Federparchi
Federazione Italiana Parchi e Riserve Naturali


PARCHI
Rivista del Coordinamento Nazionale dei Parchi e delle Riserve Naturali
NUMERO 12 - GIUGNO 1994


Non solo guardia
Gianni Boscolo *

L'identikit del guardiaparco

Divisa verde, binocolo, zaino. La mentalità comune (l"'immaginario collettivo" dei sociologi), considera i guardiaparco figli dei mitici "rangers" dei parchi americani, traduzione "repubblicana" dei regi guardiacaccia dei Savoia, imparentati con le guardie venatorie, quelle ecologiche e cugini smilitarizzati delle guardie forestali. Sui guardiaparco manca una vera e propria bibliografia fatta eccezione per alcuni articoli comparsi su riviste di settore. Il Centro di documentazione e ricerca sulle aree protette della Regione Piemonte, tramite un questionario, ha cercato di scavare sotto la superficie di questo mestiere giovane.
Lo scopo era di avviare un'indagine sull'autoimmagine del proprio lavoro da parte di coloro che esercitano una professione relativamente "nuova", nata con le aree protette regionali. Una figura di particolare interesse perché da un lato il G.P. con la divisa, la sua presenza sul territorio, rappresenta e personalizza, specie per i visitatori, "il parco". D'altro lato, soprattutto nei confronti dei residenti, costituisce quasi fisicamente l'ente parco, ossia la struttura amministrativa che gestisce le scelte politiche dell'area protetta. Si tratta dunque di avviare una riflessione su una professione al di là dei facili e semplicistici "miti" della rappresentazione comune (vita all'aria aperta, sempre in giro a "guardare gli animali"), per cercare di definirne i contorni ricchi, sfaccettati e polivalenti. Sul G.P. convergono immagini positive e negative da parte delle categorie che vengono in contatto con la realtà del parco. Ne emerge un mestiere in bilico, tanto più se si tiene conto che il mansionario, come ogni mansionario di ente pubblico e di un lavoro "terziario", ossia erogatore di servizi, è alquanto aleatorio, elastico e da "interpretare". La ricerca si proponeva pertanto un primo passo verso una conoscenza meno "impressionistica" e soggettiva della figura, cercando di individuare le motivazioni che hanno portato a questa occupazione, i valori, le difficoltà e gli aspetti positivi, il "vissuto" insomma, di un'attività lavorativa recente che suscita una notevole attrattiva, ma il cui identikit si va ancora definendo.
"Capita" di fare il guardiaparco o "si cerca" di diventare G.P.? Pochi diventano guardiaparco per caso. La motivazione risulta complessivamente e prevalentemente mirata ad un lavoro a contatto della natura, relativo alle tematiche ambientali anche se non sempre i contenuti risultano essere chiaramente noti. D'altronde, come detto, la professione è "giovane" e non molto diffusa. In qualche caso non soltanto ci si trova in presenza di un'attenzione ed interesse, ma il ruolo del G.P. viene in qualche modo caricato di valori sociali e personali.
«La professione di guardiaparco era da me idealizzata anche se non avevo molte idee concrete su quello che mi aspettava... pensavo che avrei camminato incessantemente per creste e per valli, osservando aquile e pernici, ogni tanto informato i visitatori, pulito i sentieri e questo sarebbe bastato a rendermi felice nel mio lavoro. Poi pensavo comunque che questa professione avesse uno scopo utile a tutta la società ed al mondo intero, che proponesse dei valori alternativi a quelli in voga attualmente di sfruttamento indiscriminato di ambiente e risorse...».
Due terzi degli intervistati hanno voluto e cercato di fare questo mestiere, anche se nessuno con la costanza di questo giovane collega:
«Ho partecipato tra il 1984 e il 1987 a 14 concorsi per guardiaparco, a due per guardiacaccia ed uno per guardia forestale. Non cercavo un lavoro qualunque ma proprio questo...».
Una quota significativa (7 intervistati su 22) non cercava invece un lavoro specifico, giungendo casualmente al concorso.
Ma anche una ricerca non caparbia è compensata da un senso "alto" di questo tipo di occupazione:
«... L'interesse era per un lavoro all'aria aperta e con una parte di contatto con il pubblico su temi
"forti" come quello della protezione della natura e dell'ambiente».
A volte la "molla" è il desiderio di cambiare lavoro. Chi ha lasciato un posto in fabbrica, chi un'attività commerciale. Al desiderio di variare il lavoro in alcuni casi tuttavia si aggiunge un bisogno di imporre una svolta al proprio modo di vivere; fare il G.P. potrebbe addirittura essere «il lavoro più bello del mondo»; mentre per un altro è stato un benefico modo di uscire da una crisi quasi "esistenziale": «ero letteralmente scoppiato»; per qualcuno, poi, le motivazioni che trova nei futuri colleghi rappresentano quasi una «folgorazione sulla via di Damasco».
Complessivamente i G.P. intervistati non paiono essere sorpresi della varietà delle mansioni svolte, più numerose di quelle previste ed alcune addirittura insospettate. Come imbiancare la sede. Complessivamente, ad eccezione di due intervistati, il lavoro non presenta particolari sorprese ma, quando queste vi sono, vengono vissute in modo positivo ed in alcuni casi rappresentano addirittura una scoperta di risvolti interessanti e stimolanti. Per qualcuno l'individuazione dei compiti o delle aree di competenza costituisce una positiva assonanza con la direzione del parco.
«... Ho scoperto con piacere che la direzione considerava parimenti importanti tre grandi rami della nostra attività: la sorveglianza, l'osservazione naturalistica e la didattica verso la fruizione... Una sorpresa piacevole è stata la possibilità di collaborare, sebbene in misura ancora limitata, a progetti scientifici».
Tre domande tendevano ad avere un quadro dei problemi relativi all'attività di G.P. cercando di "tenere insieme" ambiti diversi: individuare attività previste tra più gradite e quelle svolte più per dovere; individuare tra queste ultime quelle vissute come inevitabili o fonte di frustrazione, quando non addirittura pericolose. Ed infine, ciò che viene considerato di ostacolo a quello che viene individuato come proprio compito istituzionale. Per usare una terminologia cara ai sociologi industriali ed ai formatori, si intendeva mettere in relazione il ruolo percepito, quello istituzionale e quello "atteso".
Le difficoltà non mancano: la burocrazia, i tempi lunghi per realizzare cose concrete, le uscite in solitaria, il venire accettati dalle popolazioni locali, i meccanismi farraginosi...
Le risposte fornite alla domanda «cosa pensi ti sarebbe utile per svolgere con più soddisfazione il tuo lavoro?», si collocano praticamente tutte nell'ambito della necessità di maggior coinvolgimento e, soprattutto, nell'esigenza di una formazione che non soltanto tolga spazio all'aleatorietà di alcuni degli interventi previsti dal proprio mansionario, ma costituiscano un arricchimento professionale. Alcune risposte tendono a collocare una problematica tipicamente sindacale, «in quanto lavoratori», nel contesto più generale di far parte di un progetto a forte valenza generale.
«Sarebbe molto utile fare dei corsi specifici su argomenti che interessano la nostra figura... In seguito poter fare dei corsi di perfezionamento e di aggiornamento».
Lo scambio di esperienze ed informazioni con gli altri parchi, una formazione continuativa e seria, unitamente a «... minori intoppi burocratici...» e a «un maggior coinvolgimento preventivo del personale da parte dell'amministrazione del parco...», sono le esigenze che paiono prevalere nelle aspettative. Aspettative che non sono soltanto finalizzate all'oggi ed al proprio lavoro ma che richiamano sovente ad una funzione più generale: «... più volontà politica intorno ai parchi perché un giorno "non servano più"», che generi «una chiarezza di intenti e di programmi politici».
L'indagine ha inteso anche individuare la "proiezione verso il futuro", sia nel senso individuale che nel senso di far parte di un mestiere innovativo ma che necessita anche di aggiustamenti, alla luce dell'esperienza acquisita. Complessivamente si riscontra una diffusa "prospettiva" tesa a vedere il proprio lavoro in evoluzione, in mutamento. Mutamento che viene in molti casi legato all'evoluzione della funzione dei parchi con notevole "sensibilità" alle problematiche generali della conservazione ambientale e naturalistica. «Evolverà in termini positivi, se il parco saprà trasformarsi da un ente di tutela ed un ente trainante e di esempio per una gestione del territorio, perché se si vuole avere un futuro occorre fare un cambiamento, in modo che non esistano più i parchi in quanto tutta la Terra è diventata parco».
Non mancano ovviamente visioni pessimistiche che si alimentano di un'analisi della realtà:
«La mia impressione è di staticità assoluta. E imperante la cultura dell'emergenza ed è assente una volontà di sfruttamento reale delle potenzialità del personale. I segnali, semmai, sono di involuzione».
«Penso che tutto dipenda dalla "voglia di parco" dei politici; data l'attuale situazione economica, temo che si dovrà parlare di involuzione».
Il guardiaparco colloca il proprio lavoro in un contesto più ampio? Quale sensibilità, attenzione ed interesse pone nei problemi più generali della società? Si limita ad un'attenzione "naturalistica" riferita alla flora ed alla fauna, oppure allarga il proprio campo di esperienza ed interesse al contesto della società? Le risposte ottenute mettono in risalto una forte sensibilità a temi più generali, non soltanto in quanto "cittadini", ma in forza proprio del lavoro svolto e sovente anche in quanto "dipendenti pubblici".
«Come tutti i dipendenti pubblici siamo a disposizione della collettività, per cui non faccio nessuna distinzione fra coloro che sono più o meno sensibili ai problemi ambientali; in ogni caso è la collettività stessa che è "proprietaria" del bene di cui siamo destinati a proteggere il valore».
Esiste un legame tra lavoro ed interessi personali? Una delle domande intendeva coglierne i nessi. Eccetto che in due casi, i quali "farebbero tutt'altro" nel tempo libero, una parte dei compiti svolti professionalmente verrebbero espletati come hobby, od interesse personale. Probabilmente è in questo legame uno degli aspetti prevalenti della motivazione che si riscontra. Per certi versi, condizione privilegiata è, dunque, quella del G.P. che può assimilare lavoro ed interessi, anche se, ovviamente, non tutto quanto fatto in servizio farebbe parte del proprio "piacere". E in questo legame la forte disponibilità non tanto al disagio di turni, orari e condizioni atmosferiche, quanto piuttosto ad affrontare un'occupazione ricca di imprevisti. In altre parole, questo legame permette una forte identificazione con il proprio ruolo ed una conseguente forte motivazione nel lavoro.
La ricerca ha anche cercato di individuare le aspettative prevalenti. Molti hanno risposto auspicando di poter effettuare maggiormente l'attività più congeniale; alcuni hanno espresso il desiderio di un maggior impegno degli amministratori. Non mancano risposte "stimolanti":
«Mi piacerebbe poter presentare alla gente che abita dentro e attorno alla riserva i risultati di una ricerca storico-naturalistica che evidenzi il rapporto dell'uomo col territorio in questa zona. Questo per valorizzare il loro senso di appartenenza al territorio e per far capire che la tutela dell'ambiente non calpesta i valori e la storia di una cultura materiale "vissuta", ma anzi tende a valorizzarli, e che la conservazione del territorio è un problema reale per tutta la comunità. Mi piacerebbe esistesse un "foglio di collegamento" per guardiaparco, come esiste per altre categorie, che ci aggiorni sulle questioni che ci riguardano e possa portare risposte ai dubbi dei singoli».
E stato anche chiesto se parteciperebbero ancora ad un concorso alla luce delle esperienze fatte. Tutti gli intervistati, a volte con qualche distinguo o "correzione", rifarebbero ciò che hanno fatto. Segno che, nonostante le difficoltà lamentate, il mestiere intrapreso corrisponde alle loro aspettative oppure ricompensa, in qualche modo, i disagi ed i contrattempi che debbono affrontare. Forse perché, come ammette onestamente un intervistato, quale lavoro comporta "dover" prendere lo zaino e perdersi nei silenzi della natura?
Alcune considerazioni
Il mestiere di G.P. è un'occupazione che richiede e trova una forte identificazione; i G.P. piemontesi collocano la loro attività lavorativa in una prospettiva più ampia che attiene a ruoli di difesa dell'ambiente, ma anche culturali nel senso di una modifica del rapporto tra l'uomo e l'uso della natura. Tra l'essere guardiano o gestore il GP è più orientato al secondo ruolo, arbitro non imparziale dell'impari scontro tra uomo e natura. Un ruolo che richiede una formazione professionale costante che coniughi aggiornamento con l'acquisizione di metodologie e tecniche legate alla gestione del territorio, la divulgazione (l'interpretazione, sarebbe forse più corretto dire, usando un termine francese), la fruizione turistica, l'impatto con le realtà locali. Se una caratteristica dell'attività nei parchi è l'interdisciplinarietà, evidentemente anche il guardiaparco che, per certi versi, dell'area protetta è la figura
più emblematica, deve essere messo in condizione di muoversi all'interno di questa complessa realtà.
Il campione indagato
La ricerca sulla professione del guardiaparco è stata realizzata attraverso le risposte ad un questionario aperto, ossia le cui domande lasciavano libero il soggetto nel fornire qualsiasi tipo di risposta. Il questionario si componeva di dodici domande ed è stato distribuito tramite i direttori delle aree protette piemontesi ai circa 200 G.P. in servizio nel 1992. La compilazione era facoltativa e il questionario doveva essere fatto pervenire al Centro di documentazione e ricerca sulle aree protette in modo anonimo mentre l'indicazione della sede era facoltativa.
I questionari restituiti sono stati 22, vale a dire un po' più del 10% dell'universo che si intendeva indagare. Il campione, date le modalità di somministrazione e di restituzione dei questionari, ha caratteristiche di campionatura casuale.

Direttore della rivista Piemonte Parchi