Federparchi
Federazione Italiana Parchi e Riserve Naturali


PARCHI
Rivista del Coordinamento Nazionale dei Parchi e delle Riserve Naturali
NUMERO 11 - FEBBRAIO 1994


Editoriale
Il Parlamento ha "salvato" la Consulta tecnica e il Comitato Stato Regioni. La proposta di abrogarli
in quanto inutili e obsoleti contenuta nella legge finanziaria non è stata infatti fortunatamente accolta. E una buona notizia, passata del tutto inosservata, a cui proprio per questo vogliamo dedicare l'apertura.
Altre buone notizie riguardano l'insediamento di alcuni importanti nuovi parchi nazionali, primi fra tutti quello delle Dolomiti Bellunesi, delle Foreste Casentinesi e Campiglia e dei Monti Sibillini.
La mappa delle aree protette del nostro Paese si arricchisce così di nuove rilevanti presenze, che specialmente al Sud sono destinate a suscitare speranze e attese che sarebbe colpa gravissima deludere.
I nuovi parchi, è chiaro, al momento sono poco più di una solenne dichiarazione di intenti. Essi devono infatti metter su casa, muovere i primi passi tra un mare di prevedibili difficoltà. Dalla loro hanno però, ed è un fatto di straordinario valore, l'accoglienza calorosa che all'insediamento gli ha riservato la gente del posto. E una bella e per qualche aspetto persino inaspettata novità. Raramente l'istituzione di un parco nel nostro Paese ha incontrato tanto favore e consenso. Ma questa fiducia, una vera e propria apertura di credito, non può ora naturalmente essere tradita in alcun modo. E i presidenti e gli amministratori degli enti e delle comunità del Parco freschi di nomina, ai quali formuliamo i più sinceri e amichevoli auguri, lo sanno benissimo.
Sanno che i loro Parchi nascono nel segno di una legge nuova che ha previsto organi di gestione aperti a nuove rappresentanze associative e una comunità del parco che per la prima volta impegna gli amministratori pubblici a scegliere i propri rappresentanti non più in base a criteri estranei alle esigenze di trasparenza e di buon funzionamento della pubblica amministrazione.
Ai nuovi Parchi il Paese guarderà quindi con la curiosità e la speranza riservata a coloro dai quali ci si attendono risultati tangibili e persuasive conferme per il futuro. Ecco perchè la responsabilità dei nuovi amministratori è grande.
Essa però non ricade soltanto ed esclusivamente sulle loro spalle. Lo Stato non ha esaurito infatti i suoi compiti emanando i decreti di perimetrazione e provvedendo alle nomine. E così pure le Regioni e gli Enti locali.
All'uno e agli altri, messi a regime gli organi, compete ora di definire i programmi nazionali e regionali idonei ad assicurare il flusso adeguato e tempestivo dei finanziamenti, a mettere i nuovi enti di gestione nelle condizioni di partire subito disponendo di sedi, organici e strumenti operativi indispensabili per ben gestire le nuove realtà.
L'attenzione dovuta ai nuovi arrivati e per quelli di cui è imminente l'istituzione, non può e non deve naturalmente far venir meno e neppure attenuare l'impegno nei confronti delle altre aree protette, nazionali, regionali o locali che siano.
Per tutte infatti la fase che stiamo attraversando comporta nuove responsabilità e richiede rapidi adeguamenti alle novità introdotte dalla legge nazionale che le Regioni debbono recepire nella loro legislazione senza ulteriori indugi e rinvii.
Solo così l'insieme molto eterogeneo delle aree protette del nostro Paese può aspirare a divenire un sistema nazionale.
La nostra è oggi una realtà estremamente variegata, ed anche un pò variopinta, nella quale fianco a fianco, come conferma l'indagine svolta dal Coordinamento nazionale per conto del Ministero dell'ambiente, convivono, spesso ignorandosi, aree protette di poche centinaia e migliaia di ettari, parchi di media e grande dimensione, taluni dotati di enti, di sedi, di bilanci, di personale propri, mentre altri vivono alla belle meglio, allocati in sedi precarie e provvisorie con un telefono e poco più. Ad essi si stanno aggiungendo ora parchi di grandissima dimensione anche superiori ai 200.000 ettari che ricordano più le esperienze americane che quelle europee. Una realtà quanto mai complessa dunque, non certo riducibile, per storia, caratteristiche, tradizioni ad un unico modello, ma che deve tuttavia essere coordinata, perchè questo insieme differenziatissimo di esperienze e situazioni possa entrare in rapporto, sulla base di una programmazione nazionale e regionale che non c' è mai stata perchè neppure prevista.
Il sistema di cui parliamo significa innanzitutto una anagrafe nazionale in cui tutte le aree protette siano registrate sulla base della propria specifica identità istituzionale e tipologica, per essere chiamate però a rispondere non più esclusivamente ad esigenze ed impulsi locali.
Un sistema che non cancelli quindi le peculiarità di ciascuno, che poi sono quelle che ne hanno legittimato l'istituzione, ma che sappia inquadrarle e valorizzarle all'interno e nell'ambito di politiche e indirizzi nazionali, capaci anche di immettere l'esperienza e l'impegno dei singoli parchi in quelle scelte di politica ambientale comunitaria, destinate a condizionare sempre di più anche le decisioni dei vari Stati.
Al di fuori di questo disegno, innegabilmente ambizioso ma anche indispensabile, tutto rimarrebbe infatti confuso e affidato solamente alle iniziative scoordinate di ciascuno. Si pensi agli effetti che questa improvvisazione e carenza di pianificazione potrebbe avere, ad esempio, a fronte dei regolamenti comunitari riguardanti l'agricoltura e la forestazione. La loro attuazione avverrebbe a pelle di leopardo, senza che le varie aree protette siano in grado di orientarne unitariamente i flussi di spesa e la qualità degli interventi.
Quando chiediamo al Ministero dell' ambiente una sempre più incisiva capacità di indirizzo per tutti i parchi, compresi ora quelli marini le cui competenze sono state finalmente tolte al Ministero della marina mercantile, quando manifestiamo preoccupazione per i ritardi di tante Regioni ad adeguare la loro legislazione alle nuove norme quadro, non intendiamo perciò richiamare soltanto pur importanti scadenze operative fissate dalla legge nazionale. Intendiamo soprattutto mettere in guardia dai rischi che una gestione non ispirata e concretamente improntata a questa visione d'insieme dei problemi fa correre al nostro Paese anche nei suoi rapporti con la CEE.
Non dimentichiamo che l'Italia si vede restituire oggi soltanto 40 delle 100 lire con cui concorre alle spese della comunità.
Per colmare questo gap notevole specialmente nel comparto ambientale, che figura ormai ai primi posti della politica comunitaria, è necessario che sappiamo mettere in campo una grande capacità di programmazione e di elaborazione di progetti coordinati da Stato, Regioni, Enti locali e parchi.
Si tratta, è chiaro, di una sfida ardua alla quale non possiamo però sottrarci se non vogliamo tra l'altro continuare ad accumulare in questo come in altri comparti di spesa residui passivi, nonostante le non impinguatissime poste di bilancio.
Il piano triennale, la carta della natura, i progetti finanziati con le più recenti leggi, i piani regionali sono tutti momenti di concreta e ineludibile verifica per il Ministero dell'ambiente, per le Regioni, per le Province e i Comuni e non ultimi per i nuovi e vecchi Enti di gestione dei parchi. La validità e la bontà dei nuovi strumenti previsti dalla legge 394 e dalla legislazione regionale si misura qui, nell'efficacia con cui essi sapranno mettere a frutto tutte le nuove potenzialità.