Federparchi
Federazione Italiana Parchi e Riserve Naturali


PARCHI
Rivista del Coordinamento Nazionale dei Parchi e delle Riserve Naturali
NUMERO 14 - FEBBRAIO 1995


Controlli e prelievi della fauna
La risposta di Mario Spagnesi
D. Ritiene che, pur alla luce delle leggi 394 e 157, il problema dell'esercizio della caccia delle aree protette possa essere ripensato, se non altro per situazioni particolari, quale strumento gestionale di controllo di alcune popolazioni selvatiche il cui recente rapido accrescimento ha portato gravi squilibri nella struttura degli ecosistemi oggetto di protezione?
R. Non v'è dubbio che in diverse aree protette del nostro Paese il periodico prelievo di un certo numero di individui da alcune popolazioni di animali selvatici debba essere considerato uno strumento di gestione indispensabile.
La maggior parte delle aree protette infatti viene istituita per tutelare un ecosistema nella sua interezza e complessità e, qualora lo stato di una componente della zoocenosi si riveli pregiudizievole per il mantenimento dell'equilibrio dinamico che assicura la conservazione a medio e lungo termine dell'ecosistema, un intervento correttivo risulta doveroso.
Ciò è tanto più vero se si considera il caso dei grandi vertebrati in rapporto alle dimensioni medie delle aree protette italiane, alcune delle quali risultano addirittura delle "isole" separate dal rimanente territorio da barriere ecologiche o fisiche di fatto invalicabili.
Un tipico esempio è dato dalla necessità di salvaguardare il manto forestale ed il suo rinnovo ove esistono popolazioni di ungulati a densità elevate ed in situazioni ove la dinamica delle popolazioni di questi animali non è sufficientemente regolata dai fattori limitanti naturali (emigrazione, predazione, eccetera).
Ciò naturalmente non significa che il prelievo debba essere visto come una costante gestionale in qualsiasi situazione; esso è semplicemente uno strumento caratterizzato di volta in volta da un determinato rapporto costi/benefici che va analizzato e messo a confronto con le altre soluzioni possibili, tenendo presente che in un'area protetta le finalità della gestione rimangono comunque quelle della tutela dell'ambiente con il minor grado possibile di intervento da parte dell'uomo.
Sarebbe a mio avviso un errore considerare la fauna presente in un parco nazionale come una risorsa naturale rinnovabile da sottoporre, sia pure in modo nazionale, ad un utilizzo economico diretto, mentre questo tipo di approccio è perfettamente lecito se applicato al territorio non sottoposto a simili vincoli di protezione.
D'altra parte la stessa conservazione di molte specie non è pensabile se non in areali assai vasti che in un Paese come il nostro non è pensabile siano tutelati interamente con i vincoli propri di un parco. E' dunque indispensabile da una parte prevedere corridoi di collegamento tra le aree protette, e dall'altro fare in modo che la gestione faunistica nel territorio non tutelato assicuri comunque la continuità dei popolamenti in condizioni non precarie. In questo contesto la caccia ha evidentemente un ruolo importante e quello appena delineato dovrebbe essere uno degli obiettivi fondamentali da raggiungersi attraverso un'auspicabile, concreta riforma dell'attività venatoria.
Purtroppo la verità è che troppo spesso nel nostro Paese l'istituzione delle aree protette è stata considerata l'unica soluzione in grado di sottrarre il territorio (e la fauna) ad uno sfruttamento irrazionale e "di rapina": i parchi hanno finito per essere un alibi, politico e psicologico, per nascondere l'incapacità di applicare i piani urbanistici e paesistici, di imporre gli opportuni correttivi alle pratiche agricole più dannose, di programmare ed attuare una gestione delle risorse naturali di interesse economico (boschi, fauna ittica, selvaggina) in sintonia con i principi della conservazione.
A ciò si aggiunga il fatto che solo una pare delle aree protette create in un passato più o meno recente è oggi in grado di funzionare secondo standard accettabili; molte di esse non hanno fatto progressi concreti al di là del decreto istitutivo, che ha posto dei vincoli ma che, per sua na-
tura, non è sufficiente ad assicurare scelte, decisioni, strutture operative, prassi gestionale ed analisi critica dei risultati ottenuti.
Di fronte a questa situazione ritengo risulti opportuno affrontare il problema dei prelievi faunistici nei parchi in maniera pragmatica e flessibile, con un approccio che tenga conto della necessità di conseguire soluzioni concrete, piuttosto che di tutelare ideologie.
Una volta stabilito che risulta opportuno controllare una popolazione di cervi presente in una area protetta attraverso abbattimenti selettivi, è necessario che l'ente gestore stabilisca il piano di prelievo, nonché le modalità della sua esecuzione, e che sia in grado di verificarne puntualmente il rispetto. Gli abbattimenti debbono essere eseguiti da persone tecnicamente in grado di farlo in maniera corretta: la scelta tra guarda-
parco o cacciatori opportunamente abilitati ed autorizzati (corretta sotto il profilo normativo) non può essere univoca e generalizzata, ma piuttosto dettata dalle condizioni e dalle esigenze che caratterizzano ciascuna situazione locale.
Infine, ferma restando la necessità culturale e scientifica di mantenere un numero sufficiente di aree protette nelle quali risulti escluso, per quanto possibile, il prelievo di fauna da parte dell'uomo, è forse pensabile affiancare a queste ultime una nuova generazione di "parchi" ove i principi dell'uso razionale delle risorse naturali rinnovabili e dello sviluppo sostenibile possano essere concretamente applicati sulla base di apposite norme. Essi potrebbero rappresentare un efficace laboratorio di soluzioni possibili, in grado di condizionare positivamente il complesso della gestione faunistica del Paese.