Federparchi
Federazione Italiana Parchi e Riserve Naturali


PARCHI
Rivista Parchi:
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Rivista del Coordinamento Nazionale dei Parchi e delle Riserve Naturali
NUMERO 9 - GIUGNO 1993


Valgrande: parco nazionale. E poi?
Fabio Lopez Nunes*

Valgrande: questa sconosciuta meraviglia. Venticinque chilometri di forra inaccessibile a soli ottanta chilometri da Milano; migliaia di ettari di boschi, dirupi, torrenti impetuosi abbandonati dall'uomo dal giorno della grande battaglia che ha consumato la gloriosa Repubblica d'Ossola sotto la barbarie nazifascista. Il compendio selvaggio, racchiuso fra il lago Maggiore, la val Vigezzo e la Valdossola è oggi un parco nazionale.
E il grande amore verso questa valle, verso la pace, la solitudine e la rudezza che traspare da ogni angolo a rendermi felice e preoccupato insieme, per questa salita all'Eden delle grandi aree protette del nostro Paese. E la consapevolezza della vulnerabilità del sito a rendermi trepidante per il suo futuro. Ed insieme la grande occasione che si apre con il Parco a darmi la speranza che questa meravigliosa e solitaria valle possa essere ancora così per i nostri figli ed i nostri nipoti.
Questo comprensorio è probabilmente l'ultimo esempio di una valle sfuggita alla modernizzazione che hanno subito tutte le Alpi centrali, racchiuso com'è tra grandi vallate (Ossola e Centovalli) e il lago Maggiore, dentro una cortina montuosa non elevata, ma certamente irta ed inaccessibile. E sorella della val Cannobina, ma questa è percorsa da una tortuosa stradina carrozzabile e cosparsa di graziosi villaggi arroccati sui pendii. Lei, la Valgrande, è tutta interclusa, senza strade e neppure mulattiere. Solo un via vien sù da Rovegro per Cicogna, unico paesetto del futuro Parco, insieme di casupole in pietra incastonate su un poggio che strapiomba sul rio Pogallo (laterale della Valgrande vera e propria).
Intarsiata dentro, questa valle è fuori dal mondo fin dal dopoguerra, e così pure tutti i pendii che dalle sue frastagliate creste scendono giù verso l'Ossola. Pochi i tentativi di arroccamento della civiltà: sopravvive l'accesso antico della Colma di Premosello e quello opposto dall'alpe Scaredi. Anzi, appena sotto l'alpe si attesta in val Loana uno stradone asfaltato che vien sù da Malesco, a servire le grandi (forse eccessive) opere di bonifica montana successive alla alluvione di un decennio or sono. Una brutta strada inoltre sale in alto fino all'Alpe Ompio, opera di un gruppo immobiliare privato degli anni settanta che puntava a speculare sulle aree fallita l'operazione immobiliare la strada è rimasta a monumento dell'inutile, perdendo brandelli di sé a ciascun inverno, senza che nessuno avesse provveduto alla sua manutenzione. Una sola cava intacca i suoi pendii, molto marginalmente; è quella di Candoglia, sopra Mergozzo, i cui marmi pregiati scendevano fin dal Medioevo su lente chiatte dal Toce, nel Verbano e del Ticino, per percorrere il Naviglio Grande, ad alimentare la Fabbrica del Duomo meneghino.
Ma la Valgrande è ancora intonsa per chi, a suo rischio, vuole entrarvi: i sentieri si fanno e disfanno; i passaggi fra le forre ci sono e non ci sono; le vipere invece sì. E senza attrezzature, I'esperienza dei luoghi e delI'andar per bricchi, ci si perde; fanno eccezione pochi sentieri che la Forestale ha ripristinato: come quello che dal basso, presso il ponte di Casletto che porta a Cicogna, raggiunge quello di Velina. Un'oretta di percorso tra forre, boschi e cascate; e poi, basta. Da lì in avanti è istituita una Riserva naturale integrale sulla sinistra orografica; sulla destra invece no, ma è come se lo fosse. Il paesaggio è quello delle Alpi, con il castagno che domina sulle altre latifoglie; ma l'ecosistema è vario e ricco e assieme al castagno cresce il frassino, la betulla, il nocciolo, il tasso, I'agrifoglio, il sorbo e così via. Faggio e rododendro ferrugineo scendono giù fino al fiume, a 400 metri sul livello del mare, a testimoniare che l'aria è sempre fresca e ventilata e l'inversione termica è marcata. Lascio ai botanici ogni dire sulle specie e gli endemismi. Però sia permesso ricordare che salendo sù per la Colma di Premosello compare il rododendro bianco: raro come è rara una mosca bianca. Forse è solo un fenomeno di albinismo vegetale, ma poco importa, poichè è tanto bello da stupire e affascinare tanto gli esperti quanto i profani. Benvenuto parco nazionale per proteggerlo: già, questo titolo nobiliare è ormai sulla bocca di molti e questa valle sconosciuta ai più ben presto diverrà meta di curiosi. E allora chissà per quanti anni ancora il rododendro bianco tornerà a fiorire lungo il sentiero per la Colma? Chi ci sarà a sorvegliare perchè sopravviva?
Come per gli altri siti destinati a Parco nazionale (la Maiella, il Cilento, i Sibillini ...) Ie riviste patinate fanno a gara per parlarne; sempre più la gente è attirata, incuriosita dai luoghi remoti saliti alla ribalta, e se non altro per seguir virtute e conoscenza tanti, sempre di più, prenderanno il bivio per Rovegro e per Cicogna. Ma quella strada è di soli due metri, con roccia a monte e strapiombo a valle. E dopo la galleria, di qua e di là dal ponte di Casletto, ci sono al massimo cinque posti auto; sù a Cicogna, qualche decina. Il sentiero, per quanto sistemato dalla Forestale, è pur sempre pericoloso come una via ferrata in Dolomiti, con in più l'umidità che rende viscido il legno delle passerelle.
La gente arriverà e sarà tanta, molto prima che il Parco decolli, che vi sia una adeguata gestione, che qualcuno pensi di chiudere la strada, magari istituendo un pullmino navetta o qualche idea del genere. Per contro, c'è che dipinge la Valgrande come l'unica area di wilderness delle Alpi; nemmeno un parco nazionale, ma qualcosa di molto di più; un posto dove chi vi acceda possa sentirsi solo nella natura, un intruso fra le forze del Creato; la sensazione del mondo selvaggio, della foresta vergine; il mito delle origini. E allora non solo niente auto per Cicogna, ma niente sentieri sistemati, niente stimoli per la visita; anzi, numero chiuso. Così ci potrà andare solo lui, per sentirsi beato nella natura che meraviglia ! La valle sarà salva, a sua disposizione.
Tutto sommato, forse, vorremmo tutti, egoisticamente, essere fra quelli che vanno in Valgrande perchè "è wilderness', e wilderness è bello dentro. E avere la Valgrande tutta e solo per sè stessi. Dunque una sensazione, uno stato d'animo. Ma è giusto realizzare un parco o una riserva naturale per la mera soddisfazione di un bisogno così interiore, così soggettivo? E giusto affrontare un così importante investimento solo per consentire a pochi di sentirsi immersi nel silenzio del Creato? E all opposto: è giusto trasformare la natura in merce da svendere, regalare a masse di gente impreparata siti così vulnerabili e delicati? Parco nazionale area protetta da chi e per che cosa?
Il concetto di wilderness è una moda emergente; nasce negli Stati Uniti dove sono ancora immense superfici demaniali che l'uomo non ha mia utilizzato, all'interno delle quali è possibile immergersi e transitare per giorni senza trovarvi apparenti tracce di umanità. "La natura selvaggia è sia una condizione, che uno stato d'animo', dice il Servizio Forestale degli USA a proposito della wilderness.
Ma vi sono seri dubbi che la natura selvaggia esista ancora in qualche remoto angolo del mondo; figuriamoci da noi. La Valgrande, per esempio, è in stato di abbandono dal dopoguerra: ma prima era una valle come tante, con i suo alpeggi, le baite, e i boschi più o meno utilizzati. I partigiani delI'Ossola vi si rifugiarono nel disperato, quanto purtroppo inutile tentativo di sfuggire alla retata dei nazifascisti: fu una carneficina e furono distrutti tutti gli alpeggi, le baite, i ponti. Da allora la valle è rimasta nel silenzio e nell'oblio; la natura si è ricostruita il suo rigoglio vegetativo e quanto si vede oggi è frutto della rinnovazione spontanea degli ultimi 50 anni. Qui la wilderness non è certamente una condizione geografica; forse è uno stato d'animo.
Dobbiamo istituire un'area protetta per uno stato d'animo?
Ben altre devono essere le ragioni per cui questa area (come ogni area sensibile) richiede tutela; tutela dalla voglia di strade; dal bisogno di dighe per la energia elettrica; dalla massificazione ricreativa di un sito che comunque non ha gli spazi per essere massificato. Non per la wilderness ma nemmeno per le masse: questo è il filo del rasoio su cui progettare l'area protetta. Ai futuri gestori del Parco spetterà il delicatissimo compito di trovare un equilibrio, se possibile, tra tentazioni esclusiviste (ed in definitiva elitarie) dei solitari di wilderness e, per contro, la tentazione del tutto accessibile.
Forse la chiave di lettura potrebbe passare attraverso un modello di parco più alla francese, dove l'area rigorosamente protetta è circondata da una assai più vasta (che potrebbe arrivare all'Ossola, al confine con la Svizzera, fin giù al lago) e quest'ultima destinarla agli spazi per la fruizione più ampia.
Nel cuore della valle si dovrà poter accedere meglio di oggi, ma solo lungo i sentieri studiati e appoggiandosi ai vecchi alpeggi. I solitari di wilderness dovranno accettare che il parco non sia solo per loro, ma anche per tutti gli altri che saranno disposti ad accettare le sue regole. Ma occorre fare presto, perchè la troppa pubblicità in assenza di gestione rischia di creare grandi problemi a questo patrimonio, I'ultimo angolo remoto del basso arco alpino.

Direttore Parco regionale Groane