Federparchi
Federazione Italiana Parchi e Riserve Naturali


PARCHI
Rivista della Federazione Italiana Parchi e delle Riserve Naturali
NUMERO 26 - FEBBRAIO 1999
  Po e Hudson: molti problemi ed idee in comune
Scambi fra Hudson Foundation e Regione Piemonte ed Università di Torino


Una delegazione italiana composta dall'arch. Roberto Gambino del Politecnico di Torino e da funzionari della Regione Piemonte (Massimo Fadda, settore gestione del suolo, e Gianni Boscolo, settore parchi) è stata invitata negli Stati Uniti dal 31 agosto al 4 settembre dalla Hudson Foundation, per uno scambio di esperienze sui problemi nella gestione economica, ambientale e turistica dei due fiumi. Scopo delI'incontro: approfondire problemi, gestione e programmi da parte di enti pubblici e privati sulle tematiche relative ai due grandi fiumi.
E stata riscontrata una sostanziale omogeneità nei modi di affrontare le questioni dello sviluppo socio-economico di aree con problematiche simili: deindustrializzazione, interventi strutturali con forte incidenza ambientale, piccoli centri di economia "marginale", rete di aree protette da valorizzare.
Tra i molti temi affrontati: la gestione ecologica e legislativa del fiume e dei suoi possibili usi Nella tavola rotonda conclusiva di bilancio e confronto la Hudson Foundation ha auspicato la prosecuzione degli scambi e del confronto, considerate sia l'omogeneità dei problemi sia dei modi di affrontarli.


Po e Hudson così diversi, così uguali
Gianni Boscolo - Regione Piemonte - Direttore di "Piemonte Parchi"

Trovarli su una carta a piccola scala non è immediato. Il Po e l'Hudson, infatti, non hanno le dimensioni dei grandi fiumi europei o nordamericani.
Osservandoli su una carta a scala maggiore si cominciano, invece, ad intravedere percorsi e "personalità" diverse. Le sorgenti distano tra loro 6 mila chilometri, sono separati dalla grande massa d'acqua oceanica, il Po scorre per circa 650 chilometri dalle Alpi fino all'Adriatico, l'Hudson scende, per 315 miglia (circa 580 chilometri), dagli Adirondacks fino a Battery, capo
meridionale di Manhattan, il cuore della Big Apple, New York City. Il Po, dopo un ampio semicerchio che lo porta a Torino, scorre da ovest ad est con un corso ricco di anse, divagazioni, variazioni, quasi continui ripensamenti, alimentati dalle piene e magre stagionali. L'Hudson, invece, dopo le prime incertezze, scorre dritto come un canale, da nord a sud, da Albany alla statua della Libertà: ampio, profondo, regolare. Tant'è che sulle sue sponde, a pochi metri dal livello dell'acqua si ritrovano Railroad, strade, ed ovviamente industrie e paesi. La storia geologica dei due infatti è molto diversa: per circa la metà del suo corso l'Hudson è un braccio di mare. Alla diga di Troy, pochi chilometri a nordovest di Albany, il fiume è ad un livello di soli 2 piedi (60 cm circa) al di sopra dell'Atlantico, distante ancora alcune centinaia di chilometri. Ne consegue che il suo scorrere è ampiamente influenzato dalla forza della marea (che si fa sentire ad oltre duecento chilometri dalla foce). Per questo motivo nella parte finale del suo corso, il fiume "scorre" ciclicamente in modo anomalo: risalendo dal mare verso monte. La porzione inferiore della valle dell'Hudson, a sud di Troy, fu sommersa quando il livello marino crebbe alla fine dell'ultima era glaciale. Il suo corso e la conformazione delle sue sponde sono il risultato dell' erosione dell' acqua e dei ghiacci avvenuta 60-70 milioni di anni fa. Le maree oceaniche si fanno sentire fino a Troy, 153 miglia a nord di New York, e l'acqua del fiume è salata fino a Newburgh, 60 miglia dalla foce. A Poughkeepsie, capoluogo della contea di Dutchess, l'oscillazione di marea (ossia la differenza fra l'altezza dell'acqua in alta ed in bassa) ha l'escursione maggiore: in media 3 piedi, circa un metro. In forza anche di un bacino non molto ampio, il fiume non ha mutamenti sostanziali di portata e cicli stagionali. Tant'è che sulle sponde ad un metro e mezzo, due dall'acqua scorrono i treni. Sulla sponda sinistra quelli che collegano l'intero Stato con il cuore pulsante di New
York. Sull'altra sponda, chilometrici convogli veicolano nei due sensi tonnellate di merci. Sostanzialmente l'Hudson è un fiordo e del fiordo ha le profondità (che arrivano anche a 70-90 piedi di media, una trentina di metri) e le falesie rocciose che precipitano verso le sue acque. Nel 1872 Verplanck Colvin, geografo ed instancabile esploratore della Catena degli Adirondacks, trovò un lago a 1.400 metri sul versante sudovest del monte Marcy, la cima più alta dello Stato di New York (5.344 piedi). Questo lago, scrisse "è una minuscola, modesta lacrima delle nuvole, essendo una pozza solitaria che trema tra i venti delle montagne". Qui venne individuata la sorgente dell'Hudson, nel lago Tear of the Clouds (lacrima delle nuvole). Dal cuore degli High Peak il fiume, che deve il nome ad un altro esploratore che lo aveva percorso all'inizio del 1600, scende tra le valli degli Adirondacks, le strade di Albany (la capitale dello Stato di New York), le Catskill Mountains, i bastioni di West Point, le scogliere delle Palisades, per scorrere sotto la campata larga un miglio, del George Washington Bridge, lambire i moli del porto, "miraggio" di generazioni di emigranti, per raggiungere infine, la statua della Libertà dove si congiunge con le acque dell' Oceano.
La velocità del fiume risente dei flussi di marea, influenzati a loro volta dalla morfologia del terreno e delle condizioni metereologiche. Le correnti più forti si trovano sotto il ponte George Washington (verso la sorgente mediamente di 1.9 nodi, 2.6 nodi verso il mare) e, più a nord, intorno a Catskill. Una zattera impiegherebbe 126 giorni per navigare da Troy a New York scendendo per sei ore in favore di corrente e retrocedendo per altrettante ore durante il flusso di marea. Come in tutti gli estuari l'acqua dolce scorre verso il mare al di sopra dell' acqua salata che è più densa ed è spinta verso la terra ferma. Questa stratificazione nell'Hudson è particolarmente intensa a sud di Tappan Zee. L'attrito tra i livelli crea delle turbolenze che mescolano le acque diminuendo le diversità di salinità tra superficie e fondo. Questo rimescolamento è inoltre favorito dalle correnti di marea e dalle irregolarità del letto del fiume.
Ne consegue un ambiente ecologico eccezionale per la elevata biodiversità dovuta alla compresenza di specie d' acqua salata e d'acqua dolce. Tra le diatomee, il genere Cyclotella presenta una specie "salata" ed una "dolce"; tra i crostacei, invece, convivono un Astacide d'acqua dolce e Homarus americanus che è di acqua salata. Un continuo mutare di salinità che genera comportamenti singolari: come quello di Callinectes sapidus, il maggiore granchio presente, che in estate risale seguendo l'acqua dolce fino ad Albany e d'inverno si ritira verso l'estuario in acque più salate e profonde.
Ne derivano zone particolari, vere e proprie nursery di acque salmastre, ricche di nutrimento, dove, convergono, sfruttando le correnti di marea o i flussi di acqua salata, i girini di specie ittiche indifferentemente che si siano schiusi in acque salate o dolci. Il fiume è ricchissimo di pesci: ne sono state contate oltre 200 specie che hanno sempre stimolato la pesca sportiva e commerciale sia nel fiume che lungo le coste. Vi sono specie originarie (come il persico trota e persico sole) che, introdotti da noi all'inizio del secolo scorso hanno creato rilevanti problemi alla fauna autoctona.
L'Hudson è un ecosistema che presenta una gamma estesissima di invertebrati: zooplancton, phytoplancton, invertebrati detritivori, erbivori, carnivori e onnivori. Praticamente son presenti tutti i phyla di invertebrati. Ma il re indiscusso della fauna ittica, è lo storione presente anche con esemplari di misure notevoli. Tra le specie presenti lo Shortnose turgeon (Acipenser brevirostrum) è molto numeroso benché specie dichiarata in pericolo nel resto d'America. Ma l'inquinamento da PBC ha avuto in tempi recenti un pesante impatto negativo riducendo la presenza di lontre canadesi (Loutra canadensis) e di visoni (Mustela vison): il disinquinamento diventa così uno dei "punti di contatto" fra i due fiumi più immediato.
Rettili ed anfibi sono poco comuni nell'estuario a causa delle fluttuazioni delle maree, dell'inquinamento e della predazione, tuttavia si trovano alcune testuggini con la painted turtle (Chrysemys picta), e la snapping turtle (Chelydra serpentina), che solitamente vive in acque paludose dolci ma presente anche in acque salmastre. Abbondanti invece gli uccelli: limicoli, aironi, diverse specie di gabbiani, le immancabili wood duck (Aix sponsa), cormorani e persino
molte bald eagle (Haliaeetus leucocephalus), l'aquila testabianca, animale simbolo degli U.S.A.
Un habitat ricchissimo e vario messo a rischio da un'industrializzazione massiccia che non ha disdegnato centrali nucleari e termoelettriche.
All'epoca in cui, in Piemonte, il Po divideva il Ducato di Saluzzo da quello dei Savoia ed era il teatro degli scontri tra piemontesi e francesi, Henry Hudson esploratore inglese del XVII secolo animato dal grande mito "del passaggio a nord ovest" dall'Atlantico all'Asia, esplorava l'Hudson. Era il 1609, New York non esisteva ancora ed il fiume era chiamato dalle popolazioni locali Muhheakantuck; lo navigavano e vi pescavano già da sei millenni come raccontano le punte di lancia trovate a Orange Country e le imbarcazioni di Haverstraw Bay e Croton Point. Come il nostro Padus (od Eridano), l'Hudson ha visto passare eserciti ed è stato spettatore di epici scontri. Rose e Phoenix vascelli inglesi del generale Howe lo solcarono tentando di intercettare i sovversivi comandati da George Washington. Ed appunto Fort Washington sulla punta settentrionale di Manhattan, poco più a nord Fort Lee, la baia di Haverstraw, Stony Point e Verplanck's Point, Fort Independence vicino a Peekskill, e sugli altipiani, Fort Clinton, Fort Arnold, Fort Putnam, Costituion Island, e West Point; sono tutti nomi che ricordano quell'epopea sfociata nella dichiarazione dei diritti dell'uomo, l'indipendenza della colonia britannica dalla corona inglese e la nascita di una nuova nazione. L'Hudson è un fiume che evoca e riassume gli inizi della storia degli Stati Uniti.
Ma anche l'arte traccia un legame tra i due corsi d'acqua: entrambi hanno avuto i loro pittori. Quelli che si sono ispirati ai colori ed alle brume del fiume padano si chiamano Felice Casorati, Edgardo Corbelli, Gigi Chessa, Franco Menzio e tanti altri. In America le vallate del fiume, i suoi scorci, i suoi panorami hanno ispirato una schiera di pittori che hanno segnato
l' ottocento pittorico americano e non soltanto. Attivi tra il 1825 ed il 1875, vivevano a New York City ma frequentavano le Catskill Mountains: Thomas Cole, Frederic Edwin Church, Albert Bierstadt ed altri segnarono la scoperta dell'American Landscape e diedero vita alla scuola dell'Hudson. Molte delle loro opere, sono oggi ammirabili al Metropolitan Museum.
Fiumi come fondali della storia, scenografie per gli artisti ma non soltanto: tra il Po e l'Hudson corrono altre corpose affinità. Risalendo il corso dell'Hudson e lasciandosi alle spalle le torri di acciaio e vetro di N.Y. si incontrano Milan, Tivoli, Croton, (e più a nord, una Turin) towns i cui nomi la dicono lunga su chi furono gli artefici dell'industrializzazione del fiume nel XIX secolo. Immigrati italiani che insieme con irlandesi, tedeschi, greci, polacchi, risalirono, dopo il periodo di quarantena ad Ellis Island, le rive del fiume in cerca di lavoro che trovarono nella costruzione degli acquedotti, delle linee ferroviarie, dei ponti.
Anche le battaglia per la difesa dell'ambiente sono germogliate sulle rive dell'Hudson. Nel 1963 fu bloccato un gigantesco progetto di centrale elettrica che avrebbe deturpato uno degli speroni rocciosi più spettacolari del corso d'acqua. E poi vi sono altri punti di contatto: oltreoceano si chiamano Franklin Roosevelt, James Baird, Minnenaska, North/South Lake, Saratoga, parchi statali od interstatali, come il Palisades, e sanctuarys della Audubon Society (la Lipu americana) che fanno da contrappunto alle nostre riserve fluviali. Se a questo si aggiunge che le sponde per decenni sono state la meta prediletta dell'alta borghesia newyorkese che vi ha edificato i suoi cottage di legno, con prato e vista sul fiume annessi, l'agricoltura in difficoltà che si ripercuote sui piccoli centri, i processi di deindustrializzazione, i nostri due "piccoli" fiumi, i loro problemi e le loro popolazioni, sono meno distanti di quanto si possa immaginare.
Mettere in rete parchi, luoghi storici, riscoprirne una nuova potenzialità turistica e governare i complessi processi che si svolgono sul territorio sono i temi comuni. Più ci si allontana dai mitici spazi dell'ovest, dove i parchi si disegnano con il tiralinee e più i problemi diventano simili.
Pianificatori, ambientalisti e amministratori statunitensi l'hanno chiamata Greenway. Da noi si chiamano PTO (piano territoriale del Po), parchi regionali, riserve, piccoli centri, pianificazione del territorio. Cambia la terminologia non le affinità ed i problemi che si intendono risolvere.

(da Piemonte Parchi 84 febbraio 98 ha collaborato Giuseppe Menetto)
Il bacino del Po

Il bacino del maggior fiume italiano ha una superficie di 71.057 km2 ed interessa le Regioni Piemonte, valle d'Aosta, Lombardia, Veneto, Liguria, Emilia Romagna, e la Provincia autonoma di Trento con complessivi 15.764.000 di residenti pari a circa il 25% della popolazione italiana che produce però, il 45% del Pil (il prodotto lordo nazionale).
Di questi 3.171.000 sono addetti alle attività industriali mentre 2.791.000 sono occupati nelle attività terziarie. I capi bovini presenti sono 4.188.000 e 5.232.000 i suini. La produzione agricola rappresenta il 35% dell'intero Paese, mentre gli allevamenti ne costituiscono ben il 65%.
La massima densità abitativa (1.476 ab/km2) si ha nell'area del Lambro, la minima nel sub bacino del Trebbia (25 ab/km2).
I carichi inquinanti corrispondono a 114 milioni di abitanti equivalenti di cui il 15% è dovuto alle attività civili, il 52% a quelle industriali ed il 33% all'agrozootecnia.
I prelievi idrici sono, da acque sotterranee: 5,3 miliardi di m3/anno, 1,3 miliardi di m3/anno (potenziale residuo), da acque superficiali: 25,1 miliardi di m3/anno.

Hudson e Po: differenze e somiglianze
Roberto Gambino - Politecnico di Torino

Il confronto tra le politiche ambientali dell'Hudson e quelle del Po è più intrigante di quanto possa apparire a prima vista. Le differenze sembrano renderlo improponibile: il primo con uno specchio d'acqua, a monte di New York, incomparabilmente più ampio, quasi esente da significative variazioni di livello idrico, quasi tutto navigabile, ai bordi di una immensa conurbazione di oltre 10 milioni di abitanti; il secondo assai più lungo e con un bacino di raccolta assai più vasto, ma con un regime torrentizio per un bel tratto di percorso, rilevanti fenomeni di piena, snodato in una grande pianura che ospita uno sciame, lungo più di 400 km, di città di media e prima grandezza, cariche di storia millenaria. Ma molte anche le similarità: per entrambi, un ruolo cruciale nei processi di sviluppo produttivo del passato e nell'organizzazione di vasti territori, forti pressioni insediative, gravi problemi d'inquinamento, di degrado paesistico, di cambiamenti socioculturali nelle comunità locali e nel loro rapporto col fiume. Sui problemi del Po, come su quelli dell'Hudson, si son mossi negli ultimi decenni associazioni ambientaliste, istituti di ricerca, forze politiche e sociali, associazioni locali di difesa delle tradizioni e dell'ambiente. Manca però nel caso del Po una Fondazione come quella dell'Hudson, capace di attivare studi e ricerche a largo spettro e di incidere efficacemente sulle decisioni delle autorità di governo. Per contro, manca nel caso dell'Hudson un'autorità come la nostra Autorità di Bacino, istituzionalmente preposta al governo complessivo del suolo e delle acque nella fascia fluviale e nel bacino sotteso. Infine, in entrambe le fasce fluviali sono state istituite aree protette (soprattutto il Parco fluviale del Po in Piemonte e l'Hudson River Greenway nello Stato di New York) e sono in corso programmi volti a migliorarne le condizioni ambientali e la fruibilità sociale, culturale, turistica e ricreativa.
E difficile parlare delle politiche ambientali riguardanti il Po senza porre al centro dell'attenzione il Progetto Po sviluppato dalla Regione Piemonte sui quasi 250 km del tratto piemontese, a partire dal 1986. Non soltanto perché tale Progetto è stato affiancato dall'istituzione, nel 1990, del Parco fluviale del Po piemontese, che insieme con quello successivo del Delta, costituisce tuttora l'unico tratto organicamente protetto della fascia del Po ed uno dei più estesi ed importanti parchi fluviali europei. Ma soprattutto perché è stato quel Progetto a lanciare per la prima volta in Italia - quasi contemporaneamente al Piano per il Parco del Ticino e ad alcuni altri progetti in Germania e Svizzera - una proposta di svolta radicale nelle filosofie di gestione del fiume, prima ancora della innovativa legge 183 del 1989. Alla base della proposta c'è il riconoscimento che l'insieme delle pressioni antropiche accumulatesi, soprattutto negli ultimi 40-50 anni, sulla fascia fluviale, ha ormai superato il livello di guardia e che perciò deve ridursi, restituendo il più possibile al fiume ed agli ecosistemi fluviali la loro libertà evolutiva. La conseguenza più importante di quest'opzione di fondo (poi in parte recepita
dall'Autorità di Bacino, col blocco delle attività estrattive nell'alveo del fiume e col successivo Piano Stralcio delle Fasce Fluviali) consiste nella individuazione di una fascia "di pertinenza" del fiume (costituita dall'alveo di piena, dalle aree antistanti interessate dalle divagazioni dell'alveo inciso e dalle aree naturali, anche esterne alle precedenti, strettamente connesse alle dinamiche fluviali) nella quale occorre ridurre ogni interferenza antropica non strettamente necessaria.
Una innovazione radicale nella gestione del fiume implica un approccio integrato e preventivo, che consideri congiuntamente i problemi della sicurezza idraulica e della qualità delle acque, quelli ecologici e di tutela naturalistica, quelli delle attività agricole, forestali e produttive (ivi compresi quelli, particolarmente acuti a monte di Torino, delle attività estrattive), quelli paesistico-percettivi, quelli urbanistici e infrastrutturali, quelli dello sfruttamento energetico e della navigabilità, quelli socioeconomici e culturali. Gran parte dei processi di degrado sono infatti imputabili, almeno in parte, ad interventi settoriali o d'emergenza che si sono rivelati scarsamente efficaci o addirittura controproducenti anche nei confronti degli eventi alluvionali (come non poche opere di difesa delle sponde, che hanno determinato una progressiva "canalizzazione" del fiume, aggravando spesso i rischi a valle). Nel caso del Progetto Po, tale approccio è stato facilitato dalla scelta dello strumento - un "progetto territoriale operativo" in base alla legge regionale, che ha poi assunto anche valenza di Piano del Parco - volto ad una considerazione unitaria di tali problematiche ed in particolare, alla valorizzazione complessiva del sistema di risorse naturali, storiche e culturali, che, opportunamente connesse coi percorsi storici rivieraschi e coi collegamenti nautici, formano una rete continua di fruizione.
La considerazione congiunta dalle diverse problematiche della fascia fluviale obbliga peraltro il soggetto proponente a dialogare con altre istituzioni e con una moltitudine di soggetti sociali. Le interazioni più importanti - della Regione Piemonte nel caso del Progetto Po - hanno riguardato l'Autorità di Bacino (che, insediata nel 1989, aveva avviato gli studi per il Piano dell'intero bacino) le Province e i Comuni. Il Progetto Po, infatti, se da un lato fissa direttamente una serie di vincoli a salvaguardia di interessi ambientali indeclinabili (come tipicamente per la fascia "di pertinenza"), esprime dall'altro essenzialmente degli indirizzi, che spetta ai Comuni tradurre in norme vincolanti mediante i propri piani regolatori. Ma il dialogo ha riguardato anche altri operatori, in primo luogo le associazioni degli agricoltori (l'utilizzazione principale della fascia fluviale è agricola e forestale) e quelle delle imprese estrattive, particolarmente potenti ed influenti nel caso del Po a causa della ricchezza dei depositi di sabbie e ghiaie esistenti. Il confronto e la negoziazione sono poi proseguiti e proseguono nel corso dell'attuazione del Progetto, che si avvale di appositi Progetti Operativi Locali (riferiti alle aree di maggior criticità o trasformabilità), che possono in ampia misura definire autonomamente le scelte d'intervento, in funzione delle concrete condizioni, opportunità e convenienze degli operatori pubblici e privati (come ad esempio per gli interventi di rinaturalizzazione delle sponde o di ricostruzione delle zone umide a carico di imprese estrattive).
E questo forse l'aspetto che collega più direttamente l'esperienza del Po a quella dell'Hudson. Il duro lavoro di concertazione e di negoziazione che ha caratterizzato la formazione e l'attuazione del Progetto Po, trova infatti riscontro nell' approccio "cooperativo" e nei processi di definizione progressiva e consensuale delle strategie d'intervento, che caratterizzano il progetto della Greenway. Tuttavia la mancanza di un'Autorità di Bacino con competenze intersettoriali e prevalenti su quelle delle autorità di governo territoriali, unitamente alla rilevanza delle democrazie locali nei sistemi di potere statunitensi, hanno indotto nel caso della Greenway ad attivare forme di cooperazione e di compact planning assai più sistematiche e pervasive che nell'esperienza piemontese. C'è molto da imparare dalla lezione americana.