Federparchi
Federazione Italiana Parchi e Riserve Naturali


PARCHI
Rivista del Coordinamento Nazionale dei Parchi e delle Riserve Naturali
NUMERO 13 - OTTOBRE 1994


Foreste e forestazione in Europa
Amerigo A. Hofmann

Forestazione è termine che ha conosciuto ampia diffusione in questi ultimi lustri. All'inizio era usato per indicare più che altro opere d'imboschimento o rimboschimento, poi è stato esteso a vari interventi di natura forestale, fino a significare aspetti generali della gestione tecnico-economica dei boschi o anche dei provvedimenti politico-normativi che li riguardano, in accezione non dissimile dall'inglese forestry.
Personalmente penso sia un termine poco felice e preciso e che gli siano da preferire, di volta in volta, gli specifici riferimenti alla coltura boschiva, al rimboschimento, all'arboricoltura da legno, all'assestamento forestale, ai piani forestali, eccetera.
Forestazione, comunque, è diventato d'uso corrente, specialmente da quando il settore è rientrato, dagli anni ' 70 in poi, nelle competenze delle amministrazioni locali. Lo userò pertanto anche in questa mia nota.
Forestazione e assetto delle aree protette o, più semplicemente, foreste e aree protette sono binomi che si rincorrono nella politica in atto o in prospettiva per la tutela dell'ambiente.
Alcuni motivi sono d'immediata percezione:

  • le aree protette sono spesso territori a prevalente fisionomia forestale o, presentato in altro modo, estensioni più o meno consistenti del patrimonio forestale, risparmiate dalla distruzione che l'uomo ha operato nei secoli e sono state destinate ad una gestione con finalità protettive. Ad esempio, in Toscana, regione in cui lavoro, si calcola che il sistema delle aree protette, individuato in attuazione d'una specifica legge regionale del 1982, è interessato per oltre il 70% da boschi e foreste;
  • la foresta, come area naturale o sottoposta a coltura di gran lunga meno intensiva rispetto a quella dei terreni agricoli, rimane tuttora un serbatoio ricchissimo di vita selvatica;
  • ancora: la foresta, oggi spesso relegata in montagna o in alta collina o comunque nei territori meno pressati da altre richieste d'uso (agricoltura, urbanizzazione, infrastrutture), consente misure di salvaguardia di più immediata realizzazione rispetto alle altre aree, più appetite.
Altri motivi che legano il bosco alle aree protette sono forse più sottili da cogliere, ma ugualmente significativi.
Mi riferisco ad esempio, per quel che riguarda il nostro Paese, alla legislazione forestale, che ha privilegiato gli aspetti protettivi del bosco, rispetto a quelli produttivi, inducendo nella componente più attenta dell'amministrazione pubblica una cultura di rispetto e valorizzazione degli aspetti naturali e ambientali del bosco stesso. Ne sono viva testimonianza molte foreste demaniali, che sono fra le più belle d'Italia.
Il fatto di non aver mai perso coscienza - neppure in periodi come quello fra le due guerre in cui il pascolo, la ricerca di nuove terre da mettere in coltivazione, la necessità di legna e carbone hanno creato pressioni altissime sulle zone boscate - che il bosco è una risorsa naturale che fornisce altri beni e servizi, oltre quelli strettamente produttivi, ha consentito, quando i tempi erano maturi, di rivolgersi primariamente alla foresta per individuare nuovi modelli di gestione del territorio. Così s'è parlato di selvicoltura naturalistica molto prima dell'agricoltura biologica, così, ancora, è possibile rintracciare nei vecchi piani d'assestamento forestale le prime ricerche di compatibilità, proiettate per periodi medio-lunghi, fra uso e conservazione del territorio e delle sue risorse.
Proprio tenendo d'occhio la possibile compatibilità fra interessi produttivi e interessi protettivi, va salutata in termini doppiamente favorevoli la recente attivazione d'una delle misure d'accompagnamento della nuova politica agricola comunitaria - Pac -, quella appunto per la forestazione, che propone un incremento della produzione legnosa e, assieme, un rafforzamento dell'azione di sviluppo equilibrato degli spazi naturali e del territorio rurale, promossa dall'altra misura d'accompagnamento: quella agro-ambientale.
Anzi, v'è chi vede in queste due misure il futuro dell'agricoltura europea, laddove gli altri interventi - certamente più significativi e impegnativi al momento attuale per gli agricoltori, in quanto volti al sostegno diretto dei loro redditi e al riallineamento dei prezzi agricoli al mercato mondiale - rappresentano una partita di chiusura della vecchia Pac.
La misura d'accompagnamento per la forestazione è stata disciplinata dal regolamento 2080 del 1992, che rappresenta una delle punte avanzate della politica forestale comunitaria.
Il percorso di tale politica non è stato né breve, né lineare, anche perché viziato da un difetto d'origine: quello che ha portato all'esclusione del legno dalla lista dei prodotti agricoli allegata al Trattato di Roma del 1957, istitutivo della Comunità economica europea. E' stata l'opposizione dei Paesi con economia forestale più forte, Germania in testa, e l'interesse d'evitare un mercato dirigistico del legno, con possibili riflessi negativi sul costo delle importazioni e sulle industrie di trasformazione, a sottrarre il legno, e quindi la selvicoltura europea, dalla politica del mercato comune.
Ma il bosco, tenuto all'uscio della casa europea sino alla fine degli anni '70, vi è entrato da altre vie, sospinto da alcuni elementi che col tempo avevano acquistato una rilevanza non immaginabile all'epoca del Trattato di Roma. Vorrei ricordarne i principali:
  • i danni crescenti alle foreste, non più minacciate dai soli incendi nell'area mediterranea o dalle solite fitopatie, ma colpite dall'inquinamento nel cuore dell'Europa, con distruzioni anche massive;
  • i nuovi danni s'impongono all'attenzione generale con termini suggestivi e terrificanti: morte del bosco, piogge acide;
  • l'aumentata sensibilità per i problemi di difesa ambientale e territoriale, che spingono a vedere nel bosco, al di là dei suoi valori economici immediati, una struttura di salvaguardia per il suolo e le acque;
  • la necessità d'individuare destinazioni colturali per i terreni che le produzioni eccedentarie ed il set-aside rendono disponibili;
  • il persistente divario fra produzione e consumo di legno, che mantiene all'Unione europea il primato nel mondo dell ' importazione netta di legname, nonostante i 12 Paesi comunitari abbiano complessivamente una superficie forestale di oltre 50 milioni d'ettari, con un indice di boscosità del 24%; il deficit continua ad oscillare attorno ai 100 milioni di mc annui, mentre aumentano le difficoltà all'importazione di legno grezzo, specie dai Paesi tropicali.
Sono le strategie messe in atto a Bruxelles per l'ambiente e per le strutture agricole che dischiudono la possibilità di costruire e consolidare nel tempo una politica forestale comune. In altri termini: è la protezione del bosco da inquinamenti e incendi, il suo ruolo di difesa contro l'erosione e le inondazioni, la sua capacità di migliorare le condizioni di produttività dell'azienda agricola che conducono ad una serie di regolamenti comunitari a favore della forestazione.
Vorrei ricordare tre momenti particolarmente significativi nella formazione della normativa europea per il settore forestale: il pacchetto mediterraneo del 1979, che promuove misure forestali nell'ottica di migliorare, anche attraverso la conservazione del suolo e la regimazione delle acque, le condizioni ed i fattori per la produttività agricola;
i regolamenti strutturali dal 1985 in poi per il miglioramento dell'efficienza delle strutture dell'agricoltura, che consentono alle aziende agricole di valorizzare la forestazione come attività complementare o alternativa; - i regolamenti del 1986 per la protezione delle foreste da incendi e inquinamento atmosferico.
Progressivamente l'azione comunitaria per la forestazione allarga il suo ventaglio, ammettendo nuove figure di beneficiari e aumentando le forme e l'entità dei benefici. Agli inizi sono ammessi solo gli imprenditori agricoli a titolo principale, poi anche gli enti pubblici, le associazioni di varia natura, gli agricoltori part-time. I contributi faranno riferimento non solo alle spese d'impianto, ma anche alle cure colturali dei primi anni, ai mancati redditi agricoli. Anche la tipologia degli interventi promossi si amplia dalla forestazione in senso stretto alla gestione forestale, al rafforzamento dell'intera filiera legno.
Sul finire degli anni ' 80 matura il pacchetto forestale, insieme di sette regolamenti e di una decisione del Consiglio europeo, che istituisce il Comitato permanente forestale per una migliore intesa e collaborazione fra gli Stati membri. Il pacchetto, che sfocerà nel programma di azione forestale 1989-92, è impostato su tre direttrici d'intervento:
  • sviluppo dell'arboricoltura da legno, come risposta in positivo dell'abbandono di terreni già destinati a produzioni agricole eccedentarie;
  • potenziamento della selvicoltura, comprese le conseguenti attività di trasformazione e commercializzazione dei prodotti forestali, per lo sviluppo delle zone rurali;
  • protezione della foresta.
    Sotto il profilo ambientale e del rapporto foresta aree protette, non vorrei sottovalutare nessuna delle tre direttrici.
Il rimboschimento delle terre agricole, che l'attuazione della nuova Pac sta rendendo disponibili nei vari Paesi europei e che, secondo stime anche caute, non saranno inferiori ai 6 milioni d'ettari entro la fine del secolo, potrà senz'altro attenuare l'impatto del set-aside e contribuire ad aumentare sia la produzione legnosa sia le esternalità positive di carattere sociale e ambientale che il bosco offre.
Nelle cosiddette zone sensibili conviene favorire, più che l'arboricoltura da legno, gli impianti con cicli produttivi medio-lunghi, superiori ai 20 anni: con la prima, infatti (si pensi alla pioppicoltura), si corrono maggiori rischi di rilasci di fertilizzanti e residui antiparassitari, mentre con i secondi (ad esempio abetine di douglasia o piantagioni miste, con impiego di latifoglie di pregio: ciliegio, aceri, frassini, eccetera) sono possibili tecniche di coltivazione a più alta compatibilità ambientale.
Per il secondo punto, che mira al consolidamento nelle zone rurali della selvicoltura e delle attività connesse, va visto con favore il rafforzamento di piccole e medie imprese che utilizzano e trasformano le risorse forestali, legno e altri prodotti, anche nei territori a particolare valenza ambientale, perché, se attuato in forma corretta e controllata, può contribuire a stabilizzare le condizioni economiche e sociali delle popolazioni residenti.
Ma è sul terzo punto, quello della protezione della foresta, che vorrei richiamare la maggiore attenzione, comprendendo nell'azione di protezione sia il momento attivo della foresta stessa, cioè il suo effetto positivo sul regime delle acque, sulla difesa del suolo, sulla salubrità dell'aria, sia il
momento attivo dell'uomo, cioè l'intervento di tutela che egli deve garantire al bosco contro gli agenti avversi (incendio, inquinamento, parassiti), ma anche contro l'incuria cui sono state abbandonate tante aree forestali ritenute improduttive.
E' proprio la cura del bosco che fa fare il salto di qualità alla politica forestale d'un Paese, portandola dalla semplice forestazione, incentrata per lo più sui rimboschimenti, alla selvicoltura vera e propria, dove sono prioritari gli interventi per salvaguardare un patrimonio che, a volte bene a volte male, abbiamo ricevuto dai nostri padri e che noi dobbiamo trasmettere, questa volta senz'altro bene, ai nostri figli.
E' più difficile coltivare un bosco, garantendone la perpetuità, che realizzare un nuovo impianto. Se poi si considera che, nonostante le minacce d'inquinamento al Nord e di desertificazione al Sud, i boschi sono attualmente in fase di naturale espansione, specie in montagna, e che fra le superfici d'interesse forestale vanno inclusi anche gli arbusteti, le macchie e altre formazioni che evolvono a forme più complesse di copertura, si comprende come il compito forestale oggi più impegnativo sia quello di attuare una selvicoltura che assecondi, e non contrasti, le forze naturali operanti nelle aree boscate.
La più recente espressione della politica forestale comunitaria è, come ho sopra ricordato, il regolamento 2080 del 1992. Istituisce un regime d'aiuti per l'imboschimento di terre agricole e per lo sviluppo d'attività forestali nelle aziende agricole, attivando quindi incentivi sia per l'imboschimento sia per il miglioramento delle superfici boschive.
Nel 1993 le Regioni hanno presentato alla Commissione dell'Unione europea i programmi pluriennali d'attuazione del regolamento. Sono stati assegnati, per il quadriennio 1994-97, quasi 1.000 miliardi, di cui due terzi a carico del bilancio comunitario. Le richieste di contributo già pervenute sono talmente alte, che se venissero accolte tutte assorbirebbero già nel '94 gran parte dell'assegnazione: riguardano 100.000 ettari di nuovi impianti e altrettanti per miglioramenti boschivi (conversione di cedui, recupero di castagneti e sugherete, ricostituzione di boschi danneggiati, difesa dagli incendi).
Se ricordiamo che le prime azioni forestali comunitarie, come quella per le zone mediterranee del 1979, erano interventi a carattere pubblico o, se affidate ai privati, registravano scarso interesse, com'è avvenuto per l'imboschimento dei primi seminativi resisi disponibili con il set-aside, dobbiamo rimarcare che in un decennio o poco più la forestazione si è creata un suo ampio spazio nell'ambito della Pac.
E' sufficiente, questo, per dire che esiste oggi, nell'Unione europea, una politica forestale ben connotata? O dobbiamo ancora constatare una sua subordinazione alla politica agricola, una dipendenza in particolare dalla politica delle strutture e quindi, come da molti è stato detto, un"'agrarizzazione" della selvicoltura?
Certo, se si esamina quanto sia lontana l'Europa centrale da quella mediterranea non solo in termini di quantità e qualità della produzione legnosa, ma anche di assetto della proprietà e dell'impresa forestale e di organizzazione delle componenti della filiera legno, non si può che condividere la sensazione che le strategie dei vari Stati componenti l'Unione possano al più essere avvicinate, entro certi limiti poi, di sicuro non fuse. Ma se poniamo attenzione all'altra dimensione del bosco, quella che si estema nei suoi "servizi" ambientali e che lo indica come un connettivo indispensabile per l'equilibrio del territorio, dobbiamo riconoscere una confluenza fortissima fra gli interessi delle tante regioni d'Europa.
E' in questa direzione che va cercata la lingua forestale europea.

Bibliografia

- Abrami A., Nuove prospettive di politica forestale della Comunità economica europea, Cellulosa e Carta, 1990,51 (1).
- Benassi A., Considerazioni in tema di politica forestale comunitaria, Economia montana, Linea ecologica, 1992, 24 (4).
- Caruso C., Gli interventi della Cee in campo forestale, Acc. it. sc. for. Annali, 1988, v. 37.
- Caruso C., Approvati i programmi regionali del regolamento Cee 2080192, L'Italia forestale e montana, 1994 49 (2).
- Lacaze J. F., Le azioni della Comunità economica europea e la selvicoltura europea: situazione attuale e prospettive, L'Italia forestale e montana, 1992, 47 (3).
- Marinelli A., Romano D., La strategia della Cee e dell'ltalia nel settore forestale, La Questione Agraria, 1990, 40.
- Merlo M., Le misure forestali ed agro-ambientali nella riforma della Pac, Monti e Boschi,1992,43 (6). - Ministero dell'agricoltura e delle foreste - Corpo forestale dello Stato, Strategia forestale nella Comunità europea. Elementi di politica forestale italiana. Orientamenti per una politica forestale mondiale, Collana Verde, 1990, 78.
- Salvatici L., Le azioni e la nuova strategia della Comunità europea nel settore forestale, Monti e Boschi, 1989, 40 (5).

* Dirigente del Dipartimento agricoltura e foreste della Regione Toscana