Federparchi
Federazione Italiana Parchi e Riserve Naturali


PARCHI
Rivista della Federazione Italiana Parchi e delle Riserve Naturali
NUMERO 44 - FEBBRAIO 2005

 




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RETI ECOLOGICHE: A CHE PUNTO SIAMO?

Elementi di riflessione sulle metodologie e sugli strumenti di programmazione

Il principio del Buon Governo, di antica memoria nelle cronache della gestione dei paesaggi italiani, così ben raffigurato nel capolavoro di Ambrogio Lorenzetti, del XIII secolo, consiste nell'utilizzo delle trasformazioni delle “qualità” di un paesaggio, siano la biodiversità o l'assetto idrogeologico, per giungere a un miglioramento complessivo della qualità della vita dei cittadini, risultato ottenuto dalla gestione sostenibile delle risorse ambientali.

Con questo articolo intendiamo compiere una riflessione sui motivi e sulle opportunità rappresentate dalla scelta di individuare un sistema di reti ecologiche, fondate sull'esigenza di offrire risposte tese a garantire la gestione delle “qualità” di un paesaggio, di ciò che possiamo definire come il “patrimonio comune” di un territorio.
L'idea di rete ecologica è collegata a una delle ipotesi fondanti l'Ecologia del paesaggio, ovvero che la configurazione degli ecosistemi o dei mosaici di ecosistemi (strutture) influenzi i processi ed i flussi (funzioni) che nel paesaggio hanno luogo. In particolare i flussi biotici e le dinamiche di metapopolazione che vi hanno luogo, in altri termini la biodiversità.
La teorica delle meta-popolazioni (Levins 1969) prevede l'esistenza di una metapopolazione costituita da una serie di subpopolazioni legate ad ambienti (ecosistemi) favorevoli. Anche se in misura parziale, la presenza e la configurazione di ambienti favorevoli in paesaggio possono condizionare i flussi biotici e quindi la bio-diversità. Riuscendo a stimare queste caratteristiche mediante dei parametri (eterogeneità, connettività, frammentazione) e gestendole mediante la realizzazione di reti ecologiche, dovremmo essere in grado di influenzare le funzioni stesse. Il condizionale è d'obbligo perché queste relazioni sono lontane dall'essere generalizzabili, anche se è in corso uno sforzo per interpretare i risultati verso questa direzione.
L'eterogeneità di un paesaggio è: una stima della complessità della configurazione spaziale degli ecosistemi che lo compongono (distribuzione, numero e dimensioni). Per ciascuna scala percettiva/esplorativa delle popolazioni animali o vegetali che consideriamo, la variazione dell'eterogeneità può influire sulla distribuzione, sull'interazione e adattamenti degli organismi. Non è disponibile un unico metodo di stima.
La connettività cerca di stimare un rapporto funzionale tra ecosistemi non necessariamente connessi fisicamente tra loro: certe configurazioni strutturali di certi ecosistemi possono influenzare positivamente o negativamente l'intensità di certi flussi paesaggistici (come la dispersione del fuoco, di malattie, di organismi, ecc.).
Considerata l'impossibilità di definire univocamente la “connettività” di un paesaggio, recentemente si sta affermando, a scopo pratico, una metodica che stima la “qualità” ecologica dei diversi tipi di ecosistemi presenti nel paesaggio.
I processi di frammentazione di un paesaggio possono causare una variazione degli habitat e una variazione del costo energetico per l'utilizzo delle risorse, portando potenzialmente alla rarefazione e all'aumento delle specie presenti in un paesaggio.
Sul processo di frammentazione molto è stato scritto (per una revisione Battisti, 2004) ma l'uso della frammentazione come variabile di controllo o parametro di confronto è resa complicata dal fatto che non esistono, al momento, misure comunemente accettate per la sua stima e gli indicatori spaziali utilizzati per una sua valutazione tendono a sovrapporsi a quelli usati per la stima dell'eterogeneità.

I risultati di tutte le ricerche svolte sulla relazione tra strutture e funzioni del paesaggio, dal calcolo delle metriche ai lavori di campagna, sono relative alla scala di indagine. E negli ultimi anni, è cresciuta la consapevolezza, in alcuni casi disarmante, che le risposte ottenute negli studi ecologici dipendono in modo stringente dalla scala spazio-temporale applicata.
Questo ha portato i ricercatori a riconsiderare gli approcci metodologici adottati nelle analisi a scala di paesaggio, che oggi tendono a essere appunto multi-scalari rispetto al processo analizzato, o a rivedere taluni risultati sulla base di questa constatazione.
L'influenza della dipendenza della scala sui rapporti tra strutture e funzioni di un paesaggio, e quindi della biodiversità, può essere inquadrata in questo modo:
- Per gli organismi che percepiscono un paesaggio a piccola o a grande scala rispetto alle strutture con le quali si intende influenzare la loro dispersione, la configurazione spaziale degli ecotopi ha un impatto limitato.
- Per le specie che hanno invece una capacità dispersiva intermedia i singoli ecotopi la configurazione spaziale ha impatto sulla connettività delle strutture del paesaggio che permettono la dispersione.
- La configurazione influenza la connettività di un paesaggio rispetto ad un flusso biotico in caso di limitata disponibilità habitat favorevole ed in caso di limitato tasso riproduttivo o dispersivo delle meta-popolazioni considerate.
Dunque la connettività di un paesaggio rispetto ai flussi biotici è strettamente legata alla popolazione animale e vegetale che cerchiamo di tutelare.
Oltre a questo aspetto il problema della scala-dipendenza dei processi si pone nella gestione di flussi di altro tipo, come quelli idrogeologici o percettivi.
Si pone evidentemente un problema di scelta su quali e quante reti dobbiamo considerare.

Se utilizziamo la biodiversità come obiettivo principale, è difficile stabilire quali organismi considerare nella realizzazione della rete e stimare gli effetti su tutti gli altri flussi considerabili (idrologico, economico, ecc.)
Rispetto ai concetti di Keyston species e specie-ombrello, difficili da definire operativamente, e dai risultati applicativi ambigui e contraddittori oggi si dovrebbe tendere ad utilizzare il concetto di “gilde” o associazioni di specie focali di gruppi ecologici.
Questi nuovi approcci tengono conto sia dell'ampiezza dei comportamenti degli organismi in sistemi eterogenei come il paesaggio, sia delle implicazioni del rapporto tra pianificazione territoriale ed ecologia. A questa fase dovrebbe seguire la definizione dei parametri spaziali delle popolazione necessari alla stima della configurazione territoriale e strutturale delle reti ecologiche.

Il fatto che sia ragionevole supporre un effetto della configurazione di una rete ecologica sulle dinamiche di popolazione e sulla biodiversità deriva da risultati sperimentali e da modelli. Ma un utilizzo strumentale delle reti ecologiche deve essere in grado di considerare e soprattutto stimare questi comportamenti sia per i flussi biotici sia per altri tipi di flussi nel paesaggio, cosa tutt'altro che semplice.
La stima in questo contesto è necessariamente spazio-esplicita e l'ottimizzazione degli impatti stimati passa necessariamente attraverso la pianificazione spaziale delle scelte gestionali che intendono raggiungere gli obiettivi dichiarati
Infatti, la programmazione, di per se svincolata da una pianificazione delle modificazioni delle strutture e delle funzioni del paesaggio in relazione agli effetti stimabili, non è necessariamente legata agli effetti attesi.
Ci sembra che il modello concettuale proposto dal gruppo dell'Università di Wagenigen (Opdam et al., 2002) possa risultare utile nel descrivere il processo che lega la conoscenza alla applicazione mediante la pianificazione spaziale. Il modello prevede un ciclo di azioni:
1. definizione del problema mediante strumenti di valutazione basati su:
a. modelli ed indici di configurazione spaziale del paesaggio messi in relazione con i processi paesaggistici
b. modelli di metapopolazione multi-specifici
2. definizione di scenari e possibilità alternative sulla base dell'influenza di altre qualità e (benefici attesi) presenti nel paesaggio
3. definizione di strumenti di aiuto alla decisione
4. produzione di specificazioni tecniche seguite dal monitoraggio dei risultati del ciclo per un suo ulteriore miglioramento
Per mettere in moto un ciclo virtuoso di questo tipo è necessario ridurre i limiti conoscitivi e renderli generalizzabili a fini applicativi, partendo sempre da dati empirici.
Infatti senza metodi e conoscenze di riferimento si rischia di limitare la gestione della biodiversità, mediante la pianificazione, da effettivo strumento per la gestione sostenibile del paesaggio a mero espediente procedurale.
Per sviluppare un processo come quello descritto è necessario svolgere ricerche sistematiche e coordinate, almeno a scala nazionale per l'individuazione di un sistema di riferimento, circa metodologie comparabili di selezione dei gruppi ecologici, la realizzazione di studi empirici e multiscalari sui rapporti tra strutture e funzioni, la implementazione di strumenti di aiuto alla decisione condivisi.
In Italia esistono esempi di applicazione di modelli WHR (Wildlife Habitat Relationships) a scala nazionale e a scala locale provinciale o subprovinciale per indirizzare la pianificazione partendo correttamente dai presupposti ecologici (obiettivi primari) che generano le scelte.
I modelli utilizzati si basano su relazioni tra caratteristiche favorevoli di habitat e presenza di specie sulla base di opinioni di esperti, e vanno validati empiricamente e localmente nel caso di realizzazione.
Altri strumenti in corso di validazione cercano di stimare il rapporto tra parametri spaziali e biodiversità mediante approcci qualitativi o analitici da validare localmente
Altri esempi d'utilizzo di strumenti di aiuto alla decisione sono rilevabili a scala minore per specifici e ulteriori rapporti tra strutture e funzioni del paesaggio.
Gli esempi sopra citati contribuiscono a creare riferimenti condivisi per una progettazione pluri-scalare basata sulla capacità di stimare territorialmente gli impatti positivi o negativi degli interventi progettabili mediante il processo ideale ricordato.
Non siamo ancora all'utilizzo di un sistema di riferimento condiviso che preveda l'utilizzo di questi o altri strumenti di aiuto alla decisione nella pianificazione, ma, soprattutto, non sono di norma utilizzati strumenti paralleli per stimare gli impatti della pianificazione rispetto agli altri benefici attesi (idrologici, socio-economici, culturali, ecc.).
Prima di fornire dei commenti a ciascun modello corrente di “rete ecologica”, può essere utile premettere che la gestione della biodiversità passa, necessariamente, per una gestione complessiva del paesaggio e delle sue risorse in grado da risultare biologicamente e socialmente sostenibile. Una strategia di conservazione dovrebbe prevedere l'integrazione gestionale di usi assai diversi del paesaggio, da quello forestale ed agricolo, di riserva integrale a quello urbano.
Infatti il paesaggio è un sistema eterogeneo, e le specie, anche tra quelle che si intendono tutelare, utilizzano il paesaggio e le sue risorse in maniera eterogenea nello spazio e nel tempo. Questa consapevolezza ha generato nuovi e diversi approcci per la gestione della biodiversità, con la consapevolezza che la gestione della biodiversità non si limita alla gestione di aree protette, ma soprattutto nella gestione di aree urbane, peri-urbane e rurali: le aree protette sono importanti nel mantenimento della diversità ecologica e dei benefici relativi, ma non sono l'unica risposta al problema della tutela della biodiversità.
Questa tendenza non deriva solo dall'accumulo di evidenze scientifiche sull'argomento, ma è considerata da indirizzi sempre più pressanti dal punto di vista della programmazione economica e, in particolare, delle politiche rivolte allo sviluppo delle aree rurali.
Il fatto che la tutela della biodiversità e della conservazione passi attraverso la gestione delle risorse dei paesaggi rurali è ormai acclarato in sede europea ed è parte integrante della nuova PAC, che, fin dal 1992, ha introdotto elementi non più riferiti alla sola produzione agricola ma interventi dedicati al mantenimento degli spazi e del patrimonio naturale.
In una prospettiva legata all'ecologia del paesaggio la realizzazione di una “rete ecologica” dovrebbe corrispondere una metodologia in grado di stimare, prevedere e quindi gestire i flussi del paesaggio.
Considerando il tipo di “oggetti messi in rete” è possibile individuare almeno quattro modelli concettuali oggi proposti in maniera più o meno sovrapposta per la realizzazione di una rete ecologica (APAT, 2003).
Natura 2000 In questo caso il modello si orienta a obiettivi dichiarati dalla Direttiva “Habitat” (92/43/CEE), legati alla conservazione ed alla salvaguardia di habitat e specie: proteggere luoghi in funzione di conservazione di specie minacciate. La definizione e localizzazione delle diverse parti del modello descrittivo (core areas, buffer zones, corridoi, ecc.) in funzione di risultati ecologicamente riconoscibili o prevedibili è uno degli aspetti più complessi.
Il modello parte da basi ecologicamente coerenti per individuare delle aree di interesse prioritario, ma non può essere considerato esaustivo nel processo di definizione della rete. È piuttosto un passaggio fondamentale alla successiva pianificazione di reti ecologiche multiscalari, per la necessità di considerare il contesto territoriale nella sua complessità e non l'insieme distinto di luoghi nella conservazione della biodiversità.
Sistema di parchi e riserve Un secondo modo oggi presente per intendere il concetto di rete ecologica si basa sul definire come “sistema” il sistema delle aree naturali protette. In questo caso l'obiettivo primario della “rete” diviene di ordine fruitivo ed organizzativo e la scala di analisi è governata da fattori di ordine amministrativo (enti locali-stato). Per quanto riguarda la conservazione della biodiversità, l'approccio pur avendo origini lontane e nobili è distante da quello ricordato in premessa, e rischia di essere pericolosamente consolatorio.
Sistema di luoghi In questo tipo di visione di “rete ecologica” l'obiettivo è soprattutto quello di migliorare le caratteristiche del paesaggio dal punto di vista percettivo e socio-culturale. È un approccio con una storia importante legato all'idea della riqualificazione dei paesaggi extraurbani e della connessione tra ruralità e urbanità. Manca quindi la componente eco-sistemica e dinamica nella analisi del paesaggio, con tutto ciò che questo può comportare in termini di allontanamento dagli obiettivi perseguiti sotto il profilo di conservazione e gestione della biodiversità.
Sistema di ecosistemi Questo approccio non dovrebbe derivare dalla definizione strumentale di “componenti”, le cui proprietà sono stabilite a priori per motivi puramente amministrativi ma dalla osservazione dalla verifica di ipotesi sulle interazioni relative.
La rete ecologica può essere descritta come un sistema di strutture paesaggistiche nell'ipotesi che tale macro-struttura influenzi le funzioni (flussi o processi) del paesaggio e che possegga comportamenti riconoscibili, descrivibili e pertanto prevedibili e governabili.
Lo scopo della realizzazione di una rete ecologica può essere pertanto quello di influenzare positivamente i flussi paesaggistici (in particolare quelli biotici) per garantire il mantenimento della biodiversità, e garantire un riequilibro dei cicli idro-geo-chimici e delle funzioni ecologiche, compresi i flussi culturali ed economici che hanno luogo nel paesaggio.
In questo approccio acquisiscono un significato misurabile e ripetibile, e non evocativo, i concetti di frammentazione e connettività e può essere superata e l'idea che la soluzione alla conservazione sia sola garantita dalla protezione e dalla contiguità fisica tout court di alcune aree. La definizione di rete ecologica classicamente utilizzata in ecologia del paesaggio ha la caratteristica di risultare sintetica,di tipo funzionale e non strutturale: “un insieme di ecotopi dello stesso tipo connessi tra loro formano una rete”.
Questo modello dovrebbe divenire paradigma di riferimento per i vari modelli descrittivi oggi in uso (APAT, 2003) risultando chiaro, elastico e adattabile alle varie condizioni e situazioni senza la necessità di nomenclature articolate, eleganti o vendibili.

Sebbene i diversi modelli proposti siano già presenti in alcune esperienze di pianificazione, tutt'altro che coerenti risultano essere le risultanze sperimentali per una loro validazione scientifica. Infatti consistono generalmente in ipotesi di lavoro che tendono ad adottare semplificazioni e generalizzazioni.

Da quanto esposto la biodiversità risulta essere una delle qualità del paesaggio da tutelare perché valutata come bene socialmente condiviso e le reti ecologiche sono realizzate perché strumento di trasformazione sostenibile del paesaggio per la tutela di questa qualità, e di molte altre (qualità estetica, qualità delle acque, reddito, ecc,).
Il benessere di una società dipende da molti fattori e dalla preservazione di molte qualità del paesaggio, che complessivamente determinano la soddisfazione dei “bisogni” sociali e la risposta che la società fornisce nel tentativo di individuare il miglior compromesso tra i diversi bisogni si esplicita in programmi e regolamenti, che di seguito si realizzano attraverso piani e progetti.

I documenti di politica economica più recenti che fanno riferimento alla realizzazione della rete ecologica nazionale in Italia sono:
- il documento di programmazione nazionale (Rapporto Interinale del Tavolo Settoriale Rete Ecologica Nazionale - Programmazione dei Fondi Strutturali 2000-2006; Deliberazione C.I.P.E. 22 dicembre 1998);
- il documento negoziato con l'UE sull'utilizzo dei fondi strutturali per il periodo il 2000-2006, per quanto previsto in favore delle Regioni del Mezzogiorno (Quadro Comunitario di Sostegno aree Obiettivo 1);
- i programmi operativi predisposti dalle regioni del Mezzogiorno (Basilicata, Calabria, Campania, Molise, Puglia, Sardegna e Sicilia)
In questi documenti si individuano le scelte che lo Stato intende perseguire per garantire la tutela della biodiversità attraverso la realizzazione delle reti ecologiche, adottando processi di sostenibilità ambientale dello sviluppo, con l'individuazione di obiettivi e criteri operativi.
I documenti descrivono i (luoghi) ambiti territoriali, le azioni (realizzazione gestione, riqualificazione di ecosistemi), e gli obiettivi (gestione sostenibile delle risorse/qualità dei paesaggi) per la realizzazione della rete.
I documenti sono sostanzialmente coerenti tra loro, perseguendo lo stesso obiettivo prioritario: tutelare la biodiversità mediante la valorizzazione e sviluppo di “ambiti” con valori naturali e culturali differenti ma correlati, e, a fronte di questo, ottenere una serie di ricadute socio-economiche (attivazione microfiliere di qualità, tutela dei beni paesaggistici e ambientali, miglioramento delle condizioni di vita nelle aree svantaggiate, ecc.).
In particolare lo sforzo compiuto, in fase di programmazione, è stato quello di consolidare e “portare a sistema” le reti di aree naturali protette e della rete Natura 2000, creando i presupposti per una gestione integrata del territorio,
In questo senso sì da atto di recepire l'obiettivo di considerare le risorse naturali come una opportunità sulla quale attivare processi di sviluppo sostenibile locale, in assonanza con il settore delle risorse culturali.
L'esigenza manifestata è stata pertanto quella di agire, attraverso l'utilizzo dei fondi strutturali, nella direzione di colmare il ritardo delle regioni del Mezzogiorno, assegnando risorse utili al rafforzamento dei sistemi di aree protette.
Si riscontra, a livello generale, il maggior peso dato all'integrazione della dimensione socio-economica rispetto a quella ambientale, sulla base di un complessivo orientamento alla sostenibilità recepita a livello comunitario dal QCS.
Nei documenti non si definisce una relazione vincolante tra localizzazione delle aree protette e individuazione degli ambiti privilegiati. Questo, dal punto di vista ecologico, è un approccio corretto e intimamente connesso alla necessità di pianificazione territoriale degli interventi e, dunque, di capacità previsionale ed estimativa degli impatti ecologici a scala di paesaggio.
Sarà comunque opportuno, in previsione del concludersi del periodo di programmazione e dell'avvio della predisposizione dei prossimi piani strategici, previsti per il periodo 2007-2013, analizzare i risultati ottenuti, le criticità riscontrate e le esigenze di nuove forme di intervento.
Nella tabella che segue si evidenziano in maniera schematica le azioni da favorire all'interno degli ambiti privilegiati per l'individuazione della Rete ecologica nazionale.

La situazione, rapportata al livello locale, risulta frammentata e ancora incoerente se riferita agli strumenti di programmazione nazionale.
Esistono molti esempi di legislazione regionale che richiamano più o meno esplicitamente la realizzazione di “reti ecologiche” e alcune norme che, pur non facendo esplicito riferimento alla realizzazione di reti ecologiche, possono costituire basi per la loro individuazione (LR Veneto 13/2003).
Ma è a livello di pianificazione provinciale e comunale che si registrano gli esempi più significativi. Infatti l'innovazione introdotta nella strumentazione riguarda il doppio livello di pianificazione strategica ed operativa (provincia - comune) che consente di agevolare il processo di indirizzo nella realizzazione della rete e la definizione degli strumenti utili alla sua effettiva realizzazione (APAT, 2003).
Gli esempi più noti riguardano le provincie di Milano, Reggio Emilia, Bologna, Cremona, la regione Abruzzo, la Regione Umbria, ed altri.
La stima del grado di realizzazione fisica dei progetti ed i loro effetti risulta essere difficile da ottenere per un confronto, sia perché il passaggio tra strategia e operatività non è omogeneo e sincrono sia perché gli strumenti di analisi e progettazione non risultano omogenei tra loro.
In particolare l'uso sistematico di strumenti di aiuto alla decisione con le caratteristiche ricordate sopra non è tuttora sufficientemente diffuso e rende difficile una comparazione tra obiettivi adottati dalla pianificazione.

Il quadro normativo e programmatorio locale risulta piuttosto complesso e territorialmente differenziato, tendendo a introdurre elementi di differenza con i riferimenti nazionali.
Il rapporto virtuoso tra effettiva conoscenza e scelte delle compiute con le politiche agro-ambientali a livello comunitario stanno orientando tali strumenti nella giusta direzione, ovvero verso un impegno diffuso rispetto al paesaggio mediato non solo dalla presenza di incentivi economici ma da un necessario approccio caratterizzato dal coordinamento territoriale.
Per mettere in moto un processo di questo tipo è necessario colmare in maniera coordinata e a fini applicativi le conoscenze, dotarsi di strumenti di supporto alla decisione concreti e condivisi, chiarendo scopo, struttura e funzioni delle reti ecologiche, mantenendo una coerenza programmatica - ecologica tra le diverse scale di intervento.
Per comprendere quali siano gli elementi da approfondire per arrivare a tale processo (Franco 2003; Franco et al., 2005) è opportuno partire dalla considerazione che le scelte di pianificazione spaziale sono determinate dalle caratteristiche del mondo reale e non viceversa. Sono infatti le scale alle quali determinate configurazioni di una rete ecologica generano degli impatti positivi su determinate funzioni paesaggistiche a determinare la scala d'intervento.
Questo perché non esiste una rete ecologica, ma un complesso di reti, a diversa risoluzione ma correlate le une alle altre.
Dal punto di vista programmatico è perciò necessario
1. definire che tipo di realizzazione sia ammissibile;
2. stabilire, in termini di realizzazione, gli obiettivi e i luoghi dove agire prioritariamente.
Parte delle risposte al primo problema è arrivato con la prima stesura di linee guida a livello nazionale (APAT, 2003) che sono un punto fermo per l'avvio di strategie con un riferimento istituzionale. Risulta pertanto opportuno dare continuità all'azione avviata dall'APAT, cogliendo l'occasione di definire alcuni aspetti che necessitano di ulteriori approfondimenti, e in particolare:
- La mancata definizione di metodi operativi nella scelta dei gruppi ecologici (o gruppi focali, o gilde, ecc.);
- Un eccesso di “elementi da considerare” nella progettazione; infatti dare enfasi a una classificazione di termini semanticamente connessi a condizioni ambientali è:
i. ecologicamente inconsistente per la difficoltà di correlare a categorie strutturali (però espresse in maniera funzionale) degli effetti ecologicamente generalizzabili;
ii. ambiguo dal punto di vista comunicativo, perché induce ad associare esteticamente parole consolanti (corrispondenti a forme/colori su una carta) a proprietà ecologiche, portando a tralasciare la necessità di una loro stima;
iii. sottilmente rischioso dal punto di vista amministrativo, perché induce a ritenere soddisfatta una domanda di buona gestione territoriale con una offerta data dall'associazione di condizioni di fatto immutate con nuove nomenclature.
Le soluzioni a tali limitazioni potrebbero risedere in più puntuali indicazioni relative all'utilizzo di strumenti di aiuto alla decisione dalle performance verificate.
Riguardo al secondo punto, la Rete Ecologica Nazionale rimane struttura di riferimento alla quale finalizzare tutta la pianificazione e la progettazione di reti ecologiche a scala locale, adattate alle esigenze e necessità territoriali e di risoluzione variabile.
Per questo sarebbe opportuno mappare gli ambiti prioritari di intervento, individuandoli con i criteri e i metodi della landscape analyses, per favorire processi virtuosi e non virtuali di pianificazione del territorio.
Altrettanto necessaria dovrebbe essere la spinta data alla integrazione operativa tra le politiche di sviluppo rurale, di tutela ambientale e di gestione dell'ambiente periurbano per la conservazione della biodiversità.
Anche se i casi studio cominciano ad essere numerosi e in alcuni casi significativi, è difficile trarre delle conclusioni, anche solo dal punto di vista amministrativo, perle differenze metodologiche e strategiche adottate e per la difficoltà oggettiva di stimare quanto le scelte operate hanno fornito i risultati attesi.
Le lezioni comunque da trarre sui rischi che la rete ecologica corre sono:
- La percezione del problema è influenzata dalla ampiezza dei vantaggi conseguibili nel perseguimento dell'obiettivo primario (tutela della biodiversità): buona parte dei fondi destinati alla realizzazione della rete ecologica viene infatti destinata all'agriturismo, alla sentieristica, allo sviluppo mercati locali, senza una esplicita stima degli effetti sull'obiettivo primario e gli altri perseguiti.
- La rete ecologica tende ad essere intesa amministrativamente come mero elenco di luoghi protetti;
- La pianificazione a scala locale tende a privilegiare approcci dove la tutela della biodiversità si basa su relazioni tra azioni progettate e risultati attesi che, raramente sono sottoposti a stima e verifica.
- La distinzione tra strategia a scala provinciale e azione a scala comunale non è sempre chiara.

L'evoluzione delle metodologie e degli strumenti attuativi, accompagnata dal dibattito in corso nel modo scientifico, fa intravedere la possibilità di uno sviluppo delle reti ecologiche, intese come elemento importante per diffondere una gestione sostenibile delle risorse naturali e dei sistemi di paesaggio.
È evidente, alla luce di quanto esposto, come l'approccio che prevede la realizzazione di reti ecologiche richieda un livello di programmazione e di progettazione più complesso di quello che tradizionalmente era affidato a interventi di conservazione della natura.
L'integrazione tra politiche e, in particolare, la diffusione territoriale delle scelte volte a “gestire” l'ambiente, la biodiversità e il paesaggio, fanno sì che il ruolo svolto e le competenze coinvolte non siano unicamente finalizzate all'obiettivo di conservare singoli tratti di territorio, più o meno estesi.
Questa direzione è quella indicata dall'evoluzione delle politiche europee, in particolare di correlazione tra politiche per la tutela degli habitat e della biodiversità e politiche per lo sviluppo rurale.
Si sta infatti affermando un modello europeo di sviluppo rurale, confermato dalla recente riforma della PAC (la cosiddetta riforma Fischler del 2003, già operativa dal 1° gennaio 2005), che attribuisce importanti funzioni agli ambienti rurali sotto il profilo naturale e di strumento per la gestione sostenibile delle risorse.
La gestione degli spazi e del paesaggio si contraddistingue sempre più come uno strumento finalizzato a migliorare l'approccio orientato alla sostenibilità dove la presenza di attività e insediamenti umani non comporta necessariamente un problema ma può costituire una risorsa sulla quale avviare azioni di restauro e manutenzione del territorio.
Si tratta, innanzitutto, di riuscire a interpretare e a comprendere le relazioni che esistono tra habitat naturali e semi-naturali (cogliendo proprio il senso contenuto nella Direttiva Habitat) e di riuscire a estendere il concetto di gestione sostenibile delle risorse naturali al complesso del territorio.
Significa pertanto accettare di compiere un grande sforzo, innovando strumenti e metodologie, agendo sia dal punto di vista della programmazione sia dal lato della progettazione e dell'attuazione dei progetti: lo scopo di permettere una gestione più efficiente, sostenibile sotto il profilo ambientale, fa sì che non sia più possibile prevedere un approccio “settoriale” ma, viceversa, richiede una correlazione allargata a tutti gli elementi presenti nelle politiche territoriali.
In questo senso la capacità di comprendere gli effetti e le relazioni esistenti tra diversi fattori, sommata a una visione più ampia, fondata sull'esigenza di tutelare l'ambiente prescindendo dai confini delle singole aree, risulta essere la determinante di questo approccio.
L'avvio del processo di programmazione dei fondi comunitari, per il prossimo periodo 2007-2013, pone l'urgenza di dare risposte a queste esigenze: la conservazione della natura viene pertanto a essere uno degli aspetti inseriti nella più articolata definizione di strumenti e obiettivi. Anche sulla base dell'esperienza conseguita con i programmi del periodo 2000-2006 sarà opportuno avviare una riflessione e trarre indicazioni utili per la stesura delle prossime strategie.
Il passaggio dell'integrazione delle politiche sembra essere, oggi, uno dei più difficili: è soprattutto in sede di predisposizione dei programmi che deve esser ben compreso il senso e la portata di questi indirizzi.
Quanto sia necessario superare una visione suddivisa “per comparti”, dove il tema ambientale è trattato come un problema e, in pochi casi come un'opportunità, è una delle sfide maggiori che metterà alla prova la capacità dell'Italia di rispondere a stimoli che provengono dall'Europa. In questo risiede lo spirito che fa riferimento alla Strategia di Göteborg, stabilita nel 2001, e che, assieme alla Strategia di Lisbona, pone l'obiettivo di disegnare i processi di sviluppo e di competività per l'Unione Europea.
Per quanto riferito alla Rete ecologica e, in generale, alla gestione delle risorse naturali, si tratta di avviare processi di sostenibilità che individuino politiche e modalità di intervento ben più ampie e strettamente legate alla programmazione economica.

di Daniel Franco e Andrea Ferraretto


Bibliografia

APAT, 2003 Gestione delle aree di collegamento ecologico funzionale. Indirizzi e modalità operative per l'adeguamento degli strumenti di pianificazione del territorio in funzione della costruzione delle reti ecologiche. Manuali e linee di guida 26/2003. Agenzia per la Protezione per L'ambiente e per i Servizi Tecnici, Roma.
Battisti C., 2004. Effetti della frammentazione ambientale sulla biodiversità biologica: la loro conoscenza per l'attuazione di strategie efficaci di rete ecologica. Estimo e Territorio, 4(67): 37-43.
Battisti C., 2004. Frammentazione ambientale Connettività Reti ecologiche. Provincia di Roma.
Franco D., 2003. Reti ecologiche per un paesaggio sostenibile: il programma di ricerche del Dipartimento di Scienze Ambientali dell'Università Ca'Foscari di Venezia. In atti del convegno Planning in Ecological Network -Scienze del Territorio e Scienze Naturali, verso un'integrazione nella formazione e nella ricerca, Venerdì 28 febbraio 2003, Facoltà di Scienze MM., FF. e NN. (Coppito - L'Aquila, Italia).
Franco D., 2003. Paesaggi sostenibili e biodiversità: motivi, obiettivi e opportunità


Tabella 1 Azioni da favorire negli ambiti territoriali privilegiati per la costituzione della Rete Ecologica in Italia, come estrapolati dalla lettura combinata del Rapporto Interinale del Tavolo Settoriale Rete Ecologica Nazionale e dal Quadro Comunitario di Sostegno inerenti l'utilizzo dei Fondi Strutturali 2000-2006.

Ambiti territoriali Azioni da favorire
ambiti della costituenda Rete NATURA 2000 (per i quali dovranno essere sviluppati appositi Piani di gestione secondo le linee-guida in preparazione da parte del Ministero dell'Ambiente); Riequilibrio e conservazione degli ecosistemi
Riqualificazione e recupero delle biocenosi vegetali
ambiti periurbani e costieri caratterizzati da forte perdita di identità con alto livello di conflitto nell'uso delle risorse naturali; Riequilibrio e conservazione degli ecosistemi
Riqualificazione e recupero delle biocenosi vegetali
Ambiti periurbani e costieri Riduzione o eliminazione dei fattori di degrado del
patrimonio naturale-culturale-storico
Riqualificazione degli ecosistemi presenti per
il mantenimento della biodiversità
Salvaguardia delle risorse ambientali (aria, acqua, suolo, sottosuolo)
Spazio montano e Territori ad elevata ruralità (ovvero Aree rurali caratterizzate da difficoltà nel processo di sviluppo) Creazione o ripristino delle connessioni tra ambienti meno antropizzati
Riequilibrio e conservazione degli ecosistemi
Ripristino della funzionalità degli ecositemi forestali
Riequilibrio e conservazione degli ecosistemi
Ripristino della funzionalità degli ecositemi forestali
Controllo idrogeologico del territorio
Riqualificazione e protezione dell'ambiente
Valorizzazione di produzioni locali tipiche e di
qualità; diversificazione delle attività economiche
Valorizzazione delle risorse ambientali e storico-culturali
(aumento conseguente delle potenzialità turistiche)
Ricambio generazionale nel tessuto produttivo agricolo e
ammodernamento dell'agricoltura
Miglioramento della qualità della vita della popolazione residente
Isole minori Tutela di ambiti territoriali o habitat minacciati
Ripristino delle specificità naturali originarie
Salvaguardia delle risorse ambientali primarie
(aria, acqua, suolo, sottosuolo)