Federparchi
Federazione Italiana Parchi e Riserve Naturali


PARCHI
Rivista del Coordinamento Nazionale dei Parchi e delle Riserve Naturali
NUMERO 15 - GIUGNO 1995


RASSEGNA DI LEGISLAZIONE E GIURISPRUDENZA AMBIENTALI
a cura di Nicola Assini e Paolo Francalanci

1. Disciplina comunitaria
Corte di Giustizia - Ricorso dell'An Taisce e del WWF-UK contro la Commissione
L'An Taisce - The National Trust for Ireland e il WWF-UK (World Wild Fund for Nature) hanno presentato un ricorso contro la Commissione delle Comunità europee - causa C-407/92 (G.U.C.E. C 27 del 30 gennaio 1990). Tale ricorso ha causato un vivace dibattito a livello di Parlamento europeo, che ha contestato la Commissione sulla definizione e attuazione della politica comunitaria in materia d'ambiente da parte della Commissione stessa. n ricorso dell'An Taisce e del WWF contesta la decisione della Commissione di continuare a finanziare 2,7 milioni di sterline irlandesi a carico dei fondi strutturali della Comunità europea relativamente al centro di divulgazione per visitatori in Mullaghmore, The Burren, in Irlanda. Tale progetto rientra nel programma operativo per il turismo (1969-1993) adottato dal Govemo irlandese per ricevere i finanziamenti della Comunità.
L'An Taisce ed il WWF hanno impugnato le decisioni della Commissione in quanto proprietari del terreno dove dovrebbe sorgere il centro di divulgazione (zona sensibile dal punto di vista ambientale), poiché tali decisioni li "riguardano direttamente ed individualmente", come recita l'articolo 173,2° comma del Trattato. I ricorrenti chiedono alla Corte di Giustizia di annullare la decisione della Commissione, poiché quest'ultima avrebbe violato: a) I'art. 130 R del Trattato (ambiente) avendo "omesso di preservare, proteggere e promuovere la qualità dell'ambiente"; b) il reg. (CEE) n. 2052/88 relativo ai fondi strutturali poiché "ha omesso di provvedere affinché i fondi strutturali comunitari vengano utilizzati in conformità al diritto e alla politica comunitaria in materia e tutela dell'ambiente; c) la direttiva 92/43/CEE sulla protezione degli habitat naturali, non ritenendosi vincolata da quanto in essa stabilito, poiché la direttiva, seppur adottata a livello comunitario, non è ancora attuata da tutti gli Stati membri; d) la Convenzione di Bema relativa alla conservazione della vita selvatica e dell'ambiente naturale in Europa recepita nel diritto comunitario con decisione del Consiglio 82/72/CEE del 3 dicembre 1981. I ricorrenti, inoltre, sostengono che la Commissione
avrebbe compiuto errori nella valutazione dell'adeguatezza dell'applicazione da parte dell'Irlanda delle direttive 85/337/CEE, sulla valutazione d'impatto ambientale, e 80/68/CEE sulle acque sotterranee.
In attesa della conclusione dell'iter processuale e del giudizio di merito, il Parlamento europeo ha espresso il suo giudizio politico appoggiando l'iniziativa dei ricorrenti e deplorando l'intervento comunitario.
Disciplina comunitaria degli aiuti di Stato per la tutela dell'ambiente (G.U.C.E. C 72,10 marzo 1994)
n presente documento illustra i criteri che la Commissione intende applicare nella valutazione, alla luce dell'art. 92 del trattato, degli aiuti di Stato concessi ai fini della protezione dell'ambiente per i seguenti scopi:

  • aiuti agli investimenti (aiuti per l'adeguamento a nuove norme ambientali obbligatorie, aiuti destinati ad incoraggiare l'osservanza di criteri più rigorosi di quelli previsti dalle norme ambientali vigenti, aiuti in caso di inesistenza di norme ambientali obbligatorie); - aiuti alle attività di informazione, alla formazione e all'assistenza-consulenza;
  • sovvenzioni temporanee a copertura di costi di funzionamento;
  • aiuti all'acquisto di prodotti rispettosi dell'ambiente.
    La presente disciplina non esenta gli Stati membri dall'obbligo di notificare, in forza dell'art. 93, par. 3, del trattato CE, i regimi di aiuto, le modifiche di tali regimi nonché ogni misura individuale di aiuto alle imprese, concesso al di fuori dei regimi autorizzati.

Proposta di direttiva del Consiglio, presentata dalla Commissione il 1° marzo 1994, che modifica la direttiva 79/409/CEE del Consiglio concernente la conservazione degli uccelli selvatici (G. U.C.E. C 100, 9 aprile 1994)
La direttiva 79/409/CEE (G.U.C.E. L 103,1979) è finalizzata a proteggere, gestire e regolare, all'interno del territorio della Comunità, tutte le specie di uccelli selvatici e a disciplinarne lo sfruttamento. A tal fine, è prevista l'adozione, da parte degli Stati membri, di misure atte a garantire, da un lato, l'instaurazione di un regime generale di protezione, e dall'altro, la preservazione, il mantenimento e il ripristino dei biotopi e degli habitat.
L'art. 7 della direttiva fissa criteri comuni in materia di caccia. In particolare, gli atti di caccia devono essere compatibili con il mantenimento delle popolazioni di tali specie ad un livello soddisfacente.
La presente proposta, che modifica l'art.7, par. 4 del-la direttiva, definisce i criteri che gli Stati possono utilizzare per determinare la fine dei periodi di caccia per le specie migratrici.
Direttiva 94/24/CEE del Consiglio dell'8 giugno 1994 che modifica l'allegato 11 della direttiva 7914091 CEE concernente la conservazione degli uccelli selvatici (G.U.C.E. L 164, 30 giugno 1994)
La necessità di adeguare l'allegato II della direttiva 79/409/CEE (G.U.C.E. L 103, 25 aprile 1979), finalizzata a proteggere e regolare tutte le specie di uccelli selvatici all'interno della Comunità dipende dall'attuale mutamento della situazione dell'avifauna in Italia, che impone di eliminare dal predetto allegato alcune specie (Limosa limosa, Limosa lapponica e Numenius arquata) onde proteggerne altre (Numenius enuirostis) gravemente minacciate.

2. Normativa statale
Deliberazione Comitato aree protette, 21 dicembre 1993. Approvazione del primo programma triennale per le aree naturali protette (in G.U. n. 94 del 23.4.1994).
Il Comitato per le aree naturali protette ha deliberato l'approvazione del primo programma triennale per le aree protette in data 21 dicembre 1991 (cfr. G.U., serie generale, del 23.41994). Il testo della delibera è davvero sintetico: si limita soltanto ad indicare una serie di norme di rinvio.
Pertanto un commento che volesse prendere in considerazione solamente tale atto normativo sarebbe decisamente poco significativo. Ciò che invece ha suscitato un interesse particolare è stato l'allegato alla delibera.
In pratica, è proprio nel suddetto allegato che il Ministero dell'ambiente ed il Comitato per le aree naturali protette esprimono dettagliatamente il significato, nonché il concreto sistema, mediante il quale il piano si porrà come mezzo di difesa del territorio.
Vengono infatti elencati tutti gli strumenti normativi grazie ai quali si intende dare una reale attuazione alla politica ambientale. Inizialmente viene fatto riferimento al quadro normativo internazionale, che funge da parametro cui si ispirano le singole politiche interne degli Stati.
Gli obiettivi primari della tutela internazionale delle aree protette sono quelli di:

  • 1) porle al centro delle "strategie di sviluppo sostenibili"
  • 2) aumentare "il supporto che le aree protette ricevono da tutti i settori della società"
  • 3) realizzare una gestione razionale, ed infine
  • 4) "mobilitare un sostegno internazionale" per tali aree.
    Delineati questi punti di riferimento, vengono citati convegni e conferenze internazionali in cui è stato preso in considerazione il problema della tutela ambientale con particolare riferimento alla strategia delle aree protette, avendo ravvisato in essa, purché gestita in maniera globale, una valida opzione tra quelle idonee dal punto di vista ecologico.
    In seguito, si passa di nuovo alla considerazione della realtà italiana elencando i vari strumenti di realizzazione della tutela delle aree protette.
    Lo strumento principale di pianificazione è il programma triennale per la tutela ambientale. Affinché avesse una concreta aderenza con le esigenze territoriali, di volta in volta differenti, il programma è articolato nel programma nazionale ed in quello regionale; quest'ultimo deve essere coerente con il contenuto del programma nazionale.

Ordinanza del Ministero dell'ambiente 18 ottobre 1994 - Differimento dei termini per il parere in merito alle richieste di autorizzazione per interventi ricadenti nelle aree definite dal perimetro provvisorio dei Parchi nazionali del Gran Sasso e Monti della Laga e della Maiella, di cui al decreto ministeriale 4 novembre 1993 (G.U. 27 dicembre 1994, n.301).

Ordinanza del Ministero dell'ambiente 18 ottobre 1994 - Differimento dei termini per il parere in merito alle richieste di autorizzazione per interventi ricadenti nelle aree definite dal perimetro provvisorio dei Parchi nazionali del Gargano e del Vesuvio, di cui al decreto ministeriale 4 novembre 1993 (G.U. 27 dicembre 1994, n. 301).

Ordinanza del Ministero dell'ambiente 18 ottobre 1994 - Differimento dei termini per il parere in merito alle richieste di autorizzazione per interventi ricadenti nelle aree definite dal perimetro provvisorio del Parco nazionale del Cimento e Vallo di Diano, di cui al decreto ministeriale 4 novembre 1993 (G.U.27 dicembre 1994, n. 301).
Le tre ordinanze constano di un articolo unico nel quale si dispone, per le prime due, che i termini di sessanta e trenta giorni, previsti dall'articolo 9, comma 2, dei decreti del 4 novembre 1993 con cui sono state definite le perimetrazioni provvisorie e le misure provvisorie di salvaguardia dei Parchi nazionali rispettivamente del Gran Sasso e Monti della Laga e della Maiella, e del Gargano e del Vesuvio, sono sostituiti rispettivamente da centoventi e sessanta giorni.
In base all'articolo unico della terza ordinanza raddoppiano anche i termini di sessanta e trenta giorni, previsti dall'articolo 9 del decreto del 5 agosto 1993 con cui sono state definite la perimetrazione e le misure provvisorie di salvaguardia del Parco nazionale del Cilento e del Vallo di Diano

3. Normativa regionale
Lombardia
Progeffo di legge n. 365 presentato il 10 agosto 1993. Avvio alle procedure per l'istituzione del Par-co regionale della Brughiera Briantica e Comasca (assegnato in data 20.9.1993 alla Vl commissione in sede referente).
Il progetto di legge che veniamo ad esaminare mira ad istituire, all'interno dell'ambito territoriale denominato Brughiera Comasca, un parco naturale regionale. La proposta, in realtà, non nasce ex abrupto, perché l'area della Brughiera Comasca è già stata oggetto di considerazione legislativa nel contesto della disciplina prevista dal primo piano regionale delle aree protette, di cui alla L.R.30 novembre 1983, n. 86.
Il secondo obiettivo è quello di avviare il processo amministrativo e legislativo, disciplinando ex lege il percorso che, in tale contesto, dovrà essere seguito, rifuggendo da impostazioni verticistiche con proposte varate dall'alto (rectius: dagli uffici e dai consiglieri regionali), per favorire, invece, la più ampia partecipazione e consultazione delle amministrazioni e dell'associazionismo locale.
A tal fine, l'art.4 prevede espressamente l'istituzione di un organismo di consultazione e partecipazione, significativamente denominato "comitato di proposta". Esso sarà costituito da sindaci ed amministratori locali, unitamente ad esperti e rappresentanti di gruppi e associazioni del territorio, già impegnati da tempo in questa esperienza, e che saranno indicati nell'apposito decreto di nomina, che sarà emanato a suggellarne l'importanza amministrativa - dal presidente della Regione, previa deliberazione licenziata dalla Giunta regionale. Mentre rimette alla Giunta ed al presidente della medesima la composizione numerica e nominativa del Comitato (che non potrà comunque non contemperare l'esigenza di rappresentatività a quella non meno importante di funzionalità), la norma prevede espressamente sin d'ora che il compito di coordinamento dei lavori dell'organismo sia affidato ad un amministratore provinciale, in coerenza con le nuove attribuzioni assegnate in materia alle Province dalla legge 142/1990.
Progetto di legge n. 380 dell'11 novembre 1993. Modifiche ed integrazioni all'allegato A della L.R. 30 novembre 1983 n. 86 in materia di aree regionali protette (assegnato in data 29 ottobre 1993 alle commissioni: Vl in sede referente; IV in sede consultiva).
L'approvazione della legge regionale 16 agosto 1993 n. 26, in adeguamento alle disposizioni recate dalle leggi statali 394/91 e 157/92, ha introdotto il divieto di esercizio dell'attività venatoria in tutte le riserve naturali, ivi comprese le riserve naturali parziali.
L'introduzione del divieto di caccia determina situazioni di grave disagio ed il pericolo di serie compromissioni ambientali in 6 riserve naturali, gestite dall'amministrazione provinciale di Pavia, il cui territorio è in tutto o in parte ricompreso nell'ambito di aziende faunistico-venatorie. In questi sei casi, il regime di riserva naturale parziale, che tutela i siti di nidificazione di ardeleidi gregari, convive con l'istituzione dell'azienda faunistico-venatoria, che peraltro presenta in buona parte finalità e attività di tipo naturalistico.
La figura delle riserve naturali non risulta più idonea a garantire l'efficace conservazione dei luoghi e appare quindi indispensabile reperire nell'ambito della vigente legislazione (L.R. 30.11.1983 n. 86) un regime di tutela più adeguato alla peculiare realtà di queste garzaie.
La figura del monumento naturale si dimostra consona in quanto specificatamente destinata a tutelare "piccole superfici nell'ambiente naturale di particolare pregio naturalistico e scientifico che devono essere conservati nella loro integrità" (art. 1, comma 1 lettera C, L.R. 86/83).
Non si può negare il "pregio naturalistico e scientifico" di queste garzaie, del quale fanno testimonianza: - il "Modello di gestione delle riserve naturali della regione Lombardia sedi di garzaie", elaborato dall'Amministrazione provinciale di Pavia in collaborazione con il Dipartimento di biologia animale dell'Università di Pavia e l'Azienda regionale foreste, assunto dalla Regione Lombardia come strumento di gestione degli ardeidi coloniali e dei loro siti di nidificazione nell'intero territorio lombardo;
- numerose pubblicazioni scientifiche a livello nazionale e internazionale.
E' evidente dunque che oggetto di tutela diretta, nell'intento di proteggere la garzaia, non è tanto la specie ornitica, quanto l'habitat nidificatorio, inteso quest'ultimo come ambiente che continua a proporre e garantisce nel lungo periodo i requisiti idonei al mantenimento o al reinsediamento della colonia ornitica, e concretamente rappresentato da porzioni di bosco con particolari e riconosciute caratteristiche dimensionali e strutturali, affollato di nidi, circondato da estensioni di canneto e acqua libera, difeso da canali e limitrofo alle colture risicole.
E come tale va difeso e conservato nella sua integrità con opportuni interventi manutentivi, pena l'abbandono, la diserzione dai nidi da parte degli aironi e dunque il venir meno del suo valore peculiare.

4. Giurisprudenza
T.A.R. Emilia-Romagna, Bologna, Sez. 1, 16 marzo 1993 n. 147 (Santi contro Comune di Fiumalbo).
Con la sentenza in epigrafe si è tornati sul tema della natura del termine previsto ai sensi dell'art. 1 ter della legge n. 431/1982 che aveva avuto interpretazioni divergenti sia in dottrina che in giurisprudenza ormai da circa un decennio.
In particolare la questione concernente il suddetto termine è stata incentrata sulla perentorietà o meno della data di scadenza dei vincoli imposti ex art. 7 della legge 1497/1939 e riguardanti la tutela paesaggistica, definita proprio dalla suddetta legge n. 431 del 1985 alla data del 31 dicembre 1986.
L'andamento della giurisprudenza sul punto è stato
del tutto peculiare, atteso che per fasi alterne si sono ricorsi i due orientamenti contrastanti in base ai quali, per una tesi più garantista, detti vincoli scadevano alla suddetta data del 31 dicembre 1986, senza che peraltro fossero applicabili le misure di salvaguardia atte ad impedire la possibilità di costruire in dispregio delle indicazioni dei piani paesistici ovvero della legge n. 431 del 1985; d'altro canto si riteneva che il termine indicato dalla legge non escludesse il mantenimento delle misure di salvaguardia anche in seguito e fosse indicazione esclusivamente del tempus a quo per l'esercizio di interventi di tipo sostitutivo da parte dello Stato.
Esempio della giurisprudenza che, tenendo presente l'indicazione costituzionale circa la temporaneità delle limitazioni del diritto di proprietà ed al diritto "naturale" di proprietà, è in T.A.R. Campania, Sez. 1, 26 febbraio 1991, n. 23, in Foro it., III, 125.
L'inedificabilità voluta dal legislatore è certamente finalizzata alla redazione di un piano paesistico che, nelle intenzioni, dovrebbe realizzare, nella sua organicità "gestionale e dinamica", una tutela integrale e globale dei valori paesaggistici ed ambientali. Diversamente, il ragionamento posto a base della contrapposta tesi, che qui trova accoglimento nella pronuncia del Consiglio di Stato, si fonda sul carattere meramente finalizzato all'intervento dell'ente regionale nel termine del 31 dicembre 1986, atteso che questo termine non intende essere esso stesso una sorta di limite alla validità dell'attività di conformazione del territorio secondo determinati parametri, ma appare piuttosto come una modalità attraverso la quale addivenire all'intervento del potere sostitutivo statale. Pertanto, secondo questa tesi, il termine più che riguardare l'oggetto della normativa, riguarda il soggetto (la Regione che deve attivarsi) delineando un potere straordinario di intervento da parte dello Stato. Peraltro, verso la determinazione attuata in via temporanea dallo Stato, assume costante rilevanza per il carattere di indefettibilità di una scelta a tutela dei beni ambientali, carattere che permane attraverso le misure di salvaguardia che individuano lo stato dei luoghi non suscettibili di mutamento e preservano quindi la realizzazione di opere aggiuntive rispetto a quelle già esistenti.
Su questa linea, avvalorata da alcuni Tribunali amministrativi come quello dell'Emilia, vedere anche, tra tante, dal T.A.R. del Lazio, Sez. 1, 30 novembre 1989, n. 1729 e Sez. II, 20 settembre 1989, n. 1270, in Foro it., 1991, III, 203.
In ordine poi alle esperienze concrete di adozione di piani paesistici va ricordata l'esperienza positiva di Regioni come l'Emilia-Romagna e Friuli-Venezia Giulia ove i piani paesistici sono stati positivamente realizzati e hanno trovato, al pari, applicazione adeguata al rispetto per le bellezze naturali. In proposito Corte cost. 13 luglio 1990, n. 327, e Corte cost. 9 dicembre 1991, n. 437.
La considerazione da cui parte la decisione del Consiglio di Stato è che in materia di vincoli paesaggistici e di conseguente valutazione della imposizione di limitazione non possa farsi riferimento all'art.42 della Costituzione, che impedisce l'applicazione di vincoli a carattere espropriativo senza adeguato indennizzo.
Stessa considerazione è rinvenibile nella sentenza del Tribunale amministrativo dell'Emilia-Romagna che ha ritenuto di aderire alla tesi, invero maggioritaria in dottrina sin dalla introduzione della normativa del 1985; cfr. Immordino, Dal decreto Galasso alla legge n. 43111985; la tutela del paesaggio tra Stato e Regioni, in Riv. giur. urb.., 1986, II, 606 ss. e Cozzuto, Legge 8 agosto 1985 n. 431 - Tutela del paesaggio, in Nuova giur. civ. commentata, 1987, II, 175 ss.
Sempre in ordine all'intervento sostitutivo dello Stato, nel corso dei primi mesi dell'anno 1994 il Governo ha dato corso all'esercizio di questo per quelle Regioni che sono ancora inadempienti agli obblighi imposti dalla cennata legge n. 431 del 1985.
Coffe Costituzionale,31 marzo 1994, n. 110 (Giudizio di legittimità costituzionale in via incidentale)
La sentenza della Corte in oggetto concerne questioni di legittimità costituzionale relative alla determinazione degli ambiti territoriali non sottoposti a vincolo paesaggistico, secondo la disciplina dell'art. 11, lettera a), della legge della Regione Piemonte 3 aprile 1989, n. 20, che detta norme in materia di beni culturali, ambientali e paesistici.
La norma denunciata prevede che il vincolo disposto per le categorie di beni indicati dall'art. 82, quinto comma, del d.p.r. 24 luglio 1977, n. 616, aggiunto dall'art. 1 del decreto-legge n. 312 del 1985 (tra i quali le sponde dei corsi d'acqua per una fascia di 150 metri ciascuna), non si applica, in conformità a quanto prevede la legge statale, nelle zone territoriali interessate da agglomerati urbani storici o che siano già parzialmente edificate (zone A e B previste dall'art. 2 del decreto ministeriale 2 aprile 1968, n. 1444), nonché - limitatamente alle parti comprese nei piani pluriennali di attuazione - nelle zone assimilate alle zone A e B del d.m. 2 aprile 1968, n. 1444 e cioè nei centri edificati, nei nuclei minori, nelle aree sia residuali che produttive a capacità insediativa esaurita o residua e in quelle di completamento così definite nei piani regolatori approvati ai sensi del titolo 9 della legge regionale 5 dicembre 1977, n. 56 e successive modifiche ed integrazioni.
La Corte osserva che l'art. 11, lettera a), della legge della Regione Piemonte n. 20 del 1989, adottata nell'esercizio delle funzioni trasferite dallo Stato con il d.p.r. 15 gennaio 1982, n. 8 e di quelle delegate dall'art. 82 del d.p.r. n. 616 del 1977, muta sostanzialmente, estendendolo, l'ambito territoriale delle zone di particolare interesse ambientale sottratte al vincolo paesaggistico previsto dalla legge n. 1497 del 1939, delimitato dall'art. 82, sesto comma, del d.p.r. n. 616 del 1977. Difatti la disposizione censurata, nella parte in cui assimila alle zone territoriali sottrat-te al vincolo in conformità alla definizione del legislatore statale altre e diverse zone che non presentano necessariamente le medesime caratteristiche o che sono poste al di fuori dei centri edificati perimetrati, limita la tutela paesistica ed ambientale disposta dal legislatore statale conforme dotate di particolare forza vincolante nei confronti della legislazione regionale, in quanto qualificate come norme fondamentali di riforma economico-sociale (art. 2 della legge n. 431 del 1985), ed alle quali è da riconoscere tale natura. La diversa determinazione operata dal legislatore regionale sembrerebbe porsi in contrasto con l'art. 117 della Costituzione.
A giudizio della suprema Corte deve essere pertanto dichiarata, con riferimento a tale parametro di giudizio, rimanendo assorbito ogni altro profilo, l'illegittimità costituzionale dell'art. 11, lettera a), della legge regionale del Piemonte n. 20 del 1989, nella parte in cui prevede che non si applica il vincolo posto dall'art. 1 della legge 8 agosto 1985, n. 431 «nelle zone assimilate alle zone A e B del d.m. 2 aprile 1968, n. 1444 e cioè nei centri edificati, nei nuclei minori, nelle aree sia residenziali che produttive a capacità insediativa esaurita o residua e in quelle di completamento così definiti nei piani regolatori approvati ai sensi del titolo III della legge regionale 5 dicembre 1977, n.56 e successive modificazioni ed integrazioni.
La sentenza della Corte attiene ad un profilo caratteristico del conflitto di competenza tra lo Stato e le Regioni, rappresentato dalla portata dei vincoli paesistici e dalla possibilità riconosciuta alle stesse Regioni di incidere sulle zone che sono ex lege assoggettate a tale vincolo.
Al riguardo va innanzitutto osservato che il legislatore nazionale, nell'identificare i limiti nell'espletamento del potere di direzione da parte dello Stato nei confronti delle Regioni, ha inteso dettare alcune norme di principio attraverso le quali è possibile ricostruire in che termini detto rapporto è configurabile.
In primo luogo viene in evidenza che la legislazione nazionale ha inteso, sia pure a seguito del passaggio alle Regioni della materia della tutela paesistica ed ambientale, mantenere in capo allo Stato ed alla legislazione primaria un forte potere di indirizzo che non si espleta attraverso l'indicazione delle finalità della tutela ma trova anche sostanza nelle indicazioni di ordine pratico relative alle aree da assoggettare o meno al vincolo paesistico.
In relazione a questo aspetto della diversificazione tra gli ambiti di tutela regionale e statale va chiarito, come ha fatto la Corte costituzionale con la sentenza in commento, che da un lato la normativa regionale può procedere all'identificazione dei piani paesistici attraverso i quali definire il vincolo, mentre dall'altro spetta alla legislazione di livello nazionale identificare la tipologia degli interventi realizzabili nell'ambito delle diverse tipologie di aree.
La giurisprudenza della Corte già più volte si è espressa nel senso dell'estraneità della legislazione regionale rispetto a qualsivoglia identificazione in
senso proprio, da parte della Regione, dell'estensione dell'area sottratta al vincolo paesistico.
Nelle varie occasioni, I'elemento conduttore della giurisprudenza costituzionale è stato costantemente rappresentato dall'autonomia delle disposizioni di provenienza regionale da quelle poste da parte del legislatore statale e, inoltre, dall'assoluta impossibilità per la legislazione regionale di intervenire non tanto per individuare, ovvero fornire elementi di dettaglio per l'assestamento della disciplina urbanistica, quanto piuttosto per modificare in toto od in parte l'identificazione del potere di individuazione da parte del legislatore nazionale degli ambiti di intervento della legge regionale. Nel caso della Regione Piemonte l'esclusione del vincolo posto con l'art. 1 della legge n. 431 del 1985 (definita di riforma economico-sociale) si giustifica con il fatto che la stessa Regione ha operato un taglio verticale di tutta una fetta di ambiti territoriali dall'applicazione del vincolo, con la conseguenza di rimettere all'autorità amministrativa (rappresentata dai Comuni) la concreta identificazione delle suddette aree.
Ed infatti vengono escluse le zone ricomprese negli standards urbanistici e cioè le zone residenziali, i centri edificati e le aree a destinazione industriale oltre a quelle ricomprese negli strumenti urbanistici attuativi dei piani regolatori con la conseguenza di rimuovere la finalità stessa della normativa di tutela.
Questa non va calibrata in relazione all'esistenza contemporanea di strumenti urbanistici propri o a carattere sostitutivo ma in relazione alla conformazione del territorio ed al rispetto delle bellezze naturali, ove queste siano rinvenute e senza alcuna esclusione di principio. Dettare questa esclusione significa limitare la portata di una disposizione di livello superiore all'ambito di esplicazione della normativa regionale incidendo in maniera elusiva sulla portata stessa del vincolo che, ovviamente, preesiste alla strumentazione urbanistica.
Consiglio di Stato, Sez. Vl, 21 maggio 1994, n. 816 (Bonetti contro Consorzio Parco lombardo della Valle del Ticino)
Nella fattispecie, il presidente del Consorzio Parco lombardo della Valle del Ticino adottava un provvedimento di sospensione del taglio e del disboscamento di piante intrapreso dal titolare di un'azienda agricola nell'ambito di un piano di bonifica e di recupero agricolo approvato e finanziato dalla Regione Lombardia, motivando il provvedimento col fatto che il taglio non si era limitato ai cespugli di salice selvatico e ceduo di ontano, ma aveva interessato anche altra vegetazione al fine di aprire nuovi canali per l'irrigazione.
Dunque, stando alla decisione del Consiglio di Stato, al fine della tutela delle caratteristiche ambientali e naturalistiche del territorio dei parchi istituiti con legge regionale e delle specie agricole in esso esistenti, spetta al presidente del Consorzio del parco una funzione di vigilanza e di intervento che si estrinsecanon solo in un potere di prescrizioni o divieti, ma anche in ordini di sospensione di attività non consentite, allo scopo di salvaguardare e conservare il patrimonio boschivo esistente nella zona protetta.
Cassazione penale, sez. 111, 2 luglio 1994, n. 7556 (ud 916194) - Pres. Corsaro - Rel. Novarese - P.M. D'Ambrosio (Conf.) - Imp. P.M. in Proc. Daroit.
In materia di protezione delle bellezze naturali la nozione di territorio coperto da bosco nella legislazione paesaggistica ed in particolare nella legge Galasso, deve essere ricavata non solo in senso naturalistico ma anche normativo, riferendosi a provvedimenti legislativi, nazionali e regionali, e ad atti amministrativi generali o particolari, sicché non è possibile adottare, alla luce della ratio della legge n. 431 del 1985, una concezione quantitativa e restrittiva di bosco, dovendosi includere anche le aree limitrofe che servono per la salvaguardia e l'ampliamento, attesa la significativa differenza tra bosco e territorio coperto da bosco, che implica un elemento tipizzante quella zona. Il particolare regime dei suoli introdotto nella Regione Toscana, in materia di attività estrattive, dalla legge regionale 30 aprile 1980 n. 36 e successive modificazioni è ispirato al principio secondo cui la coltivazione di cave nel territorio regionale è ammessa soltanto nelle zone appositamente previste negli strumenti urbanistici, con la conseguenza dell'inammissibilità in aree diverse. In tale Regione l'autorizzazione alla coltivazione di cave è affidata al sindaco con logica coerenza, in quanto il provvedimento particolare (autorizzazione) deve verificare preventivamente la corrispondenza con le specifiche prescrizioni e destinazioni degli strumenti urbanistici generali (piano regolatore, piano di fabbricazione).
Corte Costituzionale, 6-15 luglio 1994, n. 302 (Giudizio di legittimità costituzionale in via principale. G. U. n. 30 del 20. 7.1994 - 1° serie spec.)
Oggetto della presente sentenza è il conflitto di competenza tra lo Stato e le Regioni, nella fattispecie la Valle d'Aosta ed il Trentino-Alto Adige. La norma, di cui si solleva l'ipotesi di parziale incostituzionalità, è l'art. 4 della legge n. 10 del 4 gennaio 1994.
I ricorsi presentati dalle suddette Regioni argomentano la richiesta di intervento della Corte Costituzionale facendo rinvio anche all'art. 35 della legge n. 394 del 1991, cioè la legge-quadro sui parchi naturali. Tale legge, infatti, anche in questa ipotesi di conflitto di competenza, si pone come parametro normativo di base.
L'art. 35 detta disposizioni transitorie in vista dell'adeguamento ai principi sanciti dalla legge stessa. Prevede che sia il decreto del presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del ministro dell'ambiente, lo strumento legislativo mediante il quale procedere all'attuazione delle disposizioni della legge-quadro. Prosegue poi, sempre al primo comma, nell'esplicita menzione del Parco nazionale del Gran Paradiso e di quello dello Stelvio. Per entrambi si parla di previe intese con le Regioni interessate; addirittura per il Parco nazionale dello Stelvio si parla di assunzione di intese anche con la Regione Lombardia.
L'art.4 della legge n. l0 del 1994 prevede invece che entro novanta giorni dall'entrata in vigore della legge stessa «... il ministro dell'ambiente, con proprio decreto, provvede all'adeguamento della disciplina dei parchi naturali...». Tale norma si pone in contrasto con quanto precedentemente sancito dalla legge-quadro sotto un duplice profilo: in primo luogo, per il soggetto tenuto ad emanare i provvedimenti di adeguamento; secondariamente, perché scompare il riferimento alle intese con le Regioni.
Le parti ricorrenti asseriscono, tra l'altro, che la materia dei parchi naturali è connessa con altre di competenza legislativa primaria della Regione. Inoltre, data la necessità di interazione con i settori dell'urbanistica e dell'agricoltura, le Regioni ricorrenti sottolineano come la disciplina dei parchi rientri sotto vari profili nella competenza legislativa regionale esclusiva. Per questo motivo il provvedimento di adeguamento alla legge-quadro, emanato senza neppure aver interpellato le Regioni interessate, si configura maggiormente come una sorta di riserva di competenza statale che invece non è prevista in nessuna disposizione, né si concilia con il dettato dell'art. 117 della Costituzione.
La violazione delle intese appare poi tanto più accentuata se si tiene conto che l'adeguamento viene fatto sulla base di un semplice decreto del ministro dell'ambiente, senza coinvolgere l'esecutivo nella sua globalità. A quest'ultima argomentazione l'Avvocatura dello Stato, che rappresenta il Consiglio dei ministri, risponde dicendo che il decreto del ministro dell'ambiente, anziché del presidente del Consiglio dei ministri, voleva rappresentare una semplificazione dell'iter ed una abbreviazione dei tempi di intervento.
La Corte Costituzionale articola la sua pronuncia definendo la legge-quadro n. 394 del 1991 una norma innovativa che ha introdotto il concetto di area protetta quale centro di imputazione di interessi differenziati, non solo di tipo naturalistico ma anche culturale, educativo ed economico. Inoltre, continua la Corte, la sua giurisprudenza è sempre stata costante nel sottolineare la necessità della cooperazione tra Stato e Regioni, al fine di combinare armonicamente gli interessi locali e quelli dell'intera nazione. Di volta in volta l'intesa tra Stato e Regioni si differenzierà nelle forme e nei contenuti, ma comunque non se ne potrà prescindere aprioristicamente, soprattutto in un caso come questo in cui esiste una norma precisa che la richiede (art. 35 della legge n. 394/1991).
Pertanto la Corte Costituzionale accoglie entrambi i ricorsi e pronuncia l'illegittimità costituzionale parziale dell'art. 4 (legge n. 10/1994) per quanto attiene alla mancata previsione delle intese con le Regioni interessate, in tema di adeguamento al disposto dell'art. 35 della legge-quadro n. 394 del 1991.