Federparchi
Federazione Italiana Parchi e Riserve Naturali


PARCHI
Rivista Parchi:
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Rivista del Coordinamento Nazionale dei Parchi e delle Riserve Naturali
NUMERO 8 - FEBBARIO 1993


Le ricerche sociali nei parchi
Renzo Moschini
E innegabile l'accresciuto interesse delle discipline scientifiche per le tematiche ambientali in generale, ma anche per il comparto più specifico delle aree protette.
Tra queste va senz'altro annoverata la ricerca sociologica che da qualche tempo va cimentandosi con sempre maggiore impegno con i nuovi problemi dell'ambiente compreso quello specifico delle aree protette.
Al convegno di Molveno (TN) del maggio 1992, dedicato ai problemi del consenso nei parchi, abbiamo ascoltato relazioni e interventi di grande interesse che riferivano anche di recenti ricerche destinate il più delle volte a non uscire dal ristretto ambito degli addetti ai lavori e di cui invece può ora avvalersi un pubblico più ampio.
Prima però di sviluppare qualche considerazione su quei contributi, vorremmo soffermarci un momento sull'approccio della ricerca sociologica verso i temi ambientali quale è andato definendosi negli ultimi tempi.
Il libro a cura di Franco Martinelli "I sociologi e l'ambiente", una nuova edizione degli atti del 11 Convegno nazionale dell'Associazione italiana di sociologia sezione territorio, ci aiuta a ripercorrere il non facile cammino, o se si preferisce l'evoluzione di questa disciplina che l ha portata a superare chiusure e diffidenze che in altri campi, come abbiamo visto, sono ancora lungi dall'essere vinte.
Il professore Strassoldo dell'Università di Palermo, che ritroveremo tra i relatori di Molveno, parla non a caso di estraneità ed indifferenza durata lunghissimi anni" dovuti al tabù imposto dai padri fondatori della disciplina ad occuparsi dei fattori geografici e biologici . Una ricerca insomma astratta, disancorata "dalla concreteza degli organismi, le popolazioni, I'ambiente di vita materiale .
Superata questa diffidenza la sociologia delI'ambiente comincia a definire categorie concettuali, a individuare campi e parametri di ricerca chiarendo che 'I'ambiente di cui si occupa la sociologia ambientale non è solo quello naturale ma anche quello costruito, artificiale".
Un percorso tutt'altro che facile, con difficoltà non tutte superate che fanno dire ad esempio a Guido Sertorio che la sociologia solo di recente, e scarsamente, si è interessata dell'ambiente" e quando lo ha fatto spesso ha lasciato in ombra "un ambito tematico fondamentale riguardante il significato dell'ambiente per il singolo e per la collettività e cioè il merito del rapporto uomo-collettività-ambiente .
Ecco perchè gli interventi al convegno di Molveno, dove fra l'altro è stato presentato il libro di Osti, "La natura in vetrina", Editore Angeli 1992 (che abbiamo segnalato nel n. 7 di Parchi), dedicato ad una ricerca svoltasi in 4 parchi regionali, meritano qualche riflessione.
E cominciamo proprio dal professore Strassoldo la cui relazione affronta i problemi del conflitto sociale nelle questioni ambientali. L'autore non manca di ricordare quella che è molto probabilmente la contraddizione principale", e cioè il contrasto tra sostenitori della ideologia della crescita quantitativa illimitata e i sostenitori dei principi di "equilibrio e di "limite"; tra i sostenitori dell'integrale asservimento della natura ai bisogni umani e quelli di un rapporto di conciliazione e di armonia tra le due parti .
E questo anche il tema di fondo del libro della Ravaioli che ruota infatti intorno all'interrogativo se a tutti i problemi di oggi può dare valida e credibile risposta il mercato. La maggior parte degli interpellati risponde che non è possibile porre limiti alla crescita e quindi al mercato, salvo qualche briglia finanziaria (tasse, eccetera).
Il professore Strassoldo, individuata la contraddizione principale, passa a quelle, non meno rilevanti, di carattere secondario sulle quali però il conflitto non è meno acuto.
E qui i riferimenti riguardano proprio le aree protette nelle quali i conflitti sono di duplice natura: interni, cioè tra interessi delle diverse categorie di cittadini residenti nel parco, e interno-esterno, cioè tra residenti e non residenti, con tanto di implicazioni istituzionali tra centro e periferia, ossia tra istituzioni rappresentative del territorio protetto e quelle esterne", provinciali, regionali o nazionali.
Nel delineare le reali e potenziali cause di conflitto all'interno e all'esterno dell'area protetta il professore Strassoldo deve dar conto ovviamente delle finalità, degli scopi di un parco oggi, perchè solo così si possono individuare le ragioni vere o presunte del contrasto. Qui però, e la cosa specialmente dopo l'approvazione della legge-quadro sulle aree protette sorprende un pò, I'autore sembra dar credito alla tesi che sia ancora diffusa l'idea di parco inteso come ' riserva indiana".
Francamente, nonostante restino moltissimi i problemi anche di definizione concettuale e di classificazione delle aree protette, non ci sembra esser questa una concezione con la quale dover ancora fare i conti.
L'esperienza, specialmente quella italiana e dei parchi regionali in particolare, è nel bene e nel male tutta segnata da ben altre motivazioni ed anche da conflitti di tutt'altra natura. Ce lo conferma il libro di Osti ed anche il pregevole lavoro svolto, ad esempio, dalle sezioni SAT di Borgo Valsugana e del Tesino a proposito dell'idea di parco nel Lagorai-RavaCima d'Asta pubblicato sul Bollettino della Sat n.3 del '91.
Anticipando un giudizio, su cui torneremo più distesamente tra un momento, possiamo dire che ambedue le ricerche confermano che le diverse risposte e reazioni all esistenza di un parco o all'idea di istituirlo non sono assolutamente segnate da questo spartiacque, tra chi lo concepisce cioè come riserva indiana' e chi al contrario lo intende anche come occasione di sviluppo.
Come vedremo meglio più avanti infatti anche le opzioni più spinte in fatto di "conservazione - ancorchè largamente minoritarie -non assumono mai quel carattere "estremistico" paventato da Strassoldo. Insomma il problema oggi non è tanto quello di stabilire se l'uomo è compatibile con la sua presenza e attività all interno di un'area protetta ma a quali condizioni lo è.
Al riguardo Strassoldo mette l accento sul conflitto interno-esterno; cioè il conflitto tra la comunità locale, che ha i propri interessi (per lo più di libero e normale sviluppo in condizioni di parità con il resto della società) e la società esterna che vuole imporre particolari vincoli protettivi dell'ambiente. Ci sono poi conflitti che potremmo definire "trasversali' in quanto non scaturiscono, almeno principalmente, dallo star dentro o fuori da un parco, ma da come si concepisce la gestione di un'area protetta, in rapporto a tutta una serie di scelte turistiche, urbanistico-edilizie ma anche naturalistiche oltre che economico - sociali (industria, agricoltura, eccetera).
Da qui l'estrema difficoltà a gestire oggi una area protetta nella quale devono trovare composizione, armonia, o almeno non aperta conflittualità, esigenze e aspettative diverse. E ci si deve riuscire non ignorando che anche i "residenti", spesso evocati e invocati per mettere in guardia da scelte avventate e impopolari, non sempre hanno del loro territorio una conoscenza adeguata.
Dal sondaggio compiuto dalla Sat emerge, ad esempio, che il 45% delle persone che ha risposto al questionario - e si tratta di residenti - conosce poco o per niente il territorio in discussione.
Solo il 18%10 conosce in maniera approfondita. Va ricordato naturalmente che stiamo parlando di territori tipicamente alpini, con scarsissima presenza umana, ma anche che siamo in una terra in cui è fortissimo ancora il senso di appartenenza.
E mentre il 34% delle persone pensa che con il parco si possano avere dei danni e soltanto il 26% non lo teme, ben il 40% non ha saputo dare alcuna risposta o indicazione.
E tuttavia poi il 39% considera il parco strumento positivo per mantenere un giusto equilibrio tra uomo e ambiente; il 34% ritiene che il parco possa contribuire positivamente a recuperare un ambiente compromesso; mentre solo il 25%1o considera quale strumento di pura conservazione, per mantenere incontaminato l'ambiente. Interessante è la risposta sui pericoli maggiori che potrebbe correre il territorio con il parco.ll23% teme i vincoli (un classico potremo dire) ma il 38% teme il troppo turismo e il 20% ritiene possa venir meno il senso di proprietà.
Le posizioni a favore del parco sono largamente prevalenti tra i giovani, mentre tra i contrari la maggioranza ha un'età superiore ai 50 anni.
Come si può vedere anche da queste risposte un elemento determinante quando si parla di aree protette risulta essere sempre, immancabilmente, quello dell'informazione, della conoscenza che rimane paurosamente scarsa.
E se nel caso del Lagorai ciò può sorprendere non più di tanto, trattandosi di una pronuncia su una 'idea" di parco, vale a dire su una ipotesi, noi sappiamo che è così purtroppo anche in situazioni assai più consolidate.
L'indagine del Censis dell'85 a proposito del Parco del Ticino Lombardo, uno dei primi parchi regionali italiani ed allora già in funzione da anni, confermò che il 19% della popolazione non sapeva nemmeno esistesse.
Molti di questi dati, sovente estremamente contraddittori, segno evidente del perdurare di una situazione confusa, trovano significative conferme nella ricerca di Osti.
14 parchi presi in considerazione sono quelli della Lessinia (Verona e Vicenza), dell'Adamello-Brenta (Trento), dell'Adamello (Brescia), dell'Argentera (Cuneo).
Non intendiamo qui entrare nel merito dei criteri seguiti nell'indagine oltre che per ragioni di spazio per evidenti motivi di incompetenza".
Consideriamo pertanto i risultati dell indagine, come nel caso del Lagorai dove il contatto è stato più diretto con i cittadini, per quello che sono e come tali vorremmo commentarli. Deve esser detto però che la ricerca di Osti ha riguardato non I'uomo della strada" ma le rappresentanze istituzionali per un totale di 297 enti.
Ma più che in questo dato, potremo dire tecnico, la differenza con il Lagorai sta soprattutto nel fatto che i 4 parchi non sono una
idea" o una "ipotesi, bensì una realtà talvolta operante da parecchi anni.
E chiaro quindi che le risposte in questo caso, prima ancora che timori o speranze verso un ipotetico futuro, esprimono innanzitutto un giudizio sul passato e sul presente. Da questo punto di vista è bene dire subito che, nonostante il parco esista e operi da anni, il grado di informazione e di conoscenza non sembra averne risentito granchè.
Anche i timori e ancor più lo scetticismo che sembra spesso essere la nota dominante sono gli stessi che abbiamo registrato al Lagorai e in tante altre situazioni.
Su tutto però prevale un dato che ha una grandissima rilevanza politica e che come tale deve far seriamente riflettere.
Oggi è ormai diffusa la convinzione che un parco non può essere un recinto", per usare il termine del libro. Su questo le opinioni sono piuttosto chiare.
Si potrebbe aggiungere che questo facilita in fondo le cose perchè è già importante sapere cosa non vogliamo.
Le cose però si complicano parecchio quando si passa a delineare il nuovo tipo di parco, il parco "sintesi", sempre per usare la definizione di Osti, cioè un area protetta che sappia appunto portare a sintesi le esigenze dell'ambiente e quelle dell'uomo.
Qui iniziano le note dolenti perchè diffusa è la convinzione che, vuoi per le scarse risorse, vuoi per tante altre ragioni, il parco non è in grado di divenire al tempo stesso strumento di educazione, ricerca scientifica e gestore di nuove forme di economia, eccetera. Tra le ragioni che alimentano, se non giustificano, questo diffuso e radicato scetticismo vi è quella evidenziata nella sua relazione da Strassoldo, e cioè la conflittualità del parco con gli enti e le amministrazioni pubbliche prima ancora che con i privati.
D'altronde le esperienze straniere sembrano in più di un caso dare ragione a chi nutre scarsa fiducia sulle capacità e possibilità del parco di invertire certe tendenze.
In Gran Bretagna, ad esempio, "uno dei maggiori problemi dei parchi è rappresentato dal fatto che le classi popolari ne usufruiscono in maniera più limitata". La stessa cosa si riscontra, pare, in Germania e in Francia.
L' Ires, I'istituto regionale del Piemonte, sostiene che, stanti gli attuali ' meccanismi di prelievo fiscale e stante la composizione della clientela dei parchi piemontesi, il "servizio verde pubblico sembrerebbe operare in senso lie-vemente regressivo" (Allasino). Ovvero, le modalità di finanziamento dei parchi regionali vigente in Piemonte rischia di costituire un sussidio per le classi più ricche".
Come si vede, se era tutto sommato semplice definire il parco recinto, costruire il parco delle "multifinalità"- quale delinea d'altronde la stessa legge-quadro recentemente approvata - non è altrettanto facile.
Qui l'indagine di Osti ripropone un problema non nuovo ma al quale erano state date finora risposte non sempre chiare.
Ci riferiamo ai confini, alla perimetrazione delle aree parco.
Senza allargare ora il discorso ai decreti istitutivi dei nuovi parchi nazionali che pure è urgente affrontare, stando a quanto emerge dalla ricerca risulterebbe chiaro che l'aver di preferenza lasciato fuori dai confini aree sviluppate" sia di interesse industriale che turistico, perimetrando esclusivamente o quasi aree agricole e boscate, ha creato "fratture" che anzichè attenuare i motivi di frizione li ha accresciuti e acutizzati.
Anche se non è assolutamente il caso di generalizare, in quanto ogni territorio ha pur sempre una sua specificità, credo si possa dire che chi ha puntato tutto su un parco senza popolazione o con il minimo di popolazione (in questo caso spesso si tratta solo di attività rurali) ha oggi più di una buona ragione per riconsiderare le scelte compiute.
Penso alla provincia di Bolzano i cui parchi si sono rigorosamente ispirati a questo criterio tanto da non prevedere peressi nemmeno un apposito ente di gestione.
Ecco, la ricerca di Osti, per quanto limitata ai rappresentanti istituzionali, ha il merito di far emergere e riproporre alcuni nodi fondamentali che se non sciolti rischiano di far fallire anche i migliori propositi.
Anche i parchi che godono di un maggiore consenso oggi sono generalmente ritenuti inidonei a gestire con successo una politica volta a quella "sintesi" che pure è un passaggio decisivo per chi voglia oggi voltar pagina nella gestione del territorio.
Intendiamoci: "La natura in vetrina' non è un libro che coinvolge tutti i parchi e tutte le amministrazioni in un giudizio ugualmente severo e senza appello.
La ricerca ci dice ad esempio che al massimo di consenso del Parco dell'Adamello-Brenta fa riscontro il minimo di consenso del Veneto; che all'impegno molto attivo di certi Comuni fa riscontro la passività e l'indifferenza di altri. Ci dice anche che la maggioranza degli amministratori non mostra molta sensibilità e disponibilità verso le nuove esigenze del parco. Ci dice inoltre che molti partiti preferiscono spesso "defilarsi" dai problemi del parco. Ma in compenso conferma che anche lo stesso partito non si comporta sempre allo stesso modo anche in territori contigui.
Le conclusioni del libro, che facciamo senz'altro nostre, sono che occorre innanzitutto uscire "dall'ambivalenza".
Se è giusto, specialmente ora che abbiamo la legge nazionale, mettere l'accento sul ruolo che possono svolgere i parchi, è bene evitare la loro enfatizazione. Oggi, scrive Osti, i parchi riescono a malapena ad organizare la sorveglianza e a ordinare i flussi di visitatori". "Nella maggior parte dei casi i parchi sembrano più che altrove trine della natura.Luoghi in cui le bellezze naturali sono messe in maniera più accattivante, secondo le predisposizioni del consumatore".
I parchi dovrebbero invece "migliorare le proprie competenze in campo naturalistico (ricerca) e formativo (educazione ambientale); diventare erogatori di servizi altamente specialistici e rari. In tal senso assumerebbero una maggiore autonomia. L'errore sarebbe, invece, quello di considerarli progetti globali di intervento sul territorio, progetti caricati di eccessive valenze politiche". Non ci sembra una conclusione tesa a ridimensionare il ruolo e i compiti del parco. Al contrario, sottolineare la specificità di questo ruolo evitando quella vel leitaria globalizazione chespinge tutti a occuparsi di tutto con esiti che conosciamo perfettamente, ci pare saggio e niente affatto riduttivo.