Federparchi
Federazione Italiana Parchi e Riserve Naturali


PARCHI
Rivista Parchi:
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Rivista del Coordinamento Nazionale dei Parchi e delle Riserve Naturali
NUMERO 3 - GIUGNO 1991



Montagna e parchi: quale futuro?
Walter Giuliano*

La crisi della montagna italiana
Il XXIV rapporto 1990 sulla situazione sociale del Paese predisposto dal CENSIS evidenzia come "si moltiplicano le iniziative per il superamento dei confini nazionali non solo in ambito CEE ma addirittura in funzione di più avanzate aperture con i Paesi un tempo divisi o "protetti" dalle barriere montane, ed oggi alla ricerca di un equilibrio globale nella specificità montana, come nel caso delle Alpi.
In Italia la montagna ha per lungo tempo sofferto di una condizione di arretratezza economica e sociale che ha prodotto inevitabilmente il formarsi di una persistente immagine di marginalità e che ha avuto conseguenze anche di tipo legislativo. Tale visione della montagna ha giustificato il generarsi di un intento protezionista ispirato al concetto di conservazione statica delle "economie tradizionali".
Un'ottica assistenziale, già presente nella Costituzione repubblicana, ha dunque imperato per tutto il dopoguerra sulla nostra montagna.
Eppure il 51% dell'intero territorio nazionale, pari al 35,1% della popolazione, appartiene proprio al territorio montano. Gran parte di esso è di fatto "territorio di frontiera" e si trova nelle condizioni di giocare un ruolo importante -forse fondamentale- nel processo di intemazionalizzazione che gli sconvolgimenti intemazionali oggi in primo piano portano all ' ordine del giomo . In questo ambito non può sfuggire l'evidente divario tra le politiche nazionali e quelle degli altri Paesi dell'arcoalpino: in Svizzera si offrono incentivi di reddito ai montanari; l'Austria ha predisposto un "Piano Verde" di sostegno alle aziende montane; la Germania ha messo a punto una legge che introduce un'indennità "per la cura del paesaggio e della campagna".
E' pur vero che non va dimenticato che la montagna italiana non rappresenta un'area di omogeneità per fattori economici e sociali, notandosi diversità piuttosto evidenti tra le varie località.
Si va dalle aree a dominante sviluppo turistico a quelle prevalentemente agricole o a quelle integrate, in cui gioca un ruolo importante il settore industriale o dei servizi. Si verifica inoltre molto spesso una sorta di simbiosi tra le aree marginali e quelle forti contigue che attraggono spesso flussi di pendolarismo e di migrazione.
Un dato positivo emerge dalla relazione del CENSIS.
Ed è quello del forte senso di radicamento nel territorio da parte delle popolazioni montane. Ciò consente oggi il verificarsi di migrazioni inframontane originate dall'emergere di aree forti all'interno della stessa montagna, a differenza di quanto verificatosi tra il 1951 e il 1981, con un decremento di quasi un quarto della popolazione (22,3%).

La specificità del sistema alpino
Quando si parla di montagna, il discorso scivola inevitabilmente sull'arco alpino.
Le Alpi non sono solo il più importante complesso montuoso europeo. Nè sono unicamente una barriera frapposta tra l'Europa centro-settentrionale e il bacino del Mediterraneo, un ostacolo alle comunicazioni, alla reciproca conoscenza, alle attività produttive.
Questi 200.000 km. quadrati, popolati da sette milioni di abitanti, sono qualcosa di più. Sono un vero e proprio sistema, là dove questa espressione significa un territorio complesso e articolato, che tuttavia rappresenta e costituisce un unicum, caratterizzato da un'identità specifica.
Questa identità è definita da tre parametri principali: l'ecologia, l'economia, la cultura. Tre parametri che non sono realtà separate, ma vanno considerate nel loro complesso per le inevitabili interferenze reciproche che condizionano l'intero sistema.
Un sistema che risulta oggi in gran parte spezzettato proprio per il fatto che le Alpi sono sempre state considerate unicamente come ostacolo e dunque segnale di frontiere, di confini, di demarcazioni territoriali e politiche.
Tranne la realtà svizzera, con il sistema cantonale, l'area alpina ha vissuto nella impossibilità di procedere alla costituzione di entità politiche alpigiane. Un dato di fatto che ha avuto come conseguenza importante l'emarginazione del sistema alpino, escluso sempre più da decisioni politiche prese in pianura, quasi sempre per la pianura.
Gli squilibri territoriali derivanti hanno visto la montagna come prima vittima.
Oggi, nell ' era del villaggio globale e delle distanze ravvicinate dai modemi mezzi di comunicazione, il sistema alpino può trovare nuovi motivi di rilancio, capaci di restituirgli una centralità rispetto all'Europa, facendone la cerniera tra Mille europa e Mediterraneo, e di ricomporre i legami da sempre esistenti e da sempre evidenti al di sopra delle frontiere.
Ma perchè ciò possa accadere, è necessario garantire nuovamente al sistema alpino i suoi equilibri, a cominciare da quello ecologico. Un equilibrio da cui dipendono parecchi elementi, dall'approvvigionamento idrico alla protezione idrogeologica dei fondovalle e delle pianure, dalla varietà biologica alle regolazioni climatiche, per citarne solo alcuni tra i più importanti, in azione sull'intero territorio continentale.

La presenza dell'uomo
L'insediamento dell'uomo nelle aree alpine va ricercato in tempi storici assai lontani, anche se l'esplosione demografica verificatasi in tutta l'Europa tra l'XI e il XII secolo ne ha accentuato la presenza proprio in quel periodo.
Da allora è cominciata l'avventura della civiltà alpina. Nel Medioevo, ha scritto Arno Borst, le Alpi " sono state soprattutto una sfida alla vita in comune dei loro abitanti", in cui si sono creati bisogni specifici cui si è risposto in maniera specifica,con la creazione di strutture economiche e sociali spesso mantenutesi pressochè intatte per secoli. Il risultato è un patrimonio culturale, ricco anche di testimonianze materiali, che ha pari dignità nei riguardi della componente naturale e al suo pari va salvaguardato. Anche perchè le relazioni reciproche sono più che evidenti. Paul Guichonnet sottolinea come la storia delle Alpi possa essere letta su un piano di vita naturale caratterizzato dal "livello di rapporti quasi immutabili fra gli uomini e le donne della montagna e una natura schiacciante (talvolta nel vero senso del termine), selvaggia e soprattutto limitativa. Da questa lotta quotidiana sono nate forme originali di vita sociale e di coscienza politica. La storia naturale delle Alpi, caratterizzata da una battaglia perpetua tra uomo e natura, è segnata da episodi devastanti, dalle frane (con conseguenti alluvioni), alle valanghe, ai sismi, alle improvvise variazioni climatiche, documentati a partire dal periodo Medievale. L'equilibrio ecologico si è mantenuto per secoli grazie alla spontanea formazione di una sorta di stabilità dinamica nei rapporti tra l 'uomo e le sue attività e le componenti ambientali naturali. Questo equilibrio dinamico ha consentito impatti minimi dell'uomo sulla matrice naturale, sino a tempi recenti. Poi la presenza dell'uomo ha via via accentuato il suo impatto, a cominciare dalle vaste opere di disboscamento perpetrate per ricavare spazio al pascolo di allevamento.
E' stato quello il primo effetto negativo e squilibrante dal punto di vista dei rapporti biologici. Ma non era che il primo passo, del tutto trascurabile rispetto a ciò che sarebbe accaduto nei decenni più recenti.

L'impatto e le soluzioni sbagliate dell'uomo moderno
Le azioni che si sono susseguite in particolare dall'epoca dell'industrializzazione europea, hanno in breve prodotto gravi squilibri con inevitabili ripercussioni sull'intero sistema alpino. Uno di questi elementi dal deflagrante effetto squilibrante è emblematicamente costituito dal traffico. L'effetto del massiccio trasporto di uomini e cose, in transito prevalentemente su strada, è sotto gli occhi di tutti e bene hanno fatto alcune nazioni alpine come Svizzera, Francia e Austria a intervenire per la riduzione di questo impatto.
Ma il rischio che si corre oggi - e ancor più nel 1993 - è che il traffico pesante si riversi nei corridoi obbligati che dalla Francia conducono nel nostro Paese attraverso la Valle d'Aosta e il Piemonte. E sarebbe un impatto non indifferente se si considera che dai 18 milioni di tonnellate di merci transitate attraverso le Alpi nel 1967 si è passati ai 63 del 1988, con proiezioni per il duemila intomo ai 115 milioni.
Ma non è il traffico l'unico problema per l'equilibrio del sistema alpino. Oltre alle colate di asfalto per strade e autostrade, assistiamo oggi all'invasione del cemento per le nuove edificazioni, alla canalizzazione dei corsi d'acqua e all'ingabbiamento della montagna con l'acciaio della meccanizzazione dissennata dello sport e dell ' agricoltura, fino alla realizzazione di depositi di rifiuti, anche pericolosi.
Il fragile equilibrio degli spazi montani subisce le conseguenze immediate di questo agire sconsiderato sotto svariate forme di inquinamento, del suolo, dell'acqua e dell'aria.
I conflitti creati dalle attività umane - inquinamento dei bacini, erosione del suolo, deforestazione, turisticizzazione di massa, rischi naturali, sconvolgimenti socio-culturali, squilibri demografici - hanno condotto auna situazione vicina al collasso.
La situazione è particolarmente seria, stante la particolare fragilità e vulnerabilità ecologica della Alpi che imprime al procedere del degrado tempi più veloci che nel resto del territorio e maggiore acutezza nei sintomi. La bibliografia internazionale è ormai ricca di analisi sull'aggravarsi delle condizioni ambientali alpine. In questi ultimi vent'anni, che hanno visto un aumento della sensibilità collettiva sui temi ambientali, non sono mancati congressi, dibattiti, denunce, mobilitazioni. In verità altrettanto ampia è la gamma di possibili terapie suggerite per il malato Alpi e più in generale applicabili a tutte le aree montuose.
Meno diffusi gli esempi pratici di interventi efficaci atti ad arrestare il degrado.
Anche se, ragionando in termini assoluti, cari a certo fondamentalismo ecologista, la natura alpina - e non solo quella - è sicuramente in grado di sopravvivere da sè, evolvendo verso il climax, un proprio equilibrio dinamico, che può prescindere dalla presenza dell'uomo.
Ma siamo disposti a sopportame le conseguenze? Siamo disposti ad andare incontro a sconvolgimenti territoriali che possono anche prevedere variazioni pesanti alla geografia delle nostre vallate alpine, con tutte le conseguenze in termini economici e sociali?
Se così non è, dobbiamo accogliere l'idea che volenti o non - l'uomo è specie che rientra nel sistema naturale nel bene e anche nel male. E dunque il suo intervento, l'applicazione della sua intelligenza e delle conoscenze acquisite nella sua storia possono essere utilmente impiegate nel governare il territorio. Allo stesso modo in cui vengono attivate per salvare popolazioni di specie animali o vegetali avviate verso l'estinzione.
Mi sembrano questi i termini corretti su cui ragionare senza anteporre artificiosamente le due posizioni contrapposte degli idolatri della natura e dei rapinatori del territorio, tesi i primi a rendere intoccabile l'ambiente, i secondi a generalizzare l'assalto alla natura e l'usoarbitrario delle risorse naturali del pianeta.
Le indicazioni della strada su cui muoversi correttamente sono ormai pressocchè unanimemente condivise e assumono un valore generale per tutto il territorio. Provo a riassumerle in due punti essenziali:

  • occorre garantire la stabilità ecologica del paesaggio antropizzato, ossarendere compatibile la produzione con le risorse naturali;
  • perchè ciò possa realizzarsi, va recuperata una cultura che sappia guardare oltre gli interessi economici di breve periodo, per porre invece in primo piano la gestione consapevole del rapporto economia-ecologia.
Non credo si debba idealizzare la natura per farne un nuovo credo, una forma di filosofia o di religione. Con molta pragmaticità però dobbiamo prendere atto che il pianeta Terra è il nostro unico spazio di vita, la nostra unica casa. Una casa da utilizzare, da rendere il più confortevole possibile, ma soprattutto da non danneggiare come invece stiamo facendo sempre più massicciamente.

Tra natura e cultura, la ricerca della compatibilità
La soluzione non può certo essere quella di togliere gli abitanti dalla casa, escludeme gli uomini, giacchè con il loro allontanamento la casa perderebbe la sua ragione d'essere.
Così è per la Terra, e in particolare per le nostre vallate montane. Non ha alcun senso escludeme l'uomo o peggio ancora togliere ad esso le sue ragioni di vita in questo territorio. Al contrario occorre rendere nuovamente compatibile la sua presenza con la buona manutenzione della casa - montagna, riempiendo di motivazioni non solo economiche ma anche sociali chi decide di rimanere o di andare a vivere in montagna. Perchè ciò possa avvenire occorre una decisa inversione di rotta che conduca alla realizzazione di una strategia di armonizzazione del sistema alpino basata sulla compatibilità ambiente-economia. Obiettivo contro la desertificazione della montagna è quello di salvaguardare la fruizione non in termini meramente economici, di sfruttamento commerciale, ma soprattutto di uso civico. Va quindi ribadita e riconfermata la stretta interdipendenza tra l'uomo e il suo ambiente di vita e la necessità di un uso oculato e parsimonioso che garantisca il rinnovamento del bene naturale.
Invece questo atteggiamento, un tempo per la gran parte presente, è stato sostituito da politiche di rapina delle risorse che hanno coinvolto la montagna al pari del restante territorio.
Pensare di risolvere i problemi della montagna affidandoli unicamente o prevalentemente - come è stato fatto - a interventi di tipo turistico basati sulla meccanizzazione o su succedanei artificiali dell'innevamento (neve artificiale), appare politica miope e senza futuro.
Per appianare gli attuali squilibri territoriali che penalizzano il territorio e i suoi abitanti sono necessari interventi che coinvolgano il vivere nella e della montagna, a cominciare da un adeguato sviluppo e da una estesa presenza di servizi sociali fondamentali, dalle condotte mediche e veterinarie, alla copertura dei collegamenti telefonici e televisivi.
In caso contrario ci si ritroverebbe in una condizione nella quale a parità di contributi versati allo Stato non corrispondono eguali servizi e gli abitanti della montagna vengono di fatto ridotti a cittadini di serie B. Partendo dal presupposto che non si mette in discussione la scelta di uno Stato sociale, occorre veramente che avvenga una redistribuzione delle ricchezze, innanzitutto con la garanzia di servizi adeguati per tutti, in secondo luogo con politiche fiscali che compensino le situazioni territorialmente penalizzate. La nuova strategia per una politica della montagna deve affermare al primo punto il rispetto della compatibilità ecologica dell'arco alpino, in base alla quale andranno misurati tutti gli interventi. Dunque, ad esempio, far sì che le vie di traffico e il volume dei trasporti si adeguino alle compatibilità delle Alpi e non viceversa. Ciò può essere raggiunto solo all'interno di una strategia economica globale che miri a equilibri prevalentemente di tipo regionale, meno energivori e con minori necessità di trasferimento delle merci. Il principio dell ' adeguamento delle attività umane alla compatibilità ecologica del sistema vale per tutte le attività economiche tra le quali sicuramente sono destinate a occupare un ruolo di primo piano l'agricoltura e il turismo.
L'attività agricola può e deve svolgere una funzione inalienabile di guardiana dello spazio montano, di protezione delle forme paesaggistiche e soprattutto di protezione dell'ambiente.
Ma per far rivivere il sistema alpino attraverso l'esercizio dell'agricoltura, non bisogna ricorrere a politiche assistenziali basate su sussidi diretti o indiretti. Occorrono politiche che riqualifichino il territorio e le attività montane. Bisogna conservare un ambiente vivo e attivo, non una bacheca da museo del bel tempo che fu. Bisogna anche rifiutare lo stereotipo dell'agricoltore non autosufficiente, custode della montagna o giardiniere di montagna o guardia ecologica che dir si voglia. L'agricoltore deve sentirsi parte attiva e importante, depositario di un ruolo economico primario cui va restituita tutta la dignità che gli appartiene e una forte motivazione al lavoro. Perchè questo ruolo non sia penalizzato rispetto alla corrispondente attività nelle aree pianeggianti geograficamente privilegiate, si intervenga piuttosto con sgravi e agevolazioni fiscali.
Allo stesso modo il montanaro non può essere ridotto a ospite, albergatore, conservatore del territorio per la fruizione dei non residenti. Cosa che rischia invece di accadere con l'attuale interpretazione del turismo, una risorsa che deve sì essere considerata nella programmazione economica della montagna, ma che non deve diventare l'unica via praticabile per il rilancio del sistema alpino. La monocoltura del turismo che diventa poi monocultura a servizio del villeggiante è dannosa allo stesso modo in cui la monocoltura lo è per il suolo agrario.
Il turismo è sicuramente una risorsa, ma rappresenta anche una tentazione che induce alla perdita delle caratteristiche originali in una tendenza alla standardizzazione e alla omogeneizzazione ai modelli culturali della città spesso imposti dalle ammiccanti strategie pubblicitarie dei mass media.
Non si può quindi puntare unicamente sulla monocultura turistica, ma si devono trovare vie di intervento a sostegno delle attività agro-silvopastorali il cui abbandono per motivi di reddito toglie alla montagna una delle sue difese più valide ed efficaci, legate al continuo contatto tra uomo e ambiente.
La monocoltura turistica crea spesso un impari rapporto tra residenti e turisti che rischia di snaturare, molto spesso, anche le espressioni culturali dell'area alpina. Un rischio tutt'altro che trascurabile se pensiamo che l'arco alpino è un esempio unico, analogo e paragonabile solo con quello delle isole mediterranee, in cui ci si trova di fronte a una cultura fortemente unitaria e omogenea pur nella grande pluralità di lingue, dialetti, culture e costumi.
Una cultura, la cui vitalità è confermata dallo sviluppo di una forte articolazione di particolarità linguistiche e culturali regionali e/o di vallata. L'affermazione e il rilancio della cultura alpina possono avvalersi oggi delle nuove tecnologie. Le stesse nuove tecnologie che dovranno essere messe al servizio di nuove attività lavorative terziarie e della realizzazione di un sistema di sorveglianza permanente della situazione e dei rischi ambientali.
In questa prospettiva si tratterà, più in generale, di migliorare la conoscenza dei sistemi ecologici alpini, delle forme culturali, delle manifestazioni tradizionali, delle espressioni legate alla cultura materiale, per ricostituire quell'unitarietà del sistema alpino cui facevamo prima riferimento.

Il ruolo delle aree protette
Precisate le questioni di fondo, il ragionamento che ne consegue circa le funzioni delle aree protette per le aree di montagna si concretizza in una tutela attiva della componente naturale integrata dalla promozione di un recupero dei valori culturali legati alle componenti umane che hanno scelto il territorio montano come ambiente di vita e di lavoro.
La capacità di un uso razionale delle risorse da parte dell'uomo può ovviamente comportare la destinazione di fette più o meno grandi del territorio ad aree intoccabili, da escludere da qualsiasi intervento umano. E' di fatto ciò che accade in quelle porzioni di ambiente naturale già oggi destinate a riserve naturali integrali o a wilderness areas.
Per il resto non deve scandalizzare l'uso del territorio montano a fini multipli, ivi compreso quello di bacino di utenza per le popolazioni cittadine alla ricerca di opportunità di svago e contatto primordiale con l'elemento natura.
Si tratta di una terziarizzazione della montagna in atto da qualche decennio, sempre più a livello di massa, che si è affermata spesso in maniera discutibile e che indubbiamente va governata. Ma non demonizzata.
In questo contesto il parco naturale, inteso come area che persegue il fine primario di tutela dell'ambiente, si inserisce come ipotesi tra le più intelligenti che può funzionare come modello dimostrativo di compatibilità tra tutela e uso del suolo, anche per altre parti del territorio.
Il discorso diventa qui particolarmente complesso e implica alcune considerazioni preliminari che, pur essendo da tempo ampiamente acquisite, tardano a entrare nella coscienza collettiva e soprattutto a concretizzarsi in atti e comportamenti conseguenti.
Si tratta, semplicemente, dei tre principi fondamentali che stanno alla base della filosofia ecologista:
1) non abbiamo altro luogo di vita che non sia il nostro pianeta Terra;
2) lo spazio e le risorse naturali della terra sono limitate e in gran parte non rinnovabili, per cui gli uomini - e in particolare le nostre generazioni stanno intaccando un capitale di risorse che una volta consumato non ci sarà più;
3) noi non facciamo che trasformare le risorse naturali in merci che, dopo un periodo sempre meno lungo di utilizzo, diventano rifiuti che a loro volta non scompaiono ma vanno a inquinare quelle stesse risorse naturali da cui dipendiamo e dalle quali traiamo ciò che ci è indispensabile per vivere e per produrre.
Richiamati per chiarezza quelli che sono i punti fondamentali alla base dell'agire ambientalista e dell'ecologismo politico consapevole, torniamo all'argomento principale.
Le considerazioni che seguono valgono per la gran parte non soltanto per le aree protette istituite in aree montane, ma forniscono valutazioni di carattere generale. Anche se è sulle incidenze specifiche che cercherò di porre l'accento.
I parchi diventano uno degli strumenti di intervento da parte della collettività, attraverso le amministrazioni pubbliche che li istituiscono, per gestire il territorio nella maniera migliore e per fornire esempi dimostrativi applicabili al resto delle vallate.
Essi consentono infatti di amministrare correttamente sia la componente naturale che quella culturale e sociale. E su di essi si inserisce una funzione altrettanto importante nel determinare gli unici comportamenti capaci di garantire un futuro al nostro pianeta: l'informazione e l'educazione ambientale, chiavi di volta per nuovi comportamenti consapevoli da parte dell'uomo e del suo ruolo nel complesso sistema degli equilibri ecologici su cui si basa la vita.
Dunque il parco assume il ruolo di avanguardia
di ricercatori di strade percorribili per un nuovo rapporto tra l ' ambiente naturale e I ' uomo e le sue attività produttive.
In questo sta il realismo dell'utopia ambientalista. Senza la consapevolezza della necessità di perseguire questo nuovo equilibrio planetario, è difficile pensare a una soluzione reale della crisi ecologica di cui tanto si parla. Una crisi dalla quale nessuna categoria oggi arroccata nelle difese dei propri privilegi o del proprio potere potrà uscire vincente. L'unica possibilità di uscire dal tunnel dell'eco catastrofe è quello della collaborazione tra tutti gli uomini di buona volontà, per una ridefinizione dei rapporti economici e sociali intemazionali.
L'inizio può essere costituito dalla sperimentazione di modelli di compatibilità ambientale tra comunità naturale e comunità sociale attuate all'interno delle aree protette.
Diventa dunque inderogabile la necessità di realizzare concretamente, a partire da subito, un sistema di protezione del territorio naturale attraverso la politica dei parchi e delle riserve naturali, non solo per l'area alpina o montana.
Anche se, per le specificità e la delicatezza che abbiamo prima richiamato, la necessità di una politica globale per il territorio alpino rimane un obiettivo da perseguire con fermezza per fare sì che sia predisposto un pacchetto di leggi per tutto l'arco alpino, vincolante sul piano del diritto costituzionale, con cui i sette Stati sovrani che govemano le Alpi siano posti nelle condizioni di assumere l'impegno a rispettare soglie di accertabilità vincolanti per tutti i progetti e i problemi di rilevanza territoriale nel rispetto dell'ambiente alpino.
Per raggiungere questi obiettivi è stata da tempo lanciata a livello europeo l'idea di una Convenzione per l'area montana alpina.
Un modello di Convenzione sulle Alpi è stato recentemente elaborato per conto della CIPRA (Commissione Internazionale per la Protezione delle Regioni Alpine). Esso prevede un sistema vincolante di aree protette nella Alpi e recita: "Per la protezione delle specie e dei biotopi è indispensabile un sistema di aree protette comprendente tutti i biotopi rappresentativi nell'intero arco alpino. Questo sistema si comporrà di parchi nazionali, parchi naturali, biotopi protetti ed elementi singoli particolari del paesaggio (per esempio habitat di specie rare o minacciate), collegatiamo di rete. Sulla base di una cartografia globale alpina dei biotopi da proteggere - la tutela dei quali va assicurata per legge - verrà predisposto un programma di difesa delle specie e dei biotopi, il cui elemento centrale deve essere costituito dal sistema di aree protette sopra richiamato. Per queste superfici, collegate nel modo più stretto possibile l'una all'altra, si devono fissare in maniera vincolante disposizioni protettive e piani gestionali, dei quali vanno fatti partecipi gli agricoltori e i proprietari di boschi interessati. Vanno inoltre regolate in modo pure vincolante le indennità per le prestazioni di tutela e cura di tali superfici. Il sistema di aree protette deve godere di un'assistenza scientifica appropriata".
E' una proposta che va seguita con attenzione soprattutto se si considera che il nostro Paese ha sull ' arco alpino un sistema di aree protette che di fatto già anticipa un disegno intemazionale. Basti pensare ai comprensori costituiti dal Parco regionale dell'Argentera (Piemonte), con il Parco nazionale del Mercantour (Francia), dal Parco nazionale del Gran Paradiso con il francese Parco nazionale della Vanoise, dal Parco nazionale dello Stelvio con lo svizzero Parco nazionale dell'Engadina.
Esempi per i quali, tra l'altro, si possono con soddisfazione segnalare intensi scambi di collaborazione a diversi livelli e comuni programmi scientifici.

*Capo Redattore di ALP