Federparchi
Federazione Italiana Parchi e Riserve Naturali


PARCHI
Rivista Parchi:
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Rivista del Coordinamento Nazionale dei Parchi e delle Riserve Naturali
NUMERO 8 - FEBBARIO 1993


La relazione all'assemblea di Pisa
Enzo Valbonesi*

Il bilancio sullo stato di attuazione della legge 394/91 ad un anno dalla sua pubblicazione non ha la pretesa di essere definitivo, ma sin qui è purtroppo un bilancio negativo e deludente.
Il primo compleanno quindi della legge sui parchi è, nonostante gli sforzi di ottimismo, un compleanno amaro, fatto per la maggior parte di impegni non mantenuti, di aspettative mortificate, di ritardi e di atti non sempre limpidi ed anzi spesso contraddittori.
Le numerose scadenze previste nel corso del 1992 sono state quindi tutte disattese e le poche attuate scontano un ritardo di molti mesi.
Degli organismi nazionali previsti per l attuazione della legge solo la Consulta ha da poche settimane avviato il proprio lavoro, mentre il comitato Stato-Regioni per le aree protette, sebbene nominato, non è ancora stato insediato e non ha quindi potuto definire il programma nazionale per le aree naturali protette di rilievo internazionale e nazionale: programma che doveva essere approvato dopo un anno dall'emanazione della legge e che dovrebbe ripartire anche le risorse finanziarie previste, circa 310 miliardi nel triennio 92-94, di cui almeno un terzo a favore delle aree protette di carattere regionale.
Anche la segreteria tecnica resta da costituire; non sono inoltre ancora state individuate le strutture ed il personale del CFS da dislocare presso il Ministero e gli Enti parco nazionali e non è neppure stato emanato il decreto con il quale si doveva istituire l'elenco dei direttori di parco.
Sul versante poi dei nuovi parchi nazionali, quelli previsti all'art. 34, forse solo nei prossimi giorni e con un ritardo di ben 6 mesi saranno emanati i decreti di perimetrazione provvisoria mentre per gli altri parchi nazionali in itinere, quelli cioè già avviati con la L. 305, ancora non sono stati composti i Consigli, non sono stati nominati i direttori e dunque non sono stati istituiti i relativi Enti di gestione.
Questi gravi ed ingiustificati ritardi hanno come conseguenza il fatto di determinare, per delle aree così importanti e delicate, un vuoto normativo e di potere molto pericoloso, che dopo "l'annuncio" del parco scatena ed accelera i tentativi di realizzare iniziative spesso antitetiche alle finalità di un'area protetta e favorisce solo i nemici dei parchi che hanno buon gioco ad alimentare la paura e la delusione insieme tra le popolazioni residenti.
Vale la pena di sottolineare ancora due questioni relative alla mancata attuazione della legge.
La prima questione è quella dei finanziamenti. Sono scomparsi i 1 10 miliardi previsti per il 1992, e sono stati drasticamente decurtati quelli per il 1993 e il 1994, riducendo così in maniera inaccettabile le risorse indispensabili per avviare la gestione dei nuovi parchi nazionali e per dare una boccata di ossigeno a quelli storici e soprattutto per sostenere il funzionamento dei vecchi e dei nuovi parchi e delle riserve regionali .
Questo è un fatto gravissimo che dimostra la mancanza di volontà del Governo di sostenere la politica di conservazione della natura e di accrescere la superficie nazionale protetta.
Su questo punto non c'è crisi finanziaria che basti a giustificare i tagli, sia perchè le cifre previste erano tutto sommato modeste rispetto al bilancio generale dello Stato, sia per la caduta di immagine che viene trasmessa all opinione pubblica.
Ancora una volta, come in passato, come se l'esperienza non avesse insegnato nulla, sono l'ambiente e le sue risorse che pagano prima e di più il prezzo della crisi, un prezzo
che speriamo non venga aggravato dalla svendita di aree pubbliche di pregio ambientale tra le quali vi sono zone in predicato di essere organizzate a parco o a riserva naturale come nel caso della Diaccia Botrona in Maremma.
Penso che non dobbiamo assolutamente accettare l'immodificabilità di queste assurde decisioni e sviluppare invece un'iniziativa ed una lotta per ottenere il ripristino, come minimo, dei fondi tagliati, magari attraverso il recupero dei troppi miliardi che il Ministero dell'Ambiente in questi anni non è riuscito a spendere.
Dobbiamo respingere la logica della riduzione delle spese per le aree protette in nome del fatto che spendere per la tutela del nostro patrimonio naturale oggi non è un lusso che non ci possiamo permettere ma è invece una necessità. E anzi il migliore investimento che possiamo fare e che dobbiamo fare anche nel vivo della crisi economica perchè mette al riparo il nostro capitale più importante, che molti altri Paesi ci invidiano, le nostre risorse naturali e paesaggistiche più rappresentative senza le quali qualsiasi rilancio dell'Azienda Italia diverrebbe impossibile.
Insieme a quello dei finanziamenti l'altro elemento di maggiore preoccupazione è dato dall'incredibile ritardo con cui, un pò ovunque, sta procedendo l'adeguamento della legislazione regionale rispetto alla legge 394. Un anno era il termine fissato perchè le Regioni legiferassero.
Al momento, per quanto ci è dato sapere, solo due Regioni, il Piemonte e l'Emilia Romagna, hanno provveduto.
E vero che in molte Regioni è in atto il lavoro preparatorio ed il confronto per definire i progetti di legge, ma il ritardo è di per sé grave soprattutto perchè esso è il sintomo di un rilassamento politico o di una sottovalutazione incomprensibile dell importanza del problema proprio da parte delle Regioni che per anni avevano chiesto con forza la legge-quadro.
Il tutto è ancora più inspiegabile per quelle Regioni, come la Lombardia, la Toscana, la Liguria, che negli anni scorsi hanno legiferato in questa materia ed hanno istituito aree protette. Ma quello che è più grave è che questo ritardo, che questa inerzia è maggiore nelle Regioni del centro e del sud dove, ad eccezione del Lazio e della Sicilia, non è stato praticamente fatto nulla e non esistono parchi e riserve regionali.
Il rischio quindi è che anche sul versante delle aree protette si accentui ulteriormente il divario esistente tra il nord ed il sud del Paese; un sud dove la cronica assenza di politiche per la protezione della natura si aggiunge alle storiche carenze di politiche territoriali ed urbanistiche capaci di evitare la distruzione di incomparabili risorse e bellezze naturali, storiche e paesaggistiche. Dobbiamo invece constatare che proprio le Regioni che negli anni scorsi non avevano costituito parchi e riserve naturali regionali oggi si stanno servendo della legge-quadro come di un comodo alibi per giustificare la loro totale paralisi, ritenendo risolto il problema della conservazione con l'istituzione dei parchi nazionali.
Parchi nazionali che molte Regioni utilizzano anche per scaricare sullo Stato centrale le responsabilità dei vincoli, salvo poi servirsene per riproporre in forme nuove una logica dello sviluppo, questa volta dipinta di verde e nel segno della natura, ma che spesso risulta anche di assistenzialismo.
Occorre fare un grande sforzo, in particolare noi che operiamo quotidianamente nelle aree protette, per trovare le linee di azione più incisive, capaci di invertire la situazione, rilanciare la legge e rinnovare il fronte di forze che un anno fa è riuscito a ottenere con la legge un successo quasi insperato .
A rendere sicuramente più difficile e complesso il nostro compito contribuisce il momento particolare, segnato dalla grave crisi del nostro sistema economico e politico, che attraversa l'intero Paese, e con esso le istituzioni.
Per attivare la nostra iniziativa non possiamo però attendere la soluzione della crisi, non solo perchè essa non sarà rapida e semplice, ma soprattutto perchè essa affonda parte delle sue radici proprio in una
errata concezione dell uso delle risorse naturali, in una sbagliata scala delle priorità che ha marginalizzato il tema della conservazione dei beni ambientali per mettere al primo posto quello dello sviluppo ad ogni costo, uno sviluppo che ora mostra tutta la sua debolezza e di cui emergono sempre con maggiore evidenza i guasti prodotti al nostro patrimonio naturale, storico e culturale.
I temi dell'ambiente dunque debbono essere considerati centrali rispetto alla crisi, sono cioè insieme una delle principali cause ed un effetto degli squilibri che stanno caratterizzando, in ogni parte del mondo, questa fine di secolo.
L'azione che occorre condurre per togliere dalle secche in cui si è arenata la politica delle aree protette, che appena un anno fa sembrava veleggiare sicura verso successi immediati, la dobbiamo gioco-forza saper mettere in relazione positiva con la più generale iniziativa per il rinnovamento e la trasformazione del Paese, farla cioè diventare parte costitutiva e non antitetica del risanamento delle strutture istituzionali, sociali ed economiche del Paese.
Anche il prossimo ingresso a tutti gli effetti in Europa può essere utilizzato come occasione per rivendicare e favorire un allineamento che non può essere solo di tipo monetario, ma deve riguardare anche la creazione di un sistema europeo di aree protette al quale potremo concorrere dignitosamente, e non sempre da fanalino di coda, solo se diminuiremo il divario qualitativo e quantitativo dei nostri parchi rispetto a quelli degli altri paesi della CEE. Quello che dobbiamo riuscire a fare è quindi mettere in evidenza che proteggere un area garantisce dei benefici che possono essere tangibili anche al di fuori della zona protetta.
Il punto che con forza dobbiamo proporre alla società nel suo complesso è quale ruolo debbono e possono giocare oggi le aree protette vecchie e nuove in Italia per una riconversione ecologica della nostra economia.
Dobbiamo chiarire l'equivoco che finora ha fatto comodo ai detrattori dei parchi, che con le aree protette non vogliamo solo o soprattutto sottrarre qualche lembo di territorio all' invadenza di un'economia che L distrugge e impoverisce la natura.
Va chiarito, almeno questo è il nostro punto di vista, che i parchi sono una necessità per l'economia, per un'economia fondata su basi solide, sono indispensabili per uno sviluppo vero, duraturo e soprattutto sono essenziali per una società più sobria, meno opulenta, più ricca di valori. Su questo punto, intorno a questo nodo c è a mio avviso la chiave di volta per farci superare le difficoltà di oggi . Il problema non è, come viene rivendicato da qualcuno, quello di avere di nuovo un sottosegretario con la delega ai parchi ma di adeguare e attrezzare il Ministero per l'Ambiente ad assolvere ai compiti che la legge pone.
Tra le cause della mancata applicazione della 394 un posto di rilievo lo hanno certamente le macroscopiche disfunzioni in cui si muove il Servizio conservazione della natura. Le ragioni principali restano e sono politiche, ad esempio il modo in cui è stata condotta l'attuazione della legge, durante la quale è prevalsa l'improvvisazione, il piccolo cabotaggio e la politica degli annunci. Alcuni fatti, come gli incarichi miliardari affidati a poche imprese per la redazione dei piani dei parchi nazionali o come quelli delle nomine per i consigli, sempre dei nuovi parchi nazionali, proposte alle Regioni interessate senza nessuna intesa preventiva e solo poche ore prima del passaggio di Governo, la dicono lunga sulla limpidezza con cui sono state assunte significative decisioni.
Ma quello che è più grave è che quel poco che è stato fatto porta chiaro il segno del centralismo, un centralismo velleitario che ha preteso di calare sulla testa delle Regioni e più complessivamente sulle autonomie locali decisioni ed atti che in molti casi hanno aperto contenziosi pesanti ed hanno fatto così riemergere la contrapposizione tra centro e periferia.
Del resto molti degli stessi parchi nazionali realizzati, o in itinere, si trovano collocati in territori talmente dissimili per condizioni naturali e situazioni antropiche da rendere quasi impossibile una rigida unificazione di criteri di strutturazione e organizzazione. Senza un fitto e costruttivo dialogo, in primo luogo con le Regioni, sarà impossibile avviare i nuovi parchi nazionali e non si riuscirà nell'intento sostanziale, che è alla base della legge, di dare vita ad un sistema nazionale di aree protette articolato e differenziato tipologicamente e geograficamente.
Solo recuperando appieno uno spirito di leale collaborazione tra Stato centrale e sistema delle autonomie locali e regionali, più volte sollecitato dalla stessa Corte Costituzionale in materia di protezione della natura, sarà possibile avviare i nuovi parchi nazionali e dare vita ad un sistema di aree protette che non può fare astrazione da quanto le Regioni autonomamente hanno realizzato in questi anni.
All'attuale Ministro chiediamo pertanto l'applicazione rapida, lineare e soprattutto democratica della legge-quadro come primo segno di cambiamento rispetto alla linea malamente tracciata e praticata fino ad ora. In particolare chiediamo al Ministro di fare del rapporto con le Regioni, e nelle sedi opportune, il perno per
l'attuazione e la gestione della 394 e gli chiediamo di riconoscere nei parchi nazionali e regionali esistenti dei punti di riferimento da cui partire per trarre esperienze, idee, uomini, necessari per estendere la politica delle conservazioni' .
Nonostante le difficoltà e la mancanza di un quadro di riferimento nazionale in questi anni, soprattutto al nord, sono cresciute (quantitativamente e qualitativamente) le aree protette regionali . Esse riguardano non solo aree incontaminate dallo sviluppo e da sottrarre quindi al possibile degrado, ma aree in gran parte antropizzate nelle quali il rapporto fra la tutela e l'utilizzo delle risorse naturali si pone in termini nuovi, tali da imporre un profondo aggiornamento della stessa cultura politica ed ambientalista, e della stessa funzione delle aree protette che non possono più essere identificate solo con il mitico Parco d'Abruzzo.
Il nuovo che in questi anni è cresciuto però non è solo il numero dei parchi, ma esso consiste anche nell'interesse crescente da parte di strati sempre più larghi di opinione pubblica, nelle sensibilità sempre più diffuse verso la natura: interesse e sensibilità che trovano nelle aree protette un punto di coagulo, di protagonismo, soprattutto da parte dei giovani.
Il ritardo di molte Regioni nell'adeguamento della propria legislazione a quella nazionale non è casuale, ma è la spia di una caduta di attenzione verso le aree protette che investe anche i Comuni, le Comunità Montane e le Province: cioè quei livelli di governo che dovrebbero essere i protagonisti principali dell'istituzione e della gestione dei parchi.
In questi ultimi mesi tanti segnali, diffusi un pò ovunque, ci danno la persuasione di una crescente difficoltà di molte istituzioni locali.
Insieme alla carenza di risorse c'è l'incapacità a tenere fermi gli obiettivi che erano alla base dell istituzione di tanti parchi, a guidare il difficile rapporto tutela-sviluppo, a orientare le proprie politiche indirizzandole verso una sintesi superiore, certo più difficile, nell'utilizzo delle risorse naturali. E anche questa la causa del fatto che molti parchi sono restati sulla carta ed altri hanno una vita sempre più stentata.
Per evitare un vero e proprio ritorno all'indietro rispetto a ciò che negli anni scorsi, in alcune aree del Paese, si era costruito di decisiva importanza sarà insieme alle risorse finanziarie, la volontà politica delle Regioni e la loro capacità di produrre rapidamente atti legislativi e comportamenti tali da ridare slancio e fiducia ai parchi, di imprimere cioè una spinta in avanti e non di mettersi la coscienza a posto con qualche provvedimento di facciata.
Sulla base dell'esperienza, che come Coordinamento abbiamo maturato, ci sentiamo di proporre alle Regioni alcune scelte nevralgiche .
Innanzitutto riteniamo che gli strumenti più idonei per il governo dei parchi siano costituiti dagli enti autonomi.
La forma del Consorzio (che si può dire abbia fino ad ora, ad eccezione del Piemonte e della Sicilia, caratterizzato la prima generazione dei parchi regionali italiani), se ha avuto il merito di avere garantito un maggiore coinvolgimento partecipativo delle istituzioni locali, ha per contro dimostrato che l'iniziativa gestionale affidata di fatto a Comuni, Province e Comunità Montane non ha prodotto un'azione organica e continuativa, capace alla lunga di conseguire apprezzabili risultati.
Organismi di gestione autonomi, all'interno dei quali gli Enti locali abbiano un ruolo importante, ma dotati di proprie strutture e ben chiare responsabilità, possono consentire il necessario e maturo salto di qualità che è ora necessario.
Le altre scelte che noi suggeriamo alle Regioni di compiere sono inoltre quelle di:

  • 1) definire con chiarezza il problema del personale dei parchi che non può esaurirsi, come fa la legge nazionale, nel solo problema del direttore;
  • 2) di prevedere per ogni parco un proprio servizio di vigilanza senza dover ricorrere ad appaltarlo al CFS così come di fatto è stato previsto per i parchi nazionali;
  • 3) di stanziare, con le leggi istitutive, fondi adeguati per ogni parco evitando che i finanziamenti diventino sporadici, sempre più scarsi, incerti, impedendo così di fatto ai parchi di funzionare e di programmare la propria attività;
  • 4) di prevedere che ogni Regione si debba dotare di un programma triennale delle aree protette, in analogia a quanto ha previsto sul piano nazionale la legge-quadro, con l'obiettivo di fungere da coordinamento della spesa regionale verso le aree protette, ma anche come strumento di proposta e di raccordo con il programma nazionale;
  • 5 ) infine ogni legge regionale dovrebbe prevedere la priorità a favore dei parchi nel riparto dei fondi di settore per iniziative pubbliche e private compatibili, comprese entro i confini dell'area protetta e contemplate dal piano di sviluppo del parco.
In sostanza quello che, secondo noi, con questa nuova stagione legislativa regionale dovrebbe emergere è un modello di parco dotato di una propria autonomia e di poteri precisi in alcune materie (per evitare innanzitutto conflitti con altri enti di governo del territorio): un parco dotato di una sua autorevolezza e riconoscibilità, capace di mettersi agilmente in relazione con le nuove domande di fruizione, di sperimentazione e con la stessa imprenditoria privata.
Senza trascurare il versante istituzionale di questa iniziativa, che deve sollecitare tutti i livelli di governo sui problemi che discutiamo in questo convegno; senza trascurare tale tipo di azione istituzionale, credo che il grosso dei nostri sforzi debba essere volto a dare vigore, a sviluppare un movimento d'opinione molto ampio nel Paese che ponendosi, come dicevo prima, pochi ma chiari obiettivi, scuota la situazione e ci faccia uscire dal chiuso di queste, pur importanti, discussioni e dalle nostre sedi per riuscire a parlare al Paese, alla gente.
Ritengo che quella possa essere la strada giusta, quella cioè di un movimento eterogeneo, vasto, che possa vivere nel Paese ed avere nel contempo una grande forza di coagulo intorno ad alcuni capisaldi: non quindi contro qualcuno, ma soprattutto per qualcosa. Un movimento che però non si esaurisca in una sia pure eclatante iniziativa, ma che sappia durare il tempo necessario perchè i problemi che pone siano risolti. Credo che uscendo da questo incontro, ed approfittando della presenza qui di alcuni firmatari dell appello, che è stato lanciato durante la manifestazione del cosiddetto "fronte del parco, noi potremmo decidere di convocare a tempi brevi una riunione insieme ai promotori di questo movimento con l'obiettivo di mettere a punto una piattaforma d'azione ed un gruppo di iniziative da promuovere nei prossimi mesi in tutto il Paese; magari facendo proprio dei parchi la sede dove chiamare a raccolta l'opinione pubblica ed i tanti amici dei parchi per lanciare da lì l'appello, l'allarme per la sorte presente e futura del nostro patrimonio naturale e delle nostre aree protette.
Su questo terreno di denuncia ma anche di proposte precise possiamo, anzi dobbiamo trovare un raccordo con lo stesso associazionismo ambientale ed il mondo scientifico, con singole personalità del mondo della politica e della cultura disponibili a battersi con noi.
I punti di questa piattaforma dovrebbero essere pochi e chiari:
  • 1) innanzitutto l'applicazione integrale della legge entro i prossimi 6 mesi;
  • 2) il ripristino dei finanziamenti e l'utilizzo dei fondi residui per sostenere soprattutto i parchi regionali esistenti;
  • 3) la convocazione poi di una conferenza nazionale sulle aree protette entro il giugno del '93
  • 4) infine chiedere che vengano esclusi dall'elenco dei beni statali da alienare quelli di rilevanza ambientale.
Mi rendo conto perfettamente che proponendo questa iniziativa, che mi auguro non venga scambiata per movimentismo, pongo un obiettivo di lavoro molto ambizioso, in primo luogo a noi del Coordinamento, che ci impegnerà moltissimo se lo assumeremo e se riusciremo a svilupparlo.Ma non vedo altra strada più concreta e praticabile oggi di questa, pena l'isolamento e l'insuccesso.
Come coordinamento in questi anni abbiamo dimostrato e dichiarato tutta la nostra disponibilità al Ministero per lavorare e collaborare offrendo la nostra esperienza e le nostre competenze, ma le risposte che abbiamo finora ricevuto sono state purtroppo molto deboli.
Nonostante ciò, in questi anni si è notevolmente accresciuta la nostra iniziativa, è cresciuto il numero dei parchi associati, il successo della nostra rivista e si sono moltiplicate le iniziative tematiche e gli stages che abbiamo promosso insieme agli Enti associati e alle Regioni, con indubbi e positivi risultati.
Ora noi questo patrimonio di esperienza, di dati, di contatti anche internazionali, vorremmo poterlo mettere al servizio del Ministero e delle Regioni per favorire il decollo della legge.
La prospettiva che noi vorremmo costruire è quella di fare sempre più del nostro Coordinamento una struttura autonoma che affianchi il lavoro del Ministero e delle Regioni per dare dei servizi, promuovere momenti di incontro tra le aree protette: ma non solo questo.
Non so se l'obiettivo a cui tendere per assolvere a questi compiti possa essere dato, ad esempio, dall'esperienza francese dove i parchi regionali sono riuniti in una federazione finanziata e sostenuta dal Ministero. Ciò che chiediamo al Ministero è pertanto una maggiore apertura, una maggiore capacità ricettiva.
Se non si opereranno scelte ispirate a questi principi ho l'impressione che i nuovi parchi nasceranno male e rischieranno il burocratismo se in essi prevarranno le vecchie logiche.
Anche nei parchi vanno ricercati nuovi moduli di gestione che esaltino ulteriormente le responsabilità tecniche, che evitino l'invadenza dei partiti e accentuino gli spazi per la rappresentanza degli interessi diffusi, anche di quelli che non trovano sempre espressione nelle istituzioni.
Il consenso di cui sempre e giustamente siamo preoccupati passa soprattutto attraverso il coinvolgimento delle popolazioni residenti e si potrà ottenere se sapremo dare anche questa immagine nuova dell istituzione-parco, ma soprattutto se sapremo diminuire il divario fra le aspettative ed i risultati concreti, se sapremo aprire ancora di più le aree protette informando costantemente l'opinione pubblica sui loro problemi e anche chiamandola a sostenerci per le tante battaglie che facciamo e che dovremo fare.

Vice Presidente del Coordinamento
nazionale dei parchi