Federparchi
Federazione Italiana Parchi e Riserve Naturali


PARCHI
Rivista Parchi:
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Rivista del Coordinamento Nazionale dei Parchi e delle Riserve Naturali
NUMERO 3 - GIUGNO 1991



Il personale dei parchi: un problema "dimenticato"
La redazione

Il dibattito sulle Aree protette è andato via via dilatandosi a nuove problematiche. Tuttavia, vi sono aspetti che continuano a rimanere del tutto in ombra, per non dire ignorati.
Tra questi vi è senz'altro quello concemente il personale. Se diamo uno sguardo, ad esempio, ai dati raccolti nel libro "I Parchi Regionali in Italia" edito dall'Unione Province Italiane, ci rendiamo immediatamente conto della situazione davvero singolare delle nostre Aree protette.
Sebbene sulla stampa si usi di sovente qualche volta abusandone, del termine "parchi di carta"e simili quasi si considera la condizione delle Aree protette sotto il profilo delle loro strutture operative.
Non sarebbe allora difficile scoprire che vi sono parchi dotati di un organico, più o meno adeguato, ma comunque interamente dipendente dall 'Ente, ma anche parchi senza un personale proprio.
Per quanto possa sembrare incredibile, infatti, vi sono parchi senza alcuna persona su cui poter contare. Alcuni parchi, invece, dispongono di personale, ma in "prestito": dal Corpo Forestale dello Stato, dalle Provincie, dai Comuni ed altri Enti.
Inutile dire che spesso ( per non dire sempre ) è proprio questo dato che fa la differenza tra i parchi. Un conto, infatti, è disporre di un proprio personale: altra cosa è invece gestire un personale "destinato", sovente neppure a tempo pieno, sul quale, è il caso del Corpo Forestale, "l'autorità " effettiva di disporre I ' impiego non è, in definitiva, del parco.
Questa situazione è tanto consolidata che si corre il rischio di considerarla "normale". Ciò è tanto vero che in talune realtà, pur dovendo i Parchi affrontare la fase, sempre ardua, del decollo, si ritiene di poterlo l`are senza un proprio organico. Si pensa cioè di poter far fronte ai complessi problemi di gestione di un Parco contando su "prestiti" e collaborazioni eventuali, vale a dire su personale vuoi volontario, vuoi distaccato, parzialmente o del tutto, da altri Enti.
Ora non ci vuole molto a capire, specie se ci si rifa ad alcune delle esperienze più significative di questi ultimi anni, che per questa via i parchi ben difficilmente potranno "costruirsi" una immagine credibile.
In molti, evidentemente, residua ancora un'idea del parco che si attaglia, forse, alle riserve o comunque a quelle piccole porzioni di territorio la cui gestione, in pratica, si esaurisce nella vigilanza, intesa appunto in termini "negativi" di mero controllo contro le violazioni e gli abusi. Ciò è tanto vero che anche i grandi parchi nazionali, nati un pò come riserve di dimensione più estesa, hanno un personale "addestrato" principalmente a questo tipo di funzione.
Ma oggi le cose stanno in maniera decisamente diversa. Purtroppo a giudicare dai vari testi unificati di legge-quadro sui parchi e dalle singole proposte dei vari partiti, di ciò non sembra esservi adeguata consapevolezza.
Intanto sorprende, come hanno rilevato in un loro documento i direttori dei parchi regionali, che la legge-quadro non prenda in considerazione la struttura del personale nel suo complesso, ma solo i Direttori e la vigilanza. E questo fatto la dice lunga sull'idea di parco che si continua ad avere da più parti.
Un parco dotato solo di direttore o di vigilanti è un parco preposto al mero controllo dei vincoli. E poichè questi ultimi li si considera apposti generalmente su territori boscati, ecco il ricorso, come logica conseguenza, al Corpo Forestale dello Stato.
Qui infatti si apre 1 'altro grosso problema, tutt'ora irrisolto e fonte, bisogna dirlo, prima ancora che di conflitti e tensioni gestionali, di equivoci relativi alla concezione stessa della protezione. La lettura dei vari testi unificati e proposte di legge-quadro sui parchi è al riguardo, come dicevamo,illuminante. A parte l'idea amena, poi l`ortunatamente cancellata, di collocare il personale dei parchi nel settore delle municipalizzate, le varie proposte convergono largamente, con differenzenon sostanziali, su un punto: assegnare al Corpo forestale dello Stato compiti, se non esclusivi, certo prevalenti nella vigilanza dei nuovi parchi, nazionali ed anche regionali.
Per taluno possono sorgere problemi tutt'al più per la consistenza numerica; per altri dalle convenzioni che le Regioni dovranno stipulare con l'ex ASPD. Ma questa sembra comunque la via maestra da seguire.
La relazione svolta dal Presidente di Italia Nostra (Merli) e da noi pubblicata sul numero 2 di Parchi ha il pregio di evidenziare, in maniera lucida e argomentata, la fragilità ed erroneità di questa impostazione.
Di quello scritto ci limitiamo qui a ricordare che le obiezioni non sono solo di natura, diciamo così, "pratica"; vale a dire un impiego, quello delle guardie forestali, che è "subordinato" e "condizionato" da altri importanti compiti di istituto, oggi spesso trascurati. No, sono proprio le nuove funzioni della vigilanza nei parchi che sconsigliano di assumere a modello la guardia forestale, dotata spesso di innegabili competenze, che non sono però quelle che devono connotare oggi la figura del guardia-parco. La quale, fra l'altro, è bene sia legata al territorio, e non estranea ad esso.
Una funzione, quest'ultima, che non discende in via principale da "tradizioni", per quanto importanti ma tipicamente settoriali del Corpo forestale,bensì da quell'insieme di compiti nuovi ai quali i parchi devono oggi far fronte e di compiti complessi e variegati di cui la funzione vigilanza è solo una componente.
Ecco il limite, giustamente sottolineato dalla Associazione dei Direttori, di un personale incardinato solo su due funzioni: direzione e vigilanza.
Da qui deve partire oggi una seria riflessione sul personale e le strutture operative dei parchi.
Un parco che opera su territori e realtà spesso urbanizzati ha bisogno di strutture operative dotate di più "figure", cioè con molteplici competenze tecnico-scientifiche.
E' ridicolo oggi pensare ad un parco dotato solo del direttore e di un personale di vigilanza in funzione prevalente di anti bracconaggio, magari neppure dipendente interamente dal parco, ma "etero diretto".
Eppure il modello di struttura di parco configurato dalla legge-quadro è proprio questo. E non lo riscatta più di tanto la diatriba ancora aperta su chi deve nominare, e come, il direttore.
Un punto questo su cui abbiamo avuto modo di dire la nostra commentando l'incontro di Camerino e che pretenderebbe di far dipendere l'autonomia effettiva dell'Ente Parco, soltanto, da questa scelta.
Va detto, molto chiaramente, che la funzionalità di un parco non può dipendere dal "carisma" di un direttore, più o meno inamovibile, ma dalla sua struttura complessiva, che non deve essere nè mono professionale, nè a mezzadria.
Queste sono le vere Colonne d'Ercole da superare per rendere effettivamente operanti i "parchi di carta". Il resto, quando non è demagogia a buon mercato,è"subalternità"a vecchie, superate concezioni della protezione del territorio.
Quando si parla di questi problemi è facile incappare nell'obiezione che non si è "realisti"; chi ci darà il personale? Ed inoltre che si rischi di disperdere un patrimonio quale è quello del Corpo Forestale.
Se vogliamo essere davvero realisti va detto:

  • I) che per la protezione occorrono risorse e mezzi, quindi personale qualificato. Non si vede perchè dobbiamo avere personale sempre più specializzato per i rifiuti, eccetera, e non anche per la tutela;
  • 2) che il solo modo per non disperdere il patrimonio accumulato dal Corpo forestale dello Stato è impiegarlo bene per i suoi compiti. I quali, bisogna pure ricordarlo, dal momento che il Ministero ha "trattenuto" per sé molta più superficie boscata di quella fissata dalla legge 616 (1'1% a soli fini sperimentali), non sono nè pochi, nè irrilevanti.
D'altronde la materia dei parchi è stata, non certo a caso, "sottratta" alla materia dell'Agricoltura in quanto esulante, per dirla con il termine usato dalla Corte Costituzionale.
Infatti a giudizio della Corte "I'interesse di conservare integro, preservandolo dal rischio di alterazioni o manomissioni, un insieme paesistico dotato di una sua organicità e caratterizzato da valori estetici, scientifici, ecologici di raro pregio quali possono presentarsi anche in confronto a territori privi di vegetazione, o comunque, pur quando questa sussista, destinata a rimanere esclusa da quelle utilizzazioni produttive che costituiscono l'aspetto specifico dell'attività agricola".
Come non vedere le implicazioni che discendono sul piano dell ' assetto delle strutture operative dei parchi da questo pronunciamento del nostro massimo organo costituzionale. Cercare di ridurre, come a volte si fa, la questione ad un fatto di "bottega" è ridicolo; anzi, ancor peggio, è solo un maldestro tentativo di cambiare le carte in tavola, per continuare a mantenere le mani su attività che oggi richiedono ben altra e qualificata gestione.
Stabilito che i parchi devono avere perciò un loro personale ed un proprio organico, si è naturalmente solo al principio e non certo alla conclusione del discorso, anche se la chiarezza dei punti di partenza è ovviamente una condizione indispensabile per uscire dalla confusione attuale.
Quella che finora non è emersa dal dibattito sulla gestione dei parchi con sufficiente evidenza è, appunto, la specificità della attività di protezione, che richiede una struttura operativa autonoma, cioè ritagliata sulle esigenze proprie di una politica delle Aree protette e non sulle convenienze o i desiderata di questo o quel comparto della Pubblica Amministrazione, sia essa il Ministero dell'Agricoltura o la dirigenza statale in esubero.
Dunque i parchi devono avere innanzitutto una loro pianta organica, non modellata sulle analogie con altri enti, ma sulla loro tipicità.
Perchè se non è difficile trovare analogie tra parco ed altri enti per i settori a carattere amministrativo-burocratico, ancora più facile è individuare e cogliere le tipicità e quindi le differenze dovute alle esigenze di carattere tecnico-scientifico, estremamente varie e differenziate, impensabili per Enti amministrativi a carattere generale, proprie di un parco.
Da qui bisogna quindi partire se volgiamo procedere correttamente.
Allora si vedrà che alla definizione di questa pianta organica non aiuta, specialmente per alcuni comparti (ad esempio quello della vigilanza), I'analogia con gli Enti locali.
Intendiamoci, molte figure professionali presenti o prevedibili in un parco sono rintracciabili anche in altri enti. Ciò che spesso cambia sono i compiti assegnati a queste figure. Biologi, naturalisti, forestali, agronomi, architetti e ingegneri, laureati o diplomati, non sono certo figure esclusive di una pianta organica di un parco (anche se oggi perfino i più antichi parchi ne sono spesso sprovvisti).
Tuttavia ognuna di queste figure svolge compiti e necessita di "specializzazioni" del tutto diverse a seconda che dipenda da un Comune o da un parco.
Anche i bandi di concorso, pur richiedendo gli stessi titoli di studio, non potranno, nella maggior parte dei casi, prevedere lo stesso tipo di prove. Si potrebbero fare facilmente molti esempi al riguardo. Vorremmo tornare però un momento sulle funzioni del personale di vigilanza, al quale, nel corso di questa nota, abbiamo già fatto più volte riferimento.
Il personale di vigilanza è oggi, nei parchi dotati di un organico minimamente sufficiente, quello generalmente più numeroso ed anche, diciamo così, più "esposto". I guardiaparco sono un pò anche l'immagine di un parco, quella che arriva al "grande pubblico", non solo nella sua versione più tradizionale, quella repressiva, ma in quella più nuova della guida alla conoscenza di un territorio inteso non solo come ambiente naturale, ma anche storico-culturale.
Da qui quell 'esigenza, sottolineata dalla relazione di Merli, di una guardia che vive nel territorio del parco, che ad esso è legato non solo da rapporto contrattuale e di lavoro.
Un aspetto questo più importante di quanto a prima vista potrebbe sembrare e che rende difficile, ad esempio, avvalersi in certe situazioni di personale volontario, generoso ma "estraneo" alla complessa gestione del territorio.
I parchi che nel corso di questi anni si sono dotati di una propria vigilanza, iniziando con primi modesti nuclei sovente provenienti da attività tradizionali di vigilanza (guardacaccia, eccetera) hanno potuto, un pò come "in vitro", verificare le trasformazioni di questa attività, di facile approccio per i giovani reclutati successivamente, più ostica per chi negli anni aveva maturato la sua professionalità in differenti condizioni ed esperienze.
La stessa attività di vigilanza, in senso stretto, appare oggi benaltra cosa rispetto alla repressione del bracconaggio.
Considerazioni analoghe potremmo fare anche per altre figure, comprese quelle amministrative, pur più vicine, diciamo così, a quelle impegnate in enti diversi dai parchi.
Anche per queste figure, infatti, il parco di oggi - va sottolineato questo dato - presenta non poche novità rispetto alla più tradizionale attività di certificazione degli Enti locali.
Insomma, quel che viene meno, sempre di più, è quella "uniformità" di figure e specializzazioni che ha sembrato caratterizzare, peraltro non sempre a ragione, il corpo della Pubblica Ammmistrazione.
Sorprende perciò che proprio da parte di molte voci critiche agli enti di gestione dei parchi, considerati, non sempre a torto, troppo "burocratici", manchi la sufficiente attenzione aquesti problemi.
Eppure da questi, non meno che da nuove leggi, dipende il funzionamento dei Parchi. E tra le nuove leggi vale la pena di menzionare la 142 sulle autonomie, la quale affida più incisive responsabilità ai funzionari, e la legge 241 sulla responsabilità degli amministratori e dei funzionari nei procedimenti amministrativi. Si tratta di due leggi recenti, in fase di primissima e non facile applicazione, delle cui implicazioni non possiamo non farci carico.
Così come non potremo ignorare le implicazioni di una eventuale trasformazione del rapporto di lavoro per il settore del pubblico impiego di cui si sta discutendo.
Con questa nota la Rivista vorrebbe aprire un dibattito al quale ci auguriamo vogliano partecipare numerosi i nostri lettori.

La Redazione