Federparchi
Federazione Italiana Parchi e Riserve Naturali


PARCHI
Rivista del Coordinamento Nazionale dei Parchi e delle Riserve Naturali
NUMERO 15 - GIUGNO 1995


Uno studio del Cnel
Il Parco del D elta del Po
Elisabetta Bettini * e Cinzia Zincone *

L'attività originale, sperimentata soprattutto dalla quinta commissione del Cnel, considera le autonomie locali un luogo "idoneo" a sviluppare e mettere in campo potenzialità "imprenditoriali" innovative nella forma e nella sostanza, da un lato, e, dall'altro, soggetti capaci (o che devono sviluppare una capacità) di ricucire, nella quotidianità e tangibilità del rapporto, quel filo così slabbrato e corroso tra cittadino e pubblica amministrazione.
Sotto l'aspetto dei contenuti, il superamento di un'ottica essenzialmente vincolistica e protezionista di lettura della risorsa ambientale apre nuovi spazi e alternative al contemperamento delle istanze di conservazione della natura e di quelle di sviluppo delle attività produttive compatibili e di rispetto per l'insediamento umano, che spesso nel nostro Paese ha origini storiche, radicate e tali da aver consentito nel tempo il mantenimento di un determinato habitat difendendolo dagli agenti atmosferici.
In questo senso, l'ambiente viene percepito come possibile fonte di sviluppo e di occupazione, sede di attività produttive che, proprio perché selezionate, possono essere idonee a far crescere anche il livello sociale e culturale della società locale.
Un'area che vanti caratteristiche naturali degne di essere conservate non sarà più necessariamente un'area "proibita", ma un terreno per attività"privilegiate": ricerca, turismo, servizi, artigianato, produzione agroalimentare sono settori entro i quali la compatibilità con la tutela ambientale può essere abbinata a forme di incentivazione e a programmi di formazione professionale e di sviluppo, recuperando così aree depresse non solo economicamente ma anche spesso - socialmente.
Sotto l'aspetto delle procedure, viene esaltata quella funzione di concertazione che al Cnel è precipuamente demandata, anzi, se possibile, il territorio necessita di "un di più" di concertazione. Infatti, le prospettive di uno sviluppo rispettoso delle vocazioni naturali del territorio si presentano spesso ostacolate da "conflitti ambientali": la tradizione vincolistica del concetto di tutela ambientale, la mancanza di tavoli di "mediazione alta" degli interessi, la diffidenza verso soluzioni troppo frequentemente vissute come imposizioni centralistiche o piegate alle ragioni "del più forte" possono finire col causare forme di conflitto che solo una procedura di composizione può tentare di risolvere. Peraltro, la ricerca dell'accordo applicata ai temi ambientali pone al centro non tanto l'accordo stesso, quanto piuttosto il suo grado di congruenza con la salvaguardia di una risorsa scarsa, nonché la capacità di valorizzarla e di assumerla come ricchezza e potenzialità ad uso della collettività nazionale.
Stimolare le energie e le capacità progettuali locali spesso, tuttavia, non è sufficiente. L'ulteriore passo compiuto in questa direzione dal Cnel è stato di offrire un tavolo di confronto "neutrale" e di porsi come supporto tecnico-politico per tradurre in programmi istituzionali le proposte emerse.
L'azione del Cnel - al cui interno si è nel frattempo definito un gruppo di lavoro composto da consiglieri, esperti e funzionari - si concentra quindi sull'individuazione e prevenzione delle eventuali cause che possono dar vita al "conflitto ambientale" e sulla sua risoluzione. L'esistenza di una conflittualità può, infatti, comportare non solo l'immobilizzazione di risorse e il persistere di devastazione ecologica, ma uno spreco inaccettabile di occasioni di sviluppo e di progresso economico e sociale.

1. Il Delta: caratteristiche generali
Una chiara esemplificazione del percorso che il Cnel è andato costruendo su questo tema è rappresentato dal Delta del Po. Dal punto di vista naturalistico si tratta, come tutti sanno, di un'a-
rea unica nel suo genere, classificata come "zona umida", nella quale vivono specie animali e vegetali non riproducibili in zone diverse. Nel contempo, non è una zona vergine: l'opera dell'uomo nel corso dei secoli ha contribuito a creare l'attuale ecosistema, raggiungendo un peculiare e finora funzionale equilibrio tra azione umana e azione della natura. Proprio questa caratteristica di armonizzazione tra salvaguardia dell'ambiente, sviluppo economico e valorizzazione dell'apporto umano può essere considerata come il nucleo ispiratore di un Parco del Delta del Po, che superi i localismi regionali e provinciali in nome di un'unità di fondo delle caratteristiche del territorio e che offra insieme la possibilità di salvare le specie locali dall'estinzione e di fare della loro rarità un elemento di partenza per l'economia locale.
L'istituzione del parco interregionale trova la sua origine nella legge n.394/91 - la legge-quadro per le aree protette - che l'affida alle Regioni interessate entro il termine del 31 dicembre 1993 previe indicazioni da parte della Commissione paritetica e l'adeguamento della legislazione regionale in materia entro 12 mesi dalla data di entrata in vigore della legge stessa. In realtà già dal 1988 si era cominciato a discutere di questo progetto anche in considerazione del fatto che l'area del Delta era compresa nella Convenzione internazionale di Ramsar del 1971.
Secondo la legge 394/91, il parco non è un vincolo assoluto alle attività presenti sul territorio protetto, ma piuttosto una garanzia di valorizzazione delle stesse e di altre iniziative compatibili, partendo dalla premessa che sia necessario "trovare un equilibrio tra attività antropiche ed ambiente naturale".
Il percorso istituzionale, indicato dalla leggequadro, prevede - com'è noto - una configurazione ed una gestione unitaria, che trascenda i confini regionali, da attuarsi con la partecipazione attiva degli Enti locali e attraverso una serie di tappe tra le quali: un documento di indirizzo, che determina la perimetrazione e l'individuazione degli obiettivi di tutela del territorio; la predisposizione di una legge regionale istitutiva; la formazione dell'Ente di gestione e del regolamento del parco; la stesura di un "piano per il parco" e di un "piano pluriennale economico e sociale; la definizione di accordi di programma fra Stato, Regioni ed Enti locali per il coordinamento della spesa sul territorio del parco stesso. Quanto all'iter appena delineato, nel 1991 il Ministero dell"ambiente ha istituito la Commissione paritetica Stato-Regioni, i cui lavori sono terminati nel settembre 1993 con un "Documento dichiarativo dell'intesa tra il Ministero e le Regioni".
Nel giugno dello scorso anno, tuttavia, entro i termini dell'ulteriore proroga fissata dalla Commissione ambiente della Camera dei deputati (31 ottobre 1994), la crisi regionale veneta ha reso impraticabile l'approvazione in tempo utile del piano d'area necessario alle procedure di realizzazione fissate per il parco. L'Emilia-Romagna, dopo aver tentato di coinvolgere la nuova Giunta veneta e dopo l'ennesimo rinvio (al 31 dicembre 1995) della scadenza prevista per l'attuazione da parte della Commissione ambiente della Camera nel luglio scorso, con delibera della Giunta, ha dato via libera al parco regionale.

1.2. Alcuni dati socio-economici riguardo al territorio coinvolto dal parco
Le differenze nelle procedure attuative, ma anche quelle storiche tra le due Regioni, sul cui territorio insiste il parco, sono per la gran parte note e rappresentano un modello di sviluppo territoriale e settoriale disomogeneo e caratterizzato da equilibri diversi. Tuttavia è sempre stato nostro convincimento che il parco interregionale potesse essere un denominatore comune entro il quale contemperare e valorizzare le peculiarità di entrambe le aree.
Nella perimetrazione prevista, il parco interregionale interessa Veneto ed Emilia-Romagna, tre Province - Rovigo, Ferrara, Ravenna -, tredici Comuni - Contarina, Donada, Porto Tolle, Rosolina, Taglio di Po, Alfonsine, Conselice, Argenta, Codigoro, Comacchio, Goro, Mesola, Ostellato - per un totale di 1.732.000 chilometri quadrati e circa 70.000 persone.
Secondo l'analisi annualmente condotta dall'Istituto Tagliacarne sul reddito prodotto, è Ravenna che raggiunge il livello più alto, mentre ad una decina di posti più in basso seguono nel-l'ordine Ferrara e Rovigo. Certamente rispetto alla media italiana si collocano in una posizione non troppo negativa; tuttavia, il loro valore aggiunto per abitante è tra i più bassi delle rispettive Regioni.
Inoltre, il peso delle attività agricole nelle due province romagnole è quasi il doppio di quello medio regionale e viceversa molto più basso (al di sotto del 30%) quello delle attività industriali, che per la Regione si colloca intomo al 37%. Rovigo, d'altra parte, mostra una situazione analoga riguardo la presenza di attività agricole, ma una migliore posizione per quelle industriali, di poco superiori alla media regionale.
Il censimento Istat del 1191, infine, mostra un invecchiamento della popolazione: il numero degli ultrasessantacinquenni raddoppia nel giro di trent'anni, dal 1961 a oggi; il grado di istruzione permane ancora molto basso, soprattutto se si considera che la zona insiste nell'Italia nord-orientale. I "senza titolo di studio", infatti, rappresentano ancora il 16% della popolazione nella provincia di Rovigo come in quella di Ferrara.
Lo stesso censimento calcola anche in questa zona la disoccupazione dell'ordine del 10-11% della popolazione attiva, evidenziando quindi un tasso decisamente superiore alla media dell'Italia nord-orientale, presumibilmente accresciutosi nel corso degli ultimi due, tre anni a causa della congiuntura che ha interessato l'intero Paese. Particolarmente grave è la situazione dei giovani, il cui tasso è raddoppiato rispetto a quello generale.
Il tasso di disoccupazione nell'industria si aggira intorno all' 11%, con una punta massima del 13,3% nella provincia di Rovigo. L'agricoltura è ancora l'attività prevalente in molte zone del parco, e si mantiene oltre la media nazionale anche a livello provinciale.
E' inoltre da sottolineare che le aspettative locali nei confronti dell'intervento pubblico sono compromesse anche dai vincoli naturalistici preesistenti, ispirati al solo aspetto della tutela ambientale senza riferimenti allo sviluppo.
Da precedenti studi condotti dalla 3~ commissione del Cnel sulle aree di crisi, risulta, peraltro, che la zona considerata rappresenta un'isola di depressione nella parte ricca dell'Italia.
Secondo un indice di disagio economico, calcolato attraverso quattro indicatori - tasso di attività, tasso di disoccupazione allargato, ovvero comprensivo della cassa integrazione guadagni, tasso di industrializzazione e valore aggiunto ai prezzi di mercato per abitante - variamente pesati e relativi al periodo compreso tra il 1990 e il 1992, le tre province si collocano tra il 31° posto di Ravenna e il 35° di Rovigo e quindi sicuramente in coda non solo a tutte le province settentrionali ma anche al di sotto di alcune delle centrali.
Se, poi, si considera il tasso di terziarizzazione, che pur non essendo compreso tra i parametri di riferimento dell'indice di disagio può dare ulteriori informazioni riguardo le linee di tendenza dell'economia locale, si nota che tutte e tre sono al di sotto della media nazionale (fatta = a 100) e, in particolare, Rovigo è quint'ultimo nella graduatoria delle 95 province italiane. D'altra pare, preso isolatamente, il tasso di industrializzazione non appare particolarmente positivo, in particolare per Ferrara che è appena sopra la media nazionale con 101.6 e Ravenna che, invece, ha come numero indice 91.2.
Va, infine, osservato che la recente crisi, che per l'appunto ha avuto inizio proprio nel secondo semestre del 1992, ha probabilmente penalizzato le tre province considerate, sia in termini di occupazione complessiva, sia di vitalità del tessuto economico.
La condizione delle tre province è riconosciuta anche dalla Comunità europea, che inserisce la zona del Delta tra quelle in declino industriale (obiettivo 2), e buona parte della provincia di Rovigo tra le zone in declino agricolo (obiettivo 5b). Ciò appare ancor più significativo se si tiene conto del fatto che il nord-est italiano è, nel complesso la macroregione di punta del nostro Paese, quella dove gli indici di benessere e le prospettive di crescita appaiono più incoraggianti (vedi tabella rapporto Censis sulla situazione sociale del Paese 1994).

1.3. Il percorso del Cnel e i primi risultati
L'ipotesi avanzata dal Cnel nell'affrontare la prevenzione del conflitto ambientale prende avvio dalla convinzione che troppo spesso "la mancanza di conoscenze delle esigenze e della
domanda sociale e la sottovalutazione degli interessi economici e ambientali, che si esprimono nel territorio..." siano la causa principale dell'esplodere delle tensioni e abbiano come conseguenza la stasi o il riflusso di importanti azioni di intervento e, ancor prima, di programmazione del territorio.
D'altra parte, la composizione del conflitto (o ancor prima la sua prevenzione) necessita l'individuazione di forme adeguate di concertazione degli interessi, tanto più in una società pluralista sempre più complessa e gerarchizzata nelle procedure formali.
In questo contesto va, inoltre, tenuto presente che in relazione all'ambiente - bene collettivo e, in quanto risorsa scarsa, bene economico - il valore "prioritario" va riconosciuto non tanto all'accordo in senso stretto, quanto al grado di congruenza dello stesso rispetto alla salvaguardia di questa risorsa scarsa, alla sua valorizzazione e all'opportunità di assumerla come ricchezza piuttosto che come vincolo.
L'accordo che il Cnel persegue e di cui si fa fautore è quello più complesso fra i diversi possibili: "accordarsi utilizzando l'ambiente, intendendolo come risorsa, come opportunità aggiuntiva, come bene da tutelare";
Intervenire in un progresso conflittuale, in linea generale, appare dunque come una necessità legata vuoi al rispetto dell'espressione democratica degli interessi, vuoi alla finalizzazione di questi al miglioramento di ipotesi, progetti, interventi, vuoi, infine, al depotenziamento del rischio di blocco dell'iniziativa con conseguenti compromissioni di ordine economico, finanziario, occupazionale.
Premessa ad un percorso di questo tipo è, senza dubbio, un'attività capillare di sensibilizzazione dei soggetti coinvolti, mirata anche alla comprensione dei nodi del dissenso, che spesso paiono essere anche frutto di incomprensioni tra le organizzazioni esponenziali degli interessi e le istituzioni locali o centrali o di presunte prevaricazioni degli uni sugli altri.
Una lamentela ricorrente è il non-ascolto delle ragioni dei diversi soggetti da parte degli altri e, conseguentemente, l'impossibilità di giungere ad un dialogo trasparente, per non parlare di adeguate mediazioni sulla materia del contendere, che spesso sono del tutto compatibili con la tutela dell'ambiente naturale e degli interessi economici dell'area in questione. In questo senso, la non previsione dell'insorgenza del conflitto o le difficoltà nell'affrontarlo non dipendono quasi mai da fattori politici, ma da carenze tecniche o da sottovalutazioni di adempimenti giuridici anche previsti - come il "sentire i Comuni" in determinate circostanze, frase per lo più priva di qualsiasi risvolto concreto.
La cosiddetta "ingegneria del consenso" è, infatti, un'articolazione di azioni quali, ad esempio, studi della domanda, diffusione di un'informazione dettagliata ed esauriente, definizione di ipotesi alternative, predisposizione di iniziative atte a compensare eventuali impatti negativi, per l'appunto di natura tecnica e di supporto alla costruzione delle decisioni politiche concertate fra due o più enti pubblici coinvolti nel progetto.
Il percorso, che si è iniziato riguardo il parco interregionale del Delta del Po assume in sé le caratteristiche qui brevemente accennate. Dopo una fase di audizione di tutti i rappresentanti degli interessi locali - dai sindacati alle associazioni ambientaliste, dagli imprenditori ai pescatori, dalle Camere di Commercio ai Consorzi di bonifica - nonché di coinvolgimento dei Comuni interessati, delle Province e delle Regioni anche da un punto di vista tecnico, di progetti e programmi previsti per il territorio in esame, su un primo programma di interventi e di azioni concrete è stata costituita la "Consulta degli interessi del Delta del Po". In essa sono confluite tutte le organizzazioni sociali e produttive presenti nella zona, affiancate dai Comuni e dalle Province.
L'obiettivo della Consulta è principalmente la predisposizione di un programma stralcio straordinario, sul quale si sta lavorando, che comprenda tutti i progetti la cui attuazione sia considerata "prioritaria" per la tutela del territorio e per la sua valorizzazione economico-produttiva, costruendo su ciascuno di questi il consenso e le necessarie mediazioni.
La costruzione di questo programma è preliminare al pieno coinvolgimento delle Regioni cui, a questo punto del percorso, il Cnel affida il proseguimento del progetto parco.
Su un forte impulso sindacale, che si richiama agli accordi di luglio come modello di partecipazione di tutte le forze sociali alle scelte istitu-
zionali, la posizione dei sindacati e delle altre organizzazioni sociali è stata interpretata come una volontà di coinvolgimento e di partecipazione diretta alle scelte di sviluppo.
Le successive riunioni, intercalate con incontri ristretti con singole organizzazioni sociali e con le istituzioni locali, hanno visto la Consulta degli interessi impegnata per la definizione del programma stralcio straordinario, per il quale peraltro si sono riscontrate, a favore del parco, sensibilità, attenzione e disponibilità da parte degli enti di finanziamento.
In altri termini si è cercato di coinvolgere il Parco del Delta in un processo di recupero delle aree depresse attraverso azioni tese:

  • a) a dare una costante informazione sulle concrete possibilità di sviluppo:
  • b) ad avviare un'attività di formazione professionale tesa a valorizzare la risorsa ambientale;
  • c) a sostenere le politiche volte all'incremento dell'occupazione;
  • d) a recuperare alcune risorse compromesse da un uso incontrollato, come nel caso della rivivificazione delle lagune.
I primi risultati rispetto al programma prima delineato riguardano innanzi tutto l'individuazione delle opere e dei progetti sui quali si sono espresse le parti sociali e le istituzioni locali. Alla domanda di indicare quali progetti ciascuno ritenesse di prioritario interesse e quali progetti ciascuno ritenesse eventualmente inopportuni, sono seguite risposte omogenee, che consentono di enucleare un primo elenco di opere da finanziare.
In generale, si può affermare che se i progetti strettamente concernenti il recupero ambientale sono stati giudicati di prioritario interesse solo dalle associazioni ambientaliste, è però da registrare un consenso generale su diversi progetti per opere idrauliche - come gli interventi contro l'inquinamento e l'eutrofizzazione del fiume e del mare - e per investimenti volti allo sviluppo, quali l'armamento della foce del Po di Levante in località Cà Cappello. In settori strategici, come quello della viabilità o quello della valorizzazione turistica, alcuni accorgimenti e condizioni possono condurre alla formazione del consenso: se, ad esempio, la realizzazione della Romea Ferroviaria per il trasporto delle merci riscuote un favore generale e può quindi essere considerata prioritaria, si potrebbe contestualmente procede al ridimensionamento dei progetti relativi al trasporto su strada, che sono, com'è ovvio, meno compatibili da un punto di vista ambientale.
In sintesi, comunque, questi primi risultati evidenziano aspetti interessanti:
  • si è riscontrata una generale compatibilità dei progetti indicati dalle diverse organizzazioni quali priorità per lo sviluppo dell'area e la tutela ambientale;
  • vi è una sostanziale convergenza su alcuni progetti da parte delle diverse forze sociali ed economiche, anche contrapposte, nonché delle istituzioni locali;
  • vi è una generale compatibilità dei progetti con la dimensione interregionale del parco.
    Giova soffermare l'attenzione sul fatto che tali risultati, tradotti in termini di progetti da finanziare, sono espressione diretta delle esigenze manifestate in loco dai soggetti confluiti nella Consulta: le priorità indicate, in altri termini, non derivano da scelte "lontane" o da considerazioni politiche astratte, ma sono le scelte di chi lavoratore o imprenditore, ambientalista o cacciatore - nell'area vive e lavora, ed ha quindi la percezione giusta dei problemi reali e delle prospettive concrete di sviluppo di un'area che, pur essendo situata nel nord Italia, risulta comunque una zona suscettibile di un consistente miglioramento economico.
    Questa genesi del programma rappresenta un dato di grande valore: innanzi tutto un valore intrinseco, perché garantisce la concretezza e quindi il buon esito delle scelte, ma anche un valore aggiunto, che consiste nell'aver segnato un momento realizzativo importante rispetto all'azione di stimolo della rappresentanza sul territorio.
    Non è forse inutile ricordare, infatti, che l'insieme di queste azioni non significa e non si traduce in un esautoramento delle istituzioni competenti, ma realizza semmai un servizio, un supporto tecnico-politico in favore di Regioni ed Enti locali cui alla fine viene demandato il potere decisionale che è loro attribuito dalla Costituzione e dalle leggi in materia.

* Cnel