Federparchi
Federazione Italiana Parchi e Riserve Naturali


PARCHI
Rivista del Coordinamento Nazionale dei Parchi e delle Riserve Naturali
NUMERO 12 - GIUGNO 1994


La reintroduzione del lupo rosso (Canis rufus) negli Stati Uniti sud-orientali
Alessandro Brugnoli

Spunti per il piano di recupero dell'orso bruno nel Parco Adamello-Brenta Alessandro Brugnoli *

Introduzione

Nel settembre 1992, al termine dello workshop sull'orso bruno del Trentino svoltosi presso il Centro di ecologia alpina delle Viote del Monte Bondone, è stato formulato un piano di intervento globale per la difesa della specie articolato per punti: il quinto di questi prevede che contemporaneamente alle attività di studio concernenti monitoraggio, genetica, ambiente e compatibilità sociale (punti 1-4) venga «elaborato un progetto esecutivo di pronto intervento per il rinsanguamento, che appare tecnicamente fattibile per la possibilità di disporre di soggetti provenienti da Slovenia e Croazia; in assenza di modificazioni dell'attuale trend negativo, tale rinsanguamento dovrà attuarsi entro il 1995...» (cfr. documento finale dello workshop sull'orso bruno del Trentino, in Parchi n. 7:72). Il piano di recupero dell'orso bruno elaborato da Wolfgang Schroder per il Parco naturale AdamelloBrenta (PNAB) prevede d'altra parte (Schroder in prep. 35) che l'aumento della popolazione relitta, al fine di migliorare la vitalità della popolazione complessiva, «deve avvenire il più velocemente possibile: 5 orsi nel 1993 e rispettivamente 2 orsi nei due anni successivi», utilizzando 3 soggetti «provenienti dall'area Sloveno-Croata in prossimità del confine...».
Per quanto riguarda in particolare le esperienze di ripopolamento/reintroduzione dell'orso bruno in ambito europeo, si ricorda che per la popolazione trentina sono già stati compiuti tre tentativi (nel 1959, 1969 e 1974, tutti coronati da scarso successo), utilizzando soggetti che avevano convissuto più o meno a lungo con l'uomo (Daldoss 1981). Uno dei due individui rilasciati nel 1974 sopravvisse comunque sicuramente fino al 1978, e non si può escludere che abbia lasciato i propri geni nella residua popolazione trentina, dal momento che nel 1976 fu accertata la sua presenza in compagnia di una femmina autoctona in periodo riproduttivo (Roth com. pers.). Inoltre, dal 1989 è in corso nella Niederosterreich un tentativo di ripopolamento, che ha visto finora il rilascio di due femmine in un'area dove nel 1972 era immigrato naturalmente, proveniente dalla Slovenia, un maschio. Sono state accertate fino ad oggi due riproduzioni (di tre piccoli ciascuna), a conferma del successo dell'operazione (Capt com. pers.; Stoffella com. pers.). Attualmente il progetto di reintroduzione dell'orso bruno nel Parco nazionale francese del Vercors fa segnare invece un momento di stasi, dopo che l'analisi di fattibilità è stata portata a termine.
E evidente che le difficoltà di un'operazione come quella prospettata sono notevoli, sia in considerazione della specie animale in esame, verosimilmente la più problematica in questo senso tra quelle appartenenti alla mammalofauna europea, sia in relazione alle caratteristiche ambientali (in senso lato) dell'area di futuro rilascio. Proprio per questi motivi è forse utile confrontarsi con una esperienza di reintroduzione di un grande predatore tra le più avanzate che hanno avuto luogo negli ultimi anni, ed analizzare quindi con qualche dettaglio il piano di recupero del lupo rosso (Canis rufus) negli Stati Uniti sudorientali, anche al fine di ricavarne alcuni suggerimenti per l'esecuzione del progettato intervento di ripopolamento nell'area del PNAB.

La reintroduzione del lupo rosso
Il lupo rosso fu descritto per la prima volta da Bartram nel 1791; intermedio per quanto ri-
guarda le dimensioni tra il lupo (Canis lupus), diffuso a nord e a ovest, ed il coyote (Canis latrans), allora presente solo negli Stati Uniti occidentali, era diffuso originariamente nell'area atlantica degli Stati Uniti sud-orientali, dal Texas centrale alla valle dell'Ohio a nord. La persecuzione umana diretta è stata la principale causa della sua progressiva sparizione, che assunse proporzioni tali che nei primi anni '70 la specie (o meglio, la sottospecie Canis rufus gregoryi, forma intermedia tra Canis rufus floridanus e Canis rufus rufus, forme oggi entrambe estinte) sopravviveva con pochi individui nella Louisiana sud-occidentale e nel Texas sudorientale. Il rischio della diluizione del pool genico della specie con quello del coyote era inoltre pressante, dal momento che l'isolamento riproduttivo delle due specie, presente da migliaia di anni e garante della separazione delle stesse, era venuto improvvisamente meno con la costrizione della residua popolazione di lupo rosso in questo ultimo lembo di area di prateria costiera. In effetti, gli ultimi individui di lupo rosso non riuscivano semplicemente a trovare un conspecifico nel periodo riproduttivo (Parker 1987), ed il numero degli incroci con il coyote aumentava continuamente. Il programma di allevamento in cattività fu iniziato, come parte del più generale Red Wolf Recovery Plan (piano di recupero del lupo rosso), nel novembre 1973, dopo che il lupo rosso era stato inserito nella lista delle specie in pericolo su scala federale l'11 marzo 1967. In seguito all'approvazione dell'Endangered Species Act nel 1973, il lupo rosso fu selezionato per priorità di trattamento, in considerazione della sua gravissima situazione. I primi lupi rossi arrivarono al Metropolitan Park Board di Tacoma, Washington, nel febbraio 1969: l'ultimo nel marzo del 1979, mentre nell'autunno del 1980 il lupo rosso fu considerato estinto allo stato selvatico (Parker 1987). Gli obiettivi del programma di allevamento in cattività, che tra l'altro è stato proposto più come ipotesi futuribile che altro, anche per l'orso bruno del Trentino (in effetti in questo caso non si tratta di salvare una specie dall'estinzione quanto una possibile sottospecie o comunque una popolazione con particolare valore sociale e di eventuale nucleo di espansione...), sono essenzialmente 3:

  • 1) verificare il grado di purezza genetica dei lupi catturati allo stato
    selvatico *;
  • 2) incrementare il numero di lupi rossi geneticamente puri allevati in cattività (si è accennato al pericolo di diluizione del patrimonio genetico del lupo rosso per gli incroci con il coyote...);
  • 3) mantenere un pool genico continuo di lupo rosso per la reintroduzione della specie allo stato selvatico e/o per la distribuzione ad altri giardini zoologici selezionati. Un modello sviluppato nel maggio 1988 (integrando il Red Wolf Recovery Plan dell'United States Fish and Wildlife Service, USFWS, in uno Species Survival Plan dell'Unione internazionale per la conservazione della natura), che include gli obiettivi gestionali sia per il segmento in cattività che per quello selvatico della popolazione di lupo rosso, indicava che il progetto di allevamento in cattività doveva essere portato a circa 220 animali (da una popolazione che allora assommava a 77 animali, tutti discendenti da 17 fondatori puri, ed al 31 dicembre 1992 è pari a 155), e una popolazione selvatica, derivata ovviamente da reintroduzioni, di circa 330 animali (da una popolazione allora di 8 ed oggi di 42-47 soggetti). Questa popolazione per così dire espansa e combinata avrebbe potuto prevenire i problemi associati alla deriva genetica (Foose 1986; cfr. anche Ciucci, Boitani 1991 per un'analisi dettagliata di questa problematica riferita alla popolazione di lupo appenninico). In questo contesto, i lupi rossi allevati in una trentina di zoo e parchi sono gestiti per mezzo di incroci controllati come una singola popolazione, piuttosto che come individui di molte piccole (ed a volte piccolissime) popolazioni.
    Si è fatto cenno alla necessità di procedere per l'esecuzione del piano di recupero ad operazioni di reintroduzione: in effetti, alle 9.30 del 14 settembre 1987 due lupi rossi adulti, nati e cresciuti in cattività, furono rilasciati nell'Alligator River
* Nel periodo 1973-1980 oltre 400 canidi selvatici furono catturati nell'area sopraindicata, e sottoposti a tutti gli accertamenti necessari ai fini dell'attribuzione corretta alla specie lupo rosso: solo 40 furono quindi ammessi come probabili lupi rossi al programma di riproduzione controllata in cattività.
National Wildlife Refuge (ARNWR) nella North Carolina nord-orientale, una vasta penisola isolata su tre lati dalle acque: si trattò della prima volta in cui questa specie, estinta allo stato selvatico con popolazioni naturali, ritornò in una porzione del suo areale originario. La seconda fase del piano di recupero prevede infatti il ristabilimento di alcune popolazioni (almeno tre) in libertà, a partire da soggetti allevati in cattività, ed è la fase più interessante per quanto riguarda i possibili spunti per l'esecuzione del piano di recupero dell'orso bruno nell'area del PNAB. Le aree prescelte fino ad oggi sono il già citato ARNWR, il Parco nazionale delle Great Smoky Mountains (GSMNP), ed alcune isole minori della costa atlantica statunitense, che hanno assunto significato nella fase iniziale del programma come aree pilota per l'addestramento alla vita selvatica di giovani lupi nati da soggetti allevati in cattività e rilasciati appunto sulle isole poco prima del parto.
L'esperimento di reintroduzione del lupo rosso nell'ARNWR si è concluso nel settembre 1992: in cinque anni sono stati rilasciati 42 lupi in 15 occasioni, ed inoltre almeno 23 sono nati allo stato selvatico durante questo periodo; al 31 gennaio 1993, la popolazione in libertà dell'ARNWR comprendeva dai 30 ai 35 soggetti. Sotto ogni rispetto l'esperimento è stato un successo, ed ha generato benefici che vanno al di là dell'immediata preservazione dei lupi rossi, per estendersi all'influenza sull'atteggiamento della pubblica opinione e delle comunità locali, alla creazione di sforzi di conservazione di più ampia portata, e all'impulso nei confronti di altre campagne di salvaguardia di specie in pericolo di estinzione. Quattro punti più significativi sono emersi nel corso di questi anni:
  • 1) dal momento che ogni problema gestionale che si è venuto a creare è stato risolto senza provocare agli animali danni a lungo termine e con pochi inconvenienti per i residenti nell'area di rilascio, si è potuto concludere che si può ristabilire una popolazione di lupi in maniera controllata;
  • 2) restrizioni significative nell'utilizzo del territorio si sono rivelate non necessarie per la sopravvivenza dei lupi rilasciati; al contrario, le regolamentazioni per la caccia e l'attività dei trappers nell'ARNWR sono rimaste immutate o addirittura sono state rese più permissive durante l'esperimento. Per inciso, nella situazione dell'orso bruno del PNAB sicuramente una delle prime condizioni da verificare sarà proprio questa, con le ovvie ricadute in termini di consenso sociale all'operazione di reintroduzione: sono considerazioni che verranno riprese in seguito;
  • 3) il budget annuale per il progetto è stato di circa 200.000 dollari (circa 340 milioni di lire). Assumendo un fattore moltiplicativo di 3,0 il progetto ha generato un "movimento di denaro" pari a circa 600.000 dollari (1.020 milioni di lire) annualmente: dal momento che la maggior parte di questo denaro proveniva dalla North Carolina orientale, l'operazione ha evidentemente stimolato in modo significativo l'economia locale;
  • 4) l'area di reintroduzione, che comprende circa 250.000 acri, probabilmente non può sostenere una trentina di lupi per un esteso periodo di tempo. In effetti, fenomeni di dispersione si sono verificati e continueranno a verificarsi dal momento che 17 lupi (il 60% della popolazione) sono più giovani di due anni. In aggiunta alla dispersione, il futuro della popolazione di lupo rosso è minacciato dalla sua stessa esiguità: molti eventi stocastici (epizoozie, eccetera) possono far sì che una simile popolazione si estingua.
Nel novembre 1991 inoltre, l'USFWS in cooperazione con il National Park Service ha sperimentalmente reintrodotto un singolo gruppo familiare di lupi rossi nell'area del Cades Cove nel GSMNP. Questa operazione era stata ideata per verificare la fattibilità di ristabilire una popolazione autosufficiente di lupo rosso nell'area del Parco nazionale e limitrofe proprietà del National Forest Service. Il periodo sperimentale si è concluso nel settembre 1992 con la cattura dei rimanenti tre membri del gruppo rilasciato. Il 9 ottobre 1992 un altro gruppo familiare di 6 lupi rossi (due adulti, quattro piccoli) è stato rilasciato a Cades Cove, ed il 9 dicembre un secondo gruppo familiare di sei lupi ha iniziato la vita in libertà in un'area più rappresentativa delle condizioni medie, in termini di offerta alimentare soprattutto, del GSMNP (Cades Cove è in effetti caratterizzata da condizioni ottimali sotto questo profilo, del tutto particolari rispetto al restante
territorio del Parco). Tutti i lupi rilasciati, che costituiscono il nucleo della seconda fase della reintroduzione nel GSMNP (dopo quella sperimentale iniziale), sono dotati di radiocollare e non ne è prevista la ricattura, eccezion fatta per le necessità di sostituire le batterie delle radiotrasmittenti dopo due o tre anni.
 
Spunti per l'esecuzione del piano di recupero dell'orso bruno nel Parco naturale AdamelloBrenta
Nel confronto con gli interventi sopra esposti, in riferimento al progettato ripopolamento di orso bruno nel PNAB, si consideri innanzitutto l'importanza della preparazione tecnica dell'operazione. In effetti è evidente che si deve essere preparati ad affrontare inconvenienti di doppia valenza, che cioè possono pregiudicare la vita o le condizioni di vita degli animali liberati o possono provocare danni, dai più lievi a quelli più gravi, alle popolazioni locali ed alle loro attività. Il team incaricato dell'operazione deve sostanzialmente essere in grado di tenere sotto controllo 24 ore su 24 gli animali rilasciati, ed eventualmente provvedere al loro recupero entro 24-48 ore (cfr. anche Osti 1992). Il contatto telemetrico deve quindi essere continuativo; dal momento che si progetta il rilascio di animali subadulti (per le maggiori possibilità di integrazione con la residua popolazione naturale, Schroder in prep. 35), si dovrà probabilmente ricatturare gli stessi per poter sostituire il collare adattandolo alle dimensioni del collo in accrescimento (sempreché si vogliano monitorare i soggetti rilasciati anche oltre il primo inverno, opzione che sembra comunque preferibile). Inoltre, dal momento che ci si muove in uno scenario che presumibilmente nella prima fase delle operazioni sarà opportuno considerare come sperimentale (se non formalmente, come nel GSMNP, perlomeno dal punto di vista dell'opportunità "sociale"...) ci si deve mettere nelle condizioni ad esempio di ricatturare gli animali che si allontanino eccessivamente, per qualsiasi motivo, dall'area sperimentale, che nel nostro caso deve essere definita accuratamente. Del resto, è verosimile che gli animali subadulti di cui si programma il trasferimento, come sopra ricordato, compiano tendenzialmente movimenti a largo raggio, sia esploratori che dispersivi. Nel GSMNP del gruppo di rilascio sperimentale facevano parte 4 animali: i movimenti esploratori hanno interessato aree distanti fino a 16 km dal sito di rilascio, pur in presenza nell'area di caratteristiche uniche all'interno del Parco, con la più grande diversità e ricchezza di specie preda (ovvero di disponibilità trofiche, anche questo aspetto da valutare con cura nel PNAB). Singoli soggetti si sono allontanati dal territorio di proprietà del Parco (fino ad una distanza di 3 km) quattro volte: due volte i "responsabili" sono stati ricatturati entro poche ore, e due volte sono ritornati di loro spontanea volontà entro 24 ore.
Appare chiaro in sintesi come l'esperienza operativa sia quindi essenziale per la gestione delle diverse fasi dell'operazione di reintroduzione, sia sperimentale che definitiva. Tra l'altro potrebbe risultare interessante l'utilizzo del collare di cattura Wildlink (Mech, Gese 1992), un collare telemetrico che include anche darts anestetici che possono essere attivati con controllo a distanza: già proposto per il programma di reintroduzione del lupo negli Stati Uniti, per ora è stato sperimentato con risultati promettenti su questa specie in Minnesota (86% su un totale di 43 tentativi di ricattura riusciti).
Da verificare è anche il comportamento dei soggetti rilasciati nei confronti dell'uomo: la provenienza selvatica degli stessi dovrebbe in un certo grado sollevare da possibili inconvenienti (Schroder in prep. 40), purché vengano adottati nella cattura metodi che non selezionino individui abituati all'uomo anche in relazione all'alimentazione, come raccomandato del resto dallo stesso gruppo di lavoro dello workshop. Trattandosi di un'area tutto sommato modesta ed intensamente abitata, è da prevedere comunque che gli incontri uomo-orso, voluti o no, si verificheranno. Se i soggetti rilasciati si dimostreranno eccessivamente tolleranti nei confronti dell'uomo, sembra necessario provvedere alla loro ricattura ed all'allontanamento dall'esperimento. In effetti, anche per chiarezza nelle relazioni con il pubblico, una condizione preliminare all'effettuazione dell'intervento è costituita dalla definizione di un protocollo di regolamentazione dell'operazione, da concordare con tutte le componenti interessate (attualmente o potenzialmente)
dal progetto: si dovrebbe pervenire così alla identificazione di un pacchetto di regole per l'esperimento che, si torna a ripetere, va definito prima. Queste regole possono ad esempio comprendere la prevenzione della riproduzione allo stato selvatico dei soggetti rilasciati, l'immediata cattura degli orsi che si allontanino dal Parco, la ricattura di tutti i soggetti introdotti al termine del periodo sperimentale, eccetera.
Le interazioni degli orsi rilasciati con le attività di allevamento di bestiame domestico (con particolare riferimento alle malghe) dovranno essere attentamente tenute sotto controllo: è fondamentale ancora una volta il contatto telemetrico costante, che può consentire la massima rapidità nella identificazione certa degli orsi predatori responsabili dei danni (od eventualmente della loro estraneità!). Nel caso vengano ritenuti fattibili, possono essere tentati interventi dissuasivi nei confronti dei soggetti responsabili: il tutto è ovviamente finalizzato alla determinante ricerca del consenso pubblico all'operazione, senza il quale sarà molto arduo avere successo...
Un aspetto ulteriore è costituito dalle interazioni con la popolazione di orso bruno residua: sembra utile, anche ai fini della valutazione del successo dell'intervento di ripopolamento, che queste interazioni vengano monitorate costantemente, forse (anche se qui entrano in gioco considerazioni di opportunità e "di immagine") prevedendo la cattura e dotazione di radiocollare anche dei soggetti residui. Evidentemente può essere assicurata in tal modo la possibilità di verificare ad esempio se vi siano accoppiamenti e riproduzioni "miste", o se al contrario possano aver luogo interazioni aggressive.
Infine, particolare rilievo andrà posto all'informazione relativa agli obiettivi, modalità e risultati del progetto: negli Stati Uniti in effetti l'accettazione dell'opinione pubblica nei riguardi degli obiettivi di un programma di reintroduzione è considerata presupposto essenziale per l'esecuzione stessa dell'operazione. In un primo tentativo sperimentale di rilascio (per il periodo di un anno) di lupi rossi nella Bulls Island del Cape Roman National Wildlife Refuge, fu dimostrato chiaramente che l'appoggio pubblico per quel progetto fu ottenuto dalla divulgazione piena dello scopo, procedure, vantaggi, svantaggi, punti di forza e progresso del progetto stesso.
Nell'esperienza della reintroduzione del lupo rosso è stato addirittura previsto uno specialista di informazione pubblica, responsabile del coordinamento dell'attività di informazione del progetto, mentre la Società zoologica di Tacoma pubblica a cadenza semestrale la Red Wolf Newsletter, il cui intento è proprio quello di fornire un quadro aggiornato della realizzazione del Red Wolf Recovery Plan! Per un esempio più vicino a noi, si pensi alla reintroduzione dello stambecco nelle Alpi Orobie, od a quella del gipeto sulle Alpi: fondamentale in ambedue i casi è risultata l'attività di incontri con il pubblico e di divulgazione complessiva, prima dell'inizio del programma e soprattutto durante lo svolgimento dello stesso.

Bibliografia

- Ciucci P., Boitani L., Viability assessment of the italian Wolf and guidelines for the management of the wild and a captive population, Ric. Biol. Selvaggina, 89:1-58, 1991.
- Daldoss G., Sulle orme dell'orso, Editrice Temi, Trento, 1981.
- Foose T. J., The relevance of captive populations to the conservation of biotic diversity. In: Genetics and Conservation. A reference for managing wild animals and plant populations (C. M. Schonewald-Cox, S. M. Chambers, B. MacBryde, L. Thomas, eds.), Benjamin/Cummings Publ. Co., Menlo Park, Calif: 374401, 1986.
- Mech L. D., Gese E. M., Field testing the Wildlink capture collar on wolves, Wildl. Soc. Bull. 20:221223, 1992.
- Osti F. (coord), Proposte di intervento e di ricerca per la sopravvivenza dell'orso bruno in Trentino elaborate dal Gruppo Operativo del Comitato Orso: 1-25, 1992.
Parker W. T., A plan for reestablishing the red wolf on Alligator River National Wildlife Refuge, North Carolina, Red Wolf Management Series Technical Report n. 1:1-21, 1987.
Red. Wolf Newsletter, Vol. 1-16, The Tacoma Zoological Society, 1988-1993.
Schroder W., Piano di recupero dell'orso bruno, Wildbiologische Gesellschaft Munchen e V., in preparazione.

*Ufficio caccia epesca,
Provincia autonoma di Trento