Federparchi
Federazione Italiana Parchi e Riserve Naturali


PARCHI
Rivista della Federazione Italiana Parchi e delle Riserve Naturali
NUMERO 54



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Periurbani

Parchi e architetture: stimolante dibattito a Barcellona

Dal 25 al 27 Settembre, alcuni dei candidati al titolo di Master di II livello in “Pianificazione e gestione delle aree protette” dell’Università di Camerino (Demetrio Gilormo, Daniela Marzo, Argeo Rossi Brunori, Paolo Santarelli e Katya Moira Passamonti) hanno partecipato alla quinta edizione della Biennale Europea del paesaggio a Barcellona.

Il viaggio studio è stato organizzato in collaborazione con HISPA (HIgh School for the Public Administration of Protected Areas). Gli allievi del Master, accompagnati dai professori Massimo Sargolini e Piergiorgio Bellagamba hanno potuto effettuare, a margine delle attività della Conferenza, una riflessione sui rapporti tra gestione delle aree protette e politiche per il paesaggio, sulla base delle sollecitazioni e degli spunti offerti dal dibattito sviluppatosi nelle diverse sessioni di lavoro. In particolare, sono emersi due approfondimenti. Il primo è legato all’esposizione “Reciprocities”, dove si evince, nitidamente, che il campo di estensione della questione paesaggio si propaga dagli interventi per aree di particolare pregio ambientale a quelli urbani e territoriali a tutte le scale, prendendo in esame opere e concorsi di architettura del paesaggio nel Nord-America dell’ultimo decennio. Undici proposte, ambiziose ed interdisciplinari, tutte collocate nella città o negli spazi della grande periferia urbana, come esempi di un possibile e reciproco interscambio produttivo sul paesaggio: il Parco Downsview a Toronto, il Fresh Kills e la High Line di New York, l’Orange County Parks in California, il Cornfields a Los Angeles e lo Shelby Farms a Memphis in Tenessee, tra gli altri. I partecipanti (tra cui Hargreaves e Diller Scofidio), esponenti di una cultura professionale aperta alla reciproca contaminazione disciplinare, presentano lavori che si pongono il duplice obiettivo di superare la concezione del progetto urbano tradizionalmente basato sulla separazione disciplinare e di distaccarsi dalle forme moderne della composizione nella costruzione urbana e nel progetto di paesaggio, inefficaci per interpretare la nuova realtà della città democratica, estesa e decentralizzata. Si evidenzia la ricerca di una nuova forma di urbanistica che faccia riferimento ai modelli biologici di indeterminatezza ed elasticità per poter mettere a punto, in primo luogo, strategie per il paesaggio e le infrastrutture. Tutti i lavori esposti si distinguono per affermare posizioni avanzate in campo ecologico e nel tema della riconversione di luoghi dismessi o degradati, tanto nel centro della città come nella periferia. Reciprocities può essere visto anche come una manifestazione di codici e pratiche per favorire relazioni strategiche tra “grande parco ed infrastruttura urbana”: un interscambio che vuole promuovere una cultura del paesaggio che abbia le potenzialità di fondere le energie disciplinari della pianificazione, del disegno, dell’ecologia, dell’ingegneria, dell’arte, della gestione economica, della politica culturale e del governo democratico in una forma di costruzione e ricostruzione adattiva ed elastica. L’altra sessione di lavoro, titolata “Tempesta e Impeto”, fa esplicito riferimento al movimento culturale “Sturm und Drang” sviluppatosi in Europa sul finire del Settecento e rinvia alla necessità di far fronte alla crisi dei modelli che hanno guidato lo sviluppo dell’architettura moderna. E’ nello slancio verso la natura, nella capacità creativa dei singoli e nell’ispirazione fuori dagli schemi che possono trovarsi i sentieri diretti verso una rigenerazione dell’architettura contemporanea. Su questa linea, Gilles Clément ha riproposto il suo concetto di paesaggio planetario e ha sottolineato che, proprio perché costituito da ciò che si inscrive nella memoria, è il valore soggettivo a connotare il paesaggio. Questa dialettica tra un paesaggio che si dilata nello spazio e le emozioni che lo fissano nell’interiorità può trovare il suo equilibrio in un indirizzo che abbia come fondamento i valori proposti dalla dimensione naturale dell’esistenza in opposizione al materialismo della società regolata dai valori economici. Clement auspica uno sforzo dei progettisti orientato non solo a “far belle” le periferie bensì anche a inserirle in una rete territoriale (ecologica e infrastrutturale) più estesa, favorendo un rapporto equilibrato tra uomo e natura. La prospettiva suggerita da Manuel de Solà-Morales, anche a motivo della sua esperienza di urbanista, è concretamente calata nella pratica professionale. Dal suo punto di vista il paesaggio è costituito dall’intreccio di componenti diverse che si compenetrano e il ruolo del pianificatore è proprio quello di intervenire in questa tensione per orientarla, assumendo il ruolo di “psicologo del territorio”, capace di mettere insieme saperi diversi. Nel parallelismo tra l’analisi degli animi individuali e l’introspezione dei luoghi collettivi, Manuel de Solà-Morales trova il fondamento metodologico dell’architettura del paesaggio. Assai diversa è la prospettiva presentata da Gilles Lipovetsky, filosofo e sociologo, secondo il quale gli architetti tendono ad adeguarsi al trionfante paradigma di un’esistenza umana tutta votata al presente. Paradigma che è stato etichettato come ipermoderno invece che postmoderno. Secondo Lipovetsky, la moda corrente è quella di un memorialismo che non recupera realmente il valore del passato ma che si alimenta di suggestioni e predilige l’apparenza decorativa. Sembra che l’uomo contemporaneo provi disinteresse per il futuro e ancor meno per ritrovare “motivi di connessione con il passato”, i cui valori sono vissuti solo in modo commemorativo (ne sono esempi il dilagare delle ristrutturazioni, in particolare per realizzare loft, all’interno di edifici antichi, e la tendenza ad installare alberghi e istituti di credito in immobili di alto valore storico). La difficoltà degli architetti a resistere alla mentalità dilagante, incentrata sul presente a motivo della prevalenza del modello consumistico, è dimostrata secondo Lipovetsky dal paesaggio sfigurato dalle immense periferie delle metropoli. Sulle modalità di risposta alle tendenze dettate dai grandi interessi economici il dibattito è molto aperto. Le differenti opinioni si collocano tra due polarità costituite, da un lato, sulla focalizzazione degli aspetti tecnici e, dall’altro, sui richiami ai valori dell’etica e del vivere civile. L’intervento di Josep Ramoneda, direttore del Centro di Cultura Contemporanea di Barcellona, si è incentrato nell’appello alle regole e nella necessità della ridefinizione di modelli normativi (in controcorrente rispetto al messaggio “Sturm und Drang”). Massimo Venturi Ferriolo ha approfondito, invece, il rapporto tra paesaggio e narrazione. Nesso in base al quale può essere interpretata l’azione degli architetti secondo tre livelli di intervento: ricongiungimento ad una memoria narrativa, analisi inventiva del passato per proporre innovazioni che abbiano una continuità, fondazione di nuovi miti in assenza di una narrazione precedente. L’uomo, nel trasformare la natura in architettura, è portato a riconoscerne il senso: il “genio può ricondurci alla natura” . Recuperiamo dunque il genio nella sua capacità di studiare i rapporti tra le cose (le trame) e di superare, con il progetto, la sovrapposizione tra oggetti. Il mito fonda e articola spazi. La sua carica è inesauribile e incessante. La contrapposizione tra natura e cultura è sterile; ciascun elemento coglie la propria identità solamente nel rapporto con gli altri. Le relazioni sono sempre tra elementi eterogenei. Da qui discende l’importanza dei “confini” (luogo di scambio privilegiato tra natura e uomo) che, in ecologia, si esprime nell’attenzione per l’ecotono (si pensi alle fasce di tensione tra bosco e radura pascoliva, tra bosco e coltivi, …) che può essere inteso come luogo di condensazione delle diversità, ma anche come luogo di continuità. L’antropologo Marc Augé ha evidenziato come l’attuale paesaggio globalizzato sia la realizzazione infelice del desiderio universalista propugnato dagli umanisti. La sfida della globalizzazione si presenta come una spettacolarizzazione su scala mondiale che, invece di proporre la convivenza delle diversità, rischia di imporre un appiattimento delle differenze. Infine, Georges Descombes ha proposto, anche mediante immagini di paesaggi del passato, un percorso interpretativo teso a illustrare come il valore riconosciuto al paesaggio sia legato alle specifiche esigenze culturali dei ceti sociali e dei gruppi in cui si articola la collettività umana. In tal senso, è evidente il richiamo alla Convenzione Europea del Paesaggio che sempre più assume concretezza nelle molteplici esperienze europee di pianificazione e progettazione urbana e territoriale e sembra incuriosire anche i nostri colleghi di oltreoceano. schivi, del rapporto tra agricoltura e biodiversità, ma anche di valorizzazione delle aree protette transfrontaliere, di programmazione comunitaria e fondi strutturali, di gestione e utilizzo dei rifiuti, di risparmio energetico. Infine, “I parchi di Mediterre si raccontano” è stato un interessante spazio aperto in cui i diversi delegati stranieri hanno presentato le loro realtà nazionali.
Mediterre è stata anche l’occasione per una riunione tra i Comitati nazionali dell’IUCN dei paesi del Mediterraneo. Organizzato dal Comitato italiano, su proposta del Comitato spagnolo, l’incontro ha permesso ai partecipanti di discutere di eventuali iniziative e proposte congiunte per la Conferenza Mondiale per la Natura, che avrà luogo a Barcellona in ottobre 2008.
Sempre a Barcellona è prevista la costituzione ufficiale della Federazione dei Parchi del Mediterraneo (di cui si è molto parlato anche nelle scorse edizioni di Mediterre), idea promossa da un Comitato composto da organismi spagnoli, francesi e italiani, tra cui Federparchi, a cui avevano aderito altri enti mediterranei. Al momento, però, l’iniziativa ha subito una battuta d’arresto, in quanto ci si è resi conto che la proposta, partita “dal basso”, avrebbe bisogno oggi di essere accompagnata e rafforzata da un più deciso impegno istituzionale da parte dei vertici dell’IUCN e dei governi nazionali. Un tale impegno, purtroppo, ancora manca, nonostante il grande interesse che l’idea suscita in tutti gli interlocutori. Comunque, aldilà se ci sarà o no, un giorno, una vera e propria Federazione dei parchi del Mediterraneo, anche quest’anno Mediterre ha messo in evidenza come, nei fatti, già tantissime sono le iniziative congiunte, i progetti di cooperazione, i gemellaggi tra aree protette, che testimoniano la voglia di lavorare insieme per la tutela del nostro ambiente e del nostro mare comune.

Massimo Sargolini