Federparchi
Federazione Italiana Parchi e Riserve Naturali


PARCHI
Rivista Parchi:
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Rivista del Coordinamento Nazionale dei Parchi e delle Riserve Naturali
NUMERO 7 - NOVEMBRE 1992


Regime vincolistico e strumenti nella legislazione italiana a protezione della natura
Barbara Gambini*

Riflessi della legge 1497/39 sul regime vincolistico dei parchi
Una tappa importante della legislazione in materia di tutela ambientale in periodo precostituzionale è la L. n. 1497/39 che segna il primo intervento legislativo a tutela di specifiche belleze naturali.
Scopo della L. 1497/39, come enunciato nel suo primo articolo, è la tutela delle bellezze naturali a causa del loro notevole interesse pubblico; di tale categoria di beni peraltro non è data una definizione unitaria distinguendosi piuttosto tra bellezze individue e bellezze di insieme ( 1 ).
Al di là di tale distinzione però, volendo enucleare un concetto unitario di bene-bellezza naturali, si può affermare che il valore di fondo al quale è riconducibile la tutela delle cose elencate dall'art. 1 della legge 1497/39 è il bello di natura", dandosi come significato di tale termine un determinato modo di essere e di sentire. Si tratta di paesaggi che suscitano ammirazione in chi li contempla.
Ci si rifà quindi ad una categoria salvaguardata soltanto per l'aspetto esclusivamente estetico che presenta; infatti anche se la legge parla di "singolarità geologica" (art. 1 n. 1 ) e di "tradizionalità del valore (art. 1 n. 3) tali componenti scientifica e storico-sociale non vengono di fatto adeguatamente valorizzate.
Questa impostazione di fondo si rispecchia anche nel ruolo assegnato dalla legge ai pubblici poteri anch'essi non devono andare oltre la protezione della conformazione fisica della cosa, non potendo intervenire attivamente con misure di salvaguardia. La legge, perciò, prevede l'imposizione del vincolo paesistico per proteggere il bene-bellezza naturale soltanto dalle possibili trasformazioni derivanti dalle attività dei soggetti che ne hanno la disponibilità, ma non evita che questi beni subiscano un deterioramento derivante da cause "naturali". Anche questa disciplina legislativa, come quella sui parchi nazionali, risulta inadeguata e si richiama ancora a un concetto ristretto di bene ambientale, coincidente con la nozione di semplice quadro naturale, che non si estende invece alla globale conformazione del territorio. In particolare, le belleze a cui si riferisce questa legge, anche se usate quale terminologia equipollente alla nozione di paesaggio, non tengono in conto alcuno il fenomeno dell'antropizzazione.
Questi presupposti nozionali trovano conferma nella struttura della legge che prevede un apparato vincolistico che vieta al proprietario/possessore ogni trasformazione del bene che pregiudichi l'aspetto estetico-culturale; si impongono pertanto dei semplici divieti di trasformazione senza mirare al recupero, alla valorizzazione dell'esistente, all'interno della programmazione generale del territorio.
Lo strumento attraverso cui opera la L. 1497/ 39 è l'imposizione di vincoli (2) ai beni inclusi negli elenchi redatti, ai sensi dell'art. 2, da apposite commissioni (oggi di competenza delle Regioni): infatti i proprietari di tali beni cui è stato notificato il decreto di vincolo ai sensi dell'art. 6, non possono procedere a trasformazioni di questi che pregiudichino l'aspetto esteriore protetto dalla legge.
L'art. 5 prevede la possibilità, per il Ministro per l'Educazione nazionale ( 3), di disporre un piano territoriale paesistico per le bellezze di insieme incluse in vaste località, teso a coordinare i diversi interventi di salvaguardia ambientale che possono interessare la zona; ma la normativa è rimasta pressochè inattuata fino agli anni settanta circa. Questo piano, peraltro, ha una posizione eventuale sia rispetto alla qualificazione del bene come bellezza naturale (che avviene tramite l'inclusione negli appositi elenchi), sia rispetto al controllo autorizatorio alla trasformazione e utilizzazione delle aree vincolate. La redazione del piano, infatti, è prevista come mera facoltà; esso è soltanto un mezo di regolazione del vincolo, uno strumento di gestione, di attuazione dello stesso prescrivendo le modificazioni dello stato dei luoghi che possono essere attuate e quelle assolutamente vietate.
In altri termini la L. 1497/39, prevedendo che i beni vengano individuati dalla inclusione negli elenchi e dalla imposizione dei vincoli, indipendentemente quindi dalla redazione del piano paesistico, non indica appropriate forme di correlazione tra gli strumenti di pianificazione urbanistica e i piani paesaggistici. Soltanto l'art.12 prevede, genericamente, che l approvazione dei piani regolatori dell'abitato deve essere impartita di concerto con il Ministro per l'educazione nazionale al fine di permettere la salvaguardia delle belleze naturali. Fin dall'inizio, quindi, si è riconosciuta in linea di principio l'autonomia tra la disciplina delle bellezze naturali e quella urbanistica che verrà regolata dopo pochi anni dalla L. 1150/42. Al di là dei meri riferimenti letterali contenuti in questa, l'assetto predisposto dal piano territoriale di coordinamento si configurava, perciò, come un sistema sostanzialmente indifferente ai problemi di tutela ambientale.

L'istituzione dei parchi nazionali ed i vincoli da essi scaturenti

La legislazione statale specificamente emanata per la salvaguardia ambientale nei primi decenni del 900, non risulta particolarmente copiosa ed infatti gli strumenti utilizzati a tali fini erano essenzialmente due: i parchi ed il regime vincolistico imposto con la legge di tutela delle bellezze naturali (L. 1497/39), cui prima abbiamo fatto riferimento.
I parchi nazionali (4), infatti, vengono istituiti intorno agli anni '30, conformemente alla concezione dell'epoca, che concepisce il parco come un'isola protetta", in un contesto che vede l intervento statale in questa materia del tutto eccezionale e giustificato da specifiche, particolari esigenze di tutela (5).
Dall'esame della normativa concernente i parchi nazionali, emerge che la finalità comune a tutti è la protezione di determinati ambienti naturali, di estensione più o meno ampia, aventi particolari tipicità, il miglioramento dell'assetto del territorio nonchè la promozione del turismo (6).11 dato testuale sembrerebbe pertanto smentire la tesi per cui i parchi nazionali mirano esclusivamente alla protezione della natura. Abbandonando però il piano teorico per condurre l'analisi alla luce dell'attuazione concreta di questi disposti, vediamo la netta prevalenza dell aspetto protezionistico sugli altri.
Le ragioni di questo fenomeno vanno ravvisate, ad di là dei differenti costi finanziari, nella diversità degli strumenti che i parchi nazionali hanno a loro disposizione per l'attuazione di questi scopi: infatti, nelle zone del parco sono imposti vincoli che limitano le attività esplicabili all interno di esse, che vietano le manomissioni od alterazioni delle bellezze naturali e successivamente, con la legge del 39, essi possono utilizzare i piani paesistici propri di questa legge (la cui applicazione è fatta salva dalle disposizioni dei parchi stessi). Per il perseguimento delle altre finalità, al contrario, si utilizzano strumenti meno agevoli: ad esempio, per la promozione turistica si prevedono concessioni di sussidi oppure per il miglioramento dei terreni si impiegano l'esproprio di terreni o gli accordi con i proprietari in ordine alle attività da impiantare a questo fine. L'altro strumento offerto dalla legislazione è, lo si è già detto, la legge del '39 che mira alla salvaguardia paesistica imponendo vincoli a beni qualificati bellezze individue o d'insieme. La funzione conservativa propria dei parchi, però, va diversificata da quella prevista dalla L. 1497/39 per la protezione delle bellezze naturali perchè quest'ultima fa riferimento esclusivamente a controlli volti ad evitare le alterazioni dei tratti morfologici di questi beni, mentre nei parchi, oltre all'intervento puramente interdittivo di attività pregiudizievoli alla conservazione ambientale, si prevedono anche iniziative volte in positivo al mantenimento del sistema ecologico (per esempio popolamento faunistico, sistemazione forestale, eccetera). Rimane comunque, anche per il parco, un'azione preminente di tutela della natura che impedisce l'attività di sviluppo economico (7).
In questa accezione estremamente riduttiva delle finalità del parco, non deve sorprendere il fatto che il territorio interessato sia considerato in maniera del tutto avulsa dalle zone circostanti: le varie leggi che, dopo quella istitutiva, sono intervenute ad ampliare i confini del parco, hanno accordato tutela a determinate componenti della zona (quali la flora, la fauna, le formazioni geologiche ed il paesaggio) operando quindi in modo settoriale, rifuggendo da una concezione globale del territorio. In capo all'ente-parco, perciò, manca qualsiasi funzione di pianificazione territoriale in osservanza, del resto, al pensiero dominante a quell'epoca, che ispirerà anche la prima legge urbanistica emanata nel 1942 (L. 1150/42) (8): i parchi nazionali, privi del potere di pianificazione del territorio ricompreso entro i loro confini, si sono trovati in posizione di estraneità e di potenziale conflitto con gli enti locali interessati alla zona, cui viceversa tale potere è demandato dalle leggi urbanistiche. Date queste premesse, quindi, era inevitabile che i parchi operassero attraverso l imposizione di semplici divieti, di limitazioni in negativo.
Il concetto di tutela ambientale, che si è andato costruendo in connessione all'attività dei parchi nazionali, appare così caratterizzato da una nozione di protezione paesaggistica in termini soltanto passivi: si vieta ogni trasformazione per mantenere l'assetto ambientale esistente, senza per altro far luogo ad interventi di recupero delle zone degradate; il parco si presenta perciò come istituto di tipo "naturalistico, e tende a coincidere con quello di riserva naturale: ci si riferisce alla salvaguardia di zone incolte, 'selvatiche", sottratte ad ogni attività produttiva umana.
Data l'inadeguatezza dello schema in tal modo predisposto, si capisce facilmente perchè la strada dei parchi nazionali fu ben presto abbandonata fino a che, con il funzionamento delle Regioni ordinarie, si aprì quella ai nuovi parchi regionali.
La L. 394/91 - proprio perchè interviene in un momento in cui si è da un lato constatato il fallimento della figura del parco nazionale precedentemente delineata e dall'altro si è preso atto del successo dei parchi regionali istituiti e gestiti in base ad una concezione fortemente diversa dell'intervento a protezione della natura - ha previsto un'organizzazione dei parchi nazionali che tende ad ovviare ai difetti da ultimo evidenziati. L'idea di fondo è soprattutto quella di non ricreare un dualismo insanabile tra l'ente gestore del parco e gli enti locali che hanno competenza in materia di pianificazione territoriale, e questo obiettivo è perseguito prevedendo varie forme di raccordo tra i soggetti cui fanno capo gli interessi propriamente locali e quelli portatori di interessi nazionali.
Innanzi tutto l'istituzione del parco nazionale deve essere disposta previa intesa con le Regioni a statuto speciale e con le Province Autonome di Trento e di Bolzano (qualora all'interno del parco ricadano territori facenti parte di questi enti territoriali) e comunque sentendo le Regioni (ordinarie) nelle altre ipotesi.
Per quanto attiene più specificamente alla gestione dell area protetta, si prevedono, quali organi dell'Ente-parco: il presidente, il consiglio direttivo, la giunta esecutiva, il collegio dei revisori dei conti e la comunità del parco. Merita soffermare l'attenzione sul consiglio direttivo e sulla comunità del parco. Il primo, infatti, è composto da 12 membri particolarmente qualificati in materia di protezione ambientale, alcuni dei quali vengono eletti su designazione della comunità del parco e delle associazioni ambientaliste individuate ex art. 13 L.349/86; la seconda, invece, è formata dai presidenti delle Regioni, delle Province, delle Comunità montane e dai sindaci dei Comuni i cui territori ricadono entro i confini del parco. Coerentemente all'idea perseguita dalla L. 394/9 1, quella cioè di instaurare un coinvolgimento delle istanze locali ai problemi di tutela e di gestione dell'area naturale protetta e di ottenere, così, un equo contemperamento tra le esigenze protezionistiche e quelle di sviluppo economico-sociale della zona de quo, al consiglio direttivo compete elaborare lo statuto del parco ed esprimere parere vincolante sul piano economico e sociale che, ex art. 14, indica le direttive di promozione delle attività compatibili con le finalità di tutela ambientale; la comunità del parco, oltre a deliberare il piano da ultimo citato ed a vigilare sulla sua attuazione, esprime parere obbligatorio sul regolamento ed il piano del parco, di cui rispettivamente agli artt. Il e 12 (questi due ultimi strumenti stabiliscono le concrete attività di gestione e di utilizzazione pubblica dell'area protetta, tenendo conto delle diverse forme di salvaguardia proprie di ogni "zona" in cui è suddiviso il territorio protetto).

La legislazione delle Regioni in materia di parchi e di tutela ambientale

Passando all'esame della situazione regionale, dobbiamo prendere le mosse dagli anni '70, quando inizia il trasferimento di competenze alle Regioni ordinarie che permette a tali enti locali di attivarsi adottando forme di tutela ambientale differenti da quelle delineate con l'istituzione dei primi parchi nazionali è proprio la politica ambientale regionale, infatti, che rilancia il nuovo concetto di protezione della natura, delineatosi a partire da quegli anni nell'opinione pubblica. Con la prima regionalizzazione operata dai decreti del 1972 con cui vengono trasferite alle Regioni le funzioni statali in materia urbanistica, si riconosce a queste il potere di redigere i piani territoriali paesistici, ma rimane allo Stato la competenza per la individuazione delle belleze naturali: si mantiene pertanto l'indipendenza tra gli strumenti urbanistici ed il provvedimento di individuazione delle bellezze naturali. Un secondo passo in avanti nell'avvicinamento dei due settori si avrà con il DPR n. 11/72 che, pur prevedendo la competenza statale per i parchi nazionali (art. 4 lett. S), accorda alle Regioni la facoltà di emanare provedimenti a protezione della natura purchè non contrastanti con gli interventi statali (art. 4 lett. h).
Senz'altro più decisivo è stato il tentativo di collegare le due componenti sopra indicate, con la seconda regionalizzazione operata dal DPR 616/77. Con questo provedimento vengono trasferite alle Regioni le competenze in materia urbanistica (art.80) (9) e di protezione della natura (art.83) e vengono delegate le funzioni amministrative prima esercitate dagli organi centrali e periferici dello Stato per la protezione dei beni ambientali (art. 82).
Mentre rimane immutata la situazione dei parchi nazionali fino all'emananda legge-quadro (art.83), alle Regioni si riconoscono competenze più ampie in materia ambientale e si apprestano gli strumenti per un intervento organico di programmazione generale di tutto il territorio.
Attraverso i succitati decreti è venuto così a concludersi quel processo evolutivo teso a sostenere l'esigenza di coordinamento tra urbanistica e beni ambientali, all'insegna della programmazione generale dell'uso del territorio.
Per quanto riguarda la competenza regionale ad istituire i parchi, alla luce delle due regionalizzazioni precedentemente citate, possiamo muovere alcune considerazioni generali prima di analizzare in concreto cosa si intenda per parco regionale . Tenendo conto che l'art. 4 lett.s del DPR n. 11/72 esclude la competenza regionale per l'istituzione dei parchi nazionali, emerge chiaramente l'aggravarsi della situazione di questi ultimi che, oltre ad operare nella originaria frammentarietà (maggiormente acuita dalla mancata emanazione per molti anni di una normativa generale), vengono nuovamente esclusi da ogni collegamento con le istanze locali. La incongruenza di questa disciplina risalta maggiormente solo che si tenga presente che l'esclusione della Regione in materia di parchi nazionali non deriva nè da norme che delineano il quadro entro cui deve operare la legislazione regionale, nè da atti di indirizzo e coordinamento dell'attività amministrativa regionale ad opera dello Stato, ma puramente e semplicemente in base all interesse nazionale sotteso all'istituzione di questi parchi che eccedono i confini regionali. Sempre alla luce dei DPR del 72, pur non avendo le Regioni potere in tal senso, ci si chiede se esse possano procedere all'istituzioni di parchi regionali: dall esame del DPR n. 11/72 emergono dati contrastanti perchè, accanto alla mancata previsione di un'espressa competenza in tale ambito, si ha l'art.4 lett. h che attribuisce alle Regioni interventi a protezione della natura non contrastanti con quelli statali; al di là di tali questioni, comunque, alcune Regioni hanno proceduto all'istituzione di parchi regionali ancor prima del DPR 616/77 facendo leva sulla competenza già loro attribuita in altre materie che con questo strumento vengono correlate le une con le altre (cave e torbiere, urbanistica, caccia e pesca, agricoltura e bonifica, eccetera). Completato il trasferimento di competenze alle Regioni grazie al già ricordato DPR616/77, si assiste ad un'evoluzione del concetto di parco che vuole rilanciare questo istituto come efficace strumento a protezione della natura, superando le lacune e le incongruenze della precedente legislazione sui parchi nazionali. Infatti rispetto sia all'evoluzione della legislazione amministrativa (cioè il trasferimento di competenze alle Regioni), sia rispetto ai nuovi problemi connessi alla salvaguardia della natura collegati alle trasformazioni socio-economiche, è profondamente mutato il quadro delle condizioni materiali in cui si inseriva la legislazione dei parchi nazionali. Alla luce dei problemi che pongono le nuove tecniche dell'agricoltura e della silvicoltura, il diffondersi di impianti industriali altamente inquinanti, l'aprirsi di nuove vie di comunicazione, l'esplosione dell'edilizia turistica, le poche isole protette dai parchi nazionali risultano ancor più vulnerabili sol che si tenga presente che il legislatore dell'epoca non aveva previsto una disciplina per la salvaguardia dai deterioramenti. Da quanto detto risulta l'insufficienza del modello originario di parco e la necessità di tener conto delle attività umane mutate qualitativamente e quantitativamente rispetto ai modelli di vita dei tempi in cui il parco ebbe origine. In questa situazione, pertanto, ben si comprende come il DPR 616/77 sia stato accolto quale normativa nuova che offre strumenti di intervento adeguati a risolvere le problematiche sorte fino a quell'epoca. l nuovi parchi dovranno comprendere un territorio considerato ad usi multipli, dove accanto alla conservazione della natura ci sia spazio anche per finalità di ricerca scientifica, di ricreazione, di fruizione sociale: questa nuova struttura può essere realizzata con il metodo delle zonizzazioni (a seconda delle diverse finalità compatibili con la salvaguardia dell'assetto dei luoghi, vi saranno diversificati vincoli).
Nell'attesa della emananda legge-quadro in materia, mentre è rimasta sostanzialmente congelata la disciplina dei parchi nazionali, sono state le Regioni che hanno provveduto alla istituzione dei parchi regionali, recependo questi nuovi orientamenti emersi sia in dottrina che in giurisprudenza.
Attualmente l assetto predisposto dalla legge-quadro per i parchi regionali è finalizzato alla realizzazione di un'effettiva partecipazione degli enti locali alla gestione dell'area protetta perchè, ex art.22 comma 2, ciò costituisce principio fondamentale di riforma economico-sociale: è pertanto una disposizione operante anche nei confronti delle Province Autonome e delle Regioni a statuto speciale. Il raccordo tra le competenze in materia di pianificazione territoriale facenti capo alle Regioni ed agli enti locali minori è espressamente previsto con il richiamo alle competenze delle Province ex art. 14 L. 142/90 (secondo il disposto dell art.22 comma I L.394/ 91): questo ente intermedio ha, infatti, un ruolo fondamentale all'interno della politica territoriale perchè, ex art. 15 L. 142/90, predispone ed adotta il P.T.C. al cui interno devono essere indicate anche le aree nelle quali è opportuno istituire parchi o riserve naturali. L'art. 14 L. 142/90 attribuisce, inoltre, a tale ente le funzioni amministrative di interesse provinciale relative ai parchi e alle riserve naturali: su tale disposizione è sorto subito un diffuso allarmismo che peraltro non ha fondamento, in quanto le competenze della Provincia si esauriscono - tornando alla L.394/91 - in riferimento ad aree protette di estensione provinciale e cioè le "aree verdi urbane e suburbane" cui fa menzione l'art. 4 comma 3.
Tenendo conto della peculiarità di ciascuna zona compresa nei confini di un parco regionale, inoltre, il legislatore statale non ha voluto imbrigliare eccessivamente l'autonomia regionale per quanto riguarda sia l'organizazione amministrativa sia la gestione concreta del parco stesso. A questo proposito dispongono gli artt.24 e 25 stabilendo che lo statuto di ciascun ente dovrà indicare la composizione, il funzionamento ed i poteri degli organi genericamente individuati dalla L.394/91; ogni ente dovrà adottare il piano del parco e, nel rispetto delle preminenti finalità di tutela ambientale, deve indicare e promuovere le attività sociali, culturali ed economiche compatibili con esse.

La legge 8.8.1985 n. 431: nuove prospettive di tutela dell'ambiente e strumenti pianificatori

All'interno del quadro degli interventi legislativi più significativi per la salvaguardia ambientale, merita un cenno la legge Galasso. Le vicende che hanno portato alla emanazione di questa normativa sono state un pò complesse; si ricordi, infatti, che l'intervento statale in materia ha avuto inizio con il d.m. 21 settembre 1984 (con cui si sottoponevano a vincolo ambientale vaste zone di territorio nazionale), peraltro subito impugnato dalle Regioni davanti al TAR ed annullato da questo in quanto carente di un'adeguata base normativa, per il fatto che un atto amministrativo "deve possedere carattere puntuale e concreto, traducendosi la funzione amministrativa nella verifica, in relazione a casi singoli, delle condizioni stabilite dall ordinamento per l imposizione di vincoli determinati, su beni astrattamente riconducibili alle categorie individuate dal legislatore"(10).
A seguito di questa decisione, si è provveduto pertanto alla emanazione del decreto-legge 27.6.1984 n. 312, convertito nella L. 8.8.1985 n. 431. La legge Galasso oltre ad ampliare notevolmente, rispetto alla normativa precedente, l'ambito dei beni da tutelare con strumenti paesistici, nell'art. l bis fa obbligo alle Regioni di sottoporre a specifica normativa d uso e di valorizzazione ambientale il relativo territorio, mediante la redazione di piani paesistici o di piani urbanistico-territoriali con specifica considerazione dei valori ambientali, da adottarsi entro il 31.12.86 ( I l ).
L'assetto delineato dall'art. I bis, pertanto, supera l'impostazione della legge 1497/39 considerando il paesaggio in una accezione non soltanto più ampia, ma anche più dinamica, attraverso un coordinamento funzionale con l'urbanistica.
Anche la Corte Costituzionale nella sentenza 26.4.86 n. 151 ha sottolineato che la L. 431/85 introduce una tutela del paesaggio improntata a integrità e globalità, in aderenza a quanto disposto dall'art. 9 Cost."; infatti, sempre secondo il giudizio della Corte, si ha una proiezione della tutela ambientale sul piano dell'urbanistica che accentua il carattere gestionale e dinamico (non più conservativo) della tutela paesaggistica.
Attraverso una analisi dei vincoli notiamo l'evoluzione del significato di ambiente: da porzione di territorio protetta eccezionalmente per il suo pregio estetico in funzione conservativa, a bene-risorsa cui è legata un'attività pubblica di valorizazione oltre che di conservazione ( 12); pertanto cambia anche la stessa gestione del vincolo: non si ha più una pianificazione ambientale (cioè una pianificazione di certi beni), ma dell'ambiente (cioè una pianificazione di scopo, non più legata a valutazioni caso per caso).
L'art. l bis stabilisce una sorta di equipollenza tra piani paesistici e piani urbanistico-territoriali e supera pertanto la tradizionale contrapposizione tra gli uni e gli altri fondata sul duplice regime della legge 1497/39 e della 1150/42: i piani di cui parla la legge Galasso, in sostanza, sono piani paesistici con finalità di regolazione globale del territorio oppure piani urbanistico-territoriali finalizzati alla tutela dei valori ambientali. Tra i piani paesistici ed i piani urbanistico-territoriali, pertanto, non si ha una sostanziale identità di funzioni perchè questi, oltre a tener conto dei valori ambientali, ben possono contenere altre prescrizioni propriamente 'urbanistiche" (possono, per esempio, scegliere le località sedi di nuovi nuclei edilizi, designare la rete di comunicazione, eccetera).
Un'altra innovazione importante rispetto all'art. 5 della L. 1497/39 è l'obbligo per le Regioni di adottare questi piani (laddove la precedente legge prevedeva solo una semplice facoltà); per evitare che lo strumento così delineato risulti frammentario, le Regioni possono comunque includere nei piani dell art. l bis anche zone non comprese nell'art. 82 comma 5 del DPR 616/77 e quindi anche parte del territorio non sottoposta ad alcun vincolo; ciò si desume dal fatto che la legge Galasso usa l'espressione "con riferimento" (e quindi non limitatamente) ai beni e alle aree elencati "... Ie Regioni sottopongono a specifica normativa ..." il relativo territorio.
I piani previsti dalla legge Galasso hanno indubbiamente il potere di imporre vincoli di inedificabilità, sia perchè questo è con naturale alla pianificazione con finalità di tutela ambientale, sia perchè essi sono coessenziali alla difesa immediata dei valori paesistici (del resto la legge Galasso non a caso parla di piani urbanistico-territoriali: in genere per"piano territoriale" si intende uno strumento di indirizzo e controllo dell'uso del territorio che contiene direttive nei confronti delle pubbliche amministrazioni competenti, mentre per "piano urbanistico" si intende uno strumento che contiene precetti conformativi della proprietà immobiliare; pertanto la dizione "piano urbanistico-territoriale" fa riferimento ad entrambi i contenuti e perciò si ha uno strumento che prevede sia direttive che precetti vincolanti per i privati).
Il quadro si completa con la previsione di misure di salvaguardia ai sensi degli art. 1 tere 1 quinques che ha la funzione di garantire che la pianificazione paesistico-territoriale non venga pregiudicata da un preventivo assalto alle residue risorse ambientali che il legislatore vorrebbe proteggere: esse quindi hanno una funzione meramente cautelare (13).
Gli strumenti identificati da tali articoli, peraltro, si differenziano rispetto alle ordinarie salvaguardie da collegarsi alla tutela di una disciplina territoriale già adottata, perchè hanno quale caratteristica particolare l'assenza di un piano di intervento precedentemente deliberato. C'è da aggiungere che tali misure, diversamente da quanto previsto dalla L. 1497/39, pongono un vincolo di inedificabilità assoluto che non può essere aggirato con la richiesta di autorizzazione ex art.7 L.1497/39 (14); infatti gli unici interventi ammessi sono quelli di manutenzione ordinaria e straordinaria, di consolidamento statico e di restauro conservativo che non alterino lo stato di fatto esistente.
La legge-quadro è del tutto in linea con l'impostazione della legge Galasso perchè afferma, tanto per le aree protette nazionali (art. 12) che per quelle regionali (art. 25), che il piano del parco ha valore di piano paesistico ed urbanistico e si sostituisce alle differenti previsioni contenute negli strumenti pianificatori di qualsiasi livello: è, infatti, estremamente controproducente e porterebbe al sicuro fallimento di ogni forma di tutela naturalistica la mancata previsione di una forma di coordinamento tra politica ambientale ed urbanistica, all interno della programmazione generale dell'uso del territorio.

( l ) Per bellezze individue si intendono cose mobili che hanno cospicui caratteri di belleza naturale, ville, giardini, parchi, che si distinguono per la loro non comune bellezza (art. l nn.1-2); per belleze d'insieme si intendono complessi di cose immobili e belleze panoramiche considerati come quadri naturali e anche i punti di belvedere dai quali si gode lo spettacolo di quelle bellezze (art. I nn. 3-4). Mentre per le prime il pregio che forma oggetto di tutela appartiene direttamente alla cosa, per le seconde il valore estetico appartiene all'intero quadro naturale tutelato, ben potendo le singole cose immobili che lo compongono non avere particolare pregio estetico.

(2) Per vincoli si intendono le "posizioni soggettive sfavorevoli in cui vengono a trovarsi, in ordine alla utilizabilità della cosa, i titolari di diritti su beni fatti oggetto di misure restrittive in conseguenza di provvedimenti posti in essere dalla autorità governativa in funzione della tutela paesistica". Cfr. Sandulli: "Natura ed effetti dell imposizione di vincoli paesistici", in Riv. Trim. D. Pubbl. 1961, 809.

(3) La competenza in ordine alla pianificazione è stata oggi trasferita alle Regioni: già con il DPR 616/77 che all'art.80 prevede che le Regioni abbiano competenza in materia urbanistica, che concerne la disciplina dell'uso del territorio, comprensiva di tutti gli aspetti conoscitivi, normativi e gestionali riguardanti le opere di salvaguardia e di trasformazione del suolo, nonchè la protezione dell'ambiente"; questa scelta è stata confermata, successivamente, con la L. 431/85 che all art. I bis fa obbligo alle Regioni di redigere piani paesistici o piani urbanistico-territoriali con specifica considerazione dei valori paesistici ed ambientali.

(4) I parchi nazionali istituiti intorno agli anni 20-30 sono: il Parco Nazionale del Gran Paradiso (R D.L. 3.12.1922 n. l583); quello dell'Abruzzo (L. í2.7.1923 n. 1511: conversione con modificazioni del R D.L. I l . I .1923 n. 257); quello del Circeo (L. 25..1.1934 n. 285); quello dello Stelvio(L. 24.4.1935 n. 740); il Parco Nazionale della Calabria, invece, è di epoca più tarda: L 2.4.1968 n. 503.

 

(5) In questa ottica si capisce perchè la normativa statale dei parchi nazionali sia rimasta, in seguito, slegata rispetto al nuovo impianto legislativo che, anche dopo l'entrata in vigore della Costituzione e soprattutto a partire dagli anni 60, ribalterà questo rapporto regola/eccezione in ordine all intervento dei pubblici poteri in materia.

(6) Vd. in tal senso l'art. l della legge istitutiva del Parco del Gran Paradiso, dove si afferma che scopo dell'istituzione del parco è la conservazione della flora e della fauna, la preservazione delle speciali formazioni geologiche nonchè della bellezza del paesaggio. Le leggi istitutive degli altri parchi, invece, oltre a questa finalità, prevedono anche la promozione del turismo e dell'industria alberghiera (quest'ultima in verità è indicata solo per il Parco Nazionale d'Abruzzo) . Per quanto attiene all'attività turistica, va peraltro subito rilevato che questa (e per il Parco d'Abruzzo anche quella alberghiera) non era intesa come un fenomeno di tipo residenziale, perchè in tal senso si sarebbe trovata in contraddizione con la finalità eminentemente conservativa del Parco, ma piuttosto come elemento idoneo a far conoscere e valorizzare lo stesso, senza alterare la tipicità ambientale salvaguardata sempre in modo preminente (il turismo viene inteso pertanto in modo esclusivamente escursionistico).

(7) In tal senso si è espressa anche la Corte Costituzionale con la sent. n. 142 del 24.7.72, affermando che il fine primario dei parchi nazionali è quello di conservare integro un insieme paesistico caratterizzato da valori estetici, scientifici ed ecologici di raro pregio, preservandolo dal pericolo di manomissioni ed alterazioni .

(8) La L 1150/42 contiene, per la prima volta, una disciplina di pianificazione urbanistica, prevedendo l'adozione, peraltro in via facoltativa, da parte dei Comuni di un P.R.G.; questo, ex art.7, deve indicare la localizazione delle principali vie di comunicazioni e degli impianti connessi; delle aree di uso pubblico (giardini, parchi); delle opere pubbliche o private di pubblica utilità; la divisione del territorio comunale con la precisazione delle zone destinate all'espansione dell aggregato urbano e la determinazione delle prescrizioni tipologiche e volumetriche da osservare in ciascuna zona (zonizazione) . La disciplina era dettata per l assetto e l'incremento edilizio dei centri abitati': non si faceva pertanto obbligo di richiedere la licenza edilizia per le opere da realizzarsi fuori da questi o nelle zone di espansione.

(9) Infatti nella nozione di urbanistica ex art.80 si parla di uso del territorio comprensivo di tutti gli aspetti conoscitivi, normativi e gestionali riguardanti la salvaguardia, la trasformazione del suolo nonchè la protezione della natura.

(10) Vd. Sent. TAR LAZIO 31.5.1985 n. 1548.

(1l) Per la legittimità di tale disposto vedi Corte Costituzionale sent. 24.6.1986 n. 153.

(12) In dottrina si sono avute due differenti interpretazioni dell art. 9 comma 2 Cost.: secondo Sandulli, la nozione di paesaggio adottata in questa normativa equivale a quella di bellezza naturale, mentre per Predieri essa non va intesa in questo significato ridotto, ma abbraccia tutto ciò che all'interno dell'intero territorio concorre a determinare l'ambiente in cui vive l'uomo (il paesaggio è inteso come dinamica trasformazione della natura ad opera dell'uomo).
Cfr. Sandulli "La tutela del paesaggio nella Costituzione", in Riv. g. edil. 1967,11, 69.
Predieri "Urbanistica, tutela del paesaggio, espropriazione", pag. 15.

(13)Infatti tali vincoli di immodificabilità devono essere finalizzati alla redazione dei piani e pertanto un provedimento non adeguatamente motivato dalla esigenza di salvaguardare la situazione esisterebbe viziato da eccesso di potere.
Cfr Famiglietti-Giuffré "Il regime delle zone di particolare interesse ambientale", pag. 247.

(14) Secondo l'analisi condotta dal Sandulli, l'autorizzazione prevista dall'art. 7 L. 1497/39 sarebbe da qualificarsi piuttosto come licenza, appartenendo all'ambito dei provedimenti discrezionali sull"'an".
Cfr. Sandulli "Natura ed effetti dell'imposizione dei vincoli paesistici", 1961.
La L.431/85 ha modificato il procedimento di concessione dell autorizzazione, ma questa innovazione, modificando l'art.7 della L.1497/39, si applica anche ai beni vincolati in forza di tale precedente legislazione. Cfr Zaccardi "Le competenze statali e regionali in materia di tutela del paesaggio", in Riv. g. edil. 1986, pag. 187.

Bibliografia

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  • - Beni ambientali ed urbanistica nell'ordinamento regionale, Milano, Giuffrè, 1981.
  • -Carietti-De Siervo, La riforma della legislazione sui parchi nazionali, in Le Reg., 1986.
  • - Famiglietti-Giuffré, Il regime delle zone di particolare interesse am6ientale, Napoli, Ed. lovene, 1989.
  • - Ferri P.G., Voce "Parchi", in E.d.D.
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  • - Tutela dell'ambiente e normativa urbanistica. Rifessi sul diritto di proprietà, in R.G. Edil., 1988.
  • - Tortorelli F., I parchi naturali tra tutela e sviluppo, Padova, Ed. CEDAM, 1984.

*Dottoressa in Giurisprudenza