Federparchi
Federazione Italiana Parchi e Riserve Naturali


PARCHI
Rivista del Coordinamento Nazionale dei Parchi e delle Riserve Naturali
NUMERO 12 - GIUGNO 1994


Agricoltura e ambiente, ovvero l'agricoltura compatibile
Amerigo A. Hofmann *

PAC e GATT sono sigle misteriose per molti produttori agricoli, ma che cosa significano in termini pratici essi hanno già cominciato a sperimentarlo e lo proveranno in modo ancor più significativo nel prossimo futuro.
La nuova PAC, la politica agricola comunitaria, e gli accordi che hanno recentemente concluso l'Uruguay Round, l'ultima conferenza periodica del GATT, General Agreement on Tariffs and Trade, espongono la nostra agricoltura ad effetti dirompenti rispetto alla situazione di protezionismo e di sviluppo garantito-nei prezzi e nell'assorbimento del prodotto-, che ha caratterizzato i passati decenni.
L'agricoltura deve ora far fronte a molteplici necessità, talvolta anche divaricanti, che possono schematicamente ricondursi a questi punti:

  • -frenare le produzioni eccedentarie: cereali, carne, latte e vino in parlicolare;
  • -produrre a costi competitivi rispetto al mercato internazionale;
  • -migliorare la qualità e valorizzare la specificità e tipicità dei prodotti;
  • -contenere i mezzi di produzione (fertilizzanti, antiparassitari, eccetera) che possono avere effetti inquinanti per l'ambiente.

In altri termini, all'agricoltore si chiede di migliorare il prodotto e di diminuire contemporaneamente l'intensità ed i costi di produzione. Il tutto nel rispetto dell'ambiente.
Non è poco. Non è semplice. Occorrono iniziative e capacità che non tutti i produttori agricoli hanno ed inoltre un dinamismo di adattamento delle strutture aziendali che tarda ad affermarsi. Il ritardo nell'adeguamento economico e sociale di tanta parte delle nostre campagne è messo in luce dall'ultimo censimento generale dell'agricoltura (1990-91) 1 e dai più recenti studi sul tema 2.
Pur ammettendo che certi dati non consentono interpretazioni schematiche e che le loro variazioni nel tempo possono anche essere la risultante di tendenze contrastanti, alcune delle quali di segno positivo, colpisce la concomitanza di fenomeni, quali:

  • -la diminuzione del numero delle aziende agricole, non controbilanciata dall'aumento della superficie media aziendale;
  • -la diminuzione della superficie agricola utilizzata, scesa negli anni '90 al di sotto del 50% della superficie territoriale nazionale;
  • -il calo del livello di auto approvvigionamento nazionale garantito dalla nostra produzione agricola;
  • -il calo della percentuale degli attivi agricoli rispetto agli attivi totali e, contemporaneamente, l'aggravio della loro senilizzazione e la ricerca di attività extragricole: i conduttori agricoli con età superiore ai 65 anni tendono ad essere uno su tre, mentre più di due su tre dedicano all'attività agricola vera e propria meno della metà del loro tempo lavorativo.

Chi vive in città o, comunque, conosce il territorio rurale solo come luogo di gite o di piacevole residenza, ha difficoltà a comprendere i mutamenti davvero epocali che lo investono e di percep*e che in questi anni si sta delineando la possibilità o l'impotenza dell'agricoltura italiana di continuare ad avere un ruolo produttivo di un certo significato e ad essere elemento d'equilibrio nell'assetto del territorio nel suo insieme.
E nel 1991, dopo più di trent'anni dalla sua impostazione, che la PAC va incontro alla sua più radicale riforma, secondo un progetto che, dal nome dell'allora commissario all'agricoltura, sarà chiamato "Proposta Mc Sharry" 3.
Accanto ai nuovi, basilari orientamenti per l'organizzazione dei mercati dei prodotti agricoli, vengono introdotte delle proposte ritenute complementari ai fini del corretto sviluppo dei territori rurali, indicate appunto come misure integrative o d'accompagnamento 4. Esse partono dal presupposto che devono essere bilanciate le eventuali conseguenze negative per i produttori
agricoli delle nuove misure di mercato e che agli stessi deve essere riconosciuto, anche in termini remunerativi, il ruolo svolto ai fini del miglioramento dell'ambiente, della salvaguardia dello spazio naturale e del paesaggio.
Le misure d'accompagnamento muovono in due direzioni: agro-ambientale e d'imboschimento. Quest'ultimo val la pena di trattarlo a parte, non foss'altro per capire com'esso s'inserisce, proseguendola, nella politica forestale adottata dai Paesi europei.
V'è, nel programma d'azione agro-ambientale, l'implicito riconoscimento che le sovcenzioni pubbliche hanno sollecitato metodi produttivi intensivi con rischi ambientali crescenti. La tendenza va invertita, favorendo una produzione agricola rispettosa dell'ambiente ed il ripristino del duplice, prezioso ruolo dell'agricoltore; produrre alimenti sani e gestire lo spazio rurale.
In particolare, all'azione agro-ambientale sono indicati questi obiettivi:

  • -promuovere metodi di produzione che riducano al minimo l'inquinamento;
  • -preservare o ripristinare la qualità e la diversità degli spazi naturali;
  • -garantire il valore ambientale dei terreni incolti;
  • -destinare ad aree protette i territori non più utilizzati a fini agricoli.
    Esiste più d' un regolamento comunitario che dà attuazione alla politica agro-ambientale, anche ante litteram rispetto alle indicazioni scaturite dalla riforma della PAC. Il regolamento però che traduce in forma più organica e complessiva tale politica è il 2078 del 30 giugno 1992, relativo a "metodi di produzione agricola compatibili con le esigenze di protezione dell'ambiente e con la cura dello spazio naturale".
    Nelle sue premesse il regolamento riafferma i postulati dell'azione agro-ambientale e li enfatizza, fino a sostenere l'inscindibilità fra la politica comunitaria per l'agricoltura e quella per l'ambiente. Viene stabilito un regime di aiuti, in forma di premi monetari annuali, per quegli imprenditori agricoli che s'impegnino ad attuare, per almeno cinque anni, una o più misure che producano effetti positivi per l'ambiente e lo spazio naturale.
    Gli impegni da sottoscrivere riguardano essenzialmente:
  • -la riduzione dell'impiego di concimi e fitofarmaci;
  • -l'adozione dei metodi dell'agricoltura biologica;
  • -l'estensivizzazione delle produzioni;
  • -l'allevamento di specie autoctone in pericolo d'estinzione e la coltivazione di vegetali minacciati d'erosione genetica;
  • -la cura di terreni abbandonati, sia agricoli sia boscati;
  • -la destinazione a riserve, biotopi o parchi naturali di seminativi ritirati dalla produzione (in questo caso è richiesta la sottoscrizione d'un impegno ventennale);
  • -la gestione dei terreni per l'accesso al pubblico e le attività ricreative.
    I primi-è detto chiaramente nel regolamento
  • -intendono compensare gli agricoltori per le perdite di reddito provocate dalla riduzione di prodotto o dall'aumento dei costi di produzione conseguenti gli impegni sottoscritti.
    Un primo quesito che si pone è se le misure indicate siano più efficaci, ai fini del miglioramento dell'ambiente, nelle zone ad agricoltura intensiva o nelle zone dove l'agricoltura è più povera, come in molte aree collinari e soprattutto montane. Nel primo caso, ragionando sempre in termini generali, avremmo dei benefici per l'attenuazione dell'impatto particolarmente duro che l'agricoltura più "chimizzata" provoca; nel secondo caso sarebbero le aree protette, per lo più non interessate da tale agricoltura, a trarre maggior vantaggio.
    E innegabile che chi ha redatto il regolamento aveva presenti (ancora una volta!) le pianure irrigue centro-europee più che i rilievi mediterranei. Tuttavia sarebbe sciocco non cogliere le opportunità che si offrono anche per le aziende agricole che hanno maggiori difficoltà a "stare sul mercato", come spesso accade per le aziende delle aree protette. Nel regolamento, infatti, il primo filone di misure agro-ambientali, sostanzialmente volte all'estensivizzazione colturale, è strutturato per contrastare in modo particolare il degrado ambientale nelle aree con sistemi agricoli ad elevata intensità. Ma un secondo filone ha come aree preferenziali quelle-caratterizzate in genere da un più alto grado di naturalità, però non meno "sensibili" delle prime sotto il profilo ambientale-della montagna, della colli-
    na svantaggiata, dei parchi, delle riserve, dei biotopi, delle fasce lungo i corsi d'acqua e le coste, attorno ai laghi, le lagune, le risorgive. Per tutte queste aree, le misure del regolamento possono tradursi in interventi estremamente significativi per la conservazione o ricostituzione degli spazi naturali e del paesaggio, come suggerisce la circolare ministeriale del I febbraio 1993 sulla predisposizione dei programmi pluriennali, che devono dare attuazione al regolamento stesso nell'ambito di zone omogenee sotto il profilo ambientale, strutturale e sociale 5.
La tipologia degli interventi possibili è molto ricca:
  • -creazione, ricostituzione o conservazione di componenti naturali e paesaggistiche; siepi arbustive ed arboree, boschetti, alberature, alberi monumentali, laghetti, stagni, aree umide, sorgenti e risorgive;
  • -ancora: viabilità poderale, sentieri, mulattiere, sistemazioni superficiali di tipo tradizionale, terrazzamenti, ciglionamenti, vecchi muretti;
  • -pratiche e ordinamenti colturali atti a favorire l'insediamento e la riproduzione della fauna;
  • -predisposizione di percorsi guidati e di luoghi di sosta per il pubblico;
  • -accorgimenti per la prevenzione degli incendi boschivi e per "fasce tampone" attorno alle aree protette.
    Oltre a ciò sono attivabili, in queste aree preferenziali, le misure che incidono complessivamente sui sistemi produttivi; agricoltura biologica, lotta fitopatologica integrata e biologica, allevamento di specie animali e coltivazione di specie vegetali locali o in pericolo d'estinzione. E sono attivabili, ancora, tutte le misure utili a mantenere o creare livelli d'intensità produttiva compatibili con la conservazione delle aree protette, anche se l'estensivizzazione colturale, come detto, dovrebbe trovare altrove la sua applicazione ottimale.
Un secondo quesito si pone sui risultati concreti che possiamo attenderci dall'attuazione del regolamento 2078, Il regolamento, in altri termini, è una sorta di manifesto per indicare la direzione che si vorrebbe imboccasse la futura agricoltura europea oppure è uno strumento che realmente inciderà sui modi di produrre delle aziende agricole?
L'attesa è che le misure agro-ambientali costituiscano un forte stimolo all'innovazione tecnologica, produttiva e socio-strutturale dell'agricoltura, orientandola-o riorientandola-verso gli aspetti di naturalità, che le sono connaturati. Sembrerebbe un problema prevalentemente tecnico. Ma qui, come sempre accade nei principali snodi del complesso confronto fra produzione dei beni e salvaguardia delle risorse naturali, il vero problema si colloca altrove: nel prezzo che la società nel suo insieme è disposta a pagare per avere alimenti sani provenienti da ambienti sani. Con un elemento aggiuntivo d'aggravio ed incertezza: non ci è ancora chiaro il livello dei costi ambientali, per cui dovremmo essere disponibili a firmare una sorta di cambiale in bianco, se abbiamo a cuore le sorti d'una agricoltura ecocompatibile.
I fatti, per ora, non si prestano ad una chiara lettura.
Se parliamo di costi, la prima delusione ci viene proprio dalla Commissione dell'Unione europea, che ha posto un tetto di spesa, per giunta modesto, all'attuazione del regolamento, mentre i primi programmi pluriennali delle Regioni, che proprio in questi giorni vengono trasmessi alla doppia approvazione nazionale e comunitaria, sono stati predisposti, in sintonia con la natura del fondo europeo che li coofinanzia-il FEOGA Garanzia-, senza limite di spesa prefissato. Il contributo ai produttori era stato inteso cioè come una sorta di riconoscimento d'un loro diritto.
Se parliamo invece del processo con cui siamo arrivati a tale contributo-dai nuovi indirizzi della PAC, ai nuovi regolamenti comunitari, ai piani regionali e, ora, alla sottoscrizione degli impegni agro-ambientali-si ha un'impressione positiva, nel senso che tutto fa credere di aver imboccato un percorso non certo semplice e breve, ma partendo con il piede giusto.
E probabile che qui, come per tutti i cambiamenti complessi, si scontino momenti di ambiguità, che in fondo vanno anche accettati, purché esista una prospettiva reale di aver attivato un processo virtuoso, che restituisca all'agricoltura il ruolo che per secoli ha avuto, quale fattore d'equilibrio dell'ambiente e del territorio, e che solo le tumultuose trasformazioni della seconda metà del nostro secolo hanno sconvolto.
1. Istat, 1993-Caratteristiche tipologiche delle aziende agricole. Fascicolo nazionale, 4° censimento generale dell'agricoltura (21 ottobre 1990 - 22 febbraio 1991).
2. Nomisma, 1992 - Rapporto 1992 sull'agricoltura Italiana. Società editrice Il Mulino.
Nomisma 1993 - Rapporto 1993 sull'agricoltura Italiana. Società editrice Il Mulino
3. Migliori M., 1991 - I contenuti della "Proposta Mc Sharry". Agricoltura, ottobre 1991.
4. Commissione della Comunità europee, 1991 - Evoluzione e futuro della politica agraria comune. Comunicazione al Consiglio e al Parlamento europeo, COM (91)258.
5. Ministro dell'agricoltura e delle foreste,1993 - Linee guida per la predisposizione dei programmi zonali regionali di applicazione del regolamento CEE n. 2078/92.
Circolare 1° febbraio 1993, n. 4, G.U. N. 49 dell'1-3-1993;