Federparchi
Federazione Italiana Parchi e Riserve Naturali


PARCHI
Rivista Parchi:
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Rivista del Coordinamento Nazionale dei Parchi e delle Riserve Naturali
NUMERO 2 - FEBBRAIO 1991



Il parco delle Dolomiti Bellunesi
Oscar De Bona
20 aprile 1990 - Vent'anni dopo la prima proposta di legge, viene istituito il Parco nazionale delle Dolomiti Bellunesi con decreto emesso dal Ministro dell'Ambiente.
Sopravvissuto in tutti qucsti anni a diversi tentativi di cancellazione o di ridimensionamento, il Parco fu ad un passo dall'essere annoverato fra i nazionali, quando nel 1973 il disegno di legge approvato dal Senato e dalla Commissione agricoltura e foreste, fu fermato dal parere negativo della Commissione bilancio sulla soglia della Camera. Di quella Commissione faceva parte anche l'on. Orsini, parlamentare bellunese che non nascose mai le sue antipatie per l'istituzione del Parco nazionale, così come di contro il sen. Colleselli, altro parlamentare bellunese, figurava fra i firmatari del disegno di legge.
Venne poi il momento del Regionalismo, con progetti via via mutuati, costruiti o adattati alle realtà istituzionali e gestionali locali.
Di questa fase, iniziata ncl 1977 e protrattasi per più di un decennio senza mai essere concretata in un provvedimento istitutivo del parco, rimase la concretezza di un progetto voluto dalle 4 Comunità Montane territorialmente intercssate e condiviso dalle rispettive Amministrazioni comunali. Su questo progetto e sugli elaborati dello stesso si è concentrata peraltro l'attenzione della Commissione di esperti incaricati dal Ministero di giungere ad una proposta di parco nazionale. E questa è storia recente. Nel gennaio 1989 viene inratti costituita la Commissione paritetica suddetta, prevista dal Programma 1988 del CIPE per la salvaguardia ambientale, con la quale si avviavano tutte quelle iniziative urgenti del settore destinatarie di appositi finanziamenti . Fra queste, appunto, l'istituzione di nuovi parchi nazionali.
Non poteva non rientrare fra questi anche l'area delle Dolomiti Bellunesi, considerata la sua lunga presenza ncgli elenchi ministeriali dei potenziali parchi da istituire, nonchè la pressione esercitata a tal fine dalle stesse associazioni protezionistiche.
Ma un altro aspetto ha contribuito, forse necessariamente, oltre la riconosciuta "valenza" ambientale, a propendere per l'istituzione nazionale: la consistente proprietà demaniale dei territori interni al parco. Si tratta di 17.045 ettari sui circa 31.000 che conta l'intera superficie protetta, e che vengono amministrati dal Ministero dell'Agricoltura e Foreste attraverso l'Ufficio di Belluno dell'ex Azienda di Stato delle Foreste Demaniali.
Ed è su questo punto, vuoi per l'interlocutore in questione, vuoi perle dimensioni territoriali interessate, che gravitano le principali problematiche del neo istituito parco nazionale. Ma torniamo ancora un attimo alla cronaca, laddove si registra all'interno della Commissione paritetica una sostanziale convergenza sull'assetto territoriale dell'area, che rimane definito secondo il progetto giacente in Regione Veneto e a suo tempo adottato dalle Comunità Montane, salvo una lieve rettifica maggiorativa dei confini all'estremo nord dell'area.
Diversa invece la situazione per quanto riguarda la gestione del Parco sia per motivi di confittualità tutt'altro che risolti fra Stato e Regione ed Enti locali, sia per dissidi interni allo stesso potere centrale fra Ministero dell'Ambiente e Ministero dell'Agricoltura e Foreste. Un distinguo insomma sulle competenze e sui diritti di rappresentatività che ha visto disquisire a lungo fra loro i membri della Commissione, sino all'accordo sulla composizione dell'Ente gestore.
La condizione cioè di inserire nella prima tranche di lavoro, oltre alla indicazione del perimetro del parco e delle misure provvisorie di salvaguardia, anche l'organigramma dell'Ente e del relativo Consiglio di gestione, formato da un rappresentante per ciascuno dei due Ministeri e da altri 6 membri di cui due indicati da Università e associazioni prote-
zionistiche, e qualtro dalla Regione Veneto con una equa rappresentanza degli Enti locali interessati. Un atto significativo, voluto principalmente dagli Enti Locali, intenzionati a non concedere deleghe assolute per la gestione dei territori compresi nel Parco. Si è trattato quindi di apportare una modifica all'iter dei lavori prefissato, anticipando nel decreto istitutivo del Parco nazionale delle Dolomiti Bellunesi i contenuti relativi all 'Ente di gestione ehe la delibera CIPE dell '88 metteva invece in seconda battuta fra i compiti a carico della Commissione paritetica.
Il motivo può essere ricercato nella volontà, espressa peraltro nel testo, di affidare al Ministero dell'Agricoltura e Foreste la gestione temporanea del parco in virtù delle competenze esercitate sui territori demaniali che costituiscono, come già detto, più della metà dell'area protetta. Si tratta, per inciso, di zone classificate quali riserve naturali, una direzione che ne ha impedito il passaggio alla competenza regionale, e che costituiscono circa 1/3 dei territori così classificati appartenenti allo Stato. Stante però tale situazione, fortemente condizionante la stessa operatività del parco, dato il sovrapporsi di competenze non ancora risolte dalla mancata emanazione della legge-quadro su parchi e riserve, all'estensore del decreto istitutivo non è rimasto che affidare al Ministero dell'Agricoltura e Foreste la gestione tecnica ed amministrativa, pur condizionata dall'entrata in vigore della legge-quadro che la ricondurrebbe all'Ente Parco vero e proprio. La scelta, pur comprensibile, lascia più di qualche perplessità. In primo luogo dovuta all'esperienza del passato, laddove la gestione dell'ex Azienda di Stato per le Foreste Demaniali non ha dimostrato quello spirito modemo e quella capacità imprenditoriale necessari per la promozione e valorizzazione dell'ambito dolomitico. E' convinzione piuttosto generalizzata che il Corpo forestale trovino la giusta collaborazione nei compiti di vigilanza più che di gestione. Non si tratta quindi di dargli pari pari un'area tanto strategica per lo sviluppo del Bellunese e tanto importante per gli equilibri ambientali, ma di progettare ina eonversione del Corpo forestale, studiandone bene una nuova professionalità, più vicina ai principi della salvaguardia che della conservazione naturalistica. L'inserimento in una struttura gestionale del parco dinamica ed interdisciplinare nè agevolerebbe l'accettazione presso l'opinione pubblica, attualmente piuttosto ostile al Corpo forestale inteso quale difensore del vineolo imposto dallo Stato.
E' opinione comune infatti che un Parco, specie se nazionale, nasca bene quando c'è un ecnsenso diffuso. Nel caso delle Dolomiti Bellunesi, sarebbe assurdo che quella condizione ottimale data dalla preesistenza di un piano e di una normativa comunitaria accettata e condivisa nei territori interessati, venisse sprecata disattendendo le attese con una politica settoriale, chiusa al e cntributo dall'esterno e mirata al solomante nimento dell'esistente. Alcuni segnali spingono all'ottimismo. Tali paiono almeno l'individuazione di un solo referente in materia di parchi nazionali, indicato nel 1986 con la legge n.359, nel Ministero dell'Ambiente, o l'intento dinamico contenuto nel decreto istitutivo del Parco delle Dolomiti a proposito della erogazione dei contributi. Ma più ancora si avverte la volontà di attivare un meccanismo acceleratore in materia di tutela ambientale, con il Programma triennale del ClPE del 03.08.1990, in eui la valorizzazione delle risorse e fra i primi obbiettivi da perseguire. E' il caso del Pronac, e cioè la realizzazione degli interventi necessari per attivare il funzionamento dei parchi nazionali in via di istituzione. Vi si prevede il finanziamento di progetti per la conoscenza, il recupero, la salvaguardia, la valorizzazione dei territori protetti, cui possono accedere sia gli Enti locali che gli Enti gestori dei parchi. Una opportunità interessante, che troverebbe sicuramente una risposta più efficiente qualora vi sia operante un Ente parco. Ma ciò per le Dolomiti Bellunesi non è o meglio, esiste ma dipende dal Ministero dell'Agricoltura e Foreste ed è del tutto estraneo agli Enti loeali comunali, intercomunali e provinciali. Come possa quindi tale organismo rappresentare le istanze, le attese, i progetti delle comunità locali non è dato sapere nè immaginare. Inoltre, condizione necessaria per la realizzazione del programma triennale, rimane l'intesa fra il Ministero dell'Ambiente e le Regioni.
Qualsiasi progetto approntato al fine del finanziamento, ha infatti da passare per il tramite della Regione. La procedura, pur presentandosi lineare e rispettosa dei ruoli istitu-
zionali, pua peccare d'efficacia qualora uno dei vari Enti coinvolti non svolga appieno il suo ruolo.
In tal senso si registra già un esempio con la Regione Veneto che a fronte di uno stanziamento di (1,9+5,0=) 6,9 miliardi (programma triennale e delibera CIPE 1988), non ha saputo attivare un opportuno coinvolgimento degli Enti locali riguardo l'utilizzo dei finanziamenti sopracitati, vanificando dei provvedimenti attesi da tempo . Mi auguro che con la legge 142 sul riordino delle autonomie locali si avvii un rispettoso dialogo e confronto nell'interesse generale.