Federparchi
Federazione Italiana Parchi e Riserve Naturali


PARCHI
Rivista Parchi:
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Rivista del Coordinamento Nazionale dei Parchi e delle Riserve Naturali
NUMERO 9 - GIUGNO 1993


I parchi e la logica del profitto
Franco Zunino*

La protezione di un territorio naturale può certamente avere molti ruoli, molte finalità, ma credo che solo uno debba essere lo scopo per cui la si debba attuare conservare il territorio fine a se stesso. E conservarlo vuole dire, o dovrebbe voler dire, fare sì che non venga alterato volutamente, vuol dire decidere di sottrarlo alla logica dello sviluppo (che è la logica del profitto) che è prettamente umana.
Decidere di conservare un luogo è decidere di tenere per quel luogo un comportamento ancestrale, animale, quale è la nostra origine, che è l'unico modo per poterci definire in equilibrio con l'ambiente: nessun cervo, nessun lupo, nessun orso ha mai potuto o preteso di sviluppare" o "valorizzare" o "far produrre" il proprio habitat. Semplicemente da millenni lo utilizzano per quello che spontaneamente esso offre loro e lasciandolo immutato per altre generazioni. E solo l'uomo l'unica specie animale ad essere uscita da questo cerchio della vita' .
Lo spirito che sta all' origine dell' istituzione delle aree protette non può essere stato che questo: decidere di non interferire con l intelligenza nella logica delle cose naturali che succedono in un certo luogo. Almeno, questo è quello che si coglie leggendo più di una relazione, discorso od atto relativo alla nascita dei primi parchi nazionali del mondo sul finire del secolo scorso e all'inizio del nuovo. Ed è questo il significato vero, originario, che, solo, dovremmo dare al termine conservare: lasciare tutto come è!
E' ovvio che sia poi stata la logica dello sviluppo a prendere comunque il sopravvento, a fare in modo che questo semplicissimo concetto venisse alterato, riportando le istituzioni che sono i parchi nella logica del profitto dalla quale idealmente le avevamo sottratte. Iohn Muir alla fine del secolo scorso disse che "la battaglia per la conservazione della natura continuerà indefinitivamente, perchè essa è parte della universale battaglia tra il giusto e l'errore". Aveva ragione, perchè da allora nulla è cambiato ! Solo, per meglio comprenderlo, bisognerebbe sostituire i termini: giusto = conservazione, errore = sviluppo.
Ovviamente la decisione di voler conservare un certo luogo per sè e di per sè, se non altro come conseguenza o come scopo per questa scelta, può anche scaturire da disparate motivazioni: perchè il luogo è insolito per bellezza, o perchè vi sussistono elementi di spiccato valore naturalistico o comunque biologico, o perchè è ultimo lembo di uno stato ambientale che a causa di un sovrasviluppo è sparito quasi ovunque, o perchè ne siamo innamorati per la sua usualità nella nostra vita. Se questo principio, perchè un principio ritengo che sia, fosse sempre stato tenuto presente quando si sono costituiti parchi e riserve, pur riconoscendo l esistenza delle dette motivazioni come spunto per la sua applicazione, sono certo che sì, oggi avremmo un numero assai minore di aree protette" ed "aree protette più piccole, ma avremmo però "aree protette" che potremmo realmente definire, considerare e presentare al mondo come tali!
Settant'anni dopo la nascita dei nostri parchi nazionali storici, Abruzzo e Gran Paradiso, anche la difesa, la conservazione dei loro angoli più belli, più di valore scientifico, più amati, è ancora in forse! Questa è la conseguenza della continua mancata osservanza di quel principio.
Ancora assistiamo quotidianamente alla battaglia interpretativa sul perchè di quelle leggi istitutive e sul come vadano applicate per realizzare le finalità che premettevano e promettevano. Ancora ritorniamo a visitare questi parchi scoprendo sempre qualcosa di antropico in più là dove ricordavamo essere natura. Sempre meno natura e semapre più "umanità", un processo ripetitivo propagatosi di parco in parco come una malattia inarrestabile. Ciò perchè nel nostro Paese il principio di cui ho detto non è stato praticamente mai realmente posto come fondamento alla progettazione ed istituzione di un parco o di una riserva naturale.
Nella stragrande maggioranza dei casi i parchi nazionali, regionali ed altre aree protette, sono stati voluti, progettati ed istituiti con a base un principio economicista piuttosto che conservativo. Si sono istituiti dei parchi come si sarebbe potuto creare delle strutture o holding turistiche. Si è tentato di dare o voler dare, con un parco, quelle stesse cose che hanno dato o si vorrebbe dare con certe iniziative di promozione turistica quali bacini sciistici, centri residenziali, porticcioli, eccetera. Ed è in ciò che sta l'errore di base, perchè mentre nulla impedisce ad un centro turistico di adeguarsi sempre di più per soddisfare la richiesta di mercato, per adeguarvi un parco si finisce per creare attorno ai parchi o nei parchi stessi, tanti piccoli centri che producono economia, cosicchè il parco divenga anch'esso una fonte di guadagno, di posti di lavoro, di soddisfazione turistico-ricreativa, eccetera; in buona fine, si viene a fare di un parco tutto l'opposto di quello che un parco dovrebbe divenire. Tutto ciò perchè si sono sempre confusi i due principi - quello conservativo e quello economico - mettendoli su un piano di parità, mentre il secondo dovrebbe essere solo subalterno E, addirittura, per le forze politiche subalterno è finito per divenire il primo! E sufficiente leggere certi rapporti, articoli giornalistici, interviste a politici ed autorità, per comprendere come nella nascita di ogni nuovo parco la logica prima non è già di conservare un angolo di natura per motivazioni etiche, bensì di risolvere i problemi economici e occupazionali di una regione.
Ancora oggi questa logica domina in assoluto tra le forze politiche e tra quelle, ed è più grave, ambientaliste più politicizzate: parco uguale a risorsa economica per lo sviluppo di aree depresse. E un binomio consuetudinario. Ecco quindi parchi con territori enormi per tutelare aree di scarso valore; ecco quindi vincoli che non esistono o talmente "adattabili' da permettere ogni forma di intervento; ecco quindi che di questo male di non protezione" vengono a soffrire anche quelle parti centrali dei parchi che invece, uniche, meritavano il parco e la rigida tutela che un parco presuppone. Certo, inversamente facendo si sarebbe salvato, conservato, un territorio con vincoli severi su minore spazio ma nella logica dei politici e politicanti non si sarebbero stanziati miliardi e miliardi per"valorizzare" il parco, per fare del parco un centro turistico a grande resa economica.
Parco come investimento, quindi, non già come garanzia di tutela di un qualcosa di bello, unico, o di valore scientifico a prescindere dal prezzo economico che potrebbe avere per la società o vi si potrebbe ricavare "valorizzandolo".
E per questa logica che oggi abbiamo, per fare degli esempi, un Parco nazionale del Cilento e Vallo di Diano che è una scacchiera di piccoli angoli di natura e di paesi, strade, zone agrarie, eccetera, grande 60.000 ettari in quanto si è visto il Parco come apportatore di finanziamenti pubblici in cambio di pochi vincoli (perchè ben poco c è da vincolare! ); mentre abbiamo un Parco nazionale della Val Grande che è modestissimo(l 1.000 ettari!) pur essendo inserito in un'area "selvaggia" enorme che meritava un vincolo sulla sua intera estensione, perchè un'area tanto poco sviluppata presupponeva gioco-forza troppi vincoli ed impedimenti di sviluppo contrapposti a conseguenti scarsi finanziamenti.
E sempre per questa logica che oggi abbiamo in Abruzzo tre parchi nazionali ed un parco regionale, che coprono più di mezza regione, mentre ancora assistiamo, sempre oggi, a continue, quasi quotidiane, violazioni di quell'ideale di difesa che venne sancito ben 70 anni fà con la nascita del primo Parco nazionale d ltalia.
Ci si continua a chiedere cosa debba rappresentare un'area protetta, quando questa domanda è quasi pleonastica tanto è semplice la risposta: ovvero, alla difesa di un luogo affinchè non muti mai più nell'aspetto esteriore.
Si continua a legare strettamente la concezione di parco alla politica economica, i parchi come investimento, mentre i parchi sono e dovrebbero restare solo cultura e valori interiori in quanto dovrebbero sempre prescindere da quello che di economico potrebbero anche dare.
Ecco quindi e perchè la logica del profitto legata ai parchi. I parchi che devono rendere. Così in questa logica, per farli rendere, si scende ai compromessi più deleteri se non per essi come istituzioni, almeno per i complessi biologici che devono preservare, per la bellezza dei luoghi, per le aspettative dei visitatori più sensibili i quali vengono a perdere in qualità di sentimenti, di emotività, di gioia.
Una delle certezze degli ambientalisti è il non voler riconoscere che i parchi rappresentino dei sacrifici per chi li vive; che i parchi facciano paura agli abitanti locali per i vincoli che impongono. Ed è su questa certezza che poi viene basata la logica dei parchi legata al profitto. Ma è vero invece il contrario! E il problema va risolto non già istituendo dei parchi che non facciano paura (quello che si sta facendo da noi): perchè sarebbero (e sono) dei falsi parchi! Va risolto istituendo dei parchi coscienti che i parchi sono un lusso, se lo vogliamo dire con un brutto termine. Quindi che è giusto che questo lusso lo paghi la società tutta facendo in modo che ciò non avvenga solo sulle spalle di chi li abita, di chi ne è proprietario per radici sociali.
Alla logica del profitto va opposta la logica che ovunque un parco arrechi un danno, un aggravio, questo danno e questo aggravio va pagato, indennizzato, operando quindi con una logica esattamente opposta a quella del profitto. Solo così i parchi potranno essere degli organismi democratici inseriti in un sistema democratico senza che perdano la loro funzione primaria.
Che un parco possa portare ricchezza a piccoli centri o a singoli individui od anche a nuclei famigliari è un dato assodato ed anche estremamente ovvio, ma non bisogna fare di questo fatto o fatti, delle motivazioni con valori assoluti e ripetibili per motivare l'istituzione di altri parchi, perchè non potrà mai essere così per tutti i parchi, per tutti i centri dei parchi, per tutti gli abitanti dei parchi. I parchi devono essere concepiti ed esistere come valori culturali, spirituali; se poi da tali valori ne sprigionano anche degli interessi tangibili, ma senza che li si debba prostituire a questo fine, allora ben vengano questi interessi: ma solo come si offre una mancia per un buon servizio, non per pagare il conto!
E' illusorio ritenere che un parco possa "pagare il conto, portare tanta ricchezza quanta ne porterebbe la stessa area lasciata allo sviluppo normale ed imprenditoriale del libero mercato. E questa la grande menzogna che accompagna la nascita dei nostri parchi; il male oscuro per cui si continua a lottare prima per istituire i parchi, poi per salvarli dalla logica della 'valorizzazione", del profitto, su cui sono fondati.
Toccasana di questa logica è il turismo. Del turismo ebbe a dire lo scrittore francese Jean Mistler: è quell'attività consistente nel trasportare persone che starebbero meglio a casa propria in luoghi che sarebbero migliori senza di loro". C'è in questa frase la filosofia più profonda del perchè un parco che "rende secondo la logica del profitto, finisce col non essere più quelI'istituzione la cui finalità doveva essere la conservazione di un luogo,
l'instaurazione di un qualcosa di per sè, divenendo invece solo un qualcosa al servizio del turismo e quindi della logica del profitto.
I parchi vanno quindi prioritariamente istituiti per salvare, conservare un luogo. Sulla base di questo presupposto si devono però prendere le iniziative per garantire questa conservazione facendo in modo che nessun cittadino debba pagare personalmente per questa volontà della società e che il luogo non debba soffrire danni per giustificarla. Se poi la conservazione di questo luogo darà un ritorno economico oltre a quello morale, spirituale e culturale che unico gli si deve chiedere nell'istituirlo in area protetta, ben venga questo ritorno. Ma guai a cercare di "spremere" un parco affinchè ci dia più di quanta economia ci può dare con spontaneìtà !

* Segretario Generale dell'Associazione
Italiana per la Wilderness