Federparchi
Federazione Italiana Parchi e Riserve Naturali


PARCHI
Rivista del Coordinamento Nazionale dei Parchi e delle Riserve Naturali
NUMERO 12 - GIUGNO 1994


Notes

Gestione faunistica e conservazione della biodiversità

La Convenzione di Rio de Janeiro del 5/6/92 sulla conservazione della diversità biologica, firmata da 83 Paesi e appena ratificata dal nostro Parlamento con legge 14/2/94 n. 124, tra le varie utilizzazioni delle risorse naturali prende in considerazione anche le attività di gestione faunistica. Inclusione quanto mai legittima ed opportuna, in quanto è accertato che ogni giorno che passa 137 specie scompaiono dalla faccia della Terra: vale a dire 50 mila specie l'anno.
La mancanza di una razionale gestione del patrimonio faunistico e dei suoi habitat o, peggio ancora, una sua conduzione errata sotto il profilo tecnico-scientifico alterano pesantemente la composizione in specie delle locali zoocenosi e la struttura genetica delle popolazioni compromettendo la conservazione degli ecosistemi di cui fanno parte. Infatti l'importanza della diversità biologica (cioè il capitale naturale rappresentato dall'aria, dalle acque, dalla terra e dalle specie animali e vegetali) è fondamentale per l'evoluzione e per la salvaguardia dei complessi meccanismi di mantenimento della vita sulla Terra, dove tutto è collegato a tutto.
La conservazione di questa biodiversità comporta quindi, per ogni Stato, un'assunzione di precise responsabilità circa l'utilizzo dell'ambiente naturale e delle sue risorse, sulle quali ha sì diritti "sovrani", ma sempre nel quadro di una cooperazione reciproca con gli altri Stati, secondo i dettami del diritto internazionale.
E innegabile che certe attività umane connesse agli attuali modelli di sviluppo stanno compromettendo la conservazione della diversità biologica. Ad esempio, l'adozione di mezzi chimici in agricoltura per aumentare la produttività dei terreni depaupera la variabilità delle specie animali e vegetali coinvolte e l'inquinamento genetico di certe specie selvatiche autoctone per errate immissioni di specie alloctone si è rivelato deleterio per tali specie.
Il principio fondamentale per conservare la diversità biologica delle specie animali e vegetali consiste nella salvaguardia dei locali ecosistemi e degli habitat naturali e nella ricostituzione delle specie compromesse o a rischio di estinzione. Per raggiungere tali obiettivi la prevenzione, come sempre, è meglio della cura: nel senso che sarebbe preferibile anticipare e colpire all'origine le cause che impoveriscono la diversità biologica, promuovendo innanzi tutto una maggiore informazione e conoscenza scientifica, invece cronicamente carente nel nostro Paese.
Le istituzioni, ma anche l'iniziativa privata, dovrebbero orientare il volano dei finanziamenti per il potenziamento della ricerca scientifica applicata e per ricercare scambi cooperativi sul piano internazionale, mettendo i Paesi in via di sviluppo in grado di accedere alle relative biotecnologie, perché la conservazione e l'utilizzo permanente della diversità biologica sono determinanti per fronteggiare i bisogni esistenziali del continuo incremento demografico mondiale. A proposito di biotecnologie, la convenzione di Rio prevede che la manipolazione a fini commerciali del patrimonio genetico delle specie animali non debba compromettere la conservazione della biodiversità e che anche i Paesi in via di sviluppo vengano messi in grado di accedere alle tecnologie dell'ingegneria genetica.
In questo quadro programmatico generale è chiaro che la conservazione e l'uso razionale degli elementi naturali che tutti insieme rappresentano la diversità biologica, nonché la ricostituzione di specie animali e vegetali in pericolo, si conseguirà mantenendo e gestendo razionalmente la variabilità di tutte le specie viventi allo stato naturale all'interno dei rispettivi habitat, terrestri ed acquatici.
Anche se ogni Stato ha il diritto di sfruttare le proprie risorse naturali in base ai suoi orientamenti politici ambientali, tuttavia (art. 3) «ha il dovere di fare in modo che le attività esercitate nell'ambito della sua giurisdizione o sotto il suo
controllo non causino danni all'ambiente naturale di altri Stati»: come, ad esempio, è accaduto per la contaminazione radioattiva di mezza Europa a seguito dell'incidente nucleare di Chernobyl.
Ecco perché quando parliamo di razionale gestione faunistica intendiamo tutta quella serie di attività, legittimate sotto il profilo tecnico scientifico, finalizzate alla conservazione delle specie esistenti ed all'uso corretto del nostro patrimonio faunistico.
E in questa ottica che in Italia occorre sviluppare strategie e programmi, adeguando in tal senso la normativa esistente, a cominciare dalle leggi sulla fauna, sulla caccia e sulle aree verdi.
La falsariga da seguire è quella dell'art. 8 della Convenzione di Rio che, tra l'altro, prevede l'istituzione, in ogni Stato firmatario, di un sistema di zone regolamentate in modo tale da garantire la conservazione della originaria diversità biologica, nonché l'uso razionale (socioeconomico, culturale, scientifico, ricreativo, eccetera) delle risorse naturali che concorrono a mantenere tale biodiversità. Perciò nella Convenzione si vieta esplicitamente l'importazione di specie esotiche, in quanto compromettono la stabilità delle specie autoctone e si auspica il raggiungimento di una compatibilità tra l'attuale utilizzo delle risorse naturali e la conservazione della loro diversità biologica. Occorre, insomma, fare un uso più sostenibile di tali risorse, fauna selvatica compresa. Ad esempio, la gestione delle risorse faunistiche dovrà essere finalizzata innanzitutto alla conservazione della loro biodiversità e secondariamente al loro uso, razionale e regolamentato da parte dell'uomo: dall'uomo agricoltore all'uomo cacciatore e all'uomo turista. (Franco Nobile, Comitato scientifico Legambiente)

Monte Avic: un piccolo parco in rapida crescita
Nel corso del 1992 l'Ente parco ha provveduto ad assumere sulla base degli esiti di un concorso pubblico i quattro guardiaparco previsti dalla legge regionale n. 31/1991. Detto personale, equiparato alle guardie del Corpo forestale valdostano, ha ottenuto la qualifica di agente di pubblica sicurezza ed opera seguendo le direttive di un apposito regolamento che ne precisa le funzioni; oltre a compiti legati alla sorveglianza,
ai guardiaparco sono affidate mansioni volte all'acquisizione di dati utili ai fini gestionali e ad agevolare una corretta fruizione dell'area protetta da parte dei visitatori.
L'Ente ha provveduto ad organizzare una serie di corsi di formazione per i guardiaparco riguardanti varie materie sia in campo naturalistico (geologia, botanica, zoologia), sia in campo giuridico-amministrativo.
Per ciò che concerne l'attività degli uffici, il parco ha avviato l'archiviazione su opportuni supporti informatici della ricca messe di dati ambientali disponibili; a tal proposito è stata prevista una collaborazione con vari enti interessati alla gestione del territorio al fine di individuare metodologie comuni (amministrazione regionale della Valle d"Aosta, Regione Piemonte, Parco nazionale del Gran Paradiso).
Il 1992 ha visto un importante incremento della fototeca dell'Ente, dotata di oltre 1500 immagini schedate su un archivio elettronico; per ciò che concerne la biblioteca, arricchita con numerosi volumi e pubblicazioni periodiche inerenti le aree protette, è ancora in corso di definizione un programma gestionale comune con il Museo regionale di scienze naturali di Saint-Pierre.
Dal punto di vista gestionale, il Parco ha fornito pareri su alcuni interventi previsti all'interno dell'area protetta; detti interventi riguardano la realizzazione di un rifugio e di alcune strutture funzionali alla monticazione del bestiame, nonché il potenziamento dell'acquedotto di Champdepraz. E stato inoltre stabilito un accordo con l'amministrazione comunale per ciò che concerne la gestione del patrimonio ittico del torrente Chalamy, sentito il Consorzio regionale pesca.
Gli interventi sul territorio promossi dal Parco sono stati molteplici. Grazie alla collaborazione della presidenza della Giunta e del Corpo forestale valdostano è stata migliorata l'efficienza del Bivacco del Lac Gelé, concesso in uso anche al personale del Parco; sono stati inoltre arredati due locali adibiti a ricovero-foresteria utilizzabili da parte dei guardiaparco o di personale che opera per conto dell'Ente. Una squadra di operai alle dirette dipendenze dell'Ente ha provveduto a ripristinare una serie di sentieri utilizzabili sia a scopo turistico, sia a fini agro-pastorali, fornendo in complesso oltre 1500 giornate lavorative; la rete sentieristica della Val Chalamy è at-
tualmente in gran parte agibile e ben segnalata: la segnaletica verticale predisposta dall'amministrazione regionale, è stata infatti collocata a cura del Parco su tutti i principali itinerari, affiancandosi alla numerazione orizzontale già realizzata nello scorso biennio.
Nel 1992 sono stati inoltre posizionati presso i principali accessi pedonali al Parco pannelli informatori recanti una carta topografica e le principali norme di comportamento da seguire all'interno dell'area protetta. Nell'immediato futuro, l'Ente ha previsto di realizzare una cartina panoramica a colori della Val Chalamy, tre sentieri guidati, nonché alcuni pannelli di lettura del paesaggio da collocare in corrispondenza di punti panoramici lungo gli itinerari più frequentati.
Per ciò che concerne le attività volte a migliorare la fruizione dell'area protetta da parte del pubblico, occorre inoltre menzionare la realizzazione di un centro visitatori a Chevrère e la gestione del Museo del capoluogo, affidata al Parco dal Comune di Champdepraz. L'apertura delle due strutture è stata affidata ad una cooperativa locale, alla quale l'Ente ha anche commissionato, in corrispondenza delle giornate di maggiore afflusso turistico, un servizio di informazione lungo i principali sentieri, con realizzazione di interviste e compilazione di questionari. L'afflusso di visitatori, pur limitato dalle difficoltà di accesso, è sicuramente aumentato rispetto al recente passato; conforta comunque rilevare che sulla base delle risposte al predetto questionario buona parte dei visitatori risulta essere attirata proprio dalla presenza del Parco per averne letto le caratteristiche su articoli comparsi su riviste naturalistiche: tale presupposto è sicuramente positivo e va incoraggiato con opportune iniziative di educazione ambientale.
Per ciò che concerne i rapporti con le scuole, la direzione del Parco ha stabilito proficui contatti con classi materne, elementari e medie; in particolare, la scuola elementare di Saint-Pierre ha prodotto nel 1992 in collaborazione col Parco nazionale del Gran Paradiso e col Parco del Mont Avic una pregevole pubblicazione illustrata basata sulle esperienze maturate nel corso di visite di istruzione. Un organico piano di utilizzazione dell'area protetta potrà comunque essere avviato solo una
volta superate le difficoltà di accesso alla località Chevrère.
Tra le iniziative volte a promuovere l'immagine del Parco del Mont Avic occorre menzionare le proiezioni commentate di diapositive organizzate dal Consenatoire de botanique di Ginevra (D. Aeschimann, 7 maggio) e dalla direzione del Parco con la collaborazione della cooperativa "la Brenva" (salone parrocchiale di Champdepraz, 13 agosto). Sono inoltre apparsi articoli dedicati al Parco sul quotidiano La Stampa e sui periodici Oasis e Parchi, nonché un breve filmato nell'ambito di una serie di trasmissioni televisive sulla Valle d"Aosta ("Campo base, Tele+2").
Nel corso del 1992 sono state ultimate alcune delle ricerche scientifiche avviate nello scorso biennio: "Indagine preliminare sul patrimonio forestale del Parco naturale del Mont Avic" del dott. E. Pasquettaz, "Studio sul patrimonio agro-pastorale nel Parco naturale del Mont Avic e dintorni" del dottor A. Bersi, "Contributo alla conoscenza della flora vascolare della Val Chalamy e del Parco naturale del Mont Avic" del dottore M. Bovio, dati sugli uccelli svernanti nelle pinete nell'ambito di uno studio effettuato dal direttore in collaborazione col dottore G. Boano; sono state inoltre avviate ricerche riguardanti le entomocenosi a coprofagi e a necrofagi dei pascoli, l'alimentazione della Nocciolaia e le popolazioni di ungulati presenti in Val Chalamy. Sarà infine concluso a breve termine lo studio sui macrolepidotteri del Parco e dei suoi dintorni già citato nel precedente resoconto, nell'ambito del quale è stata possibile la collocazione di strumenti forniti dall'Institut agricole di Aosta.
Il personale del Parco ha provveduto a raccogliere una notevole mole di informazioni in campo naturalistico, realizzando in particolare operazioni di conteggio delle popolazioni di galliformi e di ungulati; per ciò che concerne il camoscio è stato effettuato il primo censimento estensivo invernale della specie nell'ambito dell'area protetta. La schedatura tecnica dei manufatti presenti nel parco è stata ultimata; nel corso del 1993, su invito della direzione, i competenti servizi regionali avvieranno le operazioni di censimento del patrimonio storico di architettura minore previste dalla legge regionale n. 21/1991. (Pietro Passerin d 'Entrèves, Direttore del Parco e Massimo Bocca, Presidente del Parco)

Il Parco regionale delle Serre
Nell'elenco ufficiale delle aree protette approvato il 21 dicembre 1993 dal Comitato per le aree protette, nel quale risultano inclusi 447 tra parchi nazionali, interregionali e regionali e riserve statali e regionali, la Calabria è presente soltanto con i parchi nazionali recentemente istituiti, due riserve regionali e nessun parco regionale.
Anche per questo pubblichiamo volentieri questo articolo, che parla di un parco regionale istituito con legge del maggio 1990, ma che non ha ancora quei requisiti minimi necessari per poter essere incluso nell'elenco ufficiale delle aree protette, che, peraltro, dà titolo per partecipare alla ripartizione delle risorse previste dalla legge 394.
Il Parco regionale delle Serre è stato istituito dalla Regione Calabria con la legge n. 48 del 5 maggio 1990. Ad oggi il parco non è ancora decollato, pur essendoci tutte le premesse che ciò avvenga, e sotto l'aspetto della tutela dell'ambiente, e nell'esaltazione dei valori naturalistici e culturali, e per la possibile collegata elevazione delle condizioni di vita delle comunità locali, cercando di conciliare le esigenze di tutela con quelle di sviluppo socio-economico del territorio.
Da una mia interpretazione, il parco dovrebbe essere delimitato entro una superficie di circa 130.000 ettari, costituendo un complesso molto articolato comprendente le Provincie di Catanzaro, Vibo Valentia, Reggio Calabria, i cui confini geografici andrebbero dall'altipiano della Sila a nord, continuando fino al passo della Limena a sud, dove si collegherebbero con il massiccio dell'Aspromonte, mentre a est scenderebbero verso la costa jonica, e ad ovest scivolerebbe con frequenti terrazzate verso il lago Angitola (zona umida di interesse internazionale ai sensi della convenzione di Ramsar) e la valle del Mesima. Data la vastità del comprensorio, mi limiterò a tracciare alcuni degli aspetti naturalistici del territorio di Serra San Bruno, fulcro principale del futuro parco e che meglio conosco in quanto è qui che svolgo la mia professione.

Clima
Per quanto riguarda il clima, ed in particolare il regime pluviometrico, a Serra San Bruno piovo-
no complessivamente in un anno circa 1800 mm di acqua; si hanno piogge abbondanti in inverno, autunno e poca piovosità in primavera ed estate. La temperatura media annua varia da 11°-8°C alle quote più elevate, mentre temperature inferiori allo zero si hanno in gennaio, febbraio, marzo. E da rilevare una elevata umidità atmosferica idonea ad ospitare molto bene il cingolo fagus-abies. Secondo la classificazione fitoclimatica di Pavari, i boschi di Serra San Bruno vegetano nella fascia di transizione fra la zona del Castanetum e quella del Fagetum e del Fagetum caldo. Dal punto di vista altimetrico la quota più alta arriva a 1412m slm al trigonometrico di "Petra di lu caricaturi", mentre le quote più basse oscillano tra gli 800 e i 900 m slm; la superficie complessiva del territorio, secondo il rapporto annuale sull'economia calabrese 1991, è di circa 3958 ettari. La matrice geologica ha una composizione variabile tra le rocce quarzo-monzonite ed il granito. La roccia presenta un'elevata resistenza all'erosione, ma può essere facilmente alterata o degradata con la formazione del caratteristico "sabbione" su cui l'abete bianco, più che il faggio, si dissemina facilmente. Il terreno presenta una reazione acida: i valori di pH variano da un minimo di 5,3 a un massimo di 6,1 ed è ottimo per la coltura forestale soprattutto della fustaia mista di abete bianco con latifoglie.

L'aspetto vegetazionale
Le colture più rappresentative dei boschi di Serra San Bruno sono l'abete bianco, il faggio, il castagno e l'ontano, il carpino nero, il pioppo nero: le prime due specie endemiche hanno notorietà e valore a livello internazionale. L'abete bianco tende a prevalere nei soprassuoli alle quote inferiori, mentre il faggio domina nei crinali e lungo le valli. Anche se, sporadicamente, piante di castagno si incontrano sui 1000-1300m slm trovando come fattore favorevole il terreno. In vicinanza dei corsi d'acqua, ma ad una quota non superiore ai 1000m slm, si trovano il nocciolo, il pioppo tremulo, il platano, il tasso, il leccio, sebbene questa ultima pianta sia infiltrata. Possiamo dire che la vegetazione tipica dell'Europa centrale può essere pensata nel territorio di Serra San Bruno dalle quote più alte a quelle più basse.
Secondo il piano di assestamento forestale, re-
datto per il territorio di Serra San Bruno dal dottor Principe, sono state riscontrate presenze interessanti di Pirola negunda, specie erbacea tipica del sottobosco della pecceta sub-alpina. Secondo Principe, per ragioni antropiche più che climatiche, è scomparsa la specie principale abete rosso. Le specie erbacee e arbustive sono quelle tipiche che si trovano nei boschi di abete-faggio-castagno. Infine l'habitat di Serra San Bruno ospita pregiatissime specie fungine, primo fra tutti il porcino, che andrebbe valorizzato e commercializzato con un marchio di qualità secondo i nuovi dettami della Cee.

Aspetti faunistici
Tra gli ungulati troviamo il cinghiale, che occupa vaste aree del territorio. Dei mustelidi abbiamo la donnola, la faina, la puzzola e la martora. La volpe è presente ovunque, mentre il tasso e il gatto selvatico sono una rarità. Nell'avifauna vi è l'astone, lo sparviere, il gufo reale, l'allocco e il falco pellegrino nelle zone rocciose. In molti Comuni sono i picchi rosso, verde e nero. Tra i rettili la vipera comune e il cervone; lungo i corsi d'acqua dei fiumi è ben rappresentata la trota fario.

Conclusioni
Il Parco regionale delle Serre deve al più presto decollare nel pieno rispetto della legge regionale che lo ha istituito. Se ciò non dovesse rendersi possibile, è opportuno che la Regione Calabria approvi al più presto la legge regionale di recepimento della l. n° 394/91, ispirandosi a nuovi modelli che vedono l'uomo come soggetto attivo per la tutela dei valori e non come passivo spettatore. Sono quindi necessari validi strumenti di monitoraggio e di informazione con delle idonee chiavi di lettura del territorio, scongiurando che la disciplina vincolistica del parco costituisca l'unica idoneità ad arrestare il degrado del territorio. Dunque non solo intransigente protezionismo, ma anche incentivazione di attività occupazionali e produttive compatibili con l'ambiente. (Maurizio Angotti, dottore forestale)

Il progetto "biotopi: occasioni per educare"
"Biotopi: occasioni per educare" è il nome dell'iniziativa attivata dal Servizio parchi e foreste
demaniali della Provincia autonoma di Trento attraverso la commissione scientifica per il ripristino e la valorizzazione dei biotopi protetti, iniziativa rivolta alla scuola trentina, in particolare alla scuola media inferiore.
Tale iniziativa è solo una parte di un più ampio piano di valorizzazione delle molte "piccole aree" che sono state poste sotto vincolo di tutela in applicazione della L.P. 23/6/1986 n. 14, ma, poiché interessa e coinvolge il mondo della scuola con tutti i suoi delicati e particolarissimi problemi ed aspetti, deve essere vista e sviluppata con criteri, modalità ed attenzioni adeguati. Per questo, all'interno del piano generale, occupa uno spazio autonomo e molto importante.
"Biotopi: occasioni per educare" è in realtà un vero progetto: nasce infatti dal lavoro della sopracitata commissione scientifica, la quale, in un primo momento, ha considerato come prioritarie le esigenze di conservazione e di eventuale ripristino naturalistico dei biotopi, che sono porzioni tra le più preziose in termini ambientali del territorio trentino.
Fatte salve tali esigenze, sono state individuate aree e modalità d'accesso ai biotopi che consentissero la fruizione culturale degli stessi, provocando i minori disturbi possibili. Ovviamente, ciò è valido in generale e non solo per la frequentazione scolastica.
Parallelamente sono stati elaborati programmi e materiali da offrire alla scuola quali supporti didattici ed educativi per cogliere quelle "occasioni per educare" che i biotopi sanno offrire. Si tratta di materiali e programmi originali, anche se adottano, quale strumento didattico-educativo, il metodo della ricerca d'ambiente così come sviluppato da progetto velaverde in più di dieci anni di attività. (D'ora in poi scriveremo "Ricerca d'Ambiente" con iniziali maiuscole per intendere lo strumento didattico-educativo, e con iniziali minuscole per intendere genericamente quel complesso di concetti più o meno intuitivi che questa espressione comunemente evoca).
Non è la sede questa per entrare nel merito delle caratteristiche metodologiche ed epistemologiche della Ricerca d'Ambiente in generale e della sua applicazione nel caso dei biotopi protetti. Vale però la pena di evidenziarne alcuni aspetti, primo fra tutti quello che ha reso necessaria la formulazione di programmi nuovi e originali rispetto, per esempio, a quelli di progetto velaverde
Come il nome stesso permette facilmente di intuire, la ricerca d'ambiente richiede come minimo di essere svolta "in ambiente" o, per dirla in altro modo, "sul campo". Per questo e per il fatto che la ricerca d'ambiente è considerata uno strumento di lavoro eccezionale in attività finalizzate all'educazione ambientale, c'è il rischio di banalizzarla fino a semplice studio delle componenti naturali di ampi territori più o meno indefiniti nei loro limiti topografici. In questa ipotesi il territorio considerato è un "oggetto" di studio. In realtà la Ricerca d'Ambiente è qualcosa di ben più complesso, in cui il "Luogo di Studio" è una ben precisa porzione di territorio con il quale è necessario entrare in colloquio attivo e attento. E soprattutto è necessario capire che il luogo di studio non è un "oggetto" ma un autentico "soggetto attivo" nel processo educativo, e perciò bisogna porsi nei suoi confronti in una posizione di ascolto di ricerca-questo sì!-, ma prima di tutto per coglierne i sottili messaggi. Per questo ogni luogo di studio entra attivamente nel processo educativo e di apprendimento, apportandovi gli elementi, le caratteristiche ed i valori che gli sono propri e talvolta esclusivi. E per questo ogni singola esecuzione di una Ricerca d'Ambiente è unica ed irripetibile!
Anche i programmi costruiti su questo strumento di lavoro devono tener conto di quanto qui sopra detto: nel nostro caso fu necessario elaborare programmi nuovi ed originali, pur conservando l'impostazione e la filosofia di progetto velaverde, perché quest'ultimo è pensato ed elaborato per luoghi "qualsiasi" o meglio per "biotopi marginali", di cui un'area incolta alla periferia della grande città, un giardino pubblico, un viottolo di campagna, un canale, una cava abbandonata, un orticello, un muretto a secco sono ottimi esempi.
Si trattava invece di rivolgersi a luoghi "diametralmente opposti", perché le aree naturali protette, per definizione e per legge, hanno elevatissimi e quasi esclusivi pregi naturalistici ed ambientali.
Tra l'altro, e come evidenziato anche in un seminario del C.N.E.A. (Consiglio nazionale per l'educazione ambientale) tenutosi proprio in occasione della conclusione del primo anno di attua-
zione del progetto "Biotopi: occasioni per educare", le aree naturali protette non hanno in realtà quella grandissima valenza educativa all'ambiente che comunemente si attribuisce loro, e comunque presentano grosse difficoltà quando le si affronta in ambito scolastico.
Quello terminato nel giugno del 1992 è stato il primo anno scolastico di attuazione di "Biotopi: occasioni per educare"; durante tutto il suo corso, 50 insegnanti di 35 classi diverse hanno richiesto l'incontro preparatorio. In seguito, 20 classi dislocate più o meno su tutto il territorio provinciale si sono iscritte al progetto e tutti i ragazzi hanno ricevuto una copia personale del quaderno relativo al programma scelto.
E opportuno interpretare correttamente queste cifre: i programmi proposti sono autentiche attività curricolari, pedagogicamente ben inseribili nella programmazione scolastica dei docenti. Il che significa che sono tutt'altro che semplici o poco impegnativi: non sono cioè attività sporadiche e puntiformi quali ad esempio le episodiche "visite guidate" o "giornate ecologiche" in cui un "esperto" si sostituisce all'insegnante per spiegare tutto ciò che si vede. Al contrario, richiedono atteggiamenti attivi e propositivi sia da parte dei docenti che a parte degli studenti, ed inoltre l'impegno ad eseguire più di una escursione di ricerca sul biotopo scelto.
Tutte le classi iscritte hanno svolto regolarmente il loro lavoro e sono giunte all'elaborazione di interessantissimi "prodotti finali", anche in vista della pubblicazione da parte del Servizio parchi e foreste demaniali della Provincia Autonoma di Trento, di un annuario che raccoglierà cronache e risultati del primo anno di attuazione di questa iniziativa. A tale annuario si fa rimando per un ulteriore dettagliato "rapporto" su questa iniziativa. Sarà infatti inviato o comunque messo a disposizione di tutti coloro che, a vario titolo, sono interessati all'educazione ambientale in genere ed alla gestione, valorizzazione e fruizione educativa delle aree protette: ciò affinché quest'esperienza possa confrontarsi utilmente e dialetticamente con le altre ed apportare il proprio contributo al miglioramento delle attività di educazione ambientale e conseguentemente della qualità della vita. (Stefano Cavagna, Naturalista Collaboratore ufficio biotopi - Servizio parchi e foreste demaniali, Provincia di Trento)
Designata nel Lazio la 4a "Area Wilderness" italiana
L'Associazione italiana per la Wilderness è lieta di annunciare che il C.O.R.E.C.O. della Provincia di Frosinone ha recentemente reso esecutiva la deliberazione n. 1 del 31 gennaio scorso mediante la quale il comune di Vallerotonda ha designato l"'Area Wilderness gola del fiume Rapido" la quarta in Italia e la prima nel Lazio.
Nel nostro Paese esistono difatti già altre tre "Aree Wilderness", in Romagna (fosso del capanno), Campania (Monte Cesima) e Liguria (Bric Zionia o Monte Camulera), per la designazione delle quali una mozione di lode è stata approvata dal 5° "Congresso mondiale sulla Wilderness" tenutosi in Norvegia nello scorso autunno. Esse sono costituite da territori prevalentemente privi di strade e di moderne costruzioni, e la motivazione principale per la loro designazione è il mantenimento di questo loro stato paesaggistico-ambientale attraverso un formale impegno in tal senso espresso da parte degli enti-pubblici interessati (Comuni ed aziende forestali).
L"'area Wilderness gola del fiume Rapido", che si estende su circa 640 ettari, dei quali una gran parte demaniali e particolarmente protetti (vi sono proibiti anche i tagli boschivi), nasce proprio su una formale presa d'atto del Comune di Vallerotonda sull'importanza di tutelare le ultime aree selvagge del pianeta lanciato dai "Congressi mondiali sulla Wilderness". Una decisione coraggiosa, saggia e lungimirante che onora questo modesto Comune montano dei circondari di Cassino, nel Lazio meridionale.
Il fiume Rapido, uno dei maggiori affluenti del Liri-Garigliano, ha origini proprio in questo Comune posto subito a sud del Parco nazionale d'Abruzzo. La gola del Rapido è una delle poche aree selvagge rimaste nell'Appennino laziale-molisano; di una bellezza incontaminata, quasi emblematica del significato italiano dato al termine "Wilderness".
Nel suo complesso questa gola, nella quale scaturiscono proprio le sorgenti del fiume Rapido, si allunga per oltre cinque chilometri. Difficilmente percorribile fuori dalle linee dei sentieri, essa è scavata in una specie di altopiano alle pendici dei monti delle Mainarde, per sbucare con un brusco dislivello sull'ampia piana di Cassino.
L'aspro aspetto della gola è accentuato dalla fitta ricopertura boschiva delle sue pendici, la quale aiuta a creare una barriera ed un filtro verso l'esterno. Il bosco è formato da una mistura di essenze con alta densità di carpino nero, roverella e faggio, con qualche angolo di macchia mediterranea. Interessante è anche la vegetazione ripariale lungo il torrente: in effetti, forse l'aspetto naturalistico di maggior pregio, oltre alla presenza di alcune specie della fauna appenninica quali il capriolo, il lupo e forse anche l'orso bruno, provenienti dal vicino parco nazionale, è dato proprio dal corso d'acqua, un elemento non certo comune in centro Italia, al quale sono legate diverse interessanti specie di flora e di fauna. Non per nulla il torrente è già ben noto per le sue trote, che proprio nella gola salgono a riprodursi in abbondanza.
La nuova "area Wilderness", che è inserita in una azienda faunistica venatoria gestita direttamente dal Comune di Vallerotonda, verrà mantenuta e fatta conoscere secondo programmi che verranno definiti in futuro attraverso una stretta collaborazione tra il Comune, i cacciatori e l'associazione italiana per la Wilderness. Essa potrà divenire un esempio di una sana autonoma tutela e gestione del territorio a livello di enti locali.

Altroturismo
E' una rivista trimestrale che, come lascia intendere il titolo, è dedicata a quella forma di turismo naturalistico non ancora considerato pari per importanza a quello "d'arte" o "stagionale". Questo numero, coerente con le premesse, offre una serie di servizi dedicati ad aree del nostro e di altri Paesi dove si può praticare «questo nuovo modo di fare turismo, che sfugge le concentrazioni e gli affollamenti».
L'editoriale non si limita però ad auspicare una maggiore attenzione sia ai mezzi di informazione che ai pubblici poteri per questo turismo più rispettoso verso l'ambiente e meno "stressante".
In particolare la redazione di Altroturismo sottolinea l'urgenza di un nuovo modo di intervenire della "mano" pubblica osservando che in «questi ultimi anni le aree protette sono raddoppiate e con esse, il più delle volte, anche i proble-
mi, specie per le popolazioni residenti, mentre ben pochi di quelli già annosi sono stati risolti». Quasi tutti i parchi sono di "carta"... «cioè non funzionano, perché si sono aggiunti burocraticamente ad altri enti territoriali», tanto che, si aggiunge, verrebbe da dire: «Basta, non fatene più!, perché se entro breve non funzioneranno, le popolazioni locali si ribelleranno e giustamente». A fronte di questa situazione a parere della redazione di Altroturismo occorre riconsiderare ruolo e funzioni delle aree protette, delegando agli enti di gestione competenze esclusive per cui essi dovrebbero essere eletti direttamente dai cittadini.
Come si vede, in poche affermazioni si mischiano (e confondono) aspetti e problemi diversi che forse meritavano di essere affrontati con maggiore prudenza.
Tutti i parchi sono di carta, è infatti un'affermazione tutt'altro che nuova ma che proprio per questo oggi meno di ieri aiuta a capire quali sono i problemi effettivi di un sistema di parchi, che solo per pigrizia mentale si può continuare a considerare in blocco affetti da inguaribile paralisi. D'altronde la stessa rivista dedica due servizi al parco dell'Argentera e a quello delle Prealpi Carniche che, come il lettore può vedere, non sono delle "anime morte".
Insomma, piuttosto che fare di ogni erba un fascio, esercizio che non richiede peraltro nessuno sforzo di conoscenza e di analisi critica, sarebbe meglio approfondire più concretamente lo stato reale delle varie e differenziatissime situazioni.
Poco convincente e piuttosto confusa è anche l'ipotesi di eleggere direttamente gli enti parco.
Intanto perché la legge 394 ha già "delegato" agli enti di gestione delle aree protette competenze esclusive, riservando ai parchi anche risorse sicuramente ancora insufficienti, ma per la prima volta mirate e non dipendenti da concessioni di favore. Quanto alla proposta di elezione, diretta essa è assolutamente da respingere perché accrediterebbe l'idea, oggi temuta ma infondata, che gli enti parco sono organi destinati a penalizzare le assemblee elettive locali.
Se gli enti di gestione dovessero essere eletti con lo stesso meccanismo delle elezioni comunali è chiaro che essi si configurerebbero a tutti gli effetti come un altro ente locale: un altro ente al quale assegnare compiti che, lo si voglia o no,
dovrebbero essere "sottratti" agli altri che in base alla legge 142 sono titolari del complesso delle funzioni appunto locali, a dimensione comunale e sovracomunale.
Ciò comporterebbe fatalmente un'ulteriore ripartizione di funzioni tra enti tutti legittimati alla stessa stregua.
Comuni e Province avrebbero pertanto fondati e validi motivi per ritenersi "ridimensionati" in una competenza delicatissima quale è quella del governo del territorio.
Invece, in base alla legge 394, gli enti parco sono sì dotati di funzioni "autonome", ma in quanto strumenti specializzati al "servizio" e non in concorrenza con gli enti locali, la Regione e lo Stato. Un organo specializzato, dotato di competenze tecnico-scientifiche che proprio per questo non sono affidate ad una "selezione" tipicamente politica quale è quella del meccanismo della elezione diretta.
Al controllo politico, diciamo così, provvede infatti, in base alla legge 394, la comunità del parco.
Che comunque di questi problemi si discuta senza peli sulla lingua è utile, perciò abbiamo volentieri raccolto la "provocazione". (R. M.)

Un decreto con sorpresa
Il decreto è quello del presidente del Consiglio con il quale si adegua la disciplina dell'ente del Parco nazionale d'Abruzzo ai principi della legge quadro, pubblicato in G.U. il 12/2/94.
La sorpresa si trova all'art. 1, comma 2, dove è detto che «la sede di Roma può essere utilizzata, in attuazione di apposite convenzioni, dagli altri enti parco, con priorità per quelli il cui territorio ricade nella regione Abruzzo, quale sede di rappresentanza».
Poiché sempre all'art. 1, primo comma, è detto che il parco d'Abruzzo «ha la sede in Roma e un ufficio operativo centrale in Pescasseroli (L'Aquila), viene da chiedersi, innanzitutto, visto che a Roma possono trovare ospitalità i parchi abruzzesi che hanno la rappresentanza nella loro Regione, se il Parco d'Abruzzo ha titolo come gli altri, dal momento che in Abruzzo ha solo un ufficio operativo.
Ma la sorpresa non sta tanto qui, bensì nel fatto
che in un decreto di adeguamento alla 394 riguardante uno dei 5 parchi nazionali storici, sia assegnata alla sede dell'ente una funzione nazionale con particolare e inusitato privilegio regionale, che non è stato né previsto né ipotizzato per nessun altro parco in Italia.
Perché non si è previsto, ad esempio, che la sede di Torino del Parco del Gran Paradiso potesse "ospitare", sulla base di apposite convenzioni, i parchi (numerosissimi) del Piemonte?
E visto che da tempo esiste un Coordinamento nazionale dei parchi, che, a differenza di quello ospitato a Roma presso il Parco d'Abruzzo, associa una sessantina di parchi e riserve regionali e nazionali e regola la sua vita interna sulla base di norme e criteri trasparenti, regolarmente discussi e approvati dai soci, perché il Ministero dell'Ambiente non ha provveduto e non provvede lui a fornire direttamente a tutti i parchi una sede di rappresentanza a Roma? Insomma perché nella fattoria dei parchi deve essercene uno più "uguale" degli altri?
La legge quadro ha il merito di avere finalmente avviato anche nel nostro Paese la costruzione di un sistema nazionale di aree protette, cui sempre più dovrà corrispondere anche una rappresentanza associativa nazionale. Che tutto ciò possa passare in maniera privilegiata per i sentieri d'Abruzzo è un'ipotesi sicuramente ardita. E pur vero che per fare l'Italia si ricorse ai Savoia. Ma oggi vivaddio c'è la Repubblica, o no?

La sera intorno al fuoco: sette giorni di civiltà alpina
Dal 21 al 28 di luglio, il Centro di ecologia alpina e il Comune di Garniga ospiteranno una manifestazione multimediale sulla civiltà alpina. Tradizioni, cultura, magia, lavoro, ecologia, storia, animali, libri alpinismo, architettura: ogni cosa verrà messa in discussione in modo informale e familiare, attorno a un fuoco immaginario che vuole avvicinare la gente che viene da tutte le comunità dell'intero arco alpino. Scopo: la formazione di una rete di comunicazione e di aiuto reciproco che consente di continuare a vivere in montagna. Nel migliore dei modi
Fino a non molto tempo fa, nei paesi e nei casolari sparsi per tutto l'arco alpino, si usava riunirsi
la sera per lavorare, chiacchierare, discutere, mangiare e bere assieme. Nelle stalle o attorno al fuoco d'inverno, per risparmiare legna e luce; nei prati degli alpeggi d'estate. Nessuno lavorava da solo: a turno, ci si spostava a casa ora dell'uno ora dell'altro, e, che ci fosse da sgranare il granoturno, tagliare la legna o mettere a posto il fieno, si sfruttava l'occasione per incontrarsi e stare insieme.
I giovani lavoravano e, nello stesso tempo, socializzavano, facevano conoscenza e avviavano i primi approcci per cercarsi un marito, o una moglie, sotto l'occhio vigile dei parenti più anziani. Gli adulti discutevano di quello che bisognava fare nel prossimo futuro. Chi sapeva suonare veniva esentato da compiti faticosi, per ravvivare l'atmosfera e tirar su il morale agli altri. Molte donne sferruzzavano. C'era chi lavorava il legno. I bambini giocavano. E chi sapeva, raccontava: si andava dai pettegolezzi di "chi era andato a letto con chi" ad una vera e propria trasmissione orale della conoscenza e delle informazioni utili alla sopravvivenza. E a rendere più piacevole la vita.
In questo modo, si coniugavano molte cose: faccende solitamente spiacevoli venivano sbrigate quasi senza accorgersi della fatica, perché si era tutti in compagnia. Un grande senso di solidarietà tratteneva i membri "deboli" all'interno del gruppo, senza escludere nessuno, anzi sfruttando le (diverse e diversificate) capacità di ogni membro della comunità. Nel miglior modo possibile.
E proprio questa tradizione dell'incontro, della socialità informale, dell'ospitalità "attorno al fuoco", del piacere di stare insieme che noi vogliamo recuperare in questa settimana. Contro i tentativi di emarginazione della cultura metropolitana, che ha ridotto la civiltà alpina al rango di folklore. Quando va bene. Contro un consumismo sociale che prima ha distrutto la famiglia estesa e i clan e adesso sta facendo del suo meglio per imporre l'autosuffficienza", ovvero l'isolamento come modello esistenziale. Contro l'imposizione di ruoli fissi, che inscatolano gli esseri umani e gli fanno perdere la speranza di poter conquistare qualcosa di meglio. Contro un sistema di valori che non include la poesia.

I luoghi
Non stiamo cercando di organizzare un convegno: sarebbe troppo comodo. Non siamo alla ri-
cerca di confronti accademici fra specialisti: sarebbe la solita solfa. Vogliamo coinvolgere la gente e i luoghi della montagna, per far nascere dialogo, discussione e dibattito là dove il riserbo caratteriale (e una millenaria svalorizzazione) ha sempre impedito all'alpino di esprimere se stesso e i propri bisogni di fronte ad altri.
Per questo motivo abbiamo deciso di coinvolgere in prima persona le famiglie, i gruppi parentali, le microassociazioni di vicinato. Molti dei dibattiti, degli spettacoli e delle manifestazioni si terranno nei cortili, sotto i portici, seduti sulle scale, nelle cantine, nelle piazze, nelle osterie, e, perché no?, anche nelle malghe o direttamente sui pascoli in fiore.
Naturalmente, anche il Centro di ecologia alpina e le strutture del Comune e delle terme di Garniga verranno coinvolte, a seconda dei temi trattati: ma sempre con modalità "familiari". Non bisogna mai scordarsi l'obiettivo: far uscire, finalmente, l'urlo di pietra", la voce e i bisogni di chi è stato trattato per secoli come un animale, è stato derubato della propria cultura e adesso non sa più bene come esprimersi.

Le modalità
Antiche tradizioni associate alle alte tecnologie, all'enogastronomia, ai sistemi di comunicazione più moderni, alle dimostrazioni scientifiche sul campo: questa la sintesi di una proposta che vuole essere multimediale.
Assieme al relatore d'eccezione che trascinerà nel dibattito i presenti, mentre si beve un buon bicchiere di vino e si mangia dell'ottimo formaggio nostrano col pane fresco, all'ombra di un portico, ci saranno le discussioni degli operatori sociali di base, che racconteranno l'esperienza che hanno fatto e stimoleranno gli altri a confrontarsi sulla propria vita.
Albergatori e ristoratori saranno coinvolti perché in quei giorni offrano menù tipici e ospitino all'interno dei propri locali quegli interventi che li riguardano da vicino.
Il Centro di ecologia alpina e le terme di Garniga possono essere utilizzati per quanto riguarda i temi che rivestono un interesse più scientifico, o per quelle manifestazioni che coinvolgono un pubblico più vasto.
La malgá Albi e i pascoli stessi possono essere utilizzati come sede ed occasione di escursioni
guidate, prima sperimentazione di itinerari naturalistici e di contatti ravvicinati con un altro elemento fondamentale dell'esistenza alpina: gli animali.
Per quanto riguarda gli orari, abbiamo pensato di non iniziare le nostre giornate prima delle 17.30, per poter permettere anche a chi va a lavorare di poter seguire le relazioni. Poi, si va avanti non-stop fino a notte fonda. Verso le 21.30 cominceranno gli spettacoli e le iniziative più "rilassate" (ma non per questo meno qualificanti).
In programma Giovedì 21, al pomeriggio, si inaugureranno tre mostre: "Genti dei nostri posti", "Spiriti vegetali" e "Libri delle Alpi". La sera, concerto (bandistico) di apertura della manifestazione.

Venerdì 22, si inaugureranno due mostre: "Ecosatira" e "La ribellione del Tirolo", oltre a tre esposizioni: "Attrezzi agricoli della nostra montagna", "La vinificazione" e "Prodotti delle Alpi". Nelle relazioni si parlerà di tradizioni, economia, alta tecnologia, musica, Workshop e etnobotanica sugli orti. La sera cabaret.

Sabato 23, si fanno i salami in piazza: è il giorno della luganiga. Si parlerà di animali, di storia, di un nuovo tipo di museo, di modi diversi di vivere le Alpi.

Domenica 24, la si passa in malga; è il giorno del formaggio. Si parlerà di agricoltura, di ecologia e di montagne come rifugio. La sera, workshop sui suoni delle Alpi, concerto di musica da tronco ed esibizione di Schuplattern.

Lunedì 25, si parlerà di guerre, di storia, di cibo e di botanica. La sera, canti di guerra.

Martedì 26, tavola rotonda sui libri delle Alpi. Si parlerà di salute e di foreste: ci sarà una dimostrazione sulle antiche tecniche di trasporto della legna. E la giornata del bosco, da passare in segheria. La sera, poesia dialettale.

Mercoledì 27, si parlerà di turismo e poi inizierà la lunga notte della magia (con tanto di idromele e musica per riscaldarsi).

Giovedì 28 è la volta di famiglia e sessualità difficile, toponomastica, alpinismo, architettura alpina. La sera, gran finale con 30 fisarmoniche.

(Michela Zucca, Collaboratrice Centro di ecologia alpina del Bondone)
E "La dernière saison" del regista francese Pierre Beccu il gran premio "Città di Trento" del 42° film festival internazionale montagna esplorazione avventura

Il film "La dernière saison" ("L'ultima stagione") del regista francese Pierre Beccu ha vinto la "Genziana d'Oro" del 42° Filmfestival internazionale montagna esplorazione avventura "Città di Trento". Questo il verdetto della Giuria internazionale composta dal francese Henri Agresti, dal tedesco Otto Guggenbichler, da Piero Pruzzo, dal polacco Ryszard Warecki e dallo statunitense Ken Wilson.
«L'opera di Beccu-si legge nella motivazione della Giuria - presenta con sobrietà, molta umanità, umorismo e tocco poetico il conflitto dovuto al cambio delle generazioni in una regione di montagna che potrebbe trovarsi ovunque. Un mondo ultramillenario che sembra essere destinato a scomparire di fronte ai cambiamenti provocati dalla vita moderna. Tuttavia, l'abbandono non è ineluttabile... Un messaggio di speranza».
"La dernière saison" narra la storia di due generazioni di montanari che si affrontano dovendo convivere nella realtà quotidiana dei contadini di Savoia, in Francia. Jean, un anziano pastore attaccato alle tradizioni, è costretto a lavorare per un'ultima stagione con Laurent, un giovane pastore che viceversa alle tradizioni si ribella. Tutto sembra metterli uno contro l'altro: il loro modo di lavorare, di vivere, di sognare. Durante tutta la stagione, il contrasto sembra acuirsi sino a raggiungere il suo apice con l'arrivo di Sophie, la giovane fidanzata di Laurent. Ma col passare dei giorni, Sophie sa farsi adottare al punto che Jean rivede in lei una giovane donna del suo passato, Suzanne, che sua madre Marta gli ha fatto sacrificare alla montagna e alle tradizioni.
Il regista Pierre Beccu è nato trentun'anni fa a Chambery, in Francia, nella regione di Savoia. E stato allievo del regista italiano Ermanno Olmi ed ha studiato alla Scuola del documentario. Ha iniziato la sua attività cinematografica con alcuni reportages culturali per poi specializzarsi nel campo del documentario etnografico. Nel 1985 realizza "Le nageur du Gange". "La dernière saison " è il suo primo lungometraggio a soggetto.
Tra le 85 opere in concorso provenienti da 17
nazioni, la Giuria internazionale del 42° filmfestival "Città di Trento" ha inoltre assegnato cinque "Genziane d'Argento":
-la "Genziana d'Argento" per la miglior opera d'awentura e sport è stata assegnata a "Baseclimb" (Australia) di Glenn Singleman;
-la "Genziana d'Argento" per la miglior opera di esplorazione e/o di tutela dell'ambiente ha premiato "Life in The Big Freezer - The Big Freeze" (Gran Bretagna) di Alastair Fothergill;
-la "Genziana d'Argento" per la migliore opera di montagna è andata a "Shaolin, la Montagne des Moines-Soldat" (Francia) di Jerome Equer;
-la "Genziana d'Argento" per la miglior opera di alpinismo è stata assegnata a "Surviving Denali" (Stati Uniti) di John Wilcox;
-la "Genziana d'Argento" per il miglior documentario è andata a "Die Macht der Bilder: Leni Riefenstahl " (Germania) di Ray Muller.

Il "Premio speciale per la miglior fotografia" è stato assegnato a "Samsar Ein Tibetanisches Erbe" (Svizzera) di Norman Dyrenfurth, «per l'eccezionale qualità della fotografia nella ripresa dei principali monasteri della regione dell'Everest».
Infine il "Premio speciale della Giuria alla migliore opera d'autore italiano" è stato assegnato a "Lassù dove vivono gli ultimi Incas" di Mario Zanot «per lo scrupolo e il vigore di una testimonianza che si awicina con partecipe comprensione a una lontanissima comunità costretta a vivere di fatiche ma capace di un profondo equilibrio spirituale».

Pronto l'elenco degli idonei per l'esercizio dell'attività di direttore
La legge 394/91, con l'art. 9 comma 11, prevedeva le modalità di "reclutamento" dei direttori di parco attraverso tre diverse ipotesi.
La prima comporta l'assunzione tramite pubblico concorso di dirigente superiore del ruolo speciale di "Direttore di parco" istituito presso il Ministero dell'ambiente.
La seconda riguarda la assunzione con contratto di diritto privato per la durata di non più di cin-
que anni con soggetti iscritti in un apposito elenco di idonei all'esercizio di Direttore di parco da istituirsi da parte del Ministero.
Infine una terza possibilità è data dall'assunzione temporanea, per periodi non superiori a due anni, con soggetti particolarmente esperti in campo delle discipline ambientali.
Con il Decreto del 28 giugno 1993, il Ministero dell'ambiente istituiva l'elenco degli idonei all'esercizio dell'attività di direttore presso il Servizio Conservazione Natura, dando le necessarie disposizioni per l'invio delle domande e relativa certificazione.
In data 6 agosto 1993 un Decreto del Presidente del Consiglio istituiva il ruolo speciale dei Direttori di parco.
Con questi due atti venivano così soddisfatte le disposizioni del comma 11 dell'articolo 9 della legge quadro sulle aree protette.
Riguardo all'elenco degli idonei, ovvero la seconda delle vie previste dalla legge per divenire direttore di parco, le domande pervenute al Servizio Conservazione natura secondo le disposi-
zioni del D.M. del 28 giugno 1993 sono state circa 1200; una apposita commissione ha esaminato le singole richieste selezionandone 118. Il completamento dei lavori della commissione, di cui peraltro ignoriamo i criteri seguiti, è avvenuto poche settimane or sono e durante il mese di maggio u.s. sono state inviate le comunicazioni ufficiali di inserimento nell'elenco agli idonei.
L'elenco dovrebbe risultare uno strumento particolarmente utile non solo per le assunzioni dei direttori nei parchi nazionali vecchi e nuovi, ma costituisce un primo riferimento importante nel settore della consenazione in quanto consente di avere un inquadramento, anche se non definitivo, delle figure professionali legate alla gestione delle aree protette; un riferimento non limitato alla nomina dei direttori di parco nazionali, ma anche per altri settori di lavoro nel campo delle aree protette, quali la formazione professionale, la consulenza, e non ultimo la selezione per i responsabili della gestione nelle aree protette regionali e provinciali. (S. C.)