Federparchi
Federazione Italiana Parchi e Riserve Naturali


PARCHI
Rivista del Coordinamento Nazionale dei Parchi e delle Riserve Naturali
NUMERO 12 - GIUGNO 1994


Problemi e prospettive dei parchi in Piemonte

Il presente documento è stato steso dal Presidente del CTS, professore Roberto Gambino, sulla base delle indicazioni scritte e verbali ricevute dai direttori dei parchi regionali piemontesi (in particolare, in occasione dell'incontro col CTS del 3/5/93), nonché delle osservazioni formulate in più occasioni dai membri del CTS, compresi quelli decaduti dalla carica. Esso tende a suggerire alcune riflessioni utili per un bilancio critico dell'esperienza regionale, ormai più che quindicennale, in materia di aree protette, e per un rilancio delle politiche regionali di conservazione della natura e di protezione ambientale, a fronte dei mutamenti dei rischi e dei problemi ambientali e delle relative prospettive sociali e istituzionali. Il documento è stato approvato dal CTS il 21/2/1994.

1. L'esperienza degli operatori
Date la complessità e la varietà del sistema di aree protette regionali, l'esperienza degli operatori direttamente impegnati nella loro gestione costituisce una imprescindibile base di partenza per tentare un bilancio critico dell'attività svolta dalla Regione in questo campo. Le valutazioni raccolte nell'incontro appositamente organizzato dal CTS il 3/5/93 ed in altre numerose occasioni, offrono indicazioni preziose al riguardo, anche se non certamente esaustive o definitive, trattandosi di un'esperienza ancora nella fase di esordio, destinata a dare frutti soprattutto nei tempi lunghi.
Per questa ragione si deve preliminarmente sottolineare l'utilità di più stretti rapporti di collaborazione tra il CTS e gli Enti di gestione, al fine di orientare e potenziare l'attività della Regione in campo ambientale. Se infatti il CTS, in quanto organo centrale di consulenza scientifica, può da un lato (a differenza di quanto avviene in altre Regioni, nelle quali esso è sostituito da commissioni scientifiche decentrate presso le singole di gestione aree protette) offrire possibilità di confronto e valutazione complessiva delle esperienze, di definizione omogenea degli indirizzi e dei criteri di gestione e di tutela; gli organi di direzione degli Enti di gestione possono, dall'altro lato, costituire una "rete" di controllo ed osservazione ampiamente diramata sul territorio regionale, in grado di seguire con la necessaria attenzione e puntualità i processi reali, suggerendo i necessari cambiamenti di rotta e le iniziative di miglioramento gestionale. La presenza di una rete di "tutori ambientali" distribuiti sul territorio, preparati e motivati, costituisce una risorsa preziosa non solo ai fini dell'attuazione delle politiche regionali per le aree protette, ma anche ai fini di valutarne gli esiti e di proporne di nuove. Si sono in proposito auspicati incontri più frequenti presso i singoli Enti di gestione (come già si era fatto in passato) ed anche, simmetricamente, partecipazioni dei direttori alle riunioni del CTS ogniqualvolta si trattino questioni di interesse delle rispettive aree protette.
Sempre in via preliminare, va osservato che la gestione delle aree protette incontra non di rado problemi che escono abbondantemente non solo dalle competenze degli Enti di gestione, ma anche da quelle dell'Assessorato ai parchi (come nel caso del progetto dell'autostrada del Ciriegia che minaccia il Parco dell'Argentera, o del progetto della ferrovia ad alta velocità, che incombe sulla garzaia di Carisio, o della zona di esercitazione militare al Pian dell'Alpe, nel Parco dell'Orsiera-Rocciavré). Sembra in proposito opportuno che le segnalazioni e le valutazioni degli Enti e del CTS possano trovare adeguata attenzione degli altri Assessorati e nello stesso Consiglio regionale, in forme e sedi da definire.
Ciò premesso, molte delle valutazioni raccolte possono essere sinteticamente richiamate con riferimento ai principali temi su cui si era articolato l'incontro citato.
a) Corrispondenza tra finalità istitutive e realtà gestionale
Sebbene gli atti istitutivi assegnino a ciascuna area protetta compiti specifici, le finalità istitutive dei parchi regionali piemontesi (come d'altronde della maggior parte dei parchi regionali europei) possono essere sinteticamente riassunte in:

  • 1) conservazione delle risorse, dell'ambiente e del paesaggio;
  • 2) promozione e organizzazione della pubblica fruizione;
  • 3) promozione dello sviluppo locale economico, sociale e culturale.
In base alle testimonianze raccolte, soltanto la prima finalità risulta perseguita con una certa effecacia, documentata dai primi positivi risultati, essenzialmente per le risorse naturali. Non sempre questi risultati ci sono, perché l'area protetta è di troppo recente istituzione (come nel caso del Po, o della Bessa) o per difficoltà derivanti da precedenti gestioni (come nel caso dell'Alta Valsesia, prima gestita dalla Comunità Montana), o perché la delimitazione è stata troppo restrittiva (è ancora il caso della Valsesia, ma anche dei Laghi di Avigliana, dell'Alta Valle Pesio, della Collina di Torino e di altri), o per altre ragioni. Ma in generale la tutela conservativa incontra limiti assai severi, soprattutto per:
  • -la mancanza di finanziamenti adeguati, sia di fonte regionale che di altra fonte, soprattutto al fine di aggredire i processi di degrado (particolarmente per il patrimonio storico-culturale: gravissimi nel caso dei Sacri Monti- per quello di Crea anche a causa del dissesto idrogeologico-ma avvertiti anche negli altri, come documenta la dottoressa Rossi per l'Argentera);
  • -la mancanza, quasi generalizzata, di fasce sufficientemente protette di pre-parco, tali da assicurare più efficaci gestioni faunistiche e da consentire di drenare i flussi di visitatori (tale necessità è stata segnalata per la maggior parte dei parchi);
  • -la debolezza istituzionale degli Enti di gestione (che, a differenza di quanto avviene in altre Regioni, non hanno poteri autorizzativi) aggravata dalla cronica carenza di forme coordinate di governo del territorio;
  • -la indisponibilità di suoli, prevalentemente di proprietà privata o comunale (quest'ultima, talora ancor più difficile da trattare): problema, com'è noto, assai diffuso nei Paesi europei, che tuttavia assume specifica rilevanza in determinate aree, soprattutto se di piccola dimensione;
  • -la carenza di personale adatto per i compiti di sorveglianza, di manutenzione e di restauro (soprattutto, ma non soltanto, per i Sacri Monti), aggravata dai frequenti ritardi nella costituzione degli organici.
Queste difficoltà si fanno sentire soprattutto là dove la tutela richiede azioni non puramente difensive e vincolistiche, come ad esempio nel caso dei Laghi di Avigliana (dove l'Ente deve fronteggiare situazioni di pesante degrado pregresso, quali l'elevato inquinamento delle zone palustri) o della Mandria. Ma esse soprattutto, particolarmente la prima (aggravata dalla generale mancanza di piani economico-finanziari: questione tipicamente italiana, che la L. 394/1991 vorrebbe rimuovere), penalizzano radicalmente il perseguimento delle altre due finalità, a carattere più propriamente promozionale. Ciò non deve indurre a sottovalutare i buoni risultati ed il fervore di iniziative manifestato da non pochi Enti (come quelli dell'Argentera, delle Lame del Sesia, del Bosco del Vaj, di Rocchetta Tanaro ed altri) soprattutto nel campo della didattica e dell'informazione. Ma certo le difficoltà sopra richiamate impediscono quasi del tutto il perseguimento della terza finalità, della promozione dello sviluppo locale, ostacolando così la riduzione dei conflitti e delle ostilità nei confronti dei parchi e l'avvio di concrete iniziative di cooperazione.

b) Formazione egestione dei piani
Nonostante il precoce avvio negli anni Settanta, la pianificazione dei parchi accusa anche in Piemonte pesanti ritardi. Molti parchi sono tuttora sprovvisti di piani, soprattutto del piano d'area, da molti Enti visto come strumento di maggior efficacia, particolarmente a fronte di rilevanti pressioni urbanizzative o turistiche, rispetto agli altri tipi di piano. I ritardi e le carenze della pianificazione sono in generale considerate come un grave ostacolo per il perseguimento delle finalità istitutive, soprattutto per quel che concer-
ne la promozione ed il controllo della pubblica fruizione ed il concorso allo sviluppo locale. Un aspetto negativo non trascurabile (anche per le ripercussioni sui rapporti colle popolazioni locali) della mancanza dei piani, consiste nelle conseguenti lungaggini e difficoltà nell'istruttoria delle pratiche autorizzative, per la carenza di regole certe e di criteri univoci di gestione. Da questo punto di vista anche l'eccessiva lunghezza dell'iter di approvazione, peraltro tormentato spesso dalle operazioni locali), è oggetto di critiche molto forti, da tenere in considerazione anche nella prospettiva delle nuove procedure ora in vigore, che attribuiscono agli Enti di gestione la formazione dei piani, lasciandone l'approvazione alla Regione.
Critiche importanti investono anche la "frammentarietà" (Rossi, Parco dell'Argentera) del processo di pianificazione, che non assicura la necessaria integrazione dei diversi strumenti: piano d'area, piano naturalistico, piano d'assestamento forestale, piano di gestione faunistica, eccetera. Viene in questo senso proposta l'unificazione degli strumenti in unico piano del parco, in armonia con quanto previsto dalla legge quadro nazionale.
Non meno rilevante il problema, pressoché irrisolto, del coordinamento con i piani urbanistici e territoriali del contesto, almeno in alcune esperienze (ad esempio i Laghi di Avigliana).
Anche il contenuto dei piani si rivela spesso, nell'esperienza gestionale, meritevole di discussione, o perché troppo poco mirato sulle caratteristiche e le esigenze specifiche delle singole aree (è la critica mossa ai piani naturalistici e forestali per la RN di Palanfré, e per il SM di Orta), o perché comporta vincoli inutili o inapplicabili (è la critica mossa a talune norme dei piani per la Val Troncea-dove certe limitazioni allo sci fuori pista sembrano meglio realizzabili con opportune convenzioni con le scuole di sci-per la RN di Palanfré, per i Laghi di Avigliana). Da questo punto di vista sembra spesso imporsi una revisione organica anche dei piani già in vigore.

c) Rapporti tra parco e contesto
Su questo, che costituisce un problema centrale della gestione dei parchi in quasi tutta l'Europa, l'esperienza piemontese offre indicazioni piuttosto articolate. In generale sembra prevalere un atteggiamento di reciproca tolleranza, che riflette ovviamente il fallimento dei piani nel perseguire lo scopo di contribuire allo sviluppo locale, in particolare i troppo ridotti risultati ottenuti nella creazione di nuovi posti di lavoro e nella dinamizzazione delle attività turistiche, commerciali e ricettive. Sempre in generale, si può osservare che, a fronte di ostilità più o meno aspre e diffuse conseguenti ai vincoli imposti dalle esigenze di tutela, raramente gli Enti di gestione possono contare sull'appoggio di gruppi sociali "pro-parco" (con le eccezioni dovute ad associazioni locali a sfondo ambientalistico, come nel caso delle Riserve del Lago maggiore). Ed ancora, si può osservare che le maggiori ostilità nei confronti degli interessi generali espressi dai parchi sono di solito legate a forme più o meno dichiarate di campanilismo.
In non pochi casi, soprattutto per le aree protette più esposte alle pressioni urbane, l'ostilità o l'insoddisfazione delle popolazioni o di gruppi locali sono chiaramente strumentalizzate a fini di difesa di interessi individuali, talora scopertamente speculativi. Così, ad esempio, nel caso dei Laghi di Avigliana, ove l'Ente di gestione e l'istituzione stessa del parco sono stati messi sotto accusa da una recente "petizione" di un certo numero di cittadini che denunciano una serie di fatti negativi (come la proliferazione dei cinghiali o l'infestazione delle zanzare attorno alle aree paludose, o l'inquinamento lacustre) rispetto ai quali il parco non soltanto non riveste alcuna responsabilità, ma si è al contrario attivato con concrete iniziative, già parzialmente coronate da successo.
Tuttavia sembra di poter rilevare che sono abbastanza numerosi i casi in cui si è stabilito un buon rapporto con la popolazione locale, ed ancor più quelli in cui tale rapporto è in via di netto miglioramento. Ciò sembra da porre in relazione col crescente successo dei parchi in termini di pubblica fruizione. Paradossalmente, al miglioramento dei rapporti con le popolazioni locali- tanto più apprezzabile se si tien conto delle difficoltà e delle limitazioni che hanno finora impedito o frenato politiche attive di promozione da parte degli Enti di gestione-non corrisponde spesso un atteggiamento collaborativo da parte dei Comuni. Si tratta di una incongruenza che può e deve essere rimossa.
In ogni caso, la possibilità di migliorare i rapporti col contesto sociale sembra dipendere non soltanto dalle capacità di spesa ma anche dal grado di "apertura" manifestato dagli Enti di gestione. Sotto questo profilo non vanno certamente sottovalutate, anche per i loro effetti altamente sociali e culturali, le numerose iniziative assunte in campo didattico ed educativo, spesso in collaborazione con le autorità esterne.

d) Controllo della fruizione pubblica
In generale la possibilità di controllare efficacemente le forme ed i livelli della fruizione pubblica dei parchi è fortemente limitata dalle difficoltà già menzionate al punto a), prima fra tutte la mancanza di capacità di spesa. Questa costringe infatti ad affidare il controllo della fruizione essenzialmente a misure difensive, ostative o dissuasive. Non a caso le minori preoccupazioni si avvertono nei parchi che, per caratteristiche posizionali, altimetriche ed ambientali, si "auto-difendono" da eccessive affluenze, se non in brevi periodi dell'anno: è questo il caso dei maggiori parchi alpini, che tuttavia presentano circoscritte aree di grave sovraccarico (come attorno ad Alagna in Valsesia). Tali difficoltà sono spesso accentuate dalla delimitazione troppo restrittiva dei territori protetti, come tipicamente nel caso dell'Alta Valsesia.
I direttori dei parchi sono inoltre pressoché concordi nel segnalare l'assoluta necessità di istituire fasce di pre-parco, da gestire con criteri tali da ridurre le pressioni sull'area protetta, particolarmente per quanto concerne l'accessibilità motorizzata, che deve essere drenata sistematicamente con parcheggi ed aree attrezzate esterne (da realizzare in collaborazione coi Comuni). Problema tanto più acuto quanto più l'area protetta è prossima ai grandi centri urbani (La Mandria, laghi di Avigliana) o "assediata" dal turismo o meta di afflussi di massa (come i Sacri Monti).
Alle altre difficoltà già ricordate si aggiungono quelle relative alla proibizione o alla regolamentazione della circolazione a motore sulle strade interne, misura strategica per il controllo non soltanto dell'intensità ma anche delle modalità di fruizione. Tale misura è gravemente ostacolata dalla sovrapposizione di competenze, che dovrebbe finalmente trovare adeguata soluzione a livello legislativo. Problema analogo è stato parzialmente risolto per la navigazione a motore sui Laghi di Avigliana, ma si ripresenta in più tratti della fascia del Po.

e) Gestione faunistica
Le numerose difficoltà più volte menzionate hanno finora severamente penalizzato le possibilità di un'efficace gestione faunistica. Essa è risultata spesso confinata in misure di contenimento volte a fronteggiare gravi e pericolose espansioni di determinate popolazioni, ovvero in studi e ricerche preliminari, non seguite da appropriate politiche gestionali. Di particolare gravità, in generale, la mancanza di aree pre-parco su cui estendere con omogeneità di criteri le misure adottabili all'interno delle aree protette. Essa si fa sentire soprattutto per i parchi di minor dimensione, o più irrazionalmente delimitati, o coi confini più frastagliati (il caso estremo è rappresentato dalla fascia del Po, dove-in carenza di piano-le aree di divieto si alternano a quelle dove la caccia è permessa). Tale mancanza è aggravata dalle carenze e dalle incertezze ondivaghe delle politiche regionali, che non hanno finora consentito l'adozione di strategie organiche e lungimiranti.
Ciò nonostante, alcuni Enti di gestione sono riusciti a stabilire un buon rapporto anche con le associazioni venatorie. Tale rapporto potrebbe essere migliorato, ad avviso di alcuni direttori, con l'attuazione delle "zone contigue" aperte a forme controllate di caccia per i soli residenti, ai sensi deUa L. 394/1991. Ciò consentirebbe anche, presumibilmente, di ripensare i piani d'abbattimento selettivo, tenendo conto da un lato del loro indubbio e non marginale ritorno economico, dall'altro del rischio di ricadute negative ambientali e socio-culturali.

2) L'esperienza del Comitato tecnico-scientifico
Come già si è ricordato, le politiche delle aree protette sono in Piemonte-a differenza di quanto avviene in altre Regioni-supportate da un unico Comitato tecnico-scientifico (CTS) centrale. Ciò, se da un lato pone i problemi di raccordo con le attività degli Enti di gestione, cui si è già accennato, dall'altro consente e stimola il
confronto delle diverse situazioni ed esperienze presenti nel territorio regionale, che può offrire una visione sufficientemente ampia ed organica dei problemi da affrontare, e agevolare la definizione delle strategie e dei criteri d'intervento. Il CTS, in altri termini, si configura in Piemonte come un prezioso osservatorio delle aree protette e delle sperimentazioni che vi si conducono.
Ciò vale, naturalmente, nei limiti delle competenze assegnategli dalla LR 12/1990 (art. 21), secondo cui esso è chiamato, in particolare, ad esprimere pareri in merito:
a) al piano regionale delle aree protette; b) alle proposte di legge, ai disegni di legge ed ai provvedimenti amministrativi relativi all'istituzione di aree protette;
c) agli strumenti di pianificazione territoriale, naturalistica e forestale relativi alle aree protette;
d) alle proposte ed ai disegni di legge contenenti norme che siano riferite ad aree protette istituite o inserite nel piano regionale delle aree protette.
La sue sposta delimitazione legislativa delle competenze può apparire riduttiva, sia nel senso che attribuisce al CTS un ruolo meramente consultivo, che può essere, come spesso è avvenuto, disatteso; sia soprattutto nel senso che circoscrive le valutazioni ed i pareri del CTS alle sole aree protette, istituite od istituende, tacendo del contesto territoriale di cui esse fan parte. La riduttività implicita nelle norme citate è parzialmente temperata dalla norma secondo cui «la Giunta Regionale, il Consiglio Regionale e gli Enti di gestione si avvalgono» del CTS. Ed in effetti, buona parte del lavoro del CTS riguarda proposte e progetti di gestione che gli Enti gli sottopongono, nel corso della loro normale attività, indipendentemente dalle innovazioni legislative e dalle decisioni pianificatorie esplicitamente menzionate dalle norme citate. Ciò conferisce al CTS una notevole capacità d'ascolto e d'osservazione, che rende particolarmente interessante l'esperienza fin qui svolta.
In realtà, è proprio l'esperienza svolta a mettere in crisi quella limitazione del campo d'attenzione alle sole aree protette, che si è appena ricordata. Nonostante tale limitazione, il CTS riceve infatti spesso segnalazioni di risorse naturalistiche in gravi situazioni di rischio, all'esterno delle aree protette istituite ed istituende. E, ben più spesso, gli vengono sottoposti problemi gestionali interni ad esse, che hanno la loro origine o che possono trovare soluzione all'esterno delle aree stesse. Si tratta talora di fatti od interventi o progetti che cadono a ridosso dei parchi e delle riserve (come nel caso della Discarica di Valle Marina, contigua alla RN di Valleandona, o delle espansioni edilizie attorno ai Laghi di Avigliana, o della motonautica del Lago Maggiore attorno alla RNS dei Canneti di Dormelletto, o delle aree sciistiche di Sestrière contigue al PN della Val Troncea) o di esigenze di infrastrutture di sosta e di parcheggio, di "filtri all'accesso" o di attrezzature di servizio che possono essere realizzate solo ai bordi delle aree protette, all'esterno del loro perimetro; o, ancora, di necessità gestionali, in particolare faunistiche, che non possono essere ragionevolmente affrontate all'interno della aree protette (come tipicamente nel caso delle riserve della fascia del Po, inserite in mezzo ad altre aree non adeguatamente, almeno per ora, tutelate). Problemi di questo genere sono evidentemente tanto più frequenti e gravi quanto più le aree protette sono di piccola dimensione o delimitate in modo irrazionale o troppo riduttivo: in tali casi i rischi di isolamento, l'esposizione alle minacce esterne e la stessa dipendenza funzionale dalle aree esterne sono infatti più accentuate. Ma essi si pongono anche nelle aree di maggiori dimensioni: i mufloni del Parco del Mercantour sconfinano regolarmente nel Parco dell'Argentera, rendendo meno efficaci gli interventi di contenimento, in assenza di un indirizzo gestionale univoco. D'altronde i problemi dell'accessibilità ai parchi maggiori raramente possono essere risolti al loro interno.
Quando i problemi d'interazione con le aree esterne riguardano le immediate vicinanze, prescindendo dai problemi di ampliamento o revisione dei confini, cui si è già fatto cenno, si pone una duplice esigenza:
-la creazione di zone contigue o di pre-parco, sulle quali attuare politiche "complementari" a quelle da praticare all'interno delle aree protette, in termini di allargamento di certe forme di tutela o di predisposizione di servizi o infrastrutture;

  • - l'estensione degli indirizzi di pianfflcazione determinati dai piani delle aree protette, nelle
    fasce contermini (l'allargamento dell'area di efficacia dei piani, previsto in altre Regioni, non è contemplato nell'ordinamento regionale piemontese, con la parziale eccezione della fascia del Po, per la quale il progetto territoriale operativo, in corso di formazione, può dare indicazioni anche sulla "fascia di influenza" esterna).
    Ma è chiaro che tali problemi hanno carattere più generale e pervasivo, riguardando potenzialmente l'intero territorio regionale. Ciò per varie ragioni, frequentemente affacciatesi nell'esperienza del CTS, quali:
  • -il fatto che molte connessioni ecologiche di vitale importanza per la conservazione dei parchi si diramano ampiamente nel contesto territoriale (basterebbe pensare al sistema degli affluenti che converge sulla fascia fluviale del Po);
  • -il fatto che molti parchi o riserve sono interessati da opere od interventi "esogeni" (elettrodotti, grande viabilità, impianti petroliferi, discariche e impianti di depurazione, eccetera) che possono essere controllati solo a livello regionale;
  • -il fatto che l'istituzione dei parchi e delle riserve naturali è soltanto una delle politiche praticabili per la conservazione della natura e del paesaggio nella regione.
A quest'ultimo proposito, il CTS ha dovuto ripetutamente discutere proposte di istituzione di nuovi parchi o riserve che profilavano un uso chiaramente distorto di tale strumento istituzionale. Si trattava infatti di proposte motivate non già dall'esistenza di risorse naturalistiche, ambientali o paesistiche eccezionali o almeno significative per qualità e consistenza, e pertanto meritevoli di particolare tutela; ma, esclusivamente o prevalentemente, dall'opportunità di difendere determinati territori da particolari minacce di interventi rischiosi o devastanti (cave, infrastrutture, impianti ad alto impatto, eccetera). Su questa linea avrebbe potuto consolidarsi una «politica insana di moltiplicazione dei parchi» (Malaroda, 1992), destinata, al di là delle buone intenzioni dei proponenti, a svuotare le aree protette del loro significato simbolico e rappresentativo, con effetti profondamente diseducativi, ed a distrarre risorse preziose dalla già difficile gestione dei parchi esistenti. Il CTS ha più volte richiamato alle autorità regionali l'esigenza di concentrare gli sforzi istituzionali sulle aree e sulle risorse di alto valore didattico ed educativo, evitando l'istituzione di parchi o risene in aree prive di tale valore, o troppo riduttivamente delimitate: un esempio particolarmente negativo, vanamente contrastato, è il Parco della Collina di Torino, ridottosi, dopo anni di prestigiosi studi e proposte che avevano posto in luce l'unitarietà del vasto comprensorio snodato da Moncalieri a Casalborgone, ad un'esile striscia di vetta, dominata dalla strada panoramica col suo intenso traffico turistico.
Naturalmente, un uso corretto della protezione "speciale", istituzionalmente accordata ai parchi e alle riserve, comporta che le esigenze di tutela ambientale nel contesto territoriale trovino risposta in altri strumenti più appropriati, in primo luogo la pianificazione paesistica e territoriale, in piena coerenza con le finalità attribuitele dalla legge 431/1985; od anche, per altri aspetti di non minore importanza, con la pianificazione di bacino in base alla L. 183/ 1989. Ma ciò richiede che le singole proposte istitutive, e lo stesso piano regionale delle aree protette, vengano preliminarmente inserite in un quadro programmatico più ampio, che consenta di articolare le politiche di tutela e di gestione sull'intero territorio. E in questo quadro che può maturare l'individuazione e la protezione della "rete ecologica regionale", chiamata a far parte della più vasta Rete ecologica europea (EECONET) lanciata dal Consiglio d'Europa. Ed è in questo quadro che possono essere adeguatamente motivate le diverse iniziative di tutela, con particolare riferimento all'istituzione delle aree protette, specificamente riconosciute e valorizzate. Ciò anche in relazione all'esigenza, ripetutamente ribadita dal CTS, di una politica regionale unitaria, per la protezione della natura, tanto più importante quanto più il sistema delle aree protette si articola ai diversi livelli (regionale, provinciale, comunale) in base alla riforma della L. 142/1990.
Un più ampio ed organico quadro programmatico consentirebbe anche di diversificare l'immagine ed il ruolo delle singole aree protette, uscendo dal generico e stereotipato riferimento all"'ambiente naturale", che spesso non è neppure più rintracciabile in molti parchi regionali,
mentre sono ben riconoscibili altri valori, paesistici e storico-culturali. In generale è proprio la peculiare fusione di valori culturali e naturali a caratterizzare i parchi regionali piemontesi, come la maggior parte dei parchi europei. Il riconoscimento di tali valori e l'apprezzamento degli specifici "paesaggi" in cui essi hanno trovato espressione dovrebbero, d'altra parte, essere adeguatamente riscontrati negli stessi contenuti analitici e progettuali dei piani dei parchi, che invece, con alcune eccezioni (come nel caso della Val Troncea o della fascia del Po), hanno spesso lasciato nell'ombra le analisi e le valutazioni paesistiche, storiche e culturali dei territori protetti. Anche per quanto riguarda gli organi di gestione, l'orientamento maturato dal CTS dopo anni d'esperienza è decisamente contrario alla moltiplicazione degli Enti su base localistica e a favore invece di un certo accorpamento delle competenze.
Per quanto concerne la pianificazione, l'esperienza ha mostrato che la moltiplicazione dei tipi di piani (d'area, naturalistici, d'assestamento forestale, eccetera) è poco produttiva e rischia di creare confusione, anche perché spesso i vari piani sono elaborati in tempi diversi, ponendo quindi difficili problemi di coordinamento. L'orientamento maturato negli ultimi anni è a favore di una certa unificazione degli strumenti nel "piano del parco", come previsto dalla L. 394/ 1991, che tuttavia non esclude il ricorso a piani più "specializzati" in funzione di specifici caratteri e problemi delle singole aree protette. Il CTS ha però anche ripetutamente toccato con mano le difficoltà derivanti dal mancato coordinamento dei piani dei parchi coi piani urbanistici e territoriali del contesto. Problema la cui gravità va misurata anche tenendo conto di due aspetti importanti:
-il ruolo promozionale affidato ai parchi nella programmazione regionale, ruolo scarsamente svolto finora ma che sicuramente comporta una stretta interazione tra i piani dei parchi ed i piani del contesto;
-il ruolo essenzialmente programmatorio affidato agli Enti di gestione (con la LR 36/ 1992),i quali, a differenza di quanto avviene in altre Regioni, hanno invece scarsa incidenza nel regime autorizzativo.
Infine, indicazioni non trascurabili emergono dall'esperienza del CTS per quanto concerne la gestione faunistica. Come anche i direttori dei parchi hanno rilevato, questa si è spesso ridotta alle misure di controllo e di contenimento degli eccessi di popolazione di alcune specie (come i cinghiali, i cervi, le cornacchie, eccetera) particolarmente dannose per le attività agricole ed il patrimonio forestale, all'interno o all'esterno dei parchi e delle riserve. L'urgenza di politiche di contenimento è particolarmente avvertita nelle aree protette di minori dimensioni o più riduttivamente ed irrazionalmente delimitate, e perciò più esposte a squilibri ecologici: che tuttavia sono anche quelle nelle quali i piani di abbattimento e le altre misure limitative risultano spesso meno efficaci, se non estese ampiamente fuori delle aree stesse. Di qui l'esigenza del riconoscimento delle "zone contigue" anche per gli effetti previsti in proposito dalla L. 394/1991 e di politiche di gestione organicamente ed unitariamente estese sugli a reali interessati, indipendentemente dai confini delle aree protette.
Ma l'esperienza ha anche mostrato l'esistenza di una serie di equivoci, difficili da dissipare, quali quelli che si basano sull'equazione area protetta = area rifugio (che continuamente ricrea il problema del sovrapopolamento e quindi degli abbattimenti), o di incertezze, quali quelle che possono talora riguardare il concetto stesso di specie "autoctona" (come criterio dirimente ai fini dell'eradicazione o degli abbattimenti), o di sospetti come quelli che inquinano le valutazioni eticoculturali cui si espongono le misure di intervento nella vita animale. La drammatica vicenda del Parco della Mandria, in cui, a causa della pervicace opposizione di una minoranza "protezionista", soltanto negli ultimi anni è stato possibile attuare misure efficaci di contenimento della popolazione dei cervi, cresciuta oltre dieci volte le soglie di compatibilità, con gravissimi danni al patrimonio forestale, è sufficientemente esemplificativa.
 
3. Le indicazioni emergenti
Sebbene sia forse troppo presto per tentare bilanci definitivi, l'esperienza piemontese suggerisce alcune conclusioni, che possono essere utili per l'avanzamento del dibattito e delle speri-
mentazioni. Esse implicano un ripensamento del l'azione regionale per la conservazione della natura e la tutela ambientale, che può certamente comportare innovazioni legislative: in generale, nella direzione di un maggior allineamento con gli orientamenti emergenti a livello europeo.
Le principali indicazioni sembrano così riassumibili:
  • 1) è necessario inserire la politica dei parchi e della aree protette in un quadro programmatorio più ampio ed organico, che consideri unitariamente i problemi ambientali dell'intero territorio regionale nel contesto interregionale, collegandoli ai problemi dello sviluppo e del riordino territoriale. In tale quadro l'azione diffusa di tutela e riqualificazione ambientale può essere largamente basata sulla pianificazione paesi stico ambientale, coordinata con la pianificazione urbanistica, territoriale e per la difesa del suolo. Essa deve consentire:
    • -da un lato, di estendere le misure di protezione e gli interventi di riqualificazione all'intero territorio, ponendo in particolare le basi per la formazione della Rete ecologica regionale, quale parte integrante della Rete ecologica europea;
    • -dall'altro, di utilizzare in modo appropriato lo strumento istituzionale dei parchi e delle altre aree di speciale protezione, valorizzandone il ruolo didattico, educativo e culturale ed assicurandone una gestione più efficace.
      Anche l'attività del CTS e della rete degli Enti di gestione va proiettata in questo quadro più ampio.
  • 2) E necessario rivedere, d'intesa con gli Enti locali, i confini dei parchi e delle altre aree protette, correggendo le delimitazioni troppo restrittive ovunque diano luogo a difficoltà gestionali, ad effetti di eccessivo isolamento o a pressioni ambientali troppo rischiose. Attorno ad ogni area protetta dovrebbe al più presto essere istituita una fascia di pre-parco di adeguata dimensione, nella quale assicurare opportune forme di protezione e d'intervento, "complementari" a quelle previste all'interno della stessa area protetta, con particolare riguardo per:
    • -il controllo dell'accessibilità (viabilità, parcheggi e trasporti pubblici);
    • -la promozione della pubblica fruizione (aree attrezzate, musei e strutture informative e interpretative, eccetera);
    • -la tutela paesistica ed ambientale;
    • -la gestione faunistica (anche in relazione a quanto previsto dalla L.394/1991 per le zone "contigue").
  • 3) E necessario sviluppare i rapporti cooperativi tra gli Enti di gestione dei parchi ed il contesto sociale, in particolare nei confronti degli Enti locali, cui compete la gestione dei territori interessati, onde perseguire più efficacemente le finalità istituzionali di tutela, di pubblica fruizione e di sviluppo locale sostenibile. Ciò comporta da un lato una maggior apertura dell'attività degli Enti per la gestione e la pianfflcazione delle aree protette; dall'altro il rafforzamento della loro capacità d'interlocuzione nei processi di gestione e di pianfflcazione del contesto territoriale. A quest'ultimo proposito si impone un riordino delle competenze e dei regimi autorizzativi, con particolare riguardo per il controllo delle grandi infrastrutture e degli impianti che possono determinare gravi impatti ambientali nelle aree protette.
  • 4) E necessario accelerare la pianificazione delle aree protette, come base indispensabile per forme efficaci di gestione. Il ruolo ed i contenuti dei piani vanno ripensati soprattutto al fine di:
    • -coordinare od unificare i diversi strumenti di piano applicabili all'interno delle aree protette;
    • -estenderne l'efficacia sui territori contigui, sulla base di un opportuno coordinamento coi piani urbanistici, paesistici e territoriali del contesto;
    • -coordinare la pianfflcazione territoriale e le norme di gestione con la programmazione della spesa pubblica ed i piani di sviluppo economico e sociale.
  • 5) E necessario potenziare le capacità di spesa e d'intervento degli Enti di gestione ed assicurare adeguati canali di finanziamento (di fonte regionale, nazionale e comunitaria) per le politiche di tutela attiva e di promozione delle aree protette. A questo scopo particolare attenzione deve essere data alle misure di sostegno per le attività agricole e forestali previste dalle politiche comunitarie, nonché agli interventi per la difesa del suolo previsti dai piani di bacino. Non minore attenzione deve essere assicurata al reclutamento del personale per rafforzare gli organici degli Enti di gestione.

Regione Piemonte Comitato tecnico scientifico di supporto alla politica regionale delle aree protette (CTS)