Federparchi
Federazione Italiana Parchi e Riserve Naturali


PARCHI
Rivista della Federazione Italiana Parchi e delle Riserve Naturali
NUMERO 32 - FEBBRAIO - 2001


Il Parco Nazionale dell'Aspromonte, un anno dopo
di Giuseppe Riggio
 

Prima ancora di arrivare in Aspromonte il visitatore fa i conti con i pregiudizi; una cortina dura, coriacea che circonda una montagna singolare e inaccessibile. Da alcuni anni le associazioni di volontariato ed alcune coraggiose iniziative turistiche si sono fatte carico di fare breccia nel muro dei luoghi comuni. Adesso non è raro incontrare comitive di escursionisti tedeschi che fanno trekking in primavera in mezzo a quelli che i cronisti consideravano i "santuari" della ‘ndrangheta.
Allo stesso tempo gli itinerari escursionistici (solitamente ben tracciati e segnalati) traversano ormai in tutte le direzioni i versanti dell'Aspromonte, consentendo il passaggio attraverso ambienti naturali variegati e affascinanti: dalle aspre gole del versante ionico (le stesse che accolgono rimbombanti cascate) agli ombrosi boschi secolari del versante rivolto verso il Tirreno, al di sotto dei quali non penetrano mai i raggi del sole.
Ma il Parco nella interpretazione che ne vogliono dare il suo attivissimo presidente (vedi intervista) insieme all'intero Consiglio direttivo ed al direttore, Pasquale Nania, non vuole guardare solo al mondo della natura.
Basta scorrere le voci del bilancio e l'elenco dei progetti in corso di realizzazione per capire che "questo" Parco nazionale d'Aspromonte ha un occhio di riguardo per quella che è la situazione sociale e urbanistica dei paesi aspromontani. Sono stati già avviati investimenti per 5,7 miliardi per programmi di riqualificazione dei centri storici (con un buon numero di opere già appaltate e avviate) ed un altro piano per 6,5 miliardi è allo stato dello studio di fattibilità.
Sono soldi che servono a dare decoro a centri abitati dilaniati dall'abusivismo edilizio oppure a ridare un po' di ossigeno a paesi di montagna che in pochi decenni sono stati abbandonati dalla gran parte dei loro stessi abitanti, con il conseguente degrado innanzitutto dei monumenti e delle residenze storiche. Certo, in bilancio ci sono anche gli interventi per miglioramenti selvicolturali e per la rete dei sentieri, così come per i centri visita e per il sistema informativo territoriale.
Ma è evidente che la scommessa degli amministratori del Parco si sta giocando su diversi tavoli.
Nel corso del 2000 occorreva iniziare a dimostrare che un nuovo ente pubblico in questo sud del sud può riuscire dove ha fallito per decenni un discontinuo intervento straordinario e per far questo bisognava intanto dare seguito ai progetti attaccando la montagna dei residui passivi.
Da questo punto di vista una svolta c'è stata: la capacità di spesa è aumentata dell'80% rispetto all'anno precedente. La priorità è dunque quella di utilizzare le risorse disponibili, ma non per distribuire assistenza, bensì per realizzare un progetto complesso e ambizioso di sviluppo del territorio, all'interno del quale c'è spazio per i Master da realizzare nei piccoli centri del Parco per affermare il valore prioritario della politica culturale; così come finanziamenti per una fattoria completamente eolica e per corsi di scrittura creativa.
Per Tonino Perna e per il suo staff la gestione di un Parco Nazionale in un'area difficile come quella aspromontana non è evidentemente un limite; anzi la gravità della situazione socio-ambientale induce gli amministratori a pensare e agire in grande, al limite della visionarietà.
D'altra parte per affrontare una sfida così impegnativa non ci si può arrestare dinanzi al censimento delle difficoltà.
Corrado Alvaro, nel suo Gente d'Aspromonte, raccontava la durezza e la violenza di un ambiente naturale a cui bisognava strappare con le unghie e con i denti il necessario per vivere.
Ancora oggi sono lunghi e laboriosi i collegamenti fra i vari paesi di un massiccio montuoso che con le sue gole scavate dall'erosione e le fiumare tumultuose in inverno e aride in estate sembra fatto apposta per isolare i suoi abitanti dal mondo circostante. Dopo aver conosciuto la morfologia dell'Aspromonte non è difficile comprendere perché sia stata così irresistibile l'attrazione delle marine che hanno raccolto decine di migliaia di persone in improvvisati paesoni nati lungo i margini delle spiagge ioniche.
Gli amministratori del Parco nazionale sono evidentemente convinti che di tutto ciò va tenuto conto e che la conservazione degli ambienti naturali non può essere trattata separatamente rispetto alla vicenda storica dell'uomo su questa montagna tragicamente bella.
Il Parco nazionale d'Aspromonte un anno dopo: potrebbe essere il titolo di un convegno e invece è il tema di una riflessione ad alta voce che abbiamo chiesto a Tonino Perna, appunto presidente del Parco dall'autunno del 1999.
Inevitabilmente la chiacchierata diventa anche un ragionamento sulla realtà più generale delle aree protette meridionali, sulle caratteristiche che le accomunano.
Prima di dare conto delle riflessioni del presidente del Parco nazionale d'Aspromonte è bene subito chiarire che Tonino Perna (di professione docente alla facoltà di Scienze politiche dell'Università di Messina) non è tipo da farsi spaventare di fronte alle sfide impossibili, da anni è infatti impegnato attivamente nel settore della cooperazione con i paesi del terzo mondo, è consigliere di Banca Etica ed ha spaziato ampiamente nel settore del no-profit.
Per lui, anche se non lo dice esplicitamente, il Parco costituisce un laboratorio in cui sperimentare una diversa via -democratica- allo sviluppo.
" Se può servire snocciolare qualche dato diciamo subito -racconta Perna- che quando sono arrivato otto Comuni volevano uscire dal Parco e la Provincia di Reggio Calabria aveva votato per un ridimensionamento dei confini. Oggi tre Comuni chiedono invece di allargare l'area di protezione e credo di poter ragionevolmente prevedere che alla fine la questione dei limiti del Parco verrà conclusa con un ampliamento, concordato con gli enti locali, dell'area del Parco. Certo, va detto che le aspettative degli amministratori sono a volte caratterizzate da una insanabile contraddizione: si chiedono risorse al Parco, ma ci si oppone al modello di gestione proposto dall'Ente per timore di perdere nell'immediato consensi".

Appena si è insediato quali sono state le prime richieste che le sono arrivate dai Comuni?

"In genere le richieste erano e restano duplici, da una parte cacciatori e contadini che solitamente insieme agli amministratori chiedono un ridimensionamento del territorio e dei poteri del Parco e dall'altra parte ci si aspetta finanziamenti dall'Ente Parco, come se fosse una nuova Cassa per il Mezzogiorno.
Io all'inizio ho ascoltato, ma ho anche spiegato che il nuovo modello di sviluppo locale proposto dal Parco è una grande occasione per una zona che è un'area di frontiera. L'Aspromonte non è il Sud, per fortuna. Da noi la condizione sociale è fortemente degradata: ci sono tre Comuni senza abitanti, i cittadini o sono scesi alle marine o sono emigrati, qui il Parco va dunque fatto con la gente che è rimasta. Non chiamiamolo più sviluppo sostenibile, perché il termine è ormai abusato, ma vediamo di convincere tutti a ridurre l'impatto ambientale delle attività umane, creando però degli effetti moltiplicativi. Il problema sta nel trovare un nuovo equilibrio fra economia, società e natura".

Ma a quale modello vuole ispirarsi il Parco dei suoi sogni?

"Non c'è dubbio che il nostro è un Parco in cui sono fortissime le interrelazioni uomo-natura. Il problema dello spopolamento delle aree interne è ancora rilevante. Non possiamo quindi semplicemente limitarci a proteggere l'ambiente naturale. Sulla nostra montagna, così bella e così selvaggia, si può invece sperimentare veramente un nuovo modello. Credo molto nel principio dell'adozione del territorio. Dalla cancellazione degli usi civici in poi sono scomparsi nel meridione i legami comunitari con la gestione delle risorse ambientali. Le comunità locali non hanno più da decenni interessi da tutelare collettivamente".

L'esperienza degli Enti Parco nel Mezzogiorno può offrire certamente anche una salutare provocazione al mondo della pubblica amministrazione. Come la vede dal suo punto di vista...

"Stiamo cercando di dimostrare che è possibile fare le cose senza un organico pletorico e senza impegnare cifre smisurate.
A costo di realizzare in qualche caso delle iniziative apparentemente duplicate rispetto a quelle di altri enti pubblici. Le faccio l'esempio del servizio anti-incendio.
La scorsa estate abbiamo fatto l'esperienza di affidare la tutela del territorio alle associazioni locali di protezione civile.
Facendo delle convenzione e dicendogli noi vi diamo un contributo sotto forma di mezzi e attrezzature oltre ad un diaria per i tuoi volontari, a fine stagione andremo a verificare cosa sarà successo nella porzione di Parco che vi abbiamo dato in custodia.
Se i risultati saranno buoni saremo pronti a rifare l'esperienza.
Devo dire che in questo modo abbiamo protetto circa 20 mila ettari di Parco con poche centinaia di milioni, inclusi tutti i rimborsi spese che abbiamo dato ai giovani impegnati per tutta l'estate, e quel che più conta abbiamo avuto solo 200 ettari bruciati contro i 700 dell'anno prima e i 1500 del '97, senza contare i 4000 del ‘98".

Considerato che la Calabria è famosa per i suoi 18 mila operai forestali, cosa risponderebbe ad un lettore -mettiamo- piemontese che le chiedesse, a questo punto, che bisogno c'è dei volontari del Parco quando c'è già un esercito di forestali?

"L'obiezione è assolutamente legittima, ma io come amministratore del Parco mi trovo di fronte a questo dilemma: posso delegare la tutela anti-incendio ad un corpo numerosissimo sì ma scarsamente motivato? I rappresentanti dell'AFOR, durante l'emergenza estiva, hanno dichiarato dinanzi al Prefetto che pur potendo avvalersi di 6000 operai non assicuravano di poter sempre intervenire tempestivamente in Aspromonte.
Di fronte a questa situazione non mi resta che prendere atto che quel modello è inefficiente; per fortuna i forestali in Calabria non sono più i 36 mila di 10 anni fa, ma sono adesso la metà e probabilmente saranno ancora meno nei prossimi anni perché la Regione non sta più assumendo. Sperò così che la novità rappresentata dal Parco ,che ha solo cinque dipendenti e ne avrà in tutto venticinque a pieno organico, possa man mano dimostrarsi vincente. Certo anche noi abbiamo i nostri problemi per quanto riguarda le aspettative di chi viene a lavorare per noi. Abbiamo 160 persone assunte per effettuare lavori socialmente utili che operano nei Comuni per nostro conto. In molti casi sono utilizzati bene anche per realizzare progetti qualificati, ma in altre situazione -inutile nasconderlo- non riusciamo a fargli rispettare le mansioni per cui sono stati assunti, per esempio la pulizia dei boschi o degli edifici. Perché un ragazzo calabrese, possibilmente con un titolo di studio, considera umilianti questo tipo di lavori. Ma su queste questioni occorre avere un approccio pragmatico. Nell'estate del 2000 abbiamo risolto il problema dell'accesso durante il Giubileo al santuario di Polsi semplicemente erogando un contributo di poche decine di milioni con cui il parroco ha sistemato la strada sterrata (anche avvalendosi dell'opera di fedeli e di volontari), un opera per la quale un altro Ente Pubblico aveva già preventivato una spesa di circa 800 milioni".

Per finire, quale attenzione state dedicando all'immagine del Parco, sempreché lo consideriate un problema?

"Certo che lo è, perché cogliamo ancora la persistenza di diffusi pregiudizi. Pensiamo di affrontare il problema in maniera innovativa se necessario contribuendo anche alla realizzazione di fiction televisive che escano fuori dai soliti schemi di presentazione del nostro territorio e proponendo dei seminari di formazione in materia di giornalismo ambientale anche ai giovani che intendono inserirsi nel mondo dell'informazione".