Federparchi
Federazione Italiana Parchi e Riserve Naturali


PARCHI
Rivista del Coordinamento Nazionale dei Parchi e delle Riserve Naturali
NUMERO 13 - OTTOBRE 1994


La legislazione regionale dopo la 394
Renzo Moschini

La legge 394 all'art. 28 stabilisce che le Regioni entro 12 mesi avrebbero dovuto adeguare "la loro legislazione alle disposizioni contenute" nel titolo III "Aree naturali protette regionali".
Le Regioni che fino a questo momento hanno legiferato sono le seguenti: Piemonte, Emilia Romagna, Campania e Marche.
Basilicata, Liguria, Toscana, Umbria, Lazio, Lombardia, Valle d'Aosta ne stanno discutendo sulla base di disegni di legge delle rispettive giunte, attualmente all'esame delle commissioni consiliari competenti.
Sull'iter di queste leggi è ovviamente impossibile fare previsioni sia per quanto riguarda i tempi (alcune però sembrano prossime a tagliare il traguardo), sia per quanto concerne i contenuti.
Sul cammino delle leggi gravano infatti, in più di un caso, le incognite della instabilità politica delle amministrazioni, mentre sui contenuti il dibattito avviato registra fin dalle prime battute posizioni che fanno presagire modifiche non marginali alle proposte originarie.
Ciò d'altronde è abbastanza naturale se si considera che i disegni di legge delle Giunte, a differenza del lavoro delle commissioni consiliari, generalmente non sono il frutto di un confronto approfondito tra le forze politiche e tra queste e le istituzioni e l'associazionismo.
Avremmo potuto naturalmente circoscrivere questo primo esame alle sole leggi approvate, stando così sul sicuro; ma trattandosi di un numero assai limitato ciò non ci avrebbe consentito di cogliere appunto quelle tendenze più di fondo e generali che invece emergono da un esame allargato alle proposte attualmente in discussione, le quali rappresentano pur sempre un significativo e interessante spaccato delle posizioni che al momento connotano il dibattito politico e istituzionale sulle aree protette a livello regionale.

La classificazione delle aree protette
Le leggi regionali dovrebbero innanzitutto concorrere e contribuire sulla base delle nuove norme quadro a definire una classificazione più precisa e articolata delle aree protette attraverso una puntuale ricognizione regionale che consenta di individuare Regione per Regione, insieme a ciò che è affine, anche le differenze e le specificità per collocarle in un disegno regionale capace di collegarsi con un sistema nazionale di aree protette.
Non a caso il comma 8 dell'art. 2 della 394 stabilisce che "la classificazione e l'istituzione dei parchi e delle riserve naturali di interesse generale e locale sono effettuate dalle Regioni".
Ora questa classificazione, se generalmente risulta assai precisa per quanto riguarda i parchi e le riserve a carattere regionale, non altrettanto però può dirsi per gli altri tipi di aree protette, ossia quelle di interesse provinciale e locale.
Le Regioni che in passato a tale classificazione regionale avevano già provveduto con proprie leggi, si sono limitate a confermare ora quelle normative (Piemonte) affiancando però alle aree protette regionali quelle di interesse provinciale, metropolitano o locale.
La legge emiliana rispetto alla sua precedente legge specifica il carattere delle riserve naturali di rilevanza regionale ma non prevede e neppure menziona, ad esempio, i parchi di interesse provinciale.
La legge marchigiana definisce il carattere delle aree naturali protette di interesse regionale, distinte in parchi naturali e riserve naturali senza ulteriori specificazioni.
Analoga distinzione tra parchi e riserve è stabilita dalla legge della Campania, la quale richiama anche specificamente le aree marine.
In entrambi i casi la dimensione provinciale e locale è praticamente ignorata.
Passando alle proposte di legge all'esame delle commissioni regionali si registrano anche qui sensibili differenze.
Il testo unificato del Lazio, ad esempio, prevede una classificazione piuttosto articolata; parchi
naturali, parchi urbani, parchi suburbani, riserve naturali, monumenti naturali.
Al comitato tecnico consultivo inoltre è demandato il compito di stabilire in quali aree sia opportuno istituire parchi o riserve naturali di interesse regionale o provinciale, alla cui istituzione si provvederà con legge o con decreto del presidente della giunta regionale nel caso dei monumenti naturali.
Il testo elaborato dalla commissione consiliare della Liguria prevede 3 tipi di aree protette regionali: il parco naturale, la riserva naturale integrale parziale o orientata, il monumento naturale e le aree protette provinciali che saranno istituite dalle Province e classificate come parco provinciale o parco metropolitano.
In Lombardia sono previste "aree di rilevanza ambientale di proposta per l'istituzione di nuove aree protette regionali o provinciali, nonché dei monumenti naturali, degli habitat e delle aree di rilevanza ambientale.
In Umbria il piano regionale indica i territori dove realizzare i parchi naturali di interesse regionale. Esso indica altresì le aree naturali di interesse subregionale nelle quali le amministrazioni provinciali, sentiti i Comuni e le Comunità montane, hanno deliberato di istituire aree protette di interesse locale, con richiesta di inserimento nel piano regionale.
In Toscana la legge stabilisce che i parchi "sono di norma di competenza delle Province" e che possono essere individuati come di competenza della Regione dal programma triennale regionale per le aree protette di cui debbono essere garantiti e riconosciuti interessi di carattere unitario.
Sono inoltre previste le riserve naturali e le aree protette di interesse locale.
Anche da un esame così sommario è facile riscontrare significative differenze tra le varie leggi su un punto estremamente importante come è quello della classificazione tipologica delle aree protette.
Infatti, mentre alcune Regioni hanno ritenuto opportuno sia pure con formulazioni e soluzioni organizzative, di cui parleremo più avanti, non identiche a classificare anche le aree protette non regionali, altre hanno omesso questo capitolo.
La nuova legislazione regionale vigente o che presto dovrebbe esserlo perciò non risulterà in molti casi idonea ad attivare il principio fissato dall'art. 3 della 142 il quale assegna alle Regioni il compito di rimodellare le funzioni delle Province e dei Comuni in molti settori incluso quello delle aree protette.
In concreto ove le leggi regionali non abbiano espressamente previsto 1 'istituzione anche di parchi provinciali o locali gli Enti locali e specialmente le Province si troveranno ad operare senza chiari e sicuri punti di riferimento regionali non solo per gli aspetti relativi alle deleghe ma anche alle proprie specifiche competenze.

Gli enti di gestione
L'art. 23 della 394 stabilisce che la legge regionale istitutiva del parco regionale individua, fra l'altro, il soggetto per la gestione del parco scegliendo tra appositi enti di diritto pubblico o consorzi obbligatori tra enti locali ed organismi associativi ai sensi della legge 142.
Le leggi regionali prese qui in esame hanno a larga maggioranza, in taluni casi confermando scelte precedentemente compiute, optato per l'ente di diritto pubblico anche se variamente denominato.
Il Piemonte parla ad esempio di "ente strumentale di diritto pubblico", la Campania di "ente parco con personalità giuridica di diritto pubblico" (istituito con decreto del presidente della Giunta regionale) . La Liguria ha cancellato il termine "strumentale" che aveva suscitato molte diffidenze tra gli enti locali, sostituendolo con "enti dotati di autonomia amministrativa e di personalità giuridica di diritto pubblico".
La Toscana ha anticipato la sua scelta con la legge che sopprime i consorzi di gestione dei parchi regionali della Maremma e di S. Rossore Migliarino sostituendoli con l'ente parco sul modello di quello previsto per i parchi nazionali.
Più articolata la soluzione dalla regione Lazio, la quale stabilisce che per lo più la gestione delle aree protette di interesse regionale è affidata ad uno o più enti strumentali regionali.
La Lombardia nell'individuare l'ente di gestione dei parchi regionali fa riferimento al suo statuto definendolo "ente parco con personalità di diritto pubblico".
Salomonica la regione Marche che, dopo aver ricordato quali sono le possibilità offerte dalla legge 394, rimanda qualsiasi scelta alle leggi istitutive dei parchi.
Diversa la scelta compiuta dalla regione Emilia, che anche la regione Umbria si accinge a ricalcare.
In queste due Regioni si è preferito infatti confermare (Emilia) il consorzio al quale era già stata affidata in passato la gestione dei parchi regionali che ora anche l'Umbria, nuova all'esperienza dei parchi, sembra preferire.
Diciamo subito che, specialmente nel caso dell'Emilia la cui legge come abbiamo ricordato modifica ed integra una precedente normativa quadro regionale, si è confermata la vecchia struttura consortile.
La Regione Umbria invece, pur non escludendo nella legge altre soluzioni, in concreto poi indica per tutti i 7 parchi previsti il consorzio in riferimento all'art. 23 della 394 che, forse non è inutile ricordare, riserva il consorzio obbligatorio, quale strumento a portata più ampia rispetto al "normale" consorzio, a casi di "rilevante interesse pubblico ma in base ad una legge dello Stato.
Poiché né la legge emiliana né quella dell'Umbria prevedono il ricorso a questa "fantomatica" legge dello Stato (in Emilia i consorzi sono già insediati) è evidente che in entrambi i casi si è inteso avvalersi puramente e semplicemente del consorzio nella sua vecchia accezione e concezione e non a quella prevista dalla 142 che configura ormai il consorzio come un tipo di S.p.A.
Di questa scelta chiaramente in controtendenza rispetto al quadro nazionale non è dato conoscere le motivazioni visto che, ad esempio, la relazione alla legge dell'Umbria non dice assolutamente niente in proposito. Essa appare tuttavia discutibile prima ancora che sul piano della "correttezza" istituzionale nella sostanza, in quanto sicuramente "vecchia". Vecchia perché, a differenza dell'ente, il consorzio rimane fortemente ancorato alla logica municipale, in base alla quale ogni ente provvede alle "proprie" rappresentanze, che, almeno in teoria, rispondono al "proprio" ente mentre oggi c'è assoluto bisogno di rovesciare questa concezione perché si affermi il principio della collegialità anche nella designazione delle rappresentanze.
Una logica dura a morire se, persino dove si è scelto l'ente come in Campania, alla sua composizione si provvede con designazioni dei singoli enti locali anziché attraverso la comunità del parco, come avviene giustamente nella maggior parte dei casi.
Inoltre il consorzio è precluso a quei nuovi soggetti non istituzionali che la legge 394 ha voluto fossero presenti negli enti di gestione dei parchi. Infine, ma si tratta di questione assai importante, il consorzio a differenza dell'ente regionale comunque denominato non presenta appunto quei connotati e caratteri di regionalità, se così si può dire, che ne assicurano non solo una maggiore conformità alla legge nazionale ma anche una più diretta responsabilità della stessa Regione che con il consorzio risulta nettamente più defilata dai suoi impegni istituzionali e finanziari.
In sostanza possiamo dire che nonostante si sia ricorsi nei riferimenti normativi al consorzio di tipo "obbligatorio" ci troviamo in presenza dei consorzi "tradizionali" ampiamente e a lungo sperimentati in questi anni anche nella gestione delle aree protette regionali e dimostratisi scarsamente idonei a coinvolgere su di un piano di "pariteticità" istituzionale, finanziaria ed operativa Regioni ed Enti locali. Strumenti insomma poco adatti anche sotto il profilo della efficienza a far assumere responsabilità dirette specialmente alle Regioni.
Tra l'ente e il consorzio le differenze infatti sono marcate e molteplici anche sotto il profilo della efficienza.
L'ente presuppone e consente di impegnare direttamente nella gestione del parco sia le istituzioni sia altri soggetti, su un piano di perfetta parità. Il consorzio al contrario non permette di dispiegare tutte queste potenzialità, riduce sotto molti aspetti proprio l'impegno della Regione, esclude altri soggetti non istituzionali.
Se a questo punto passiamo ad esaminare i compiti che le varie leggi assegnano agli enti di gestione dei parchi registriamo ovviamente numerose analogie e affinità ma anche delle differenze che mette conto rilevare.
La Regione Emilia, ad esempio, stabilisce che il piano del parco costituisce stralcio, per la parte di territorio cui inerisce, del piano territoriale infraregionale ed è pertanto adottato dalla Provincia su proposta dell'ente gestore del parco ed approvato dalla Regione.
Il consorzio di gestione predispone invece, coordinandosi con gli enti locali, un programma di sviluppo pluriennale.
La legge dell'Umbria che, come abbiamo visto, ha anch'essa optato per il consorzio stabilisce invece che sia l'ente di gestione ad adottare il piano dell'area naturale, insieme al regolamento e al piano economico.
Nelle altre Regioni l'adozione del piano del parco è competenza dell'ente parco, fermi restando, come stabilisce ad esempio la legge della Liguria, i poteri concorrenti della Provincia nella predisposizione del piano per gli oggetti di cui agli articoli 14 e 15 della 142.

La comunità del parco
E' interessante, trattandosi di un organismo nuovo e perciò tutto da sperimentare e verificare, vedere quale ruolo nelle varie leggi regionali è stato previsto per le comunità del parco.
La legge 394, prevedendo per i parchi nazionali due organismi, ha inteso evidentemente affiancare all'organo di gestione a composizione mista un organo a carattere esclusivamente istituzionale che deve permettere alle assemblee elettive di esercitare in maniera diretta ed in prima persona un ruolo di indirizzo e di controllo politico programmatico sulle scelte del parco.
Questo modello è stato ripreso e lo ritroviamo con poche varianti in quasi tutte le leggi regionali, ad eccezione di quelle che hanno preferito lo strumento consortile, il che conferma quanto abbiamo detto sulle diverse implicazioni derivanti da questa scelta.
Nella maggior parte delle Regioni la comunità è infatti organo riservato esclusivamente alla rappresentanza delle Provincie, dei Comuni, delle Comunità montane.
Queste Regioni hanno praticamente ricalcato il modello nazionale con lievi varianti; rinviando ad esempio allo statuto del parco la sua composizione ma prescrivendo che alle rappresentanze degli enti locali siano affiancate quelle degli imprenditori agricoli (Liguria) o escludendo stranamente le Province (Lazio).
Sostanzialmente differenti invece le soluzioni
previste dalle leggi regionali che hanno adottato la scelta consortile.
In Umbria fanno parte della comunità del parco indifferenziatamente e indistintamente enti locali, associazioni ambientaliste, economiche, sociali, ricreative e così via. Ad essa sono attribuiti compiti consultivi obbligatori ma non vincolanti.
La legge emiliana non prevede la comunità del parco ma più semplicemente una consulta composta allo stesso modo della comunità dell'Umbria, a conferma che pur con nomi diversi si sono operate scelte affini.
Risulta abbastanza chiaro che chi ha scelto l'ente secondo il modello nazionale ha assegnato alla comunità del parco un ruolo del tutto nuovo rispetto ai tradizionali organismi di consultazione, mentre chi - come l'Emilia e l'Umbria - ha confermato la scelta del consorzio ad esso ha affiancato un organo che, anche quando è stato denominato "comunità", di questa non ha i connotati.
In questo caso si ha infatti una "commistione" destinata ad ingenerare anche confusione.
L'organo di gestione, se consortile, non potrà contare pienamente su tutti quegli apporti istituzionali e specialistici di cui ha indispensabile bisogno e di cui può più agevolmente avvalersi l'ente di gestione.
La comunità del parco, se perde quei connotati istituzionali che la legge ha inteso attribuirle, non potrà assolvere efficacemente ai suoi compiti perché, come mera sede di consultazione, potrà forse fare cose non inutili ma non potrà sicuramente esercitare quel ruolo di indirizzo e di controllo istituzionale a cui è preposta e che è prerogativa degli enti locali.
Il Piemonte considera la comunità una delle forme di partecipazione e rimanda per i suoi compiti alla legge nazionale. E' organo consultivo e propositivo, tenuto ad esprimere pareri obbligatori sugli atti principali del parco nonché parere vincolante sul piano economico in base alla legge campana. Per la Liguria la comunità esplica funzioni di programmazione atte a favorire lo sviluppo socio-economico della popolazione ed esprime pareri obbligatori sugli atti più rilevanti dell'ente parco.
Anche per la legge del Lazio, a parte la inspiegabile esclusione delle Province, la comunità è
organo "consultivo propositivo che delibera previo parere vincolante dell'ente parco sul piano pluriennale di promozione economica".
E' organo consultivo per le Marche, il quale è tenuto ad esprimere pareri obbligatori su tutta una serie di atti compreso il piano pluriennale economico-sociale che è predisposto dall'ente.
Per la legge lombarda la comunità propone i contenuti di promozione economico-sociale che dovranno tener conto dei pareri degli enti locali interessati e delle associazioni ambientaliste e di categoria mediante apposite conferenze.
Con poche eccezioni, dunque, la legislazione regionale vigente o in itinere nel definire composizione e ruolo delle comunità del parco si è ispirata al modello "nazionale", apportandovi in taluni casi lievi modifiche riguardanti per lo più la composizione.
Nel complesso si può dire che le Regioni hanno inteso o intendono distinguere assai nettamente i ruoli dei due organi, ente e comunità, proprio per stabilire tra di loro un equilibrio funzionale che eviti sovrapposizioni e conflitti.
All'autonomia dell'ente di gestione, che nella nuova legislazione regionale risulta coerentemente con la ratio della legge 394 notevolmente rafforzata rispetto anche alle più recenti e innovative esperienze, corrisponde il ruolo distinto di un organo prevalentemente istituzionale del tutto inedito quale è la comunità.

Piano del parco e piano economico-sociale
Accennando ai compiti dei due organi abbiamo già avuto modo di rilevare che il piano del parco, ad eccezione dell'Emilia-Romagna, è adottato dall'ente di gestione mentre il piano economico (anche qui con l'eccezione della stessa Regione) è generalmente predisposto sia pure previo parere vincolante del parco dalla comunità, la quale in qualche caso però è chiamata solo ad esprimere un parere obbligatorio.
I diversi ruoli assegnati ai due organi nella messa a punto di quelli che possiamo senz'altro considerare gli strumenti fondamentali di gestione e programmazione del parco sembrano, almeno nella maggior parte dei casi, combinare equilibratamente le competenze di due organi chiamati a svolgere funzioni diverse ma pur sempre di collaborazione.

Il ruolo degli enti locali
Per quanto riguarda il capitolo degli enti locali sulla base di quanto finora siamo andati rilevando possiamo dire che essi sono innanzitutto coinvolti in due distinte fasi; quella della designazione delle rappresentanze (generalmente come membri della comunità) nell'ente e quella della proposta e del controllo a mezzo della comunità. Ma ad esse almeno alcune leggi regionali ne accompagnano altre di carattere procedimentale, quali conferenze di servizio ed altre forme di consultazione più o meno istituzionalizzate volte appunto a coordinare indirizzi, impegni e programmi dei vari soggetti istituzionali.
Se queste forme di partecipazione istituzionalizzate sono presenti solo in alcune leggi, ancora meno sono quelle che si sono proposte una classificazione meno generica delle aree protette che consentisse di definire anche più precisamente il ruolo degli enti locali e specialmente delle Province.
E' vero come abbiamo già sottolineato che gli enti locali sono chiamati ad intervenire nelle due fasi ricordate e che quasi sempre sono tenuti a farlo collegialmente e non solo individualmente (designazione delle rappresentanze, espressione dei pareri eccetera). Ma la maggior parte delle leggi ha eluso in tutto o in parte l'assunto dell'art. 3 della 142 per cui la mancata "ridefinizione" delle funzioni locali non ha consentito a troppe leggi regionali di chiarire aspetti che rimangono o irrisolti o comunque poco chiari. Dei parchi di interesse provinciale, ad esempio, parlano pochissime leggi; e ancora meno sono quelle che fanno riferimento al piano territoriale di coordinamento della Provincia, che pure è un passaggio importantissimo della pianificazione subregionale.
Sotto questo profilo la nuova legislazione regionale, salvo poche eccezioni, mostra limiti e omissioni serie che c'è da augurarsi possano essere presto colmate.