Federparchi
Federazione Italiana Parchi e Riserve Naturali


PARCHI
Rivista del Coordinamento Nazionale dei Parchi e delle Riserve Naturali
NUMERO 11 - FEBBRAIO 1994


Parco e sviluppo locale
Anna Natali*

Negli anni recenti si è molto parlato del rapporto fra parco e sviluppo locale. In particolare la discussione ha messo in evidenza la necessità di promuovere, nelle aree interessate dai parchi, interventi di valorizzazione economica con lo scopo di compensare i vincoli di tutela. La considerazione è che le misure di conservazione comportano restrizioni degli usi delle risorse, dunque costi che gravano sulle comunità locali; per bilanciare questi costi è opportuno mettere in atto iniziative volte ad accrescere i livelli di reddito, la dotazione di servizi, o in generale a migliorare la qualità della vita dei residenti.
Ma di parco e sviluppo si parla anche in un altro senso. Si ritiene infatti che in molte aree la presenza di un parco possa essere una opportunità importante ai fini di una ripresa dell'economia locale. I casi ai quali si pensa sono principalmente quelli di aree marginali, soggette da anni a intenso calo demografico, le cui attività tradizionali, agricoltura e allevamento, sono in declino. In queste aree, si sostiene, la costituzione di un parco apre prospettive di valorizzazione, soprattutto in campo turistico, che possono arrestare lo spopolamento e rivitalizzare le comunità.
Sia che prevalga il primo, sia che prevalga il secondo punto di vista, il dibattito in genere non si spinge sino a considerare i numerosi problemi che si incontrano nell'intraprendere un'attività di promozione economica: probabilmente perchè non si ritiene compito del parco occuparsi direttamente delle iniziative di promozione; o forse perchè non si percepisce tutta la complessità delle questioni attinenti lo sviluppo. In ogni caso la conseguenza che si ha, è che molti aspetti rilevanti restano troppo spesso in ombra.
Per esempio non è chiaro, una volta affermata la necessità di favorire lo sviluppo locale, quali specifici sentieri di sviluppo si debbano favorire; se le possibilità di sviluppo di un'area emergano in modo evidente o debbano essere studiate e progettate;
quali risorse e caratteri della società locale possano essere mobilitati a fini di sviluppo; in quali tempi si possano conseguire risultati apprezzabili. Eppure questi punti sono rilevanti per il parco: diverse direzioni di sviluppo possono risultare più o meno compatibili con la tutela; perseguire uno sviluppo compatibile può significare accogliere in misura più o meno consistente le richieste emergenti in loco, con ripercussioni sul livello di consenso al parco; senza una stretta connessione tra azione economica e azione di tutela, o senza una decisa e tempestiva azione economica, svolta in tempi paragonabili a quelli in cui si esprime l'efficacia dei vincoli, il parco rischia di ricadere nel problema del conflitto locale.
Inoltre non è chiaro quali competenze occorre mobilitare e quali attività si debbano intraprendere per dare impulso all'iniziativa di sviluppo; o, in altri termini, quale sia il profilo del promotore e che cosa il promotore debba fare.
Infine, non è chiaro se il parco debba limitarsi ad auspicare che il ruolo di promotore venga assunto, con la necessaria efficacia, da parte degli Enti locali, o se possa ritenersi investito in questo campo di responsabilità specifiche.
Una riflessione che tenti di considerare con maggiore attenzione questi punti appare, pertanto, opportuna. Essa è svolta, in questo contributo, pensando a due particolari tipi di aree: quelle arretrate e quelle - definite a bassa coesione - in cui blocchi allo sviluppo sembrano sorgere in dipendenza da definiti caratteri sociali. La tesi sviluppata è che in questi casi il parco possa agire come risorsa istituzionale (nell'accezione che sarà detta), offerta alle comunità locali a fini di sviluppo.
La domanda di sviluppo
La domanda di sviluppo che un territorio esprime può essere rappresentata come domanda determinata, consistente nella esigenza di rafforzare certe attività e ottenere definiti risultati socio-economici, o come generica tensione al miglioramento dei livelli di reddito e di occupazione.
Quando il tema è affrontato in relazione ai parchi, questa seconda accezione ricorre spesso: si pensa a una domanda astratta di sviluppo contrapposta a una domanda altrettanto astratta di conservazione, e si tende spesso a mettere in luce l'aspetto filosofico della questione: come risolvere il contrasto fra interessi - alla tutela e al reddito entrambi legittimi, costituiti nell'ambito di punti di vista la cui alterità non è eliminabile. Questo modo di impostare il problema non lascia grandi spazi operativi: il parco è collocato in una posizione in cui sembra possa solo concedere o solo irrigidirsi, spostandosi come un binario lungo un ideale continuum compreso fra un polo di conservazione totale e un polo di estremo sfruttamento delle risorse. In realtà la domanda di sviluppo non propone mai valori assoluti e immobili, ma esigenze multiformi e variabili, diverse da luogo a luogo e collegate alle caratteristiche strutturali delle aree, al ruolo che esse svolgono nel territorio e alle aspettative locali circa il ruolo che esse possono svolgere in futuro.
Quando la domanda di sviluppo non è rappresentata in termini astratti, facilmente viene associata alla difesa e al rilancio delle attività economiche già presenti nell'area parco. Queste attività sono infatti quelle che immediatamente possono risentire delle misure di tutela; dunque sostenerle ha il significato di affermare il punto di vista alternativo, l'interesse al consolidamento dell'economia locale. Con ciò si opera una connessione stretta tra opportunità di difendere e sostenere le attività esistenti, e opportunità di difendere e sostenere l'economia locale. Questa connessione stretta, tuttavia, può essere inopportuna e fuorviante.
Non necessariamente, infatti, mantenere o rafforzare l'assetto delle attività esistenti significa imboccare la strada più utile e promettente per lo sviluppo delle comunità locali nel loro insieme; più in generale, non necessariamente la prosperità di un'attività economica significa prosperità per l'area che la ospita.
Attività molto consistenti e redditizie per chi le intraprende possono infatti risultare sostanzialmente indifferenti o addirittura dannose per l'economia dell'area in cui si situano. Possono essere controllate da soggetti esterni, così che i profitti conseguiti escono interamente dall'area. Inoltre, anche se ad alto fatturato, possono offrire complessivamente pochi posti di lavoro o posti a bassa qualificazione, così che la loro presenza non ha l'effetto di distribuire una quantità rilevante di salari o di arricchire l'area di competenze e capacità professionali. Infine, tali attività possono risultare connesse con il tessuto delle imprese locali in modo debole o addirittura insignificante, così che il loro successo produce effetti assai modesti di trascinamento.
Casi di questo genere si possono rintracciare, per esempio, tra villaggi turistici o stazioni invernali o grandi impianti ricreativi, quando questi insediamenti abbiano la tendenza a intrecciare relazioni economiche significative sulle lunghe distanze, più che nell'ambito locale. In tal caso strutture di questo tipo si rivolgono, per gli approvvigionamenti, non al mercato locale ma a grandi fornitori; per i servizi alla persona - dalla lavanderia alla ristorazione - fanno ricorso non alle piccole imprese locali ma a grandi imprese esterne all'area la cui capacità produttiva è molto elevata e i cui livelli organizzativi sono in grado di garantire una qualità costante, benchè non eccelsa. Inoltre si servono della manodopera locale per le mansioni semplici, mentre la dirigenza e il personale professionalizzato vengono chiamati generalmente da fuori. Infine, producono profitti che vanno a beneficio delle società finanziarie o delle grandi industrie che hanno realizzato l'investimento.
Naturalmente è eccessivo sostenere che insediamenti di questo tipo non abbiano alcuna rilevanza per le aree che li ospitano; ma d'altra parte è illusorio ritenere che la loro presenza sia comunque importante a fini di sviluppo locale, o sia tanto importante sotto questo profilo quanto quelle attività sono importanti sul mercato.
Talvolta la consistenza fisica rilevante dell'insediamento, o l'impatto che esercita sulle infrastrutture e sul territorio sembrerebbero suggerire il contrario, ma è sufficiente riflettere un momento per rendersi conto che la rilevanza economica per chi risiede nelle vicinanze potrebbe essere
assai tenue, e la collettività locale potrebbe trarre maggiori vantaggi dal dare spazio e sostegno ad attività diverse.
Per rappresentare in modo adeguato la domanda di sviluppo che un'area esprime, conviene dunque assumere un punto di vista che eviti, per quanto possibile, due limiti: quello di non percepire i segnali che provengono dalle energie sociali rappresentate nell'area; e quello di vedere solo le energie già compiutamente emerse, e non quelle che premono per emergere o sono nascoste e disperse nel corpo sociale.
In particolare in un contesto di parco è molto importante:
a) assumere consapevolezza che le esigenze dell'economia locale non sono assolute ma parziali, specifiche, particolari, e come tali modificabili o sostituibili al limite con altre. Non sono espressione di un supposto interesse impersonale allo sviluppo, che verrebbe a contrapporsi sul piano astratto all'interesse altrettanto impersonale alla tutela e alla conservazione ambientale, ma sono espressione di interessi determinati, la cui composizione e il cui carattere possono cambiare in relazione a molte variabili.
Un corollario di quanto ora osservato è che le divergenze o i conflitti che tendono a emergere localmente, non si stabiliscono tra principi generali o valori, ma tra interessi concreti. Ciò permette di superare la rassegnazione al conflitto come fatto inevitabile, destinato a riprodursi e riproporre i medesimi aut aut, e progettare un'azione che punti all'attenuazione del conflitto. In questo senso è opportuno considerare gli interessi economici definiti che si percepiscono o sono minacciati dalla tutela, identificare i soggetti - gruppi sociali, imprese, istituzioni - che ne sono portatori, giungere a elaborare una strategia che sia in grado di incrinare il fronte;
b) assumere consapevolezza che non esaudire, o esaudire in parte le richieste che appaiono oggi più forti e determinate, non significa necessariamente allontanare o diminuire le reali possibilità di sviluppo futuro di un'area. In certe condizioni, anzi, allentare la presa degli interessi al momento dominanti può essere favorevole alla liberazione di altre energie e potenzialità, e all'avvio di un processo capace di indurre maggiori vantaggi per l'area nel suo complesso. Questi sono per esempio i casi in cui nella società locale pesano lobbies che, grazie ai mezzi e alle capacità di relazione di cui dispongono, e alla precisa consapevolezza dei propri interessi, sono in grado di polarizzare il dibattito sullo sviluppo intorno alle richieste per loro decisive.'
Le considerazioni svolte intendono mostrare che la domanda di sviluppo locale si regge su ragioni concrete, la cui autorità e peso non sono assoluti ma derivano dalle costellazioni di interessi esistenti qui ed ora. Poiché tali costellazioni di interessi dipendono dalle condizioni storicamente determinate in cui le aree versano, nulla vieta di pensare che altre costellazioni possano emergere nel tempo e proporsi, al posto delle attuali, quali alfieri dell'istanza di sviluppo.
In un parco, perciò, ci si può proporre non solo di tenere sotto controllo le spinte e le richieste che emergono dalle comunità locali, ma favorire all'interno di esse quelle trasformazioni che promettono di stabilire un equilibrio più vicino alle esigenze della tutela. Il campo di intervento potenziale è, in questa direzione, assai ampio.
La domanda di sviluppo nelle aree arretrate
Si è detto che è opportuno attribuire valore relativo alla domanda di sviluppo quale è definita ed espressa in ambito locale, per via dell'influenza che su di essa esercitano motivazioni specifiche che possono cambiare o essere sostituite da altre. Questa opportunità è particolarmente marcata in quei casi in cui i soggetti che influenzano la domanda non sono in grado, per le caratteristiche loro proprie e del contesto in cui vivono, di elaborare progetti e di esprimere richieste realmente adeguate al contesto locale.
Nelle aree che negli ultimi decenni non hanno evoluto una struttura sociale più complessa ma al contrario si sono impoverite, hanno perduto popolazione e ridotto il volume e la gamma delle attività produttive, è assai difficile che le comunità locali riescano a individuare da sole vie di sviluppo appropriate. La povertà di collegamenti, l'isolamento culturale, la carenza di competenze professionali in seno alla comunità attenuano in modo consistente la capacità di elaborare progetti e programmi di intervento. Spesso le idee e i piani
di sviluppo che più raccolgono adesioni sono quelli che seguono la traccia di altre idee e altri piani già ampiamente noti, o sperimentati in zone vicine, il cui profilo è familiare e le cui implicazioni per la comunità sembrano ampiamente delineate. Spesso questi modelli sono giudicati appropriati sulla base di valutazioni superficiali, senza compiere un'attenta analisi della convenienza o della stessa possibilità di replicarli nell'area. La ragione sembra risiedere nel fatto che, essendo modelli ricavati da esperienze, il loro potere di rassicurazione è alto, ed essi hanno il vantaggio di dare rapido sbocco alla fase di incertezza progettuale con ipotesi e soluzioni molto definite e comprensibili. Il prezzo pagato è che le comunità locali legano le loro aspettative a progetti di valorizzazione che non sempre, in seguito, si rivelano adatti a promuovere e sostenere un reale processo di sviluppo locale.
In Appennino un esempio quasi classico, ormai, riguarda l'elaborazione di piani di sviluppo basati sullo sci da discesa. Questa ipotesi viene avanzata, e svolta sino ad avanzati gradi di progettazione, anche nelle aree in cui le condizioni ambientali ed economiche sconsigliano vivamente la realizzazione di piste da sci: non solo per la presenza di boschi di valore o di un paesaggio montano che verrebbero distrutti dagli impianti e dalle strade, ma per ben più radicali motivi di scarso innevamento, o per l'esiguità dei rientri prevedibili in considerazione del bacino di utenza potenziale. I piani neve esercitano una forte attrattiva anche perché le comunità locali non dispongono di modelli alternativi altrettanto convincenti.
Naturalmente occore ritenere che i progetti di stazioni da sci godano pure del sostegno di specifici interessi, che contribuiscono attivamente alla loro diffusione.
In circostanze simili a quelle ora descritte, è opportuno non limitarsi ad assumere la domanda di sviluppo quale emerge in sede locale, ma chiedersi sino a che punto questa domanda sia realmente adeguata, e se sia possibile individuare alternative maggiormente coerenti con la vocazione ambientale dei luoghi e con le loro potenzialità.
Quando inoltre si sia in contesti di parco, la ricerca di ipotesi di sviluppo adeguate deve essere orientata da particolari criteri di compatibilità ambientale. Questo comporta il coinvolgimento di competenze e capacità ancora più rare, poichè si tratta di abbandonare i modelli maggiormente diffusi e consolidati, per tracciare ipotesi di sviluppo in cui le risorse ambientali siano inserite in processi di valorizzazione senza rischio di compromissione; o in cui l'impulso ad attività tradizionali viene progettato in modo tale da non aggravare, ma semmai alleggerire, la pressione sui beni naturali. In questi casi, dunque, diventa particolarmente opportuna un'azione volta a riorientare la domanda locale, o a modificare il modo in cui dare sbocco alle esigenze e alle aspettative locali di maggior benessere.
In tali condizioni, il parco stesso può essere indotto a interpretare il proprio ruolo in modo assai più libero e vivace di quanto si è generalmente portati a pensare. In particolare si può ipotizzare che, nelle aree più deboli, il parco possa entrare nel merito delle ipotesi di sviluppo delineate, contribuire alla ricerca di alternative, coinvolgere le competenze necessarie per riconoscere le opportunità e le potenzialità esistenti. Se svolge questo ruolo, il parco può diventare una risorsa istituzionale offerta all' area per aumentare le possibilità di successo nel perseguire un disegno di sviluppo.
Questo profilo è ovviamente eterodosso rispetto all'esperienza corrente: comporta avvicinarsi a una concezione che qualifica il parco non solo e neppure principalmente in rapporto alla tutela, ma con pari intensità in rapporto alla tutela e alle esigenze di promozione sociale. Evocare il parco come risorsa istituzionale ha infatti un significato preciso: implica progettarne l'influenza nel contesto delle variabili istituzionali, o extra-economiche, che vengono riconosciute sempre più importanti nei processi di sviluppo locale.
Il parco come risorsa istituzionale
In anni recenti si è venuta affermando una visione dello sviluppo economico, per la quale il processo di sviluppo non dipende esclusivamente dalla disponibilità di risorse economiche, ma anche da fattori istituzionali che influiscono sulle economie e diseconomie ambientali: quali il livello di imprenditorialità, l'orientamento culturale verso il lavoro, la formazione professionale, le relazioni
industriali, le infrastrutture economiche e sociali, le politiche pubbliche e così via.2
La percezione di come è possibile intervenire a fini di sviluppo ne è risultata notevolmente arricchita e complicata. Infatti una prospettiva che considera le variabili istituzionali è costretta a lavorare con molti elementi, alcuni dei quali difficilmente quantificabili, che richiedono una varietà di approcci e strumenti adatti ad approssimarli, come per esempio gli strumenti della storia economico-sociale o dell'analisi comparata.3
D'altra parte il ricorso a questi approcci appare indispensabile per affrontare il nocciolo essenziale dei problemi di sviluppo, così come da molti oggi ridefiniti.
Spesso si richiama l'osservazione di Albert 0. Hirschman per cui "lo sviluppo dipende non tanto dal trovare le combinazioni ottimali delle risorse e dei fattori di produzione dati, quanto dal suscitare e utilizzare risorse e capacità nascoste, disperse o malamente utilizzate".4 E evidente che questa capacità di innovazione dipende dal contesto istituzionale o extraeconomico in cui si muovono gli attori.
In particolare l'offerta di imprenditorialità, le conoscenze tecniche, gli orientamenti di valore nei riguardi del lavoro, i servizi sociali e i servizi alle imprese, il grado di integrazione sociale e politica vengono riconosciuti elementi decisivi nei processi di sviluppo. Essi sono individuati quali fattori istituzionali, socio-culturali e politici, che costituiscono il capitale sociale, più che economico, di un determinato contesto locale. La possibilità di mantenere o stimolare nelle aree arretrate lo sviluppo economico sembra dipendere maggiormente dalla capacità del contesto istituzionale di fornire risposte materiali e culturali adeguate, o dalla capacità della società locale di ridefinire la sua identità per cogliere nuove opportunità di sviluppo.
In questo modo viene valorizzata un'analisi delle forze che dal basso muovono l'economia, sia promuovendo uno sviluppo endogeno, sia attirando gli investimenti esterni: un'analisi che comporta prestare attenzione alle singole aree, poichè si riconosce loro la possibilità di valorizzare le risorse sociali endogene, in termini di offerta imprenditoriale, di formazione professionale, di dotazione infrastrutturale, di integrazione sociale e politica. Inoltre i caratteri locali attirano una specifica attenzione, per la necessità di esaminare il quadro istituzionale interno delle aree e vederne le differenziazioni, le specificità, gli elementi di autonomia. Lo sviluppo non è più concepito soltanto come il risultato di un apporto esterno che rompe la stagnazione della periferia, ma anche come una costruzione sociale e politica in cui il gioco degli attori endogeni è una componente importante.
Da questo approccio al problema dello sviluppo locale derivano ovviamente molte sollecitazioni, anche per quei casi in cui lo sviluppo va ricercato in presenza di un parco. E anzi precisamente in considerazione della rilevanza degli aspetti extraeconomici che è possibile prefigurare il parco stesso come risorsa istituzionale potenzialmente importante a fini di sviluppo.
Il parco può essere infatti un soggetto che nella società locale ha la forza di assumere un ruolo significativo, per almeno due ragioni principali: a) il parco non è una emanazione della cultura locale, ma della cultura urbana, e come tale ha una serie rilevante di potenzialità che è molto opportuno siano riconosciute e utilizzate. Il parco nasce dalla cultura urbana perchè è questa che ha maturato e promuove le più forti istanze di tutela e di conservazione, come l'esperienza nella maggior parte dei casi insegna, e come recenti indagini hanno confermato.5 Perciò in genere il parco interviene nei territori da tutelare con orientamenti, sensibilità e consapevolezze che non sono ancora propri di quei territori, e che esso stesso ha il compito di introdurre e diffondere. Questi orientamenti e consapevolezze oggi riguardano soprattutto il rapporto con la natura e la necessità di mantenere o ripristinare ecosistemi, ma già tendono ad allargasi anche ai caratteri sociali, all'organizzazione della comunità locale e agli usi delle risorse. Per esempio si può notare come l'originalità culturale delle aree locali, intesa come peculiare forma di rapporto col territorio, tradizione, cultura materiale, sia uno dei valori che la cultura urbana è in grado di cogliere oggi con maggior chiarezza delle stesse aree periferiche in cui quella originalità si esprime; e infatti nella migliore concezione della tutela rientrano in pie-
no anche questi aspetti, la cui conservazione si ritiene fondamentale perché hanno un alto potere di identificazione e combattono l'omologazione culturale del territorio. Un ruolo analogo la cultura urbana può svolgere, attraverso il parco, in materia di sollecitazione di processi di sviluppo, per via della maggiore consapevolezza degli strumenti di intervento, delle difficoltà da affrontare, delle possibilità di azione. In questo senso il parco, anche se dispone di personale molto ridotto, può rappresentare una sorta di avanguardia di ciò che di meglio il sapere urbano ha da offrire, non solo in termini di riconoscimento e difesa degli equilibri ecologici, ma anche in termini di riconoscimento e valorizzazione economica delle specificità locali. Esso può essere veicolo di punti di vista e competenze che il mondo locale non possiede, sia sul versante della gestione ambientale sia sul versante della promozione di area;
b) in secondo luogo il parco è solitamente individuato in rapporto a un ambito territoriale sovracomunale, e per questa sua caratteristica può assumere e sostenere una visione più generale dei problemi dell'area, al di là dei municipalismi e delle ristrettezze che spesso prevalgono nelle zone arretrate.
La dimensione di area è cruciale nella promozione dello sviluppo locale, poichè le risorse disponibili si presentano deboli e disperse: lo sforzo da compiere consiste nel tentativo di radunarle e organizzarle, mettendole in comunicazione fra loro e facendo in modo che dalla loro connessione emerga qualcosa di significativo. Questa esigenza, seppure riconosciuta, raramente viene soddisfatta dalle forze locali: lo mostra la stessa difficoltà dei Comuni interessati a un parco a superare i particolarismi e a raggiungere un accordo circa decisioni relativamente semplici, quali la localizzazione della sede e delle strutture principali del parco. Ciò accade perché un contesto socialmente debole è un contesto che ha perduto anche la capacità di gestire con sicurezza la disponibilità delle proprie risorse, e di intravedere le potenzialità insite in progetti che si reggono su iniziative comuni e sulla collaborazione.
L'esperienza mostra che il parco tende a esercitare un impatto sulle relazioni di area, anche se non è guidato da specifici intenti. In genere dal suo primo profilarsi l'idea di istituire il parco sollecita nell'area reazioni: sveglia motivazioni, fa emergere ragioni, rianima interessi assopiti. All'improvviso si scopre che senza il parco l'area potrebbe sviluppare redditizie attività, che i vincoli di tutela hanno l'effetto di allontanare queste prospettive, che il primo dovere del parco è di offrire alle comunità locali iniziative che compensino la rinuncia a tali prospettive.
Questa reazione non è solo profittatrice: in molti casi rimette in moto energie sociali, idee e spinte al cambiamento che altrimenti resterebbero inerti.
Questa reazione spontanea tuttavia non è sufficiente. Ciò che più importa è fare in modo che si abbia un secondo e più importante effetto: che sulla scia del parco entrino nell'area arretrata o marginale non tanto le risorse per realizzare i progetti che l'area arretrata suggerisce, ma professionalità e competenze per definire progetti che l'area arretrata non potrebbe concepire con le sue sole forze. Solo in questo senso il parco può esprimere propriamente il ruolo di risorsa istituzionale offerta all'area, o di risorsa extraeconomica capace di esercitare un'influenza positiva a fini di sviluppo.
Il caso delle aree a bassa coesione
Tra le aree che possono avvantaggiarsi di questo ruolo del parco, vanno annoverate anche quelle che non possono dirsi in condizioni di vera e propria arretratezza, ma che appaiono comunque incapaci di dar vita a efficaci spinte di sviluppo. Aree che non sono situate in territori marginali, non hanno subito forti processi di spopolamento, e neppure sono rimaste estranee a dinamiche di trasformazione recenti, per esempio nel settore del turismo e dei servizi; ma che, al tempo stesso, non sono riuscite a mobilitare le risorse disponibili in processi di trasformazione realmente significativi, capaci di coinvolgere le comunità, farne evolvere l'organizzazione e arricchirne la cultura.6
E' molto complesso riuscire a identificare le ragioni di questa sorta di blocco. Tuttavia se si ritiene, come poc'anzi si è detto, che una influenza determinante sullo sviluppo sia da attribuire ai fattori
istituzionali variabili da luogo a luogo o a caratteri sociali e culturali distintivi, si possiede una traccia interpretativa che spinge a cercare in alcune direzioni definite. In particolare si è sollecitati a considerare l'influenza che possono avere esercitato certi caratteri profondi della struttura sociale quali si sono sedimentati storicamente a livello di area, relativi all'organizzazione produttiva delle campagne, al mercato del lavoro agricolo, al ruolo dei centri urbani, alle comunicazioni e agli scambi commerciali con l'esterno, alla composizione delle famiglie, agli atteggiamenti culturali, agli orientamenti politici, al grado di solidarietà sociale, e ad altri elementi ancora.
Queste variabili infatti sono quelle che, altrove, hanno svolto un ruolo nel conseguimento di traguardi di sviluppo. La loro diversa configurazione nelle aree in cui un processo di sviluppo, viceversa, non si è innescato, può essere un indizio e un aiuto alla comprensione.
Il riferimento ai fattori istituzionali consente anche di riconoscere la rilevanza di un particolare elemento nel formarsi di condizioni favorevoli allo sviluppo: il grado di coesione sociale costruita intorno ai valori comuni. Si è notato infatti che tale coesione facilita la mobilitazione delle energie sociali disponibili, e favorisce le relazioni economiche basate sulla fiducia e sulla cooperazione: relazioni che appaiono fondamentali in diverse esperienze recenti di sviluppo locale.
Sul concetto di fiducia - e sul suo opposto, l'opportunismo - sono state compiute specifiche riflessioni in campo economico. La fiducia è considerata tratto distintivo di una organizzazione di rapporti, in cui il successo delle relazioni tra soggetti, così come il successo dei singoli soggetti implicati nella relazione, dipende in modo decisivo dalla cooperazione che essi sono in grado di mettere in atto. Il contesto in cui questo si verifica è, per esempio, quello di produzioni industriali che possono affermarsi sul mercato solo se raggiungono definite soglie di qualità, e che non possono raggiungere tali soglie se non attraverso la collaborazione fra più imprese, specializzate ognuna in una particolare fase del processo produttivo. Per una organizzazione di questo tipo la fiducia è un elemento di grande rilevanza, ed è cercata, promossa e costruita sostenendo i costi necessari allo scopo, per la ragione che, "quantunque la fiducia costi, la mancanza di fiducia finisce per costare più ancora". 7
Questi aspetti sono stati approfonditi nel contesto, ora richiamato, dell'economia industriale, sulla base di analisi che considerano le relazioni tra imprese clienti e imprese subfornitrici in aree definite; ma questo non è l'unico esempio possibile che mostri come relazioni di fiducia e di collaborazione siano importanti al fine di conseguire risultati economici rilevanti.
Infatti quegli stessi studi sottolineano che i sistemi produttivi basati sul decentramento si basano sulla fiducia e tendono a riprodurla, perchè i partecipanti hanno convenienza a muoversi in un contesto di reciproca affidabilità, piuttosto che in un contesto opportunistico in cui ognuno approfitta della prima occasione per realizzare un guadagno a detrimento dei propri partners. Ora, se si considera questo particolare esito della fiducia quello di rendere conseguibili collettivamente, attraverso la cooperazione, risultati che individualmente non sono accessibili - si può notare che quello ora ricordato non è il solo campo in cui la fiducia svolge un ruolo importante. Sono infatti individuabili altre situazioni in cui l'integrazione e la cooperazione qualificano i rapporti tra le imprese e i comportamenti opportunistici tendono a essere esclusi.
Per esempio il sistema turistico della riviera romagnola ha sviluppato condizioni di forte integrazione tra imprese, e ha costruito una capacità attrattiva fondata su un'offerta composita e ricca: basata sulla quantità e qualità delle strutture ricettive, degli stabilimenti balneari, della ristorazione, dei divertimenti, e di numerosi altri tipi di servizi resi ai turisti. In questo caso la fiducia non sorregge la particolare relazione che lega impresa cliente e impresa subfornitrice, ma caratterizza i rapporti orizzontali tra imprese che insistono sulla medesima area. Queste imprese infatti si percepiscono appartenenti a un sistema la cui qualità complessiva incide sui livelli di profitto individuali, così che è essenziale che quella qualità non debba scadere per colpa di comportamenti opportunistici, scorretti e basati sull'imbroglio. Tali comportamenti, considerati un male da stroncare sul nascere, sono per questo
motivo attivamente combattuti, prima che con le sanzioni, col sistema di valori e di norme a cui gli imprenditori sono socializzati. Il rifiuto dell'opportunismo, peraltro, non significa carenza di competizione . Nel sistema della riviera la concorrenza è assai viva, ed è normale che un'impresa di successo sottragga clientela alle altre. Ma dal momento che la competizione è giocata sul piano della qualità, il sistema nel suo complesso trae vantaggio dalla competizione: questa lavora a favore del conseguimento di livelli di offerta globale, di sistema, sempre più qualificati e capaci di strappare quote di mercato nel confronto con le altre aree e altri sistemi turistici. 8
Altri esempi dal significato analogo si possono rintracciare in contesti del tutto diversi, per esempio in ambito agricolo. La diffusione dei marchi di prodotti agricoli cui si assiste in questi anni ha per un verso il significato di distinguere il prodotto sul mercato, di dare visibilità alla particolare qualità che lo contraddistingue e di favorire la vendita basata sulla reputazione; ma per un altro verso ha anche il significato di istituzionalizzare la fiducia. Il marchio infatti comporta un sistema di controlli e di sanzioni volto a proteggere una determinata produzione - spesso svolta nell'ambito di un'area definita - da comportamenti opportunistici di alcuni produttori che potrebbero andare a forte detrimento di tutti gli altri produttori di quell'area. Fissare gli standards di qualità del prosciutto, dell'aceto balsamico o del vino, è per i produttori di Parma, di Modena o del Chianti un modo per emergere sul mercato facendo leva sulla affidabilità di tutti coloro che aderiscono al marchio.
Questi esempi non sono introdotti per caso in questa discussione. Infatti il tema della promozione dei marchi sta diventando tanto frequente, quando si discute di parchi, quasi quanto il tema della promozione dello sviluppo in generale. Il marchio, si nota spesso, non è che un esempio del tipo di iniziative che un parco potrebbe sollecitare; ma raramente vi è consapevolezza del tipo di intervento sociale più profondo che, proponendo il marchio, si tratta di progettare: un intervento assai difficile, volto a orientare un sistema produttivo verso la cooperazione, e a creare una organizzazione produttiva che riproduca la fiducia non già perchè desiderabile in sè - o sulla base di motivazioni etiche - ma perchè essa rappresenta un elemento di convenienza che ha solide radici negli interessi individuali. Per una organizzazione così fatta, peraltro, la creazione di un marchio potrebbe essere uno e non l'unico sbocco.
Per tornare dunque al punto da cui si è partiti, le aree bloccate appaiono compresse nelle loro potenzialità di sviluppo da una sorta di sfilacciamento dei rapporti interni, della coesione sociale e della capacità di azione delle istituzioni. Spesso scivolano verso stati via via meno soddisfacenti, senza che una iniziativa pubblica o privata riesca a formarsi, intervenire e imprimere una svolta. Il mondo delle imprese non ha autonomia, efficienza o capacità di innovazione, ma opera in larga parte in rapporto di subordinazione con l'esterno e attestato sulle fasce basse del mercato; i Comuni e le altre istituzioni locali non hanno capacità di programmazione, di coordinamento e di intervento a livello di area, ma appaiono divisi da un municipalismo deteriore e dalla mancanza di lungimiranza e capacità di governo. Non di rado inoltre vi prevalgono, dato il basso grado di coesione, comportamenti opportunistici che rendono sempre più difficile e complicato dare impulso a processi di sviluppo basati sulla qualità dell'offerta (sia essa agricola o manifatturiera o turistica). In questi contesti, un obiettivo importante consiste allora nel cercare i modi attraverso i quali lo spessore dei rapporti interni, sia quelli tra imprese sia quelli tra istituzioni, possa essere rafforzato, ed aumenti così la capacità del corpo sociale di mobilitare le energie disponibili per reagire ai limiti e alle disfuzioni, così come per riconoscere e intraprendere vie nuove. Probabilmente, per quanto si è sopra osservato, può essere cruciale l'intervento di un soggetto istituzionale consapevolmente volto a promuovere la fiducia e la cooperazione, o a ricucire e mettere in comunicazione i pezzi dispersi e deboli della società locale.
Il parco potrebbe tentare di assumere questo ruolo, se il territorio sul quale insiste si trovasse in condizioni analoghe a quelle ora descritte. Anche in questo caso - come in quello delle aree arretrate - non è infatti sufficiente che il parco ritenga auspicabile che si attivino processi di sviluppo, ma è molto opportuno che si misuri con tali processi utilizzando a tale scopo le potenzialità di cui dispone. Il parco è un soggetto che può avere la fiducia di immettere nell'area a bassa coesione, se adeguatamente attrezzato, punti di vista e sensibilità evolute; esso inoltre ha la possibilità di favorire il rafforzamento della dimensione di area nella elaborazione dei programmi e degli interventi locali, e questo di per sè può essere di stimolo anche a forme di coordinamento e di cooperazione.
L'acquisizione del consenso
Poichè la domanda di sviluppo emergente in un'area non si identifica con l'interesse allo sviluppo come tale, ma è il riflesso delle costellazioni di interessi attuali, è possibile che soddisfarne le richieste non abbia grande rilevanza a fini di sviluppo. D'altra parte, è possibile che un intento di mobilitazione di energie e competenze volto a sostenere nell'area un processo di sviluppo endogeno esiga interventi che non hanno rilevanti punti di contatto con le richieste che emergono localmente.
Con ciò risulta abbastanza chiaro che l'acquisizione del consenso locale è problema distinto dalla promozione dello sviluppo, e che il parco deve confrontarsi con l'una e l'altra questione senza operare affrettate sovrapposizioni. Non è detto che per ottenere il consenso e l'appoggio delle comunità locali occorrano gli stessi programmi e le stesse azioni che appaiono opportune per promuovere lo sviluppo locale. Al contrario, è realistico pensare che si debbano approntare programmi e azioni sensibilmente diversi tra loro. La ragione non risiede solo nel fatto che consenso e promozione dello sviluppo si alimentano di interventi diversi, ma che i tempi in cui questi interventi possono essere attuati sono tempi molto disomogenei. Come gli studi sui processi di sviluppo endogeno hanno mostrato, gli elementi che intervengono in modo decisivo sull'evoluzione dei sistemi produttivi locali sono elementi di natura sociale e fattori culturali e istituzionali di lenta formazione; elementi che possono essere non introdotti ma sollecitati, non creati ma favoriti . A fini di sviluppo si lavora cioè su una materia difficile, che reagisce in modo nè immediato nè garantito, ma deve essere oggetto di una azione prolungata e costante, disposta a investire senza riscontri ravvicinati. I tempi necessari sono medio-lunghi, del tutto non sincronici con i tempi di acquisizione del consenso, che non possono essere invece che assai brevi.
Per colmare il fabbisogno di consenso, occorre che il parco si rivolga alla domanda di sviluppo emergente e imposti una azione visibile nell'immediato: occorre che elabori norme accettabili, promuova programmi per favorire modelli produttivi più compatibili, metta a punto progetti che accolgano in modo appropriato le istanze locali. Per perseguire obiettivi di sviluppo d'area, invece, deve intraprendere un' azione volta a stabilire o rafforzare reti di relazioni che restano invisibili a lungo prima di diventare esplicite ed efficaci; attirare dentro l'area o sollecitare la formazione interna di competenze, che restano invisibili a lungo prima di raggiungere una massa critica tale da pesare nell'organizzazione economica locale; sostenere istituzioni nuove, o nuovi modi di funzionamento delle istituzioni esistenti, che restano invisibili a lungo prima di essere sufficientemente solidi da esercitare un'influenza.
Si potrebbe osservare che non è compito del parco promuovere le azioni i cui effetti si stabiliscono solo nel medio-lungo periodo, poichè per attuare i programmi di tutela ha bisogno di adesione e appoggio immediati, e solo l'attenzione al breve periodo, dunque, deve influenzare e orientare i suoi interventi in campo socio-economico. Sostenere questa posizione è naturalmente del tutto legittimo, ma porta a delineare un tipo di parco caratterizzato da un approccio di difesa. Il processo di evoluzione economica locale resta esterno alla portata del parco, non viene esplorato ma considerato solo per le richieste che produce. Il parco non entra nel merito della qualità di queste richieste, nè del tipo di configurazione sociale e produttiva che le genera: si limita a reagire cercando i modi più intelligenti ed efficaci per farlo. La posizione alternativa vede invece il parco diventare un soggetto della evoluzione economica locale, un soggetto naturalmente molto particolare perchè orientato da valori di tutela e conservazione che ne contraddistinguono l'identità. Il parco-soggetto economico si pone rispetto al problema del consenso in modo attivo. Poichè il consenso deriva da una configurazione che può essere più o meno favorevole alle ragioni della tutela, il suo intento è di cercare di modificare la configurazione di base, per avere nel tempo la possibilità di acquisire il consenso locale a costi via via più bassi. In questa seconda prospettiva il parco cerca di formare nelle comunità locali ciò che i politologi chiamano constituency: una aggregazione di forze o una lobby di interessi, favorevole alla tutela e al rispetto ambientale. L'approccio, come si vede, è radicalmente diverso rispetto al precedente, e diverse sono anche le implicazioni per il parco, in termini di attività e di struttura operativa.
Considerazioni conclusive
Vale la pena sottolineare un punto, implicito nella discussione sin qui svolta: che il livello di consapevolezza della struttura sociale ed economica locale e dei processi che presiedono all'evoluzione di questa struttura, delle costellazioni di interessi che localmente hanno peso e dei fattori che possono svolgere un ruolo per cambiarle, è opportuno che sia, dal punto di vista del parco, elevato. Conviene che sia elevato perchè, come si è detto, il parco può certo assolvere al compito della tutela muovendosi in difesa, e reagendo agli attacchi che le forze economiche locali possono muovere alla conservazione, ma molto meglio può assolverlo facendo in modo che le attività locali siano sempre più compatibili e congruenti con la conservazione delle risorse. E questa azione richiede la conoscenza dell'assetto locale, delle singole attività che ne reggono le sorti, degli spazi di trasformazione realistici e possibili; richiede la capacità di progettare interventi a breve e programmi a lungo termine; richiede la capacità di coltivare e seguire l'auspicata maturazione, nella base sociale, di una constituency favorevole alla tutela.
Conviene poi che sia elevato perchè vi sono aree - economicamente arretrate, socialmente deboli o poco coese, culturalmente in ritardo - in cui il parco può essere una importante risorsa istituzionale per stimolare a fini di sviluppo potenzialità e risorse che altrimenti resterebbero nascoste e disperse. Questo ruolo può essere assunto dal parco per motivi prevalentemente diversi da quelli di tutela, anche se in alcune di queste aree arretrate lo sviluppo o almeno un parziale consolidamento dell'economia locale può avere benefici effetti anche a fini di conservazione. Il motivo in questo caso è che il parco può rappresentare un canale di immissione di competenze e un elemento di sostegno alla formazione di una dimensione di area, a fini di progettazione e realizzazione di intervento.
La presenza di questo secondo ordine di motivazioni non è stata ancora focalizzata con chiarezza nella discussione sui parchi; appare ancora implicita e nascosta nelle considerazioni che disegnano il parco come presenza, a cui si collegano nuove opportunità economiche. Occorre però ritenere che sia destinata a emergere. Per lo più si pensa che l'ambiente protetto dal parco possa diventare, attraverso il parco, fattore di sviluppo, perchè il parco ne segnala l'esistenza sul mercato, ne garantisce la qualità e la manutenzione, ne organizza la fruizione. Ma via via che i parchi vengono istituiti, e le comunità locali chiedono di trasformare queste opportunità in fatti, altri nodi vengono rapidamente al pettine: la mancanza di competenze locali atte a sostenere la fruizione e la valorizzazione turistica, la mancanza di competenze utili in settori collegati alla gestione ambientale - come la forestazione, la manutenzione, la ricerca -, l'incapacità degli enti locali affetti da municipalismo spinto di far funzionare l'area come un sistema integrato, l'incapacità degli enti locali e delle imprese di inventare nuovi servizi capaci di caratterizzare e specializzare l'offerta ambientale dell'area, la prevalenza nella cultura locale di orientamenti opportunistici.
Tutto questo ben poco ha a che fare con la qualità dell'ambiente protetto, e moltissimo con l'organizzazione sociale. Sta diventando così evidente, mano a mano che le esperienze e le riflessioni sulle esperienze maturano, che il parco non è una opportunità solo in quanto favorisce la trasformazione del bene ambientale in bene economico, ma in quanto riesca ad essere l'elemento che fa precipitare nel contesto locale, come in una reazione chimica, le risorse e le energie localmente disponibili.
Questa conclusione è tale da gettare qualche dubbio sulla opportunità di concepire il parco,
sempre e in ogni caso, come un soggetto che si preoccupa essenzialmente della conservazione.
Nel caso di aree arretrate o di aree a bassa coesione sociale che ripongano nella valorizzazione delle risorse ambientali - per ragioni e storie diverse da caso a caso - forti aspettative di riscatto, il parco potrebbe ampliare l'orizzonte delle proprie finalità ed assumersi responsabilità istituzionali di sviluppo: per far crescere le competenze utili alla conservazione insieme alla conservazione, e le competenze utili alla valorizzazione insieme alle iniziative che acquisiscono il consenso alla tutela.
Una prospettiva di questo genere non pare affatto irragionevole.

NOTE:
Tipicamente nei parchi e nelle zone limitrofe una situazione di questo tipo si produce per quanto riguarda la ricettività. E facile che la stampa locale e le assemblee pubbliche facciano risuonare la richiesta pressante di non bloccare la costruzione di nuovi alberghi o di seconde case, in nome del benessere collettivo. In realtà ciò che è nell'interesse dei costruttori non è nell'interesse della maggior parte dei residenti, ai quali deriverebbero maggiori benefici dal blocco delle nuove costruzioni,associato all'impulso a una ricettività diffusa di affittacamere e piccole locande a gestione familiare, che valorizzi il patrimonio abitativo esistente. Ma la massa dei cittadini molto difficilmente riesce a raggiungere da sola questa consapevolezza. La divergenza di interessi reali invece di emergere rimane, in genere, completamente sotterranea e inespressa, così che la bandiera del sostegno dell'economia locale resta nelle mani di coloro che hanno interessi consolidati da difendere.
2 Una sintetica discussione su questi temi è svolta in Carlo Trigilia, Sviluppo senza autonomia, Il Mulino, 1992. 3 La considerazione di fattori istituzionali pone il problema di come costruire modelli soddisfacenti di società locale. Al riguardo Arnaldo Bagnasco osserva: "la convinzione è che il problema fondamentale è vedere come l'economia è integrata nella società, ovvero come società ed economia si "supportano" a vicenda". E anche: "il linguaggio di questo modello assomiglia più al linguaggio degli storici che a quello degli economisti" (Cfr. Arnaldo Bagnasco, Esperienze e modelli di analisi di strutture sociali localizzate, in "Archivio di studi urbani e regionali", n. 42/1991, pp.74-75). Con ciò è abbastanza evidente in che cosa consista la "complicazione" indotta dalla considerazione dei fattori istituzionali, ed anche la ricchezza di analisi che questa esige.
4 Cfr. Albert O. Hirschman, La strategia dello sviluppo economico, La Nuova Italia, 1969.
5 La componente sociale che maggiormente sostiene le politiche di parco risulta essere quella degli intellettuali urbani, o dei ceti scolarizzati e professionalizzati che stanno gradualmente spostandosi verso posizioni sempre più decisamente sensibili ai valori ambientali. Cfr. Giorgio Osti, La natura in vetrina, Angeli, 1992.
6 Un esempio di area a bassa coesione è il basso ferrarese, un vasto territorio nel cui ambito opererà il Parco del Delta del Po.
7 Cfr. Edward H. Lorenz, Nè amici nè estranei: reti informali di subappalto nell'industria francese, in Diego Gambetta (a cura di), Le strategie della fiducia. Indagini sulla razionalità della cooperazione, Einaudi, 1988, p.270. Analoghe considerazioni sono contenute in: Sebastiano Brusco, Industrial districts and real services, in Frank Pyke, Werner Sengenberger (a cura di), Industrial districts and local economic regeneration, ILO, Ginevra, 1992.
8 Cfr. Nomisma, Il sistema turistico della riviera romagnola, a cura di Sebastiano Brusco e Paolo Bertossi, 1991.