territorio sperimentata in altre precedenti occasioni di ricerca scientifica interdisciplinare e di applicazione mirata alla tutela naturalistica, tra cui alcuni, fondamentali, compiuti in Trentino a partire dalla metà degli anni ottanta.
Quegli studi, citati in bibliografia, sul piano operativo e delle pratiche applicazioni vanno a pieno titolo considerati gli antesignani della più moderna pianificazione ambientale e di parco.
Il documento del Ministero ribadisce tra l'altro, nell'ordine:

  • il fondamentale ruolo dell'interdisciplinarità, necessaria a produrre una completa analisi territoriale nei tre principali comparti: fisico, biologico e antropico
  • la necessità di adottare un metodo scientificamente inoppugnabile nella descrizione dell'area e nell'individuazione e nella valutazione delle emergenze naturalistiche
  • l'elenco dei temi che l'indagine ambientale territoriale non può trascurare (geologia, geomorfologia, pedologia, idrologia, climatologia, flora e vegetazione, fauna, antropogeografia, usi del suolo, infrastrutture, storia e cultura, socioeconomia, amministrazione); essi dovrebbero essere descritti e valutati tenendo conto delle interrelazioni tra specialisti delle diverse discipline cointeressate
  • l'imperativo di giungere ad una sintesi degli studi di settore, necessaria a portare all'individuazione di elementi fondamentali di riferimento, detti unità ambientali, o elementi del paesaggio, sui quali saranno successivamente organizzati i ragionamenti di piano
  • l'importanza di considerare, come spunti delle strategie di piano, le interferenze delle attività antropiche sui tre differenti sistemi.

Conclusa la fase delle analisi, il pianificatore dovrebbe già essere in grado di organizzare una prima ipotesi di zonizzazione, da sottoporre alle più opportune verifiche, anche attraverso il confronto con gli strumenti urbanistici e pianificatori già attivi sul territorio del parco e nelle aree circostanti.
Benché sia da considerare un'importante tappa dell'evoluzione concettuale degli studi applicati alla pianificazione urbanistica, del tutto condivisibile, il documento offerto dal Ministero alla discussione scientifica per i necessari approfondimenti, assieme ad altri a firma Cise che ne costituiscono la logica premessa, ancora non colma pienamente alcune delle storiche lacune concettuali della pianificazione che vuole passare dal piano urbanistico a quello ambientale.
Tra le altre le seguenti.

  • Gli studi (ambientali, naturalistici, socio-economici) non esauriscono il piano ambientale e non danno mai risultati utili o soddisfacenti quando sono fine a sé stessi, come quasi sempre è accaduto in passato. Essi vanno dunque selezionati, dimensionati e organizzati attomo ad obiettivi ben precisi, definiti per ogni singola area protetta nella misura e coi dettagli che lo staff di pianificazione vorrà fissare. Non è dunque possibile stabilire valide "ricette universali", benché nessuno possa negare che ad ogni tentativo di raggiungere l'interdisciplinarità giovi l'esperienza compiuta in precedenti tentativi, specie se coronati da successo.
  • La conservazione prevista dalla legge-quadro non è sinonimo di cristallizzazione dei sistemi ecologico-territoriali nello stato attuale, pur se provvisti di pregi particolari. Vi si coglie forte l'indicazione che è opportuno siano mantenuti i meccanismi naturali e il loro equilibrato dinamismo, anche se esso viene organizzato o controllato dall'uomo. Pianificare (e gestire attraverso il piano) significa infatti controllare, manipolare, intervenire attivamente, nonché rivedere le scelte strategiche compiute, quando se ne ravvisi la necessità attraverso i risultati non soddisfacenti ottenuti. Il territorio e i suoi sistemi ecologici non vanno dunque solo osservati e descritti nella struttura, ma, come prima si diceva, vanno colti e interpretati nelle loro dinamiche funzioni. Divengono allora portanti per una nuova forma di pianificazione i concetti di stabilità ecologica, di vulnerabilità e di rischio, di cui più avanti si dirà.
  • Nel documento ministeriale viene prospettata una distinzione in due categorie della zonizzazione interna al parco, per le quali vengono usati gli attributi strutturale e funzionale. Anche su questo argomento si sono già compiute alcune esperienze scientifiche seguite da applicazioni coronate da successo, cui va peraltro riconosciuto il merito di aver promosso l'integrazione tra la disciplina urbanistica con quella naturalistica, che deve essere forte entro i piani ambientali.

La zonizzazione strutturale è il risultato della sintesi interpretativa compiuta sul territorio e sulle sue componenti sistemiche. In riferimento agli ambiti in cui essa disarticola il territorio, va osservato che essa può variare secondo le scale di percezione, di analisi e di riporto cartografico, dalle dimensioni della nicchia ecologica, come avviene in alcune applicazioni compiute in Trentino (a scendere fino a qualche decina di metri quadrati), fino a quella più consona agli elementi (celle) del paesaggio, o ai tipi ecosistemici, che possono estendersi ciascuno anche per centinaia di ettari.
La zonizzazione strutturale, per essere foriera di pratiche conseguenze, non deve tuttavia essere ancorata solo agli aspetti descrittivi e formali della struttura fisica e biologica del territorio. Essa va soprattutto informata ai suoi valori, e ai rischi che li minacciano, sia sul piano naturalistico sia su quello economico e sociale.

  • La zonizzazione funzionale, cui si fa appena cenno nel documento ministeriale, è invece l'elemento chiave del piano; esso infatti dovrebbe realizzare i suoi obiettivi organizzandosi secondo gradazioni di priorità e di intensità d'azione definite in base agli elementi di valutazione (valori e rischi, attuali e futuri) esplicitati dalla zonizzazione strutturale. Attraverso la zonizzazione funzionale si esplicitano, localizzandoli sul territorio, gli usi previsti per le risorse dell'area protetta.

Ad essa non si arriva comunque, tout-court, attraverso meccanismi di conciliazione politica tra opposte posizioni, bensì attraverso l'attivazione di razionali (scientifici, usando il lessico proprio della cultura anglosassone) criteri di scelta. L'esperienza finora compiuta dimostra che tra i criteri impiegabili a questa funzione ottimi risultati danno quelli basati sulla vulnerabilità, intesa come espressione integrata del valore delle emergenze (o delle risorse) e la potenza dei fattori di rischio, sia quelli attuali, sia quelli che derivano dagli usi previsti, o ammessi, dal piano.
In estrema sintesi il processo di pianificazione, sul piano scientifico, finisce con l'articolarsi in quattro livelli di conoscenza e di valutazione, ai quali segue il necessario momento di definizione delle strategie d'attuazione.

  • Il primo livello è quello della zonizzazione strutturale, che si materializza sulla cartografia di piano col riporto di ambiti ecosistemici, omogenei nella forma e nella sostanza in termini di componenti e di valori. La zonizzazione strutturale non è dunque un fatto solamente descrittivo, essendo per essa richiesta l'espressione di un giudizio scientificamente corretto circa il significato naturalistico e sociale delle risorse presenti nell'area protetta. Attraverso la zonizzazione strutturale i tecnici e gli amministratori, insieme, dovrebbero affinare gli obiettivi del piano e valutarne la portata per stabilire, in base ad essi, le strategie e gli interventi di tutela, di ripristino, di valorizzazione ambientale e territoriale o di uso diversamente regimato dei diversi ambiti del territorio di piano.
  • Il secondo livello è legato alla stima della vulnerabilità ambientale che caratterizza sia le componenti naturalistiche dell'area sia quelle "gestite" dall'uomo; in altro modo essa è legata alla dimensione del rischio (danno) che esse patirebbero in ragione dei cambiamenti spontanei dell'ambiente. La vulnerabilità ambientale consente di stabilire l'opportunità di interventi attivi di tutela; quelli che si realizzano, ad esempio, bloccando la spontanea evoluzione dei sistemi per mantenerne inalterato l'attuale valore.
  • Il terzo livello considera invece la vulnerabilità colturale, che qualifica e quantifica il rischio che le componenti naturali vengano compromesse dal mantenimento delle attuali attività colturali e di gestione; la conoscenza storica degli usi delle risorse nel territorio e dei cambiamenti da essi causati è l'elemento fondamentale di questa interpretazione sistemica. Accanto al valore naturalistico vi è anche un valore colturale, perlopiù provvisto di dimensione economica, che, come quello, sottende rischi e vulnerabilità.
  • Il quarto è un livello di conoscenza specialistica che consente la previsione dei trend evolutivi dei sistemi ecologici, ovvero dei loro assetti potenziali, in condizioni indisturbate. Tali assetti, sul piano naturalistico, sono il termine di confronto con quelli, prevedibili, che si potrebbero originare a seguito di attività o di interventi ammessi nel parco.

Da tutto ciò scende una nuova accezione del concetto di sostenibilità, che oggi va riferita sia agli assetti naturali (che tollerano più o meno efficacemente le attività antropiche), sia a quelle colturali, o sociali, che possono, al pari dei primi, subire "dannose evoluzioni" in seguito all'ammissione di nuovi criteri di uso del territorio. La società è dunque uno degli oggetti di analisi territoriale, al pari della flora e della fauna, e come quelle diviene metro di giudizio circa le possibili ipotesi d' uso delle risorse del territorio.
Lo spessore olistico dell'intero processo di analisi e di valutazione si concretizza in una prima ipotesi di zonizzazione funzionale, destinata a giungere alla sua forma definitiva, corredata dalle opportune norme di attuazione, attraverso plurime fasi di verifica, in interazione con il corpo sociale e le sue diverse componenti.

* Laboratorio l.D.E.A.
Dipartimento territorio e sistemi agroforestali Agripolis, Università degli studi di Padova