Federparchi
Federazione Italiana Parchi e Riserve Naturali


PARCHI
Rivista Parchi:
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Rivista del Coordinamento Nazionale dei Parchi e delle Riserve Naturali
NUMERO 2 - FEBBRAIO 1991



Camerino:tra vecchio e nuovo
Renzo Moschini
Al Convegno di Camerino abbiamo partecipato attivamente come Rivista e Coordinamento Nazionale fornendo un contributo di documentazione e di riflessione che ci sembra sia stato apprezzato.
Ai lavori del convegno dedichiamo in questo numero alcuni scritti che ci auguriamo possano ulteriormente contribuire all'approfondimento di una comune ricerca.
Qui vorremmo perciò limitarci ad esprimere qualche impressione di carattere generale con l'intento di proseguire il dibattito avviato.
Rispetto al primo Camerino di 10 anni fa ci è sembrato di cogliere un calo di attenzione e di presenze e soprattutto di apporti del mondo culturale e scientifico. Intendiamoci, l'ambientalismo presente a Camerino era quello che ben conosciamo e stimiamo per impegno e passione. Ma senza significative novità.
La vivacità, il vigore nella denuncia, l'instancabile protagonismo delle sue figure "storiche" più rappresentative non sono bastate a nostro giudizio ad evitare al convegno vuoti e una "ripetitività" che a distanza di 10 anni mostra evidenti limiti.
A rendere palpabili queste insufficienze ha contribuito, non c'è dubbio, la stessa formula del convegno.
Una formula, va detto chiaramente, ormai logora, tanto da provocare diffusi malumori e persino risentite proteste da parte di chi, ed erano molti, non ha potuto parlare. Una regia che "seleziona" secondo criteri a dir poco singolari i relatori, al punto che parchi come quello del Ticino Lombardo, rappresentati dal suo presidente e dal suo direttore, non hanno potuto replicare ad una comunicazione relativa al loro parco, non può più andar bene. La riprova l'abbiamo avuta fin dalla prima giornata quando la "carrellata" dedicata alla situazione di alcuni parchi, scelti anch'essi come i relatori in base a criteri misteriosi e insondabili, ha mostrato subito la corda. Vuoi perchè la denuncia che continua a fare di ogni erba un fascio, mettendo sullo stesso piano senza alcuna elementare distinzione l'abusivismo più abietto e... la cattiva educazione dei turisti, finisce per stemperarsi e annullarsi nella solita sdegnata invettiva contro tutti.
Vuoi perchè oggi, cioè a 10 anni dal primo Camerino, le situazioni e i problemi da mettere a fuoco e a confronto sono per fortuna anche di altra natura e portata. Colpisce, ad esempio, il fatto che un convegno chiamato a fare un bilancio del cammino percorso non sia riuscito, nonostante alcuni importanti contributi (compreso il nostro) a fornire cifre e un quadro attendibile, anche da parte del rappresentante del governo, che disponeva di dati parziali e inesatti. Dati i quali continuano a stimare il territorio "protetto" ossia vincolato da apposite norme intomo al 5% e anche meno, quando esso raggiunge, come risulta dalla ultima indagine del CNR, il 6,5% grazie soprattutto ai nuovi parchi regionali istituiti nel decennio.
Sotto questo profilo dobbiamo dire, ed è forse l'aspetto sul quale sarebbe bene aprire al più presto una franca discussione tra tutte le forze ambientaliste, che impostazioni del tipo di quelle riproposte anche a Camerino mostrano di essere
ormai datate. Insistere ancora su arzigogolate distinzioni di valori tra parchi nazionali e regionali che servono solo a riproporre per altra via vecchie pretese statalistiche e centralistiche (ma su questo punto il docurnento conclusivo del convegno dice cose equilibrate) serve a poco; serve invece definire in concreto se c'è un modello di parco.
La legge-quadro avrebbe potuto aiutarci in questo ma è ancora ferma in Parlamento e non è detto comunque che, nel testo attuale, essa possa farlo.
Ma al di là della legge è sul campo che questa verifica va fatta. Cominciando a mettere a confronto senza pregiudizi o intenti propagandistici le diverse realtà. Non sarà difficile allora scoprire e avere conferma di quanto esse siano diverse fra di loro. E non soltanto perchè accanto a parchi funzionanti ve ne sono tuttora non pochi di "carta" o meglio istituiti talvolta anche di recente, e perciò ancora alle prese con quella difficilissima fase che è il decollo.
La diversità riguarda, oltre alla capacità di funzionamento, le caratteristiche globali dei territori, cioe degli ambienti sia naturali che antropizzati dei parchi: territori sovente già gravati da una cospicua serie di vincoli (legge Galasso, vincolo idrogeologico, beni ambientali e artistici, etc) sui quali il vincolo del parco più che ad aggiungersi o sovrapporsi viene a collocarsi come momento e strumento attivo di raccordo generale, in grado cioè di avviare a superamento il duplice limite della settorialità e della passività proprio dei vecchi vincoli.
Detto in altri termini: a fronte di una gamma di vincoli passivi, volti esclusivamente o principalmente ad interdire determinate attività e interventi, la legge istitutiva di un parco viene ad assumere (o dovrebbe) il ruolo non solo di raccordo e di superamento della attuale frammentazione dei molteplici vincoli gravanti sul territorio, ma anche di promozione di una gestione di tipo nuovo. Anche sotto questo profilo sono evidenti le differenze tra la tutela vincolistica dei vecchi parchi e quella attiva e perciò estremamente più complessa, ma anche più incisiva, dei parchi oggi.
A conferma della nuova situazione basterebbe l'esempio della legge Galasso la quale, per poter uscire dai limiti diciamo così del vincolo concepito in termini essenzialmente passivi, ha bisogno della approvazione dei piani paesistici. Ebbene, i piani territoriali di coordinamento dei parchi, dove vengono approvati, sono, come è noto, equiparati ai piani paesistici cosicchè possono "sbloccare" situazioni altrimenti destinate a rimanere soggette soltanto a divieto.
E' questo un aspetto finora piuttosto sottovalutato se non ignorato il quale invece può consentire di riconsiderare sotto una luce per molti versi nuova il ruolo stesso del parco. Si potrà così fugare anche paure tuttora diffuse e dure a morire sugli effetti negativi e penalizzanti derivanti dalla istituzione di nuove aree protette.
Si può dire in sostanza che venendo ad assumere questo ruolo di carattere globale della gestione ambientale, purchè naturalmente la legge istitutiva gliene affidi i poteri necessari ad esercitarlo, il parco perde quei caratteri di mero vincolo, per acquisire di nuovi, propositivi e perciò anche più complessi e difficili.
La stessa discussione sui poteri del direttore e sul tipo di nomina, che a Camerino è apparsa risentire esageratamente di vecchie vicende personali, si ridimensiona nel senso che discendendo i poteri del direttore da quelli del parco, tanto più forti saranno questi ultimi quanto più ampia sarà la responsabilità e il potere anche del suo direttore. Il contrario invece non è possibile. Anche su questo punto Camerino avrebbe potuto e dovuto dare di più se, anzichè riproporre vecchie polemiche, talvolta persino un pò stucchevoli, avesse consentito un diretto confronto tra le ricche esperienze dei parchi regionali, che oggi dispongono di ottimi direttori oltre che di importanti strutture operative dotate di qualificate competenze tecnico scientifiche, a cominciare dalla vigilanza.
Quel che comunque a nostro giudizio deve essere ribadito con forza al di là della controversia su "concorso sì - concorso no" è che i direttori dei parchi devono avere adeguate competenze professionali, più che livelli equiparabili a questo o quel comparto della pubblica amministrazione.
Non servono, per dirla in soldoni, direttori provenienti da comparti in esubero della P.A. che nulla hanno mai avuto a che fare con i problemi della tutela ambientale e della gestione dei parchi. Si toma così alla peculiarià e tipicità dell'ente parco oggi. Un ente (quì è ininfluente la questione del tipo assetto istituzionale) la cui unicità è data dall'essere chiamato e preposto ad operare su una vasta gamma di problemi in nome però di una esclusiva o comunque prevalente esigenza: quella di tutela ambientale. Il che ne fa un ente del tutto diverso dai tanti altri operanti sul territorio e ad essi perciò non equiparabile.
Anche questo è un aspetto oggi poco considerato sul quale invece occorre riflettere di più specialmente dopo l'approvazione della nuova legge sulle autonomie locali. Troppe volte infatti anche nella scelta degli amministratori e non raramente anche nella selezione e scelta del personale non si tiene conto a sufficienza di questa peculiarità.
Da qui la necessità di far emergere con sempre maggiore chiarezza questa esigenza, per i parchi, di un personale politico, amministrativo e tecnico più consapevole e preparato alla gestione delle aree protette. Consapevole innanzitutto di questa specificità dell'ente parco, della sua non "riducibilità" nè ad ente locale in senso tradizionale, ne tanto meno ad ente di tipo meramente esecutivo di orientamenti e decisioni prese "altrove".
Anche su questi aspetti, sopratutto nel momento in cui si sta discutendo della legge-quadro sui parchi e soprattutto dopo l'approvazione della legge l42-laquale come è noto disloca in maniera nuova rispetto al passato importanti funzioni di programmazione e di gestione in materia di parchi, fauna, flora, etc- Camerino per la verità ha detto assai poco, per non dire niente.
Un silenzio questo sorprendente che conferma la " tradizionale " sottovalutazione di molte forze ambientaliste dei temi istituzionali e normativi, sui quali invece una maggiore attenzione specialmente oggi è indispensabile e urgente.
I temi istituzionali d'altronde richiamano immediatamente un punto, vera e propria croce e delizia del dibattito sulle aree protette: quello del consenso.
Quando si fa riferimento a questo aspetto è facile sentirsi rimproverare quasi fosse una fissazione. Eppure la ricerca del consenso è una condizione indispensabile per una qualsiasi vera politica di protezione che non voglia rimanere appunto di carta. E' probabile che questa diffidenza verso una paziente ricerca del consenso sia dovuta al fatto che spesso per consenso si intende una sorta di defatigante e non sempre trasparente "mediazione" tra tanti piccoli o meno piccoli interessi. Così concepita, la ricerca del consenso in effetti risulterebbe solo il tentativo di mettere insieme, rendere fra di loro compatibili tanti spezzoni di interessi anche legittimi ma sicuramente anche contraddittori fra di loro, sulla base -ecco il punto- non di un disegno genera]e, ma di equilibri possibili, per quanto precari, momento per momento. E' chiaro che verso questo tipo di consenso la diffidenza e la critica non solo sono comprensibili ma legittimi e giusti.
Il consenso però non pua oggi essere inteso e soprattutto perseguito e ricercato per vie così traverse e fragili.
La compatibilità tra singoli interessi e interesse generale di una area protetta va ricercata accogliendo quelle domande, anche estremamente differenziate, che non contrastino con altre più vitali e durevoli esigenze, che possono risultare anche nel tempo tali da favorire una gestione rigorosa del territorio.
Ora una ricerca di questo tipo, cioe così orientata, è faticosa, complicata ma necessaria e soprattutto impossibile senza il concorso serio e impegnato di tutti i livelli istituzionali centrali e periferici. Ecco perchè consideriamo un errore e un limite anche del dibattito svoltosi a Camerino l'insufficiente attenzione e talvolta persino la sufficienza, con la quale si accenna a questi problemi. Quasi ne perdesse di "purezza" il dibattito ambientale.
Non è così e c'e perciò da augurarsi che anche l'ambientalismo, che tanti meriti ha avuto ed ha nella azione per accrescere i territori protetti, sappia prenderne atto.