Federparchi
Federazione Italiana Parchi e Riserve Naturali


PARCHI
Rivista Parchi:
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Rivista del Coordinamento Nazionale dei Parchi e delle Riserve Naturali
NUMERO 5 - FEBBRAIO 1992



Aree protette e nuova agricoltura
Marcello Bujatti*

La discussione sul rapporto uomo-natura, dopo un lungo periodo in cui si è puntato soprattutto sulla sensibilizzazione ai problemi creati dallo sviluppo incontrollato, el d'altra parte, su modelli di conservazione di isole "naturali" nel nostro pianeta, si va spostando ora verso l'elaborazione di modelli alternativi e credibili di trasformazione "ecologica" della società umana nel suo complesso. Ci si sta rendendo conto infatti che, per la natura stessa della biosfera, assimilabile ad una fitta rete di elementi strettamente interconnessi, la strategia del mantenimento o anche allargamento delle aree di conservazione è necessariamente perdente se non viene accompagnata da una drastica diminuzione dei livelli di degrado ambientale al loro esterno D'altra parte la necessità di incidere innanzitutto sulla struttura del sistema produttivo in modo complessivo e al tempo stesso propositivo deriva dalla evidente riluttanza di chi abita, o meglio di chi produce nel Nord del Mondo, ad abbandonare vantaggi veri o imposti che siano caratteristici del nostro sistema e, contemporaneamente, dalle esigenze di crescita anche quantitativa se non altro della produzione di cibo che ci vengono dai Paesi in via di sviluppo.
Questo progressivo mutamento di ottica investe anche, come si può capire, la discussione sulla reale funzione delle aree protette Ad una visione essenzialmente conservativa che ha prevalso fino a poco fa si va sostituendo una impostazione che vede le aree protette, fatta salva naturalmente la loro funzione di mantenimento di popolazioni, specie, ecosistemi, come elemento potenzialmente propulsivo da inserire nel quadro di una azione complessiva per la ecologizzazione della economia. Ovvia conseguenza di questa impostazione è un attenzione particolare a quelle aree protette in cui effettivamente si svolge una attività economica, se non altro in quanto gli stessi vincoli imposti dalla legge e, insieme ad essi, le agevolazioni per chi li rispetta e le pene per chi non li osserva, rendono gli operatori economici più disponibili alla elaborazione di modelli alternativi di produzione, efficienti ma con minore impatto ambientale. Campo privilegiato di un intervento in questo senso ci pare l'agricoltura, sia perchè aree a coltivazione sono presenti in molte delle aree protette del nostro Paese, sia perchè l'agricoltura è forse anche il settore in cui più si incontrano esigenze di rinnovamento di un sistema in crisi, bisogni crescenti dell'umanità, necessità di mantenere bassi il livello di sostanze dannose e l'imput energetico. Molto schematicamente, infatti, è evidente a tutti che la sperimentazione di modelli di organizzazione produttiva a basso consumo energetico e chimico basati su una utilizzazione moderna di tecniche fondate sulla grande plasticità degli esseri viventi, è diventata necessità vitale per i Paesi del Sud del Mondo ed in particolare africani, sempre meno in grado di far fronte all'aumento continuo dei costi della agricoltura tradizionale. Questa tende infatti da molto tempo alla utilizzazione di materiale biologico e di tecniche conseguenti che mirano ad ottenere grandi quantità di prodotto con imput elevati tenendo purtroppo poco in conto le perdite di risorse a medio termine (suolo, acqua, variabilità genetica del materiale biologico) e l'aumento dei costi reso inevitabile dalla natura stessa degli esseri viventi su cui si basa l'agricoltura. Non a caso l'aumento nei consumi di antiparassitarii, anticrittogamici ed anche fertilizzanti per unità di prodotto è stato ed è costante per il rapido fissarsi di ceppi di parassiti resistenti ai mezzi di lotta chimici e contemporaneamente per la scomparsa dei loro predatori naturali da una parte, per il degrado dei terreni e in genere delle condizioni di fertilità naturali dall'altra. Si può ben dire, schematizzando, che l'uso della chimica è autocatalitico" e cioè ne aumenta la necessità. Questa è una delle ragioni fondamentali per cui la cosiddetta rivoluzione verde, fondata sulla selezione di varietà altamente produttive ma ad alto costo, è fallita in Africa e, dopo aver conseguito straordinari successi per alcuni anni in Asia ed America Latina, sta ora segnando il passo, tanto che la produzione pro capite di cibo dal 1984 in poi è costante o tende a decrescere.
Se tutto questo porta ad una situazione sempre meno sostenibile al Sud del Mondo, nei Paesi cosiddetti sviluppati i problemi relativi all'uso degli imput chimici ed energetici sono di due ordini diversi. Innanzituttto l'agricoltura tende da anni, anche a causa della presenza di eccedenze ma sempre di più per una spinta autonoma del mercato condizionato dalla pressante richiesta di salute dei consumatori, a rivolgersi verso produzioni di elevata qualità, capaci di spuntare prezzi unitari più elevati. In secondo luogo, in alcuni Paesi fra cui l'ltalia, i costi di produzione rendono sempre meno competitiva o addirittura insostenibile sul mercato l'agricoltura tradizionale, se non è sorretta da misure quali i marchi di qualità o incrementi di reddito paralleli per gli agricoltori fondati su una visione integrata dell'agricoltura e del territorio.
Incentivi di questo genere possono derivare dall'agriturismo, da premi per il mantenimento di bassi livelli di impatto ambientale, dalla contemporanea utilizzazione del territorio per vendere storia e cultura", risorse ambedue spesso tipiche delle zone dove ancora è praticata l'agricoltura e ad essa connesse intimamente. Come si vede quindi l'elaborazione di nuovi modelli di agricoltura, specialmente in un Paese come il nostro che ha condizioni pedoclimatiche spesso vicine a quelle di Paesi meno sviluppati ed in cui il territorio è stato da millenni plasmato dalla mano dell'uomo ed in particolare dagli agricoltori tanto da poter dire che non contiene più zone naturali" nel senso di non modellate dalla specie umana, viene incontro ad esigenze economiche e sociali che provengono in modo convergente, contemporaneamente dal Nord e dal Sud.
Certo, la costruzione dei nuovi modelli non è davvero opera da poco e non può essere ridotta solo alla messa a punto di specifiche tecniche alternative ma deve invece basarsi su sistemi agricoli complessivi e sulla trasformazione di aziende agrarie tipo. É con questa impostazione del resto che è stato lanciato il nuovo programma di ricerca agricola della CEE "Agricoltura ed agroindustria inclusa la pesca, programma che ha come obiettivi la qualità, l'ottenimento di tecniche a basso impatto ambientale, l innovazione inserita appunto in un quadro che vede "l'agricoltura, l'agroindustria e l'economia rurale considerate anche nei loro risvolti sociali come parti di un ecosistema globale 'e utilizza' in modo integrato modelli matematici per l'indagine biologica, tecnica e socioeconomica . Questi concetti sembrano essere stati indirettamente presenti al legislatore anche quando è stata elaborata la recente legge-quadro sulle aree protette all'articolo 13, della quale si leggono alcune indicazioni di notevole interesse. Fra le aree infatti in cui viene suddiviso il territorio sono previste "aree generali orientate in cui "possono essere consentite le utilizzazioni produttive tradizionali", aree di protezione in cui "possono continuare, secondo gli usi tradizionali ovvero secondo metodi di agricoltura biologica, le attività agro-silvo-pastorali nonchè di pesca e raccolta di prodotti naturali" e, soprattutto, le aree di promozione nelle quali sono consentite attività compatibili con le finalità istitutive del parco e finalizzate al miglioramento della vita socio-culturale delle collettività locali. Queste indicazioni vengono rafforzate dall'articolo 15 della stessa legge, tutto dedicato alle iniziative per la promozione "economica e sociale" in cui si afferma fra l'altro che l'Ente parco può concedere l'uso del proprio nome e del proprio emblema a servizi o prodotti locali che presentino requisiti di qualità e che soddisfino le finalità del parco. Si può dire cioè che nel parco sono previste attività promozionali fra le quali hanno un posto rilevante quelle relative alla valorizzazione dei prodotti naturali ovviamente in coerenza con i vincoli posti dalle aree protette. Ora è evidente che nessuna trasformazione della agricoltura nel senso prima auspicato è possibile se non vengono elaborati e diffusi metodi, tecniche, sistemi complessivi di conduzione già sperimentati sul campo in condizioni di massima protezione, in cui si possano analizzare e comparare dal punto di vista economico, della qualità e dell impatto ambientale livelli diversi di ecologizzazione della agricoltura, da quella tradizionale a quella biologica vera e propria. Le aziende delle aree protette potrebbero costituire da questo punto di vista uno strumento ideale sia di per sè stesse sia perchè potrebbero interessare aziende limitrofe magari a conduzioni diversificate alla sperimentazione estendendo l'area interessata alla ecologizzazione.
Oggetto della sperimentazione potrebbero essere, come si è accennato, tecniche specifiche integrate in modelli complessivi evitando tuttavia in ogni modo di trasformare le aree interessate in laboratori di ricerca, ma ricercando per la parte più innovativa la collaborazione di enti di ricerca esterni ed appaltando ad essi studi da condurre in laboratorio o comunque di tipo precompetitivo e non direttamente integrabili in un sistema produttivo. I campi di interesse sono ovviamente numerosi, e vanno dai metodi biologici o a minor impatto ambientale di protezione dagli stress biotici ed abiotici (lotta biologica, saggi di germoplasma resistente, tecniche agronomiche, eccetera) a tecniche di riduzione di impiego di fertilizzanti chimici (tecniche colturali, sistemi innovativi di interazione con l'allevamento, uso di germoplasma adatto, eccetera) alla introduzione di colture alternative, a sistemi integrati di utilizzazione a fini agricoli, turistici, di formazione culturale e professionale delle aree in produzione e a bosco, e altro ancora. Tutte le tecniche introdotte andrebbero comunque valutate (e questo probabilmente in prima istanza si può veramente fare soltanto in una azienda integrata in un'area protetta a gestione prevalentemente pubblica) dal punto di vista economico, inaugurando il sistema della stesura di "bilanci ecologici" in cui fra i costi figurino, a differenza di quanto si fa generalmente, non solo quelli immediati ma anche quelli a medio e lungo termine determinati dalla distruzione delle risorse e dalla necessità, crescente di anno in anno nell'agricoltura tradizionale, di ricostituirle. Ci riferiamo ad esempio alle spese necessarie per il recupero della fertilità, per la depurazione delle acque, a quelle determinate dalla perdita dei pronubi o dei predatori di parassiti, dalla comparsa di forme resistenti degli stessi, dalla eliminazione di germoplasma, eccetera. Contemporaneamente andranno valutati anche i possibili guadagni derivanti dalla diffusione non solo di materiali biologici provati (ad esempio provenienti da collezioni di germoplasma conservate in situ nell'area protetta) ma anche dalla vendita" di tecniche e metodi di conduzione e di formazione professionale di tecnici preparati a diffondere all'esterno i metodi appresi. É evidente infatti che l'organizzazione di sistemi sperimentali del tipo di quelli proposti non avrebbe gran senso o potrebbe addirittura risultare in un bilancio finale negativo se non altro dal punto di vista di una corretta gestione di un'area protetta se i risultati dello sforzo compiuto non fossero fonte di reale ecologizzazione diffusa dell'agricoltura. Questa d'altra parte potrebbe essere resa possibile da accordi con le Regioni e con le organizzazioni di categoria che prevedano la formazione di tecnici in "azienda protetta, magari in collegamento con le scuole esistenti ed in primo luogo con il CIFDA, e la loro successiva assunzione nei servizi di sviluppo agricolo comunque organizzati nella Regione di provenienza e/o in aziende private che lo desiderassero.
Va notato che accordi di questo genere potrebbero essere presi anche con Paesi extracomunitari e risultare in convenzioni specifiche possibilmente comprensive di impegni di sperimentazione e formazione. In questo modo potrebbe essere in parte superata la cronica mancanza di fondi per questi tipi di sperimentazione e raggiunto un certo grado di autonomia dell'azienda parco, e d'altra parte si eviterebbe che la sperimentazione ricadesse in ricerche di scarsa utilità o comunque non direttamente collegabili con una effettiva necessità presente sul territorio del nostro o di altri Paesi Analoghi accordi potrebbero essere stipulati con una serie di organizzazioni internazionali quali ad esempio la CEE, nell'ambito dei programmi di ricerca in agricoltura o per l'aiuto ai Paesi in via di sviluppo o in quello delle misure per la formazione di tecnici e le attività dimostrative di modelli di conduzione, le organizzazioni della cooperazione internazionale, la FAO, le organizzazioni e gli istituti di conservazione del germoplasma ed anche imprese private eventualmente interessate o alla produzione di materiale biologico utile per la ecologizzazione dell'agricoltura o alla sperimentazione di processi di trasformazione alimentare di alta qualità dal punto di vista sanitario e delle esigenze dei consumatori. ln quest'ultimo caso sarebbe di grande interesse la sperimentazione di filiere produttive ottimizzate nelle loro componenti, dalla scelta del materiale biologico adatto, alla tecnica colturale, alla commercializzazione della produzione primaria, alla trasformazione ed alla vendita del prodotto trasformato, sperimentazione già iniziata con successo in altri Paesi ed alla base anch'essa di programmi di ricerca internazionali .
Quanto detto è naturalmente solo una traccia molto generale di quanto si potrebbe fare per rendere le aree coltivate situate all'interno delle zone protette o ad esse limitrofe, e deve essere ovviamente adattato alle condizioni specifiche ed inserito nel quadro della riorganizzazione dei parchi prevista dalla legge-quadro precedentemente citata. Non sono indifferenti, ad esempio, per la riuscita del progetto, il dettaglio della organizzazione di gestione della sperimentazione, la struttura ed i compiti del necessario comitato scientifico, i suoi rapporti con la direzione dei parchi, le caratteristiche delle convenzioni, il rapporto con gli Enti locali e con le Regioni, le connessioni con gli enti di ricerca, eccetera. Da tutto questo anzi dipende in primo luogo l'impatto che una scelta del genere di quelle proposte potrà avere sull'agricoltura nel suo complesso, e non solo su necessariamente anche se ovviamente benvenute fette di essa devolute alla sola produzione biologica. Se è vero infatti, come pensiamo sia, che un reale abbassamento degli imput energetici e chimici medi non può che essere raggiunto con una articolazione su più livelli del processo di ecologizzazione, la scommessa implicita in quanto abbiamo finora detto è proprio quella di elaborare e diffondere metodi di conduzione utilizzabili nel maggior numero di condizioni ambientali ed economiche possibili, che permettano contemporaneamente il mantenimento di un livello di vita plausibile pergli agricoltori e migliorino in modo consistente le condizioni reali del consumo, facendo prevalere i bisogni reali di qualità e di salute su quelli fittizi basati esclusivamente su criteri economici A questa scommessa si potrà probabilmente rispondere in modo positivo solo in pochi, privilegiati casi sul territorio nazionale, e solo in questi casi quindi andrà fatta, tenendo comunque presente che il perderla significherebbe abdicare ad una delle funzioni fondamentali delle aree protette e rendere inutilizzabile uno strumento essenziale per la sperimentazione di fattibilità della trasformazione ecologica di un insieme di processi produttivi come l'agricoltura, elemento essenziale per la sopravvivenza della nostra specie.

Docente di Genetica agraria Università di Firenze