Federparchi
Federazione Italiana Parchi e Riserve Naturali


PARCHI
Rivista Parchi:
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Rivista del Coordinamento Nazionale dei Parchi e delle Riserve Naturali
NUMERO 8 - FEBBARIO 1993


OSSERVATORIO INTERNAZIONALE
a cura di Giovanni Valdrè

Espace Mont Blanc
Alla conferenza di Torino tutti d'accordo: "Non chiamiamolo parco"

C'era proprio bisogno di un momento di riflessione, di un'occasione per potersi parlare fuori dai discorsi di circostanza e dalle cerimonie ufficiali, confrontarsi su questo eterno progetto del "Parco europeo del Monte Bianco" che si trascina tra contrasti, diffidenze e scetticismo dal lontano 1986. Per la Cipra (Commissione Internazionale per la Protezione delle Alpi) di Torino, niente è sembrato più adatto che organizzare il 7 novembre 1992 una riunione informale in una saletta disadorna ed asfittica in una palazzina della Regione Piemonte non lontana dal Po. All'appuntamento non sono mancati gli addetti ai lavori gli amministratori della Regione Val d'Aosta, i progettisti, parlamentari europei, i rappresentanti dei parchi del Gran Paradiso e del Vanoise ed una nutrita corte di esperti.
Quel che si voleva capire era quale tipo di area protetta transfrontaliera si andava configurando per il Monte Bianco; e ciò non tanto sulla base dei progetti presentati da ciascuno dei tre Paesi partecipanti, Francia, Svizzera e Italia, quanto sulla qualità del consenso delle popolazioni e degli Enti locali.
Il disaccordo della popolazione della Val d'Aosta verso l istituzione di un Parco internazionale è apparsa decisa ed irriducibile fin dalla prima proposta del "Parco internazionale d'alta montagna" presentata dal Club Alpino Accademico Italiani (CAAI ) nel 1985; e gli amministratori locali l hanno fatta pesare anche in occasione dell'incontro dei tre ministri dell ambiente ad Annency nel 1990, tanto che, nel successivo meeting del 1991 a Chapery, il progetto aveva ripiegato sulla denominazione più rassicurante ed astratta di "Espace Mont Blanc" e le finalità dell' istituzione traslavano da una decisa strategia di protezione ambientale, alla invocata politica di valorizzazione attiva della montagna in termini di sviluppo economico e sociale con priorità alla soluzione del problema dei trasporti internazionali.
A buon ragione Paolo Jaccod ha dichiarato come questo cambiamento "portasse solamente all'internazionalizzazione dei progetti di sviluppo delle comunità locali, invece che ad una internazionalizzazione della salvaguardia effettive del comprensorio" (1992).
E Federica Thomasset, consulente valdostana per il progetto, ritiene che la sostituzione del termine parco con espace ha favorito "il nascere di un fondato dubbio sulla volontà di protezione del progetto" (1992). Questi timori, certamente realistici, non hanno evitato che alla conferenza di Torino si parlasse di espace" evitando scrupolosamente il termine "parco" con compiaciuta soddisfazione dell'Assessore all'ambiente della Val d'Aosta, Roberto Nicco, che nel suo intervento ha dichiarato che finalmente ci si stava orientando verso un'effettiva protezione dell'ambiente montano.
Come al solito la ricerca ad ogni costo del consenso delle popolazioni locali, peraltro oggi necessario alla realizzazione di qualsiasi area protetta, porta inevitabilmente allo stravolgimento delle stesse finalità dell'istituzione, tanto da far temere che "è difficile dare ad intendere che lo sviluppo può essere coniugato con la salvaguardia dell ambiente: Sviluppo è causa di disordine, inquinamento . . . (Cervellati P.L., 1988) .
Quando poi il condizionamento ad un'area protetta proviene da una Regione come la Val d'Aosta, è giocoforza tener conto della pertinace opposizione di quelle popolazioni a qualsiasi forma di area protetta, che si è concretizzata nel tempo con una irriducibile ostilità verso il Parco nazionale del Gran Paradiso ed il persistente rifiuto ad istitui re autonomamente aree protette, con l'eccezione del piccolo Parco del Monte Avic, peraltro realizzato soltanto nel 1988. In relazione a ciò, i sostenitori del progetto del Monte Bianco, presenti alla riunione di Torino, hanno ritenuto che per far superare alle popolazioni e alle amministrazioni locali la ben nota "paura del parco" occorreva evitare per prima cosa tale denominazione. Anche se il geografo Giuseppe Barbieri nella sua opera "La ragione dei parchi" (1989) sostiene che il termine parco è una parola fortunata, non solo per il suo facile suono, ma per il significato originario, cioè per una motivazione psicologica di amore dell uomo per l esclusivo, per il protetto, per contro si deve quotidianamente prendere atto come questa parola viene rifiutata quasi ovunque essa venga proposta.

Problemi e prospettive
Una volta convenuto sulla opportunità di denominare con il termine più rassicurante ed accattivante di "espace" il progetto Monte Bianco, una volta rassicurate le popolazioni locali sulle finalità dell'istituenda area protetta e sulla partecipazione "da protagoniste delle comunità locali alla gestione dell istituzione, resta da vedere se tutto ciò è sufficiente per assicurare la realizzazione del progetto stesso: e proprio questo problema mi sembra che non sia stato dibattuto sufficientemente nel corso della riunione di Torino.
Gravi e difficili sono i problemi che rimangono, a cominciare dai diversi atteggiamenti degli Stati coinvolti, che si riflettono in maniera sintomatica anche nelle proposte di perimetrazione dell area da proteggere.
Dagli studi preparatori presentati ai tre ministri dell'ambiente alla "Conférence transfrontalière Mont Blanc" tenuta ad Aosta il 1° novembre 1992, è apparso chiaro che ciascuna delle tre Regioni confinanti avesse un contrastante concetto di ciò che si andava progettando, tanto da configurare una perimetrazione del parco assurdamente disarmonica e sbilenca.
Come amaramente deve riconoscere l'architetto Federica Thomasset, progettista per la parte italiana, "la Valle d'Aosta inizialmente era orientata ad un'area assai ristretta, quasi tutta interna al Comune di Courmayeur, mentre la Francia raccoglieva un numero consistente di Comuni, fino ad arrivare a Bourg St. Maurice, Megève e Morzine; la Svizzera, utilizzando altri criteri, aveva compreso la Valle di Champéry, assai lontana dalla Catena del Monte Bianco, ed escluso la Valle dell'Entrémont, punto nodale per le connessioni storiche transfrontaliere e con le aree già protette del Gran Combin e del Cervino".
Se il problema della perimetrazione è stato male impostato ed ancor peggio risolto, di natura più grave appare quello della gestione unificata del territorio dell' "espace", prevista con un unico organismo internazionale. L'esperienza dei parchi transfrontalieri insegna come gli strumenti legislativi istitutivi prodotti dai singoli Paesi partecipanti non siano mai coincidenti, e come i singoli Stati siano fortemente contrari ad una attenuazione della sovranità amministrativa anche su porzioni marginali del loro territorio; e come quel poco di autonomia che sono disposti a concedere sia condizionata dal variare degli umori dei rapporti politici tra gli Stati confinanti.
I pochi parchi transfrontalieri che funzionano interessano Paesi di disparata potenza, come il Parco tedesco-lussemburghese; o si trovano in territori sperduti, lontani da insediamenti umani, come il Parco del "W" tra il Nigered il Burchina Faso, od insistono in aree senza alcun valore strategico come il Parco dell'Amicizia costituito da sterminati acquitrini nelle regioni del circolo polare artico, tra la Finlandia e la Russia.
Per il resto, la quasi totalità dei parchi denominati "transfrontalieri" si riduce nella realtà ad aree protette frontaliere".
Anche il "Parco internazionale del Monte Bianco" non potrà non cadere in questa finzione, per cui sarebbe molto opportuno un ripensamento sulla proponibilità del progetto e prendere spunto dal documento conclusivo della riunione di Torino, che richiama i concreti modelli di collaborazione internazionale tra le zone protette frontaliere delle Alpi (Parco nazionale del Gran
Paradiso, Parco nazionale della Vanoise, Parco regionale Argentera, Parco nazionale Mercantour, i quattro Parchi del complesso protetto italo-svizzero delle Alpi Centrali) per operare sullo sviluppo di questi rapporti di collaborazione scientifica e tecnica e desistere da ogni diversivo di tipo localistico di ostacolo all' attuazione della legge-quadro sulle aree protette, che prevede al 6° comma dell'art. 34 la realizzazione del Parco nazionale del Monte Bianco.
Con tutti i prevedibili ritardi e con tutte le problematiche connesse, l'istituzione di un parco nazionale è certamente lo strumento più efficace per la protezione di quei valori storici, naturali, paesaggistici, simbolici, rappresentati dal nostro più imponente complesso montano.
Tentare di fare un improbabile parco transfrontaliero, con scarse prospettive di funzionamento, è forse un tentativo velleitario se non impossibile; ad ogni modo l'esperienza di tante aree protette esistenti solo sulla carta, istituite localmente, spesso con l'inconfessato scopo di evitare l istituzione di un parco nazionale, ci insegna che per la tutela di quei valori che si dichiara di voler proteggere, è meglio niente che un parco cattivo .