Federparchi
Federazione Italiana Parchi e Riserve Naturali


PARCHI
Rivista del Coordinamento Nazionale dei Parchi e delle Riserve Naturali
NUMERO 11 - FEBBRAIO 1994


Parchi ed economia
Renzo Moschini

In un seminario promosso da "Parchi" e dal Coordinamento nazionale dei parchi e delle riserve, tenutosi al Parco emiliano del Gigante abbiamo discusso, con la partecipazione di esperti stranieri, del ruolo del parco quale soggetto di una politica eco-sostenibile.
In questo numero pubblichiamo sull'argomento alcuni contributi assai diversi tra di loro, i quali, proprio per questo, ci aiutano a capire la dimensione e la complessità del problema.
Il tema dell'economia sostenibile, oggetto di numerosi e importanti studi e documenti anche "ufficiali", sul quale si registrano peraltro molteplici posizioni, è naturalmente tutt'altro che nuovo.
L'attenzione per il tema è talmente cresciuta che qualcuno teme addirittura che dietro tanto fervore possa nascondersi il tentativo di rilanciare sotto mentite spoglie una rinnovata fase di sviluppo delle attività produttive. Timori a parte, questo dibattito è importante e positivo. Si tratta infatti di qualche cosa di nuovo con cui oggi si debbono misurare tutti.
Debbono o dovranno farlo innanzitutto coloro che continuano più o meno altezzosamente a snobbare il problema confidando nelle vecchie e miracolose ricette del libero mercato, ma anche quelli che su sponde opposte paventano e scorgono ovunque manovre gattopardesche, forse perché considerano qualsiasi intervento dell'uomo sulla natura pericoloso e distruttivo. Provengono spesso da qui gli appelli "alla salvaguardia di una natura senza uomini che semplicemente non esiste". (Touraine).
"La ricerca di una conciliazione tra economia e ambiente, tra sviluppo e ambiente, richiede infatti, come ha scritto Ruffolo, nuovi strumenti e nuove categorie concettuali".
E questa non è cosa né semplice né facile.
Basta leggere "Il pianeta degli economisti, ovvero l'economia contro il pianeta", il libro nel quale
Carla Ravaioli ha raccolto e commentato le interviste di alcuni tra i maggiori e più famosi economisti del mondo, per capire quanto sia ancora lunga la strada da percorrere, perché quei nuovi strumenti e nuove categorie, di cui parla Ruffolo, possano essere acquisiti.
E tuttavia significativi tratti di strada sono stati compiuti.
"E' evidente, ha scritto Lester Brown, che l'attuale sistema economico sta lentamente cominciando ad autodistruggersi, in quanto intacca e indebolisce i sistemi ambientali che lo sostengono. La sfida che si deve affrontare consiste nel progettare e costruire un sistema economico che sia ambientalmente sostenibile".
Sui caratteri di questo nuovo sistema il dibattito è naturalmente più che mai aperto.
Qualcuno come abbiamo detto teme che con lo sviluppo sostenibile si voglia conservare soprattutto lo sviluppo anzichè la natura. Insomma, dopo lo slogan "niente sviluppo senza sostenibilità", ora comincerebbe a passare "niente sostenibilità senza sviluppo".
Sono timori certamente non infondati purchè non si trasformino in un rifiuto a misurarsi con il massimo di apertura e disponibilità con tutti coloro che oggi avvertono l'insostenibilità dell'attuale stato di cose.
Ne è convinto, forse un pò troppo ottimisticamente, Sansoon, il quale ritiene che "il cammino verso un mercato ambientalmente compatibile è già cominciato per cui il problema reale diventa quello di individuare le condizioni utili per favorire la transizione globale verso l'ecocompatibilità. Egli aggiunge che oggi non "si tratta soltanto di esprimere volontaristicamente una meta per poi poterla veramente raggiungere". Insomma sta finendo la fase della mera emergenza ambientale e si sta passando a quella della "gestione consapevole dell'ambiente".
Ma una diversa gestione dell'ambiente implica anche nuovi paradigmi e parametri di riferimento a cominciare dai criteri di valutazione e misurazione di ciò che costituisce la "ricchezza" di un paese.
In seno alla C.E.E. è stato riconosciuto che occorre "rivedere i parametri in base ai quali si calcola il prodotto interno lordo dei singoli paesi della comunità, e ciò sulla base dello sviluppo sostenibile che potrebbe consentire di realizzare particolari investimenti in favore dell'ambiente che potrebbero permettere di recuperare dai 2 ai 4 milioni di nuovi posti di lavoro".
Il benessere di un paese d'altronde si misura sempre meno dalla quantità di merci, secondo l'economista Fuà. Esso è composto invece "di soddisfazioni nel lavoro, di sicurezza di muoversi liberamente, di serenità e di tutta un'altra serie di elementi che non entrano nel PIL. Che senso ha allora rallegrarsi di una crescita del prodotto se poi si scopre che è aumentato l'inquinamento ed è diventato pericoloso passeggiare per le strade. In questi casi il nostro benessere peggiora".
Cosicchè se ci affidiamo esclusivamente al PIL può accadere, come in effetti regolarmente avviene e non soltanto nel nostro Paese, che noi risultiamo "più ricchi" in quanto impieghiamo risorse per dotarci di opere con le quali cerchiamo, spesso malamente, di rimediare ai danni che noi stessi provochiamo (inquinamento, dissesto idrogeologico). Ma queste spese per quanto cospicue non migliorano assolutamente il nostro benessere, la nostra qualità della vita: al massimo ne limitano e contrastano soltanto il peggioramento.
"In realtà una buona parte di ciò che chiamiamo crescita economica moderna consiste nella mercificazione di attività e di soddisfazioni che precedentemente esistevano al di fuori del mercato". Il che spesso provoca un danno che non viene simultaneamente riparato attraverso produzioni appropriate.
Danni che vengono sovente "differiti" nel futuro. Un esempio di perdita differita è rappresentato dalla distruzione della fertilità del suolo in una agricoltura di rapina.
Un esempio di perdita incerta, ma se si verificherà catastrofica, è dato dall'effetto serra.
Un esempio di perdita irreparabile è la distruzione della memoria storica e dei valori artistici di un centro cittadino per facilitare il traffico cittadino". '
"La razionalità ecologica, a giudizio di Andrè Gorz, consiste perciò nel soddisfare i bisogni materiali al meglio con una quantità più ridotta possibile di beni, con valori d'uso e durata elevati, quindi con un minimo di lavoro, di capitali e risorse naturali". 2
Per altri (Felicetti) "il concetto di sviluppo ecologico va più lontano rispetto a quello di sviluppo sostenibile in quanto esso tiene conto dell'insieme degli elementi qualitativi che determinano il livello di vita, quali l'istruzione, la salute, o la creazione culturale ", rimettendo in discussione, contrariamente al rapporto Brutland, i modelli di consumo dei paesi industrializzati.
Ha scritto Ernst Von Werzsacker: "il socialismo burocratico è crollato perché non permetteva che i prezzi dicessero la verità economica. L'economia di mercato può rovinare l'ambiente e alla fine se stessa se ai prezzi non sarà permesso di dire la verità ecologica".
Si può perciò condividere la critica a chi adotta il punto di partenza più sbagliato a proposito dell'economia sostenibile, cioè quello della ipersemplificazione, purchè non si stendano pietosi veli sulla "verità ecologica" e non dimenticando l'ammonimento di Shepard, esponente del W.W.F. scozzese, il quale ricorda che anche gli ambientalisti debbono "ancora imparare a convivere con la enorme complessità dei problemi dello sviluppo sostenibile".
Per quanto ci riguarda, muovendoci all'interno di questa ricerca, abbiamo voluto misurarci più che con le tematiche generali con un aspetto specifico: il ruolo (se c'è) che possono giocare i parchi quali soggetti appunto di una economia ecosostenibile.
Un ambito di riflessione piuttosto circoscritto quindi ma non per questo meno importante e complesso. Intanto perché presuppone e richiede che siano ben chiari il carattere, le finalità della protezione oggi. Solo così sarà possibile delineare infatti anche il ruolo dei parchi in rapporto a questo obiettivo generale della riconversione economica secondo indirizzi ecosostenibili.
Ora noi sappiamo che da molto tempo si parla dei "vantaggi" che possono derivare all'economia
locale dall'istituzione e dal buon funzionamento di un parco.
In Italia sono note le esperienze del Parco nazionale d'Abruzzo. Ma ce ne sono anche altre sebbene non altrettanto conosciute. Se si vanno ad esaminare i risultati conseguiti in questi parchi nazionali e regionali, non sarà difficile toccare con mano che l'aver resistito a spinte, anche fortissime, di segno speculativo non ha fatto bene solo all'ambiente ma ha dato anche buoni riscontri economici.
Queste esperienze hanno avuto l'indiscutibile merito di dimostrare l'infondatezza della tesi secondo cui l'unica strada ragionevole per i residenti all'interno dei parchi fosse la messa in "vendita" del proprio territorio. Con altrettanta franchezza va anche detto come oggi non possiamo accontentarci di "consolidare" ed estendere quei risultati.
Le ricadute positive delle attività promosse e gestite dai parchi, come sappiamo, hanno riguardato e riguardano principalmente il turismo.
Non si tratta certo di un caso. E questa l'attività attraverso la quale si è cercato, spesso purtroppo con successo, di "valorizzare" (leggi aggredire e deturpare) territori pregiati con i risultati che sono sotto gli occhi di tutti.
L'aver contrapposto a questo tipo di turismo del cemento, del consumo del territorio, un turismo di tipo diverso, più intelligente e in buona sostanza "sostenibile", è stata una scelta saggia anche perché meno bisognosa di risorse di investimento che i parchi, peraltro, non avevano e non hanno neppure Oggi.
E stato un modo intelligente e persuasivo di far capire sulla base di esperienze concretamente vissute che non c' è stato un "solo" modo di "usare" il territorio.
Mentre lo Stato investiva risorse immani in opere faraoniche, un certo numero di parchi si sono rimboccati le maniche per allestire i sentieri, i centri visita e museali, organizzare le visite guidate, promuovere l'educazione ambientale. Una serie di attività che hanno avuto il grandissimo merito di offrire al cittadino non soltanto giovane un turismo e una vacanza di tipo nuovi, e al tempo stesso di creare nuove fonti di lavoro o di integrazione del reddito.
Al riguardo, per quanto non abbondantissima, è disponibile una discreta documentazione relativa ai parchi di molti Paesi, che conferma i risultati conseguiti in questo settore di attività.
Qui vorremmo limitarci a citare fra i tanti l'esempio di un parco di un Paese in via di sviluppo: il Parco nazionale tunisino istituito nel 1980 e comprendente il Lago di Ichkeul e le vicine paludi di Djebel Ichkeul.
In questo Parco istituito per tutelare una zona umida le cui acque dovevano essere utilizzate diversamente, i benefici per la pesca e per il pascolo derivati dall'esistenza del Parco, dopo pochi anni, sono già sufficienti a giustificarne l'istituzione, se confrontati con quelli che sarebbero derivati dalla deviazione dell'acqua dalle zone umide per impianti di irrigazione lungo il perimetro.
Tuttavia ci sono altri valori del parco naturale che possono essere ancora più significativi: turismo, desalinizzazione degli specchi d'acqua, smaltimento delle acque di scarico, controllo della fauna selvatica e valore educativo.
In definitiva è provato che il profitto netto annuo dell'irrigazione è negativo e comunque inferiore a quello del pascolo e della pesca nel parco. Gli argomenti economici spesso usati contro l'istituzione di aree protette in questo caso giovano decisamente a favore del parco.
Ad un esame superficiale potrebbe apparire persino "superata" la funzione delle aree protette se è vero che oggi è l'ambiente nel suo insieme che va salvato e protetto.
Ciò è tanto vero che qualcuno, e non certo per amore del paradosso, ha detto che il mondo intero va concepito e gestito come un parco. Se si pensa che attualmente nel mondo il 95% degli habitat naturali non è protetto, è legittimo chiedersi se è praticabile nel lungo termine una strategia della conservazione che già oggi vede le stesse aree protette soggette a pressioni negative crescenti. I parchi però nonostante questo, anzi proprio per questo, sono considerati oggi più di ieri strumenti indispensabili alla tutela, tanto è vero che persino nel nostro Paese, che è stato sempre tra i fanalini di coda in Europa, si punta ora non soltanto sulla istituzione di nuovi parchi, ma di parchi di dimensione "americana".
Sembrerebbe, inutile negarlo, una palese contraddizione e invece non lo è. Non lo è perché il parco di cui oggi parliamo e che la legge 394 delinea pur tra qualche ambiguità, è un'altra cosa rispetto ai vecchi parchi.
So bene che quando ci si oppone alla istituzione o al decollo di un parco lo si fa spesso perché disinformati o malamente informati, e perciò convinti di avere a che fare con un parco "custode" o "recinto".
E non è un caso che spesso i cittadini reagiscono meno emotivamente e negativamente alla presenza di un'area protetta. Certo la "persuasione" risulta spesso ardua perché, come annota Pierce, "l'idea della conservazione è stata pubblicizzata in maniera tale da renderla antitetica allo sviluppo. Ciò è necessariamente vero, in parte, ma non è sempre così". 3
I parchi di oggi, alla luce anche di queste nuove concezioni della "tutela" che sono andate maturando e definendosi, sono quindi un'altra cosa rispetto al passato; non però per quanto riguarda le finalità. Oggi come ieri i parchi debbono infatti svolgere una funzione di tutela, di salvaguardia, solo che per poterla svolgere nelle condizioni odierne debbono non soltanto "vigilare", ma agire. Il controllo del territorio oggi ha poco senso se non si accompagna ad interventi idonei a contenere ma anche a modificare fenomeni e processi che spesso hanno il loro epicentro "fuori" dal parco.
Tomando all'apparente contraddizione di cui parlavamo si può dire che sotto questo profilo, della stretta connessione cioè tra fenomeni interni ed estemi al parco, vi è una evidente coincidenza di interessi.
L'inquinamento delle acque o dei terreni agricoli, per fare due esempi, produce danni che vanno combattuti fuori non meno che all'interno di un'area protetta.
Il punto di distinzione, non certo di contrapposizione, tra le due realtà è dato invece dal fatto che, presupponendosi che il territorio a parco racchiuda in sé un complesso di valori e beni habitat non esclusivamente naturalistici di grande pregio, e comunque degni della massima protezione, lì si concentra uno sforzo "straordinario" in termini di risorse finanziarie, tecniche e scientifiche. Uno sforzo legittimato dal valore del territorio protetto ma anche dagli effetti che esso deve essere in grado di produrre per l'esterno sotto forma di "sperimentazione" non più su piccola ma su grande scala.
E' l'idea del parco come laboratorio da intendersi però, diciamo così, come una sperimentazione a scala uno. Una sperimentazione che non deve riguardare più soltanto alcuni aspetti della realtà economico-sociale fino ad ieri considerati gli unici congeniali alle aree protette.
Oggi questo interesse dei parchi può, anzi deve, prendere in considerazione una molteplicità di problemi e le loro interrelazioni, che ad una riflessione superficiale potrebbero apparire estranei, o quanto meno estremamente distanti dai compiti istituzionali delle aree protette.
Sotto questo profilo, a conferma di quanto siano cambiate le cose, potremmo fare riferimento a due settori di attività: il turismo, ritenuto da sempre il più congeniale alla attività dei parchi; e l'agricoltura considerata invece come una delle meno compatibili con la protezione.
Ebbene, anche per il turismo oggi i parchi debbono tener conto, grazie anche alla loro notevole esperienza, che spesso perfino le attività in apparenza prive o quasi di effetti ambientali apprezzabili, possono rivelarsi, se non soggette a severi controlli quantitativi e qualitativi, a rischio.
Diversa, potremmo dire rovesciata, la situazione per quanto riguarda l'agricoltura. La pessima fama di cui ha goduto fino a ieri sembra cominciare, specie dopo le ultime decisioni della C.E.E. ed in particolare il regolamento n. 2078, a lasciare il posto a più fiduciose e ottimistiche previsioni e speranze.
In effetti il cambiamento di rotta della C.E.E. è di quelli destinati a lasciare il segno. Agli anni dello sfrenato sostegno al solo incremento produttivo, i cui effetti sono ormai sotto gli occhi di tutti, sta subentrando infatti il tentativo di mettere al primo posto le esigenze di salvaguardia e recupero ambientale.
Si tratta di una svolta che va incoraggiata e sostenuta per le nuove prospettive che essa può aprire anche all'impegno delle aree protette.
In ambedue i casi si tratta di una conferma che il problema dell'economia sostenibile è oggi più
che mai all'ordine del giomo anche delle aree protette.

Bibliografia
Giorgio Fuà, Crescita economica: le insidie delle cifre. Il Mulino,1993
Andrè Gorz, Metamorfosi del lavoro, Bollati Boringheri, 1993. David Pierce (e altri), Progetto per una Economia Verde, Il Mulino, 1989. David Pierce, Una Economia Verde per il Pianeta, Il mulino,1993