Federparchi
Federazione Italiana Parchi e Riserve Naturali


PARCHI
Rivista del Coordinamento Nazionale dei Parchi e delle Riserve Naturali
NUMERO 11 - FEBBRAIO 1994


Il valore delle aree protette
Giovanni Diviacco*

Introduzione
Sebbene sia ormai sempre più diffusa la coscienza della protezione della natura e venga riconosciuta l'importanza, in tale contesto, dell'istituzione di aree protette, ove siano regolamentate alcune attività antropiche ad alto impatto, uno degli argomenti che più frequentemente vengono avanzati, in buona o in cattiva fede, a contrastare tali operazioni è quello relativo ad una supposta improduttività o svantaggiosità, in termini economici, delle aree protette stesse.
Nonostante si siano avute, anche nel nostro Paese, varie indicazioni sui benefici, anche di tipo economico, apportati alle popolazioni locali dall'istituzione di parchi e riserve naturali (basti citare il conclamato caso del Parco nazionale d'Abruzzo), lo scetticismo permane in ampie fasce della popolazione, che vedono la protezione dell'ambiente come una forte limitazione alle proprie attività, oltre che un'indebita ingerenza da parte delle autorità negli affari della collettività residente.
In numerose indagini realizzate da economisti, essenzialmente di area anglosassone, specializzati in gestione delle risorse ambientali, si è cercato di individuare i costi ed i benefici derivanti dalla protezione di ambienti naturali in termini sia qualitativi, sia quantitativi: tra questi si possono citare, per esempio, Mc Neely (1988), Hufschmidt et al. (1983), Peterson e Randall (1984). Scopo di questo lavoro è di sintetizzare alcuni aspetti dell'argomento, rinviando, per una trattazione più esauriente e specialistica, alle opere citate, cercando di fornire, nel contempo, un quadro generale degli studi realizzati.
Benefici e costi delle aree protette
Uno dei problemi maggiori nella stima dei valori di un'area protetta risiede nel fatto che gran parte dei benefici apportati non hanno un valore monetario di mercato (cioè non si possono vendere od acquistare)
e pertanto sono difficili da quantificare: inoltre, solo una minima parte dei benefici ottenuti vengono pagati da chi ne usufruisce, portando così a sotto stime dell'effettivo valore globale dell'area.
La determinazione di particolari benefici economici risulta ancor più problematica per particolari tipi di aree protette, come quelle integrali o quelle marine; per queste ultime si possono citare i lavori di Van'tHof(1986),Hundloe(1984,1985), Berwick (1986). In questi casi, infatti, i dati necessari per le analisi economiche sono più difficili da ottenere e da valutare. Esistono, ad esempio, benefici derivanti da limitazioni di attività, come la pesca subacquea, per i quali non è però possibile una valutazione in termini monetari (Foster e Lemay, 1986).
Detto questo, appare evidente come le spese sostenute sia per l'istituzione delle aree protette, sia per la loro gestione, nonchè i mancati introiti che sarebbero derivati dal mancato sfruttamento a breve termine ed irreversibile dell'area, spesso superino i vantaggi economici immediati derivanti dall'esistenza dell'area: nonostante ciò il ritorno finanziario alle iniziative di tutela risulta concreto ed evidente, come nei casi dei safari fotografici in Kenia o del turismo subacqueo nei Caraibi.
Un'altra causa dell'estrema difficoltà nell'esprimere valutazioni economiche in tale campo consiste nella mancanza diffusa di esatti regimi di proprietà esistenti in molte aree e riguardanti, ad esempio, la fauna, la flora, le acque, eccetera; queste spesso vengono considerate res nullius, la cui tutela appare per molti aspetti problematica. Un recente studio (Dixon e Sherman, 1990) ha individuato tre principali casi di benefici associati alle aree protette: quelli che ricadono direttamente sui privati, come gli introiti derivanti da attività di tipo commerciale o da servizi, quelli di carattere sociale, rivolti più all'intera comunità locale e nazionale che non ai singoli individui, e quelli di cui, pur intuendone l'esistenza, è problematico stimare i destinatari, come nel caso di aree di riserva integrale in zone remote.
Mentre nel primo caso è possibile effettuare la gestione imprenditoriale anche di tipo privato, negli altri due casi è di fondamentale importanza la gestione da parte delle autorità governative, anche attraverso l'incentivazione di alcune attività compatibili con la tutela dell'ambiente, e la possibilità di rimborsi ai mancati introiti (o ad eventuali danneggiamenti da parte della fauna selvatica).
Gran parte dei lavori relativi agli aspetti economici delle aree protette sono limitati ai vantaggi monetari diretti, generalmente derivanti dal turismo, soprattutto perchè questi sono facili da determinare; tuttavia, per una valutazione più corretta possibile del valore dell'area, devono essere considerati anche i benefici di tipo sociale.
I vantaggi derivanti dagli interventi di protezione possono essere suddivisi in vari modi: oltre a quella sopra illustrata, esistono classificazioni in base ai valori di utilizzo, di esistenza e di opzione (Peterson e Randall, 1984) o di valori diretti ed indiretti (Mc Neely, 1988) o, ancora, in base all'utilizzo rinnovabile, non rinnovabile ed indiretto della risorsa o al non uso della stessa (Rockland, 1985), relativo alle attività di pesca sportiva.
Più complessa ed esauriente appare la classificazione realizzata da Dixon e Sherman (1991) (Tabella 1), che raggruppa i tipi di utilizzo correlati tra di loro: il significato della maggior parte delle categorie è facilmente intuibile. Alcune di esse includono sia benefici derivanti dall'uso diretto delle risorse, e quindi quantificabili in termini di valore di mercato, sia benefici i quali, sebbene importanti, sono di difficile valutazione. Inoltre, alcune categorie comprendono vantaggi, sia per le comunità locali, sia per quelle regionali o nazionali, ed altre raggruppano benefici tangibili ed intangibili.
Ricreazione e turismo.
Tali fattori sono solitamente obiettivi prioritari in parchi nazionali, o comunque importanti in molti altri tipi di aree protette. Il valore economico derivante da queste attività viene misurato dalla somma di quelli che gli economisti definiscono "surplus del consumatore", ovvero dalla cifra che si è disposti a spendere per un determinato bene o servizio, oltre al suo costo attuale: quest'ultimo è un parametro spesso usato perchè rappresenta un incremento nel benessere sociale e viene talvolta chiamato "valore economico netto".
Protezione dei bacini idrologici.
La conservazione della copertura vegetale favorisce il controllo dei cicli erosivi e sedimentari legati alle dinamiche fluviali, evitando o limitando fenomeni quali allagamenti, sbancamenti, perdita di terreni agricoli, interramento di bacini, eccetera, con effetti che, sebbene di difficile quantificazione economica, sono ampiamente positivi anche per gli ambienti esterni all'area protetta.
Mantenimento dei processi ecologici.
Con caratteristiche analoghe a quelli della categoria precedente, ma più complessi, i benefici derivanti dalla loro conservazione possono essere stimati spesso in base ai costi necessari per rimediare alla loro alterazione, mediante la tecnologia umana (ad esempio si pensi alle metodologie impiegate nel risanamento dei corsi d'acqua, le cui caratteristiche di autodepurazione siano state modificate).
Mantenimento della diversità biologica.
Il mantenimento della diversità biologica viene attualmente considerato uno degli obiettivi più importanti nella conservazione della natura; le risorse biologiche forniscono un'ampia base effettiva e potenziale per l'alimentazione, la medicina, la chimica, fattori tuttavia di difficile stima economica. Parte dei benefici apportati ricadono comunque in altre categorie quali il turismo, l'educazione, la ricerca e gli usi futuri.
Educazione e ricerca.
Nonostante 1'assoluta importanza che le aree protette rivestono per questi fattori, come messo in luce da numerosi Autori, tra cui, ad esempio, Gilbert (1974), Hayes (1985), Hudson (1984), la quantificazione dei relativi valori economici risulta di difficilissima attuazione.
Benefici derivanti dall'utilizzo delle risorse.
All'interno delle aree protette è possibile lo sfruttamento di alcune risorse naturali in maniera pianificata; possono così essere raccolti legno, frutti, funghi e sono compatibili alcune forme di pesca, di caccia, di agricoltura, di allevamento; nel valutare tali benefici si devono considerare le eventuali perdite derivanti da uno sviluppo alternativo ad alto impatto che potrebbe distruggere le risorse, ma anche tener conto del fatto che misure di tutela troppo restrittive potrebbero impedirne ugualmente l'utilizzo.
Benefci non derivanti dall'utilizzo delle risorse.
Questa categoria di benefici comprende quei valori di carattere estetico e culturale direttamente legati all'esistenza di aree protette. Alcune persone considerano di valore la sola esistenza di un parco, anche se non andranno mai a visitarlo, solo per il desiderio di lasciarlo alle generazioni future, o per altruismo, o per il solo fatto di sapere che esso consente la salvaguardia di specie altrimenti minacciate; benefici estetici provengono dalla diffusione a distanza (ad esempio attraverso gli spettacoli televisivi) di immagini riguardanti gli ambienti naturali protetti; molto importanti sono, inoltre, i valori di tipo culturale, contenuti in ogni singola area protetta, soprattutto per gli abitanti delle convulse comunità urbane. Il crescente interesse nei confronti della conservazione dell'ambiente è testimoniato, soprattutto nei Paesi sviluppati, dalla partecipazione di volontari, talvolta anche paganti, alle operazioni promosse dalle associazioni ambientaliste. Oltre a quelli elencati dagli Autori in questa categoria, riteniamo importante considerare i benefici per la salute, sia fisica, sia psichica, derivanti anche dalla sola frequentazione di un ambiente naturale integro: il risparmio per le cure sanitarie ed il benessere sociale che può derivare sono elementi da tenere in considerazione. Il problema di una valutazione economica di tali benefici è evidente, dato che nessuno paga direttamente per ottenerli: a tale scopo sono state ideate alcune metodologie, conosciute come "contingent valuation methods" per quantificare la volontà a pagare per i suddetti valori o la disponibilità ad accettare compensi per la loro perdita.
Valori futuri.
Oltre ai valori che possono essere calcolati per le situazioni attuali, devono essere considerate anche le conseguenze economiche derivanti da cambiamenti nella politica di utilizzo e di conservazione di un'area protetta e dalla volontà delle persone di visitarla in futuro.
Non tutti i parametri sin qui considerati risultano determinanti ai fini dell'analisi economica: è sufficiente che ne vengano quantificati alcuni, tra quelli fondamentali, per poter giustificare la protezione di un'area. E ovviamente necessario, comunque, affrontare i possibili vantaggi economici con l'insieme dei costi necessari a realizzare la gestione razionale dell'area protetta.
Al momento della pianificazione di un intervento di tutela di un'area bisogna considerare tre tipi di costi: quelli diretti, quelli indiretti e quelli derivanti dalla mancanza di sfruttamenti alternativi. Nel primo gruppo vanno incluse le spese inerenti la creazione ed il funzionamento dell'area stessa, come l'acquisizione dei terreni, il risanamento ambientale, lo sviluppo di piani di educazione e ricerca, la sorveglianza, la manutenzione, eccetera. Per costi indiretti, in Italia non molto diffusi, si intendono quelli derivanti dal rimborso, da parte delle autorità, dei danni provocati da specie animali che vivono nel parco: tale tipo di indennizzo predispone favorevolmente le popolazioni locali all'accettazione delle misure di tutela. Nel terzo tipo di costi vengono considerati i mancati introiti provocati dal divieto di attività economiche incompatibili con le finalità di salvaguardia dell'ambiente, quali la caccia, certi tipi di pesca o di agricoltura, la costruzione di immobili secondo tipologie inadatte, le industrie inquinanti, eccetera. Tali costi vanno ripartiti tra le comunità locali e le autorità centrali. Questo è il genere di perdita economica cui fanno spesso riferimento gli oppositori all'istituzione dei parchi e che pertanto va considerato con attenzione al momento della formulazione delle proposte, valutando la possibilità di fonti di reddito alternative e di incentivi per le popolazioni interessate.
A livello progettuale il confronto tra i costi ed i benefici che possono derivare dalla creazione e dall'esistenza di un'area protetta dovrebbe rendere l'idea della vantaggiosità o meno dell'operazione: da quanto sinora detto risulta comunque evidente che la valutazione dei costi è sicuramente quantificabile in modo più agevole di quella relativa ai vantaggi ottenibili.
I modelli matematici
Allo scopo di prevedere i benefici economici per aree protette di futura istituzione o per quantificare
i vantaggi non monetari derivanti da attività all'interno di parchi già esistenti sono stati elaborati alcuni modelli matematici: i più impiegati sono, seguendo la terminologia inglese, 1'hedonic method, il travel costmethod, il contingentmethod e l'unit day method.
L'ultimo metodo citato, uno dei primi ad essere stato sperimentato, è il più facile da impiegare, ma anche il meno affidabile. Si tratta di un sistema basato sul calcolo empirico del valore economico giornaliero di un'attività particolare o di un gruppo di attività all'interno di una certa area. Tale valore, moltiplicato per i giorni di svolgimento, fornisce il valore economico netto per quel tipo di attività nell'area: nonostante la relativa facilità nella raccolta e nell'elaborazione dei dati, questo metodo si è dimostrato troppo rudimentale, soprattutto ove applicato a zone di dimensioni limitate.
L'hedonic method misura i valori di determinati beni, suddividendo questi ultimi in singole componenti ed assegnando un valore ad ognuna di esse: dalla successiva comparazione di beni complessi che differiscono tra loro solo per alcune caratteristiche, si può quindi ottenere il valore di queste ultime, altrimenti non quantificabili. Ad esempio, confrontando i canoni di affitto di abitazioni situate in prossimità di strade ad alto scorrimento, con quelli, più elevati, di case simili, ma poste in aree naturalisticamente interessanti, si misura il valore, non di mercato, del silenzio, dell'aria pulita, eccetera. Benchè più affidabile del metodo precedente, in quanto basato su stime di mercato piuttosto precise, questo sistema presenta dei limiti nell'esatta definizione dei singoli elementi che compongono il bene.
Clawson e Knetsch (1966) e, più recentemente, Tobias e Mendelsohn (1991), hanno applicato il travel cost method ad alcuni casi pratici di valutazione, all'interno di parchi nazionali: il sistema è basato sul calcolo del consumer surplus, applicato alle spese per raggiungere l'area protetta, considerando anche fattori come la cultura, l'età ed il reddito dei visitatori. La valutazione complessiva viene effettuata con modelli statistici piuttosto complessi, che però sembrano, almeno in alcuni casi, non rispondere perfettamente alla complessità dei fenomeni. Per un'analisi più completa del metodo e delle sue valutazioni si rimanda a Fisher (1986).
Il contingent value method, elaborato da Davis (1963), è basato sulla volontà di pagare per ottenere un determinato bene o servizio, o perchè certe opere, come ad esempio il disinquinamento di corsi d'acqua, vengano realizzate: la valutazione di tale parametro si ottiene attraverso inchieste dirette ad un campione della popolazione, ed il risultato viene estrapolato all'intera comunità. Calcolando la differenza tra la volontà a pagare ed il suo costo attuale effettivo, si ha una stima del consumer surplus. Se le risposte fornite dagli interessati risultano credibili, e se il campione è effettivamente rappresentativo, il metodo sembra funzionare abbastanza bene: peraltro, il metodo può essere impiegato anche per valutare la disponibilità a vendere od a cedere un bene per un determinato valore. I limiti di tale sistema sono dovuti essenzialmente alla raccolta dei dati, ovvero ai fattori psicologici e culturali legati al sistema dell'intervista (Dwyer et al.,l977; Desvouges e Smith, 1983; Fisher, 1986).
Alcuni confronti e calibrazioni effettuati sui metodi presentati (Bishop e Heberlein,1979) hanno provato che il metodo travel cost e, soprattutto, il contingent value, benchè relativamente imprecisi, forniscono valutazioni utili; il loro impiego risulta più che adeguato in alcuni casi e d'aiuto in altri e, comunque, preferibile a nulla (Fisher, 1986).
Conclusione
Dall'analisi dei fattori sopra esaminati si possono ricapitolare i seguenti punti (Dixon e Sherman, 1991):
- i benefici derivanti dalle aree protette tendono ad essere sottostimati sostanzialmente a causa delle difficoltà nella determinazione di valori monetari di mercato; molte tra le stime attuali risultano altamente speculative;
- considerevoli progressi sono stati raggiunti nella quantificazione di particolari parametri come, ad esempio, i benefici diretti od alcuni tra quelli indiretti;
- la valutazione dei costi è generalmente più facile e puntuale di quella dei benefici;
- poichè i tradizionali meccanismi di mercato
spesso non sono sufficienti a garantire un'adeguata copertura finanziaria per il funzionamento delle aree protette, si rendono indispensabili misure di supporto, essenzialmente di tipo governativo; il riconoscimento dei benefici può essere cruciale nell'ottenimento non solo degli aiuti istituzionali, ma anche nel coinvolgimento di privati, come fonti di finanziamento (Lemay, 1987);
- l'analisi economica può risultare di aiuto nella valutazione di molti dei benefici associati alla protezione dell'ambiente, ma non di tutti: alcuni fattori di tipo qualitativo e più difficilmente commensurabili (estetica, cultura, eccetera) possono essere, in qualche caso, molto importanti.
Bibiliografia

III, 1986.

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