Federparchi
Federazione Italiana Parchi e Riserve Naturali


PARCHI
Rivista del Coordinamento Nazionale dei Parchi e delle Riserve Naturali
NUMERO 11 - FEBBRAIO 1994


RICEVIAMO E PUBBLICHIAMO

Affrontando l'argomento del ruolo delle NGOs
(organizzazioni non governative) in relazione alle aree protette è utile iniziare da un'accurata analisi del dibattito internazionale. Che le NGOs italiane farebbero meglio a starsene fuori dalla gestione delle aree protette è una delle tesi avanzate, e in verità anche quella che sembra essere caldeggiata da Renzo Moschini nella sua nota sul numero 10 di Parchi. E questo, si dice, con beneficio per l'indipendenza stessa delle associazioni (e forse per la loro immagine, come sembrano troppo preoccuparsi molte NGOs italiane), e quindi risultando più utili ed efficaci nella loro posizione di critici esterni (forse, aggiungo io, anche meno fastidiose per gli enti gestori). Mentre condivido appieno l'invito alla responsabilità e al realismo rivolto alle associazioni ambientaliste, alcuni altri aspetti del ragionamento mi sembrano essere un poco datati soprattutto quando se ne vuole fare teoria e principio. Per esempio, se è fuor di dubbio che siano gli istituti pubblici, in particolare i governi, a dover recepire la responsabilità del sistema delle aree protette, cosa diversa è la gestione. Cosa diversa è la moltitudine di aspetti legati alla gestione, che vanno dalla più ovvia educazione ambientale, al meno noto aspetto della "conflict resolution" all'interno dei parchi, dal contributo alla tutela della biodiversità, al "funding" delle aree protette. Sono questi tra 1' altro, in Italia, i temi su cui si dovrà incentrare il prossimo confronto e non è certo pensabile che queste questioni possano essere affrontate e risolte attraverso organismi di gestione rappresentativi di una vecchia logica di lottizzazione politica come sono in molti casi i consorzi e gli enti (si è cercato di riprovarci anche con i nuovi parchi nazionali della 394/91 seppure le nomine finali finora decretate diano invece prova di una nuova tendenza). E le cose appaiono complicate anche all'estero, in acque e tempi migliori dei nostri per la politica, dove la gestione pubblica cerca un pò ovunque di arricchirsi di nuovi contributi. Perchè se politica (si dice, e pre-metto di non essere un esperto) significa gestione del sistema sociale, coordinamento delle opinioni, creazione del consenso e quindi governo, sta proprio alla politica seria e intelligente, come ci si aspetta per l'Italia in un prossimo futuro, coordinare tutte le forze in campo, privilegiando le più utili, le più funzionali. - Oltre il 10%
Superato il traguardo del 10% (di territorio protetto nazionale, ancora oggi ritenuto un limite minimo per rendere quantitativamente accettabile un sistema di aree protette nazionali) che ha ispirato per una trentina d'anni il movimento ambientalista italiano e la esigua "lobby parchista" all' interno delle istituzioni, adesso si tratta di dare corpo, vita, dinamismo a questo network nazionale. Anzitutto ispirandosi a cosa? Quali i fini, quali gli obiettivi generali? E poi come? Con quali tecniche e strategie? E infine con il contributo di chi?
Non crediamo di dover inventare niente di estremamente nuovo nel rispondere a questi quesiti, visto che la questione sulle aree protette è diffusa e trattata in tutte le nazioni del mondo, da quelle con più alto e con più basso prodotto nazionale lordo, a diametralmente opposta ispirazione religiosa, sistema politico, organizzazione sociale, mentalità e attitudini diffuse. Il dibattito internazionale è ormai attivo da tempo e arricchito di molte esperienze. E farebbe bene l'Italia ad esservi più partecipe, e non a utilizzarlo solo per qualche superficiale citazione come spesso, e comunque anche questo da poco tempo, avviene. E soprattutto farebbero bene i politici dell'ambiente italiani e coloro che sono preposti alla organizzazione o alla gestione delle aree protette, ad ispirarsi più di sovente al panorama internazionale, ad applicarne le raccomandazioni. Ma esistono resistenze culturali insormontabili, blocchi attitudinali irreversibili. Il "rinnovamerito", il cambio generazionale dei contenuti legati alle aree protette, deve passare anche per gli istituti di gestione di parchi e riserve, tanto più adesso, con la 394/91 in fase di applicazione diretta.
Più lavoro per le NGOs
Dicevamo che anche all'estero il problema dell'efficace gestione delle aree protette è molto sentito e a questo proposito, tornando al tema delle NGOs e del loro ruolo, ben due workshop, 1'1.8 e il 3.4 sono stati dedicati al tema del coinvolgimento delle NGOs dall'assemblea mondiale sulle aree protette promossa dall'Iucn a Caracas nel febbraio 1992. Ma dalla lettura dei documenti dell'assemblea recentemente pubblicati non si evince alcuno dei dubbi elencati nell'articolo di Moschini. Anzi. Dando per scontato che le NGOs rappresentano un elemento di rilievo nella gestione delle aree protette per loro caratteristiche intrinseche rivelatesi di grande utilità nell'esperienza internazionale, non si è affatto discusso sull'opportunità del ruolo ma piuttosto su come precisare e potenziare la partecipazione che permette di godere dei vantaggi propri di associazioni non govenative: la capacità innovativa e l'impegno, la flessibilità e la rapidità decisionale, il contenimento di spesa, il reperimento di fondi, la facilità di concentrare e coordinare esperienze e competenze tecniche anche esterne. Questo è tanto più vero quanto più è giovane e da consolidare l'esperienza in organizzazione e gestione delle aree protette di un Paese. E non è forse il caso dell'Italia? Credo inutile disquisire sul voto da dare al nostro Paese in materia di aree protette, ma basta ricordare quanto sia tristemente recente la data di approvazione della legge-quadro e quale sia il grado della sua incompiutezza a due anni di distanza, e poi la situazione di immobilismo della maggioranza delle Regioni, l'incompetenza di molti consorzi gestori e il dispendio di risorse senza incontrare le priorità e gli scopi istituzionali propri dell'esistere di un'area protetta.
Addirittura, uno specifico capitolo d'impegno al coinvolgimento delle NGOs per le strategie nazionali e internazionali di sviluppo compatibile compare anche nell'Agenda 21 di Rio de Janeiro, di poco posteriore al congresso di Caracas. Cosa si suggerisce e raccomanda in sintesi? Da parte dei Governi un maggiore coinvolgimento delle NGOs attraverso adeguati strumenti legislativi e finanziari, e un costante sviluppo della qualità da parte delle NGOs. Da questi autorevoli pulpiti si indica che il ruolo delle NGOs nell'organizzazione e gestione delle aree protette debba essere attivo e di coinvolgimento,
nell'ambito della chiara definizione di ruoli con i Governi e le altre parti pubbliche, in uno stretto rapporto di collaborazione che nasce sia da idee chiare e da coerenti politiche programmatiche da parte governativa, sia da competenza e realismo gestionale da parte associativa.
Poi, quali associazioni e istituti italiani diano garanzie per assolvere a questo ruolo, e come si presenti l'ambientalismo nostrano di fronte a questa responsabilità, sarebbe interessante discutere.

Marco Lambertini, LIPU

Ho solo di recente avuto modo di leggere sulla vostra rivista n. 9 del giugno 1993 l'articolo del direttore del Parco regionale delle Groane, Fabio Lopez Nunez: Valgrande: Parco nazionale. E poi ?
Poichè, trattando del Parco della Valgrande, cita abbondantemente la Wilderness, esprimo impressioni e considerazioni suscitatemi da quanto egli fa leggere.
Annotato che già antecedentemente alla mia iscrizione, da profana del problema "Parchi" avevo già recepito come contorte, se non strumentali e sospette di mistificazione dei fini, le argomentazioni di troppi esperti o addetti ai lavori; evidenziato che oggi nutro ancor più pressanti dubbi che, giocando con i termini di promozione e valorizzazione, detti vecchi o nuovi sapienti espertamente aggirino i concetti di salvaguardia, protezione, tutela (inequivocabili anche per un bambino) e con essi la ratiolegis e noi cittadini; scorro l'articolo di Lopez Nunes ..
Non appena apprezzatavi l'espressione di speranza che la meravigiosa e solitaria Valle possa essere ancora tale per i nostri figli e nipoti, vi ho dovuto constatare colta l'occasione per definire
Wilderness come tentazione esclusivista ed elitaria di alcuni solitari che vogliono "territori solo per loro".
Vi ho trovato ancora definito, a me sembra vilipendio, il concetto di Wilderness come moda emergente; citata un'area Wilderness come un posto dove chi vi accede possa sentirsi "un intruso fra le forze del Creato".
Vi ho constatato uno spurio avvitamente di logica sulla soggettività delle sensazioni e sugli stati d'animo che, quanto meno, lascia stupiti.
Tralascio l'esame puntuale di altre contraddittorie asserzioni e cerco di riferire, con l'immediatezza della reazione allo stimolo, alcune delle impressioni e riflessioni incorrenti nella mente dietro alle righe.
Quando, dopo la stupenda scalata, arrivai sul Corno Grande mi appollaiai sulla piattaforma inserendomi nel gruppetto di gente arrivata prima o da altrove. Il vocio, pur rispettosamente sommesso, mi infastidì. Spontaneamente giudicai deleterie (e offensive dei valori intrinseci della natura) per l'etologia dei gracchi lì attorno svolazzanti, le molliche sfuggite ai nostri panini.
Godei qualche attimo di quell'immenso che mi rendeva un tutt'uno con l'Universale, poi, passo dietro passo, scesi decisa a non tornarvi più. Né mi ero sentita intrusa, né desiderosa di riservare l'area solo alla mia concupiscenza o a quella dei soci Wilderness. Sentii, sì, il vivo desiderio che ogni vetta e ogni anfratto potessero conservare intatta la loro selvaggia travolgenza: non per escludere, bensì per preservare, conservare e tutelare.
Le righe di Lopez Nunes davanti agli occhi, rifletto su platoniche scintille e imperativi. Vedo possibile, previe adeguate scelte dell'uomo, la riconferma della sua centralità in un sano respiro tra soggettività e oggettività. Leggo oltre. Nella descrizione che Lopez fa della Valgrande, rilevo sentimenti e idee che anch'io come lui provo. Annoto "valle intonsa", "sentieri che fanno e si disfanno", trepidazioni per la vulnerabilità del sito. E, perciò, mi chiedo, se egli è dentro o fuori il concetto Wilderness.
Più di una volta da piccina mi capitò di voler conservare un dolcetto per una persona cara e di mordicchiarlo ripetutamente, valutando ogni volta irrisoria l'asportazione, fino a farlo sparire. Fortunatamente non si trattava di un parco !
Crescendo capii che avevo così allenato i freni inibitori. Intravidi un percorso tra essere e dover essere per il quale si può pervenire ad una prima stabile identità di sè; un andirivieni che per una serie di stati d' animo, dopo la fase puerile, armonizza gradualmente le forze istitintive con quelle cosiddette razionali.
La Valgrande, comunque, pur non essendo una vasta area americana, è innegabilmente una rara area rappresentativa di un territorio che, recesso anche grazie ad abbandoni e dimenticanze, ha sicuramente iniziato a ricostruire la propria primitività; il suo rigoglio stimola stati di animo, definiti soggettivi (egli stesso li dichiara più volte citando anche il rododendro bianco) che ne fanno una mosca rara.
Mi chiedo perciò ancora come interpretare affermazioni perentorie quali il dover accedere tramite sentieri studiati appoggiantesi ai vecchi alpeggi. Se la contrarietà di Wilderness ai percorsi su aree "da proteggere per figli e nipoti è accusabile di soggettivismo; se Wilderness è elitaria perchè ritiene che la tutela si attua con la rinuncia e con il dominio dell ' uomo su sè stesso; se è esclusivista perchè valuta dannosi, ben beni di tal genere, strade, piste, tagli e manufatti; allora vuol dire che l'omo necessita di "troppe strade" per "seguir virtude e conoscenza" e che, oltre alle vie per Rovegro e Cicogna, dovremo asfaltare anche il mare e le volte del cielo.

Antonietta Corridore Pratovecchio (AR)