Federparchi
Federazione Italiana Parchi e Riserve Naturali


PARCHI
Rivista Parchi:
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Rivista del Coordinamento Nazionale dei Parchi e delle Riserve Naturali
NUMERO 5 - FEBBRAIO 1992



La pianificazione dei parchi
Renzo Moschini
In altra parte della Rivista pubblichiamo alcuni contributi sul piano del Parco di Portofino, predisposto dalla Regione Liguria, e sul quale, dopo la sua presentazione alla stampa, è in corso ora la consultazione pubblica.
Il piano merita di essere "segnalato" almeno per due ragioni.
La prima attiene al Parco: istituito nel 35, di poco più giovane, quindi, dei grandi parchi nazionali, disciolto", alcuni anni fa come ente"inutile", è stato ricostituito con legge regionale. Un Parco, dunque, assolutamente "speciale", non solo per la fama del suo territorio.
L'altra ragione è il piano stesso. Oggi i parchi dotati di un piano si contano, forse, sulle dita di una mano, al massimo di tutte e due. Un parco impegnato a darsi un piano fa quindi notizia. E la notizia può risultare, oltre che gradita, tanto più interessante se il piano ambisce a mettere a fuoco, con uno studio interdisciplinare a maglia molto fitta, i problemi di un territorio tanto famoso quanto - perchè è questo che emerge sorprendentemente dalle ricerche effettuate - poco conosciuto.
Si potrebbe aggiungere ovviamente, e non sarebbe certo una malevola forzatura, che era l'ora, vista "l'anzianità" del Parco.
Ma ciò non rende meno positiva ed interessante l'iniziativa della Regione Liguria.
Intanto perchè nessuno dei vecchi parchi nazionali, più "anziani" peraltro di quello di Portofino, si sono finora dotati di un piano. Alcuni ci stanno lavorando e, per quel che ci è dato sapere, sembrano finalmente incamminati sulla buona strada; è il caso del Gran Paradiso. Ma per ora ne sono ancora privi. Diversa è invece, per fortuna, la situazione dei parchi regionali, alcuni dei quali sono addirittura impegnati a predisporre il loro secondo piano". E anche chi non si è ancora dotato di un piano territoriale di coordinamento in base alle leggi istitutive, si è dato comunque, in molti casi, strumenti settoriali" di intervento: piani forestali, piani faunistici, eccetera.
I parchi regionali presentano quindi, nel loro complesso, una situazione molto più interessante di quella dei parchi nazionali, dovuta evidentemente all epoca diversa in cui sono stati istituiti, ai territori sui quali operano, alle leggi che ne regolano il funzionamento .
E tuttavia, pur con queste significative differenze, resta il fatto che i parchi e, più in generale, le aree protette del nostro Paese, non hanno finora considerato il piano territoriale, o di coordinamento o comunque si voglia definirlo, uno strumento obbligatorio, indispensabile.
Il piano, per il parco, non è ancora, insomma, quello che il P.R.G. è oggi per il Comune. D'altronde sappiamo benissimo che molti Comuni solo da poco considerano il P.R.G. uno strumento necessario, e soltanto perchè se ne è imposto, diciamo così, l obbligo generalizzato con rigorose e vincolanti disposizioni regionali.
Con l approvazione della legge-quadro sulle aree protette, la pianificazione diviene finalmente una condizione indispensabile per la istituzione e gestione di un parco. Il piano non è più una "facoltà", una opzione appesa al filo delle traversie politico-amministrative di un parco. E quindi l'inizio di una nuova stagione anche per la pianificazione nel nostro Paese, perchè il piano di un parco impone un ripensamento culturale, prima ancora che normativo, di tutti gli strumenti di intervento sul territorio. E lo impone innanzitutto perchè, come ha scritto Mario Fazio nella presentazione del libro di Gambino "I Parchi naturali", la pianificazione riguarda "un territorio largamente antropizzato come quello italiano, dove esistono condizioni ambientali e situazioni socio-economiche talmente differenziate da rendere del tutto astratte classificazioni rigide, indicazioni e graduatorie di valori altrettanto rigidi, zonizzazioni studiate a tavolino".
La pianificazione nei e dei parchi obbligherà pertanto tutti gli operatori - per questo, dicevamo, merita una segnalazione il piano del Parco di Portofino - ad una ricognizione incrociata del territorio interno ai perimetri protetti, ma con l'occhio ugualmente attento al contesto territoriale e socio-economico entro cui si colloca il parco.
Cambia e diviene insostituibile, infatti, scrive Gambino nel suo libro, "il ruolo della pianificazione in quanto attività complessa di conoscenza, progettazione, valutazione, decisione e gestione di fatti territoriali". Va spostato però "il peso della tutela dai vincoli e dai divieti alle azioni positive di riqualificazione, guida e prevenzione". Torna, insomma, il "contesto", il nuovo rapporto che deve stabilirsi tra "interno ed esterno", tra ciò che sta nel parco e ciò che sta fuori del parco. Cambia, in sostanza, la scala, la dimensione. Ma cambia anche la filosofia, l'analisi non più limitata ai fattori naturalistici, ma aperta alla 'comprensione dei processi di strutturazione storica del territorio". E comunque diversa la scala, sono diversi gli scopi, sono diversi gli oggetti; ma la diversità di fondo di una pianificazione che superi la distinzione tra ambito territoriale e ambito paesistico è data soprattutto dalla "diversità dei punti di vista, dei profili di lettura, dagli approcci tecnici e metodologici".
Solo così avremo il superamento di quella ambivalenza, che oggi permane, tra piani propriamente paesistici (legge 431 ) e piani urbanistici e territoriali. Una ricognizione dei due profili oggi è possibile proprio in base alla legge 431, che ha superato il vincolo estetico del vecchio 'bene culturale". A questo punto, però, dobbiamo chiederci quale obiettivo deve perseguire la pianificazione di un parco che non possa essere chiesto e perseguito con la pianificazione generale, paesisticamente e ambientalmente orientata, del territorio"?
Nell'editoriale del numero precedente ci chiedevamo quale ruolo deve e può avere oggi la protezione. L'interrogativo qui si ripropone, riferito però, più specificamente, al piano.
Gambino si chiede addirittura se esiste, ed ha ragione di esistere, un paesaggio dei parchi specifico ed irriducibile.
L'interrogativo concede forse troppo ad obiezioni che in termini così "elementari e radicali, almeno oggi, non hanno più ragione d'essere.
Anche il riferimento al "paesaggio" quale connotato "fondativo", diciamo così, di un parco, può rischiare di "spostare su versanti concettuali "estetizzanti" scelte ancorate invece a criteri e contenuti più "corposi" e ricchi, quali emergono dalla stessa legge-quadro.
In sostanza, per ricercare le connotazioni e le specificità o, se preferiamo, le "specialità" di un'area protetta, non ci pare sia necessario "ripartire" così da lontano.
E innegabile che una qualche 'peculiarità" il territorio protetto deve pure averla, altrimenti non si comprenderebbero i motivi del ricorso ad un regime, quello appunto dei parchi, che è sicuramente speciale, se affida ad un ente diverso da quelli elettivi, depositari naturali delle competenze di programmazione del territorio, un potere "forte, sia pure "controbilanciato" dalla Comunità del Parco, di adozione di un piano, che 'prevale" sugli altri strumenti di pianificazione .
E pure vero che la legge 431, che include i parchi all'interno delle categorie per le quali dovevano essere redatti i piani paesistici, ha in qualche modo compiuto un'operazione che consente di "passare dalle aree parco al parco esteso a tutto il territorio". E così facendo si è riconosciuto "che ogni parte del territorio possiede dei valori naturali degni di tutela; che, in altre parole, non esistono luoghi ove rispettare assolutamente la natura e luoghi ove non esiste alcun rispetto (Pochini).
Ma la filosofia, chiamiamola così, della protezione, quale si evince anche dalla legge-quadro recentemente approvata, "supera" ormai questa separazione" tra siti intangibili e vincolati, da proteggere con una "legge in più", e siti soggetti al regime ordinario di pianificazione, cui però è "sottratto" di interferire sui primi, concepiti quali "isole". La distinzione, o meglio, la linea di confine tra le aree protette e non, se è stata questa nel passato, non lo è più, però, oggi. Tanto è vero che anche nelle situazioni nelle quali la istituzione dei parchi ha seguito un criterio molto vicino a quello delle isole", se con ciò intendiamo aree fortemente connotate da una particolare o singola specificità, oggi si devono in qualche modo revisionare quei criteri, per adeguarli ad una visione, diciamo così,più integrata e complessa del territorio.
Dunque, se non si intende - come nelle posizioni appena richiamate mi pare si finisce invece per fare - negare un ruolo ai parchi, come entrano essi e la loro pianificazione in rapporto con il restante territorio e quindi con la pianificazione complessiva? A questo punto, però, avendo finora parlato indifferentemente di piano e di pianificazione con termini interscambiabili ed equivalenti, sarà bene chiarire meglio il concetto prima di riprendere il filo del ragionamento.
Se il piano è il prodotto di alcuni atti discendenti da un ' disegno" e da un 'apparato" di norme" capaci di indicare al singolo utilizzatore i criteri prevalentemente quantitativi cui attenersi, la pianificazione "comprende il piano e la sua formazione, ma anche la sua attuazione e implementazione, nonchè, in senso più ampio, l'insieme delle attività della Pubblica Amministrazione volte ad imprimere coerenza alle trasformazioni urbane e territoriali" (Salzano).
I piani sono dunque strumenti della pianificazione; i più importanti certamente, ma non gli unici. La precisazione non è superflua, perchè, pur non fornendoci ancora la risposta all'interrogativo: "cosa un piano del parco può darci di più e di diverso dagli altri piani, ci aiuta però a capire che la pianificazione di un parco comporta, per esigenze intrinseche, un raccordo con il "contesto" non solo fisico, ma anche politico-amministrativo, di cui parlavamo.
Il che conferma, anche da questo punto di vista, il superamento di quella "separatezza", e persino contrapposizione, che vi è stata in passato tra aree interne ed esterne ai parchi, per quanto non ne cancelli, naturalmente, la distinzione".
Viene così a stabilirsi, potremmo dire, una identificazione, sconosciuta alle precedenti esperienze di gestione delle aree protette, tra piano e parco.
Il piano è strumento indispensabile, oggi, non già perchè è la legge a stabilirne l'obbligatorietà, bensì in quanto il parco, se vuole assolvere al suo ruolo, deve, diversamente da prima, intervenire su un complesso di fattori, e per farlo ha appunto bisogno necessariamente di uno strumento di pianificazione. Uno strumento non subordinato' ai piani urbanistici e territoriali, né solo "armonizzato" con essi sulla base di rapporti di "buon vicinato", ma "concertato" attraverso un processo che assicuri la solidarietà e la coerenza delle scelte che competono a diversi soggetti coinvolti (Gambino) .
E abbastanza naturale, e non può sorprendere perciò, che spesso piano e parco trovino definizioni perfettamente coincidenti, da risultare facilmente fungibili ed interscambiabili. Se per Dolcetta, ad esempio, il piano territoriale di coordinamento non è un piano paesistico, perchè non deve "tenere separata la individuazione delle risorse dal concetto di gestione nella tutela e di tutela di sviluppo, per Giovanni Cannata il parco deve diventare la sede della economia della qualità".
Ha ragione quindi Gambino quando mette in guardia contro l'enfasi della "zonizzazione" perchè cristallizza le situazioni esistenti, le quali, proprio attraverso lo strumento parco e lo strumento piano, debbono, al contrario, essere, per così dire, rimosse" e, comunque, non incapsulate dentro rigide nicchie.
Si dirà che manca ancora però la risposta al quesito. Ma a questo punto essa comincia a delinearsi con maggiore chiarezza.
Se il parco va dotato di piano per diventare protagonista di una pianificazione territoriale realmente adeguata ad affrontare la realtà nei termini in cui essa oggi si pone, a governare le trasformazioni che hanno luogo nell'età dello sviluppo senza crescita, della qualità con obiettivo determinante, della necessità di un rapporto nuovo tra azione pubblica e intervento privato (Salzano), è evidente che il ruolo del parco è quello di operare questo sforzo su "particolari' territori, dotati di forte "individualità" e peculiari connotati di carattere non soltanto "naturalistico". Territori nei quali sia possibile, per dirla ancora con il Gambino, perseguire quattro finalità interconnesse: a) la conservazione ambientale; b) la fruizione sociale; c) lo sviluppo locale; d) la rappresentazione e comunicazione culturale.
L'estensione, chiamiamola così, degli obiettivi della pianificazione dei parchi anche ad aspetti non esclusivamente naturalistici in quanto il parco oggi, di norma e non in via del tutto eccezionale, opera su territori nei quali la presenza umana è comunque significativa - non deve ovviamente essere intesa come un modo per collocare sullo sfondo, fino quasi a cancellarli, gli aspetti naturalistico-ambientali, la cui essenzialità è fuori discussione.
Il rischio, lo sappiamo, è tutt'altro che teorico, come dimostra l'esperienza concreta della gestione dei parchi. Spesso infatti le cose che dovevano venire prima sono state relegate nelle posizioni di fondo, in quanto scomode, o anche solo perchè meno attrezzati ad affrontarle. D'altronde è noto che, salvo eccezioni, l'approccio alla pianificazione dei parchi è stato generalmente un "approccio urbanistico", sia pure con fasi diverse.
Ha scritto infatti Aldo Loiodice: "All'interno della esperienza legislativa regionale 'l'approccio urbanistico' si è tradotto in due tendenze distinte: in una prima fase alcune Regioni si sono mosse nel senso della utilizzazione del P.T.C. come piano dell'area parco ... al quale i Comuni devono adeguare quelle del P.R.G....; successivamente è risultata prevalente l'adozione di piani del parco con valore di 'stralcio' del P.T.C. che si sovrappongono e sostituiscono agli strumenti urbanistici comunali. A differenza dei P.T.C. i piani stralcio' sono strumenti di pianificazione di primo grado, e non strumenti di direttiva a larga maglia". A parere di Andreani, lo sviluppo della legislazione regionale manifesta quindi l'evoluzione "da un iniziale approccio solo urbanistico ad una serie di posizioni più variegate ed articolate, tali da far assumere al piano del parco connotazioni particolari e differenti rispetto agli strumenti urbanistici tipici".
Sono queste finalità perseguibili soltanto nei territori protetti? Certo che no.
Ma è innegabile che esse, in "determinati" territori, possono e debbono trovare condizioni specifiche e tipiche per divenire non solo "concretizzabili", ma anche suscettibili di essere verificate e sperimentate, perchè i loro risultati possano essere "valorizzati" ed utilizzati, anche "fuori" del parco.
E facile capire allora perchè diviene assolutamente discriminante e preliminare, nella istituzione di un'area protetta, la individuazione non solo del perimetro" amministrativo. E al tempo stesso perchè è altrettanto indispensabile che il piano, cioè lo strumento essenziale della pianificazione, non pretenda di irrigidire una volta per tutte la realtà complessa ed in trasformazione di un territorio, in un prodotto immodificabile, o modificabile a prezzo di continue e, spesso, rovinose "varianti" che ne snaturino di volta in volta il disegno originario.
Ciò significa allora, in sostanza, che occorre passare da una concezione del piano come definizione e disegno di una situazione finale di equilibrio, da raggiungere successivamente mediante una catena di atti (di programma e di gestione) attuativi di quel determinato e prefissato disegno, a una concezione della pianificazione come successiva definizione di una serie di situazioni d'equilibrio, ciascuna caratterizzata da una sua intrinseca coerenza" (Salzano). La gestione di questo tipo di pianificazione è indubbiamente più difficile, perchè richiede maggiori competenze e, soprattutto, comporta una costante verifica tra punti di partenza e i vari momenti del percorso, affinchè sia evitato tanto l'immobilismo, dovuto ad un malinteso rispetto del "dise- gno complessivo, quanto l'improvvisazione dovuta ad altrettanto malintese e demagogiche esigenze di 'concretezza .
Una gestione, come abbiamo visto, concertata di un piano che dialoga con altri piani (piani regolatori, piani provinciali di coordinamento, piani di bacino, piani paesistici, eccetera) e si misura con tutti i problemi: fisico-ambientali e storico-culturali, del territorio. Un piano "forte" che richiede un parco "forte", con una robusta struttura operativa permanente ed autonoma, in grado di seguirne tutte le fasi: di 'studio', si adozione e di attuazione. Condizioni queste che nella maggior parte dei parchi si è ben lungi dall'aver realizzato.
La nuova fase, quindi, che si apre anche sotto questo profilo con l'approvazione della legge-quadro, deve trovarci aperti e disponibili all'avvio di un ampio scambio di conoscenze, di messa a punto di ipotesi di ricerca e di lavoro, di verifiche incrociate sia di carattere generale che settoriale.
Quel che si è cominciato a fare anche timidamente ma con apprezzabili risultati per i piani forestali e per i piani faunistici, va estesa e rafforzata ad altri aspetti della pianificazione dei parchi, coinvolgendo operatori delle più diverse discipline e competenze e superando quella 'internalizzazione' che l'eccessiva specializzazione reca con sé, provocando chiusure ed incomunicabilità, i cui effetti negativi possiamo già misurare.
La pianificazione può e deve aiutarci a fare questo salto di qualità.