Federparchi
Federazione Italiana Parchi e Riserve Naturali


PARCHI
Rivista del Coordinamento Nazionale dei Parchi e delle Riserve Naturali
NUMERO 15 - GIUGNO 1995


Notes

La convenzione per le Alpi, opportunità per l'Italia

Tra qualche mese un enorme viadotto sfregerà per sempre la visione del Monte Bianco dal versante italiano. Per gli amanti della montagna, ma non solo per quelli, si spezzerà un incanto durato secoli e la montagna simbolo della storia dell'alpinismo perderà irrimediabilmente una fetta non trascurabile del suo fascino. Il più alto crocevia d'Europa diventerà il simbolo di una pressione umana al limite del sopportabile.
Il traffico su gomma che già oggi soffoca la Valle d'Aosta - con una media di oltre 2.700 passaggi gionalieri da Monte Bianco e Gran San Bernardo, e con punte di 4.000 passaggi al giorno per il solo Bianco - è destinato ad aumentare, secondo gli esperti, sino a una media di 3.500 passaggi medi al Bianco nel 2010, data che ne segnerà la definitiva saturazione. Questo accadrà anche perché Svizzera e Austria hanno deciso di sbarrare le loro valli alpine e le strade che le percorrono al traffico dei TIR, salvandole dal soffocamento e rispettandone la loro vocazione turistica. Allora Monte Bianco e Frejus si accolleranno tutto l'inquinamento dei bisonti della strada. Cosa non da poco, visto che già oggi circolano attraverso le Alpi 90-100 milioni di tonnellate di merci (il 60% su gomma) e 200 milioni di persone (l'89% su gomma).
Ma il traffico non è che uno dei problemi che le regioni alpine si trovano a dover affrontare.
Non meno preoccupante è, ad esempio, la pressione esercitata dal turismo che ogni anno attira nelle vallate alpine oltre 1/4 del flusso turistico mondiale. Un movimento che registrava 50 milioni di visitatori nel 1938, e che oggi sfiora cifre che li superano di oltre dieci volte.
Per rimanere ancora al Monte Bianco, allarmano i dieci milioni di turisti che negli ultimi quarant'anni sono saliti alle alte quote con le funivie aggrappate a rocce e ghiacciai.
Traffico e turismo sono due dei sintomi più preoccupanti della cattiva gestione dell'arco alpino. E che da un lato vede opporsi ad aree a troppo forte pressione, zone depresse, abbandonate al loro destino e al degrado. "La regione alpina - dicono alla Cipra, la Commissione internazionale per la protezione delle regioni alpine - è un ecosistema particolarmente sensibile, facile vittima dei drastici cambiamenti strutturali verificatisi negli ultimi anni. Gli effetti sono ormai evidenti e costituiscono una minaccia per il futuro delle Alpi: esodo delle popolazioni montane, catastrofi naturali, degenerazione del paesaggio rurale tradizionale, produzione di rifiuti difficilmente smaltibili, traffico, turismo di massa, estinzione di specie animali e vegetali, perdita di un inestimabile patrimonio culturale e naturale". L'entità di questi problemi ha ormai raggiunto una tale consistenza da non consentire di prospettare soluzioni durevoli se non in ambito internazionale. Proprio in questa ottica globale il 7 novembre 1991, i ministri per l'ambiente dei sette Paesi alpini (Austria, Svizzera, Francia, Germania, Italia, Slovenia e Liechtenstein), sotto la supervisione della Comunità Europea, firmarono, a Salisburgo, la Convenzione delle Alpi, un documento che rappresenta il punto di partenza per una nuova visione del sistema alpino e per il suo futuro. Attraverso la Convenzione si pongono le basi per impostare una politica ambientale comune europea integrando la sempre più pressante necessità di tutela della natura con le giuste rivendicazioni socio-economiche delle popolazioni che nelle Alpi vivono e lavorano. E' questa l'unica strada per garantire a questo delicato sistema ecologico (il più minacciato del mondo secondo l'Unione internazionale per la conservazione della natura), un futuro in cui si coniughino tutela ambientale e progresso economico, sociale e culturale.
La Convenzione è stata sinora ratificata da Austria, Liechtenstein e Germania. Dunque sono state soddisfatte le condizioni (tre ratifiche) per la sua entrata in vigore e da febbraio sarà operativa per quei Paesi che l'avranno ratificata. La procedura è in corso in Francia, Slovenia e nell'Unione Europea mentre mancano all'appello solo Svizzera e Italia. Da un anno la Cipra con-duce un'intensa e capillare campagna di informazione per far conoscere la Convenzione in tutti i Paesi alpini. La Cipra Italia, da parte sua, ha sviluppato la campagna soprattutto per indurre il Parlamento del nostro Paese a ratificare al più presto il documento. A sostegno dell'iniziativa si sono pronunciati personaggi della cultura e dello sport, dagli alpinisti Reinhold Messner e Hans Kammerlander a scrittori come Nuto Revelli e Mario Rigoni Stern. E' infatti importante che anche il nostro Parlamento accolga la proposta inserendola nel corpus dei trattati internazionali sottoscritti dall'Italia. In caso contrario il nostro Paese, insieme ad altri ritardatari, verrebbe automaticamente posto nel secondario ruolo di semplice "osservatore" alla Conferenza delle Alpi, periodico incontro dei rappresentanti dei Paesi alpini in cui vengono discussi i problemi relativi all'applicazione della Convenzione. L'Italia si troverebbe così a dover subire decisioni altrui senza poterne condizionare l'elaborazione. Quali le cause del ritardo nella ratifica? Sicuramente le responsabilità sono da ricercare nel momento di perdurante instabilità governativa, ma anche in un quadro normativo confuso. Un ruolo non trascurabile lo hanno inoltre giocato anche alcuni settori delle amministrazioni locali alpine, critiche sul loro mancato coinvolgimento nella stesura del testo della Convenzione e preoccupate per una possibile esclusione da scelte che, divenendo internazionali, scavalcano gli interessi strettamente locali. Si tratta di critiche non del tutto infondate, anche se la forma dovrebbe passare in secondo piano davanti a contenuti che vanno comunque nella direzione sì di un interesse collettivo ma che non trascurano le esigenze e le responsabilità nei confronti delle popolazioni locali. Nella sostanza, anzi, dovranno diventare proprio loro il soggetto gestore principale nell'ambito di un nuovo rapporto uomo-montagna in cui l'ambiente diviene risorsa rinnovabile da gestire con oculatezza, secondo le coordinate dello sviluppo sostenibile.
I contenuti della Convenzione inoltre ben si integrano con la recente legge per la montagna, completandone alcune parti e consentendo di superarne in particolare quelle contraddizioni e quei limiti che le derivano dall'essere segnata da una visione settoriale che, contro la volontà del legislatore, rischia nei fatti di emarginare ancora una volta l'ambiente alpino. (Walter Giuliano, Giuliano Vaschetto)

Cos'è la Convenzione per le Alpi

Si tratta di un pacchetto di leggi, vincolante sul piano del diritto costituzionale - già sperimentato con successo, in campo ambientale, per la tutela del Mar Baltico (Convenzione di Helsinki) e per la protezione delle specie rare o minacciate (Convenzione di Washington) - con cui i sette Stati sovrani che governano le Alpi sono posti nelle condizioni di assumere l'impegno a rispettare soglie di accettabilità vincolanti per tutti i progetti e i problemi di rilevanza territoriale, nel rispetto dell'ambiente alpino.
Il documento è rivolto ad Austria, Francia, Germania, Italia, Slovenia, Liechtenstein e Svizzera.
La Convenzione alpina regola i procedimenti della collaborazione e indica soltanto gli obiettivi e le regole generali. Le misure concrete sono invece oggetto di specifici protocolli applicativi, che rappresentano la reale sostanza della Convenzione. I protocolli rappresentano autonomi accordi internazionali e contengono le disposizioni per l'attuazione degli obiettivi negli specifici campi di applicazione che sono: protezione della natura e tutela del paesaggio: pianificazione territoriale; tutela del suolo; turismo; agricoltura di montagna; foreste montane; trasporti; energia e idroeconomia. La stesura dei protocolli è stata affidata a gruppi di lavoro internazionali, sotto la supervisione di uno Stato. All'Italia sono stati affidati i protocolli "agricoltura di montagna" e "energia". I protocolli vengono quindi sottoposti al giudizio e alla ratifica di tutti i Paesi contraenti. Tra gli strumenti attuativi della Convenzione è inoltre prevista la Conferenza delle Alpi, riunione dei ministri per l'ambiente che in sessioni a scadenze regolari affronta i problemi di interesse comune, in particolare le misure da affrontare per l'attuazione della Convenzione e dei protocolli. Ha come organo esecutivo un Comitato permanente composto dai delegati dei Paesi firmatari. Gli altri vi partecipano unicamente come osservatori.
A dicembre, nel corso della terza Conferenza alpina di Chambery, sono stati sottoscritti i protocolli riguardanti "Protezione della natura e tutela del paesaggio", "agricoltura di montagna", "assetto territoriale e sviluppo duraturo". Per quelli che attengono agli spinosi argomenti del turismo e dei trasporti si è ritenuto di dover provvedere a ulteriori approfondimenti cui lavoreranno gli appositi gruppi di lavoro internazionali.

ll Parco naturale del Baldo-Garda

Durante il convegno organizzato dal Comune di Brentonico, presso l'Auditorium comunale, il 10 dicembre 1994 è stata presentata una voluminosa ricerca dal titolo Indagine preliminare integrata per la costituzione del Parco naturale Baldo-Garda.
La catena del Monte Baldo è un insieme montuoso molto conosciuto, facente parte delle Prealpi venete e trentine che separa la valle dell'Adige dal lago di Garda e che più di ogni altro si spinge nella pianura padano-veneta, assumendo una direzione NNE-SSO, con una lunghezza di 37 chilometri ed una larghezza media di 11 chilometri. La catena presenta numerose vette, alcune delle quali superano i 2.200 m; la cima più elevata della parte veronese è la Cima Val Dritta con m 2218, mentre quella della parte trentina è il Monte Altissimo con m. 2070.
Il nome del Monte Balbo viene per la prima volta nominato in una carta del 1163 e nella versione più accredita, sembra che il termine Baldo derivi dal tedesco Wald cioè bosco e dopo la conquista romana gli sia stato preposto il sostantivo latino mons che significa monte. Le prime testimonianze di antropizzazione della montagna sono state rinvenute a Passo San Valentino, individuabili nell'uomo di Neanderthal che, circa 47.000 anni fa, durante il periodo estivo, cacciava animali erbivori durante i periodo della loro migrazione. Altre testimonianze provengono dai graffiti rinvenuti in località Festa e al Mandron di Malga Campo.
Le origini geomorfologiche in parte vulcaniche ed in parte sedimentarie del gruppo montuoso hanno contribuito alla creazione di una elevata differenziazione paesaggistica con ambienti che vanno dalle guglie alle zone carsiche, alle ampie praterie delle malghe ai boschi in prevalenza di faggio, abete rosso e pino nero che coprono la maggior parte della superficie della montagna.
Il motivo di maggior conoscenza di questa catena montuosa è però sicuramente legato alla presenza delle numerose varietà flogistiche fra cui rari endemismi. La glaciazione di Wurm, che ebbe il suo culmine circa 18.000 anni fa, ricoprì tutto il nord Europa e tutte le Alpi; in questo mare di ghiaccio emergevano, come delle vere e proprie isole, le cime più elevate fra le quali il Monte Baldo. Tale situazione ha permesso che sul Baldo si sviluppassero quelle popolazioni (paleoendemismi o endemismi pre-glaciali) che altrove sono state eliminate dall'avanzata o dalla permanenza dei ghiacci, isolando al contempo dei gruppi in via d'evoluzione dalle altre popolazioni dei monti vicini, impedendo scambi genetici, costringendo le specie presenti a prendere una direzione un po' diversa (neoendemismi). La natura prevalentemente calcareo-dolomitica del rilievo baldense poi ha provocato, in seguito a fenomeni di gelifrazione, la formazione di fessure, nicchie ed anfratti aumentando la possibilità di habitat ideali a certe specie.
Lo studio presentato, eseguito dall'ingegner Luigi Campostrini e dal forestale Alessandro Machiella, su incarico del Comune di Brentonico, prende l'avvio da un'analoga indagine condotta, un paio di anni fa, da un gruppo di naturalisti, amministratori e semplici appassionati costituitisi in un "Comitato per la costituzione del Parco naturale del Monte Baldo" e presentata, corredata di una mostra conoscitiva, durante il 99° congresso della S.A.T. tenutosi a Brentonico nel mese di settembre del 1993.
Il lavoro è suddiviso in più parti. Nella prima parte vengono analizzate le origini e l'evoluzione del concetto di area protetta, spiegate le varie tipologie con particolare riferimento al quadro legislativo nazionale e con alcuni accenni alla situazione internazionale. La seconda parte del lavoro si occupa delle dinamiche relative ai parchi naturali nel contesto trentino. Tale approfondimento tende a sottolineare che in questi ultimi trent'anni il legislatore provinciale ha saputo seguire l'evolversi del concetto di parco e modificare gli strumenti di disciplina e gestione, dal Piano urbanistico provinciale del 1967 che individuava che la prima volta i parchi naturali in Trentino, alla legge n. 18 del 1988 che istituiva gli enti di gestione degli stessi, cercando di mediare le aspettative e le esigenze delle popolazioni interessate.
E' poi analizzato il contesto territoriale, sociale ed economico, dell'area interessata. Vengono ricostruite, sfruttando le fonti statistiche disponibili, le caratteristiche attuali del sistema insediativo e del tessuto sociale, le loro linee evolutive, le dinamiche demografiche, la composizione e la struttura della popolazione presente e le sue attività economiche. Particolare attenzione è stata rivolta alle attività turistiche che maggiormente hanno influenzato, soprattutto in questi ultimi decenni, l'andamento dell'economica e lo sviluppo di questo sistema insediativo.
Sono quindi approfondite, con uno studio di settore, le valenze naturalistiche dell'area baldense trentina, mettendone accuratamente in risalto le particolarità morfologiche, storiche ed ambientali. Completato il quadro delle situazioni in essere che connotano l'area, sono state considerate le potenzialità di sviluppo socio-economico della stessa, tracciando i possibili scenari che vanno da uno sviluppo massiccio del territorio, con impatti difficilmente reversibili, ad una conservazione rigida dell'ambiente, vincolando ogni possibile attività antropica che ecceda dalla mera contemplazione e fruizione degli aspetti naturali.
Dall'analisi è emersa l'indicazione di seguire una logica intermedia che sappia coniugare la salvaguardia dell'ambiente con le necessità di sviluppo economico della zona. In questo contesto è stato ritenuto che l'istituzione del parco naturale Baldo-Garda può essere l'elemento in grado di produrre le necessarie sinergie.
A conclusione vengono prospettati una serie di potenzialità di sviluppo che l'istituzione del parco potrebbe sfruttare, soprattutto nel campo del turismo naturalistico ed alcuni progetti specifici attraverso i quali attivare esplicitamente l'istituto del parco (centri visitatori, laboratorio e scuola per l'ambiente, centro attività sportive, i prodotti del parco, circuito rurale-agrituristico). (S. F.)
Interventi del Parco del Mont Avic volti a valorizzare il patrimonio ambientale della Valle di Champdepraz
In quattro punti panoramici sono state collocate strutture dotate di pannelli di lettura del paesaggio. I pannelli riportano una fedele riproduzione in serigrafia dei versanti direttamente osservabili, con individuazione dei principali riferimenti geografici (vette, colli, laghi, alpi, eccetera). Le unità ambientali riconoscibili sono distinte cromaticamente e descritte in modo sintetico; i testi, in lingua francese e italiana, evidenziano i principali aspetti geomorfologici, botanici, zoologici ed etnografici di ogni singolo ambiente presentato. I quattro punti prescelti - Quicord, dintorni del Lac de Leser, Lac Blanc e Pra Oursie - sono stati individuati lungo alcuni dei principali sentieri del parco in base a due requisiti fondamentali: consentire una vista panoramica su un'ampiezza di almeno 250° e permettere un'agevole distinzione ad occhio nudo delle varie unità ambientali del parco; sono stati quindi scartati i numerosi punti panoramici rappresentati da vette e creste al di sopra dei 2300-2500 m di quota, tutti posti in ambienti relativamente omogenei e troppo distanti dalle unità ambientali caratteristiche degli orizzonti montano e subalpino.
Un secondo intervento riguarda la predisposizione di tre sentieri guidati che coprono nel loro complesso l'intera gamma degli ambienti osservabili nel parco e nei suoi dintorni. n sentiero "Champdepraz-Lac de Pana", con un dislivello complessivo di 1320 m e partenza soli 560 m di quota, è percorribile in parte anche nella stagione invernale e attraversa le varie tipologie forestali presenti in Val Chalamy; il sentiero "Chevrère-M. Barbeston" raggiunge una delle vette più panoramiche dell'area e consente di ammirare buona parte delle Alpi Graie e Pennine della Valle d'Aosta; il sentiero "Chevrère-Lac de Serva", agevolmente percorribile da chiunque, attraversa la splendida conca dell'Alpe Serva occupata dal più vasto bosco da seme italiano di pino uncinato. I sentieri sono stati attrezzati con una serie di pannelli che illustrano alcune delle principali emergenze~ambientali osservabili. Le targhette sono in parte illustrate con disegni al tratto e presentano testi in italiano e francese; per i vegetali è stato riportato anche il nome scientifico e, se presente, quello dialettale.
Al fine di non interferire in modo pesante con l'ambiente, il numero delle targhette posizionate è piuttosto limitato. La maggior parte delle informazioni è stata quindi inclusa in tre opuscoli illustrati a colori che possono essere ottenuti richiedendoli all'Ente parco, dietro pagamento di un modesto compenso (le scuole godono di facilitazioni). Gli opuscoli descrivono ciascun itinerario suddividendolo in tratti omogenei percorribili in non più di un'ora di cammino; in tal modo anche una visita parziale degli itinerari proposti può essere proficua. Sulla seconda e terza pagina di copertina sono riportati i necessari riferimenti topografici ed uno schema del profilo altitudinale dei tre sentieri dal quale si ricavano la lunghezza, la pendenza media e la tipologia di ogni singolo tratto. I testi, redatti da un gruppo di specialisti sulla base di dati bibliografici ed inediti, trattano aspetti geomorfologici, geologici, botanici, zoologici ed antropici utilizzando un linguaggio volutamente divulgativo; nel 1995 è prevista la realizzazione di relazioni da affiancare agli opuscoli contenenti approfondimenti su specifici aspetti settoriali (scienze della terra, flora, fauna, eccetera).

Centro studi glaciologici

E' stato inaugurato nel luglio dello scorso anno, nel Parco naturale Adamello-Brenta, il primo centro di studi glaciologici d'Italia. La nuova struttura realizzata dalla S.A.T. (Società Alpinisti Tridentini) in collaborazione con il Museo di scienze naturali di Trento è stata denominata "Centro studi Adamello - Julius Payer" dedicandola alla memoria dell'ufficiale austriaco di origine boema, primo salitore dell'Adamello il 15 settembre 1864, cartografo, pittore e scrittore.
Il centro ha sede nell'edificio, da tempo in disuso ed appositamente ristrutturato, del vecchio "Rifugio Mandrone", costruito dal Club Alpino di Lipsia nel 1878, uno dei primi rifugi del Trentino.
Le finalità del Centro, nel quale è stata allestita una mostra pemmanente sui ghiacciai, oltre ad essere sede per le attività del Comitato glaciologico trentino della S.A.T. e di una stazione meteo, sono principalmente:
- divulgare le conoscenze sull'ambiente montano, in particolare quelle sui ghiacciai e sulle aree per i glaciali del Gruppo Adamello-Presanella;
- favorire l'incontro tra studiosi ed appassionati in genere dell'alta montagna attomo alle tematiche della glaciologia, la realizzazione di studi e ricerche in tali campi e la loro diffusione;
- consentire lo svolgimento di soggiorni di studio e corsi di formazione sull'ambiente glaciale e dell'alta montagna in generale da parte soprattutto di sezioni e sottosezioni del C.A.I. di associazioni alpinistiche di altri Paesi, Università, istituti ed enti di ricerca, associazioni e gruppi ambientalisti, parchi e scolaresche.
Il centro è gestito da una commissione composta da membri della S.A.T. e del Museo tridentino di scienze naturali supportata da un apposito comitato scientifico.
Le attività del centro studi si avvalgono della presenza, nelle vicinanze, del Rifugio "Città di Trento" al Mandrone di proprietà della S.A.T.
A corredo dell'attività del centro è stato promosso un itinerario naturalistico denominato "Vigilio Marchetti", in memoria del glaciologo e guida alpina trentina scomparso nel 1993. L'itinerario segue il percorso dei sentieri CAI/SAT n. 212 - 236 - 215 ed offre una grande traversata in più tappe fra alcuni dei più vasti ghiacciai delle Alpi italiane, tra cui l'Adamello-Mandrone che è il maggiore. Collega i Rifugi Bedole, Mandrone "Città di Trento", Lobbia Alta "Ai caduti dell'Adamello" e Carè Alto in un itinerario circolare attraverso le valli ed i monti del versante destro della Val Genova; richiede pratica alpinistica e conoscenza dell'ambiente montano.

Per informazioni:
- Società alpinisti tridentini, Via Manci 57 - 38100 Trento - Tel.0461/986462;
- Museo tridentino di Scienze naturali, Via Calepina 14 - 38100 Trento - Tel.0461/305040;
- Rifugio "Città di Trento" al Mandrone (apert. 20/6-20/9) - Tel.0465/51193.

Esperienze e progetti di sviluppo
Un nuovo ciclo di contributi

Nell'ultimo numero di Parchi Sergio Fiorini così si esprimeva sullo sviluppo sostenibile nei parchi "fuori dalla retorica": "Ogni area protetta non può essere indifferente rispetto all'economia e deve perciò avere un corretto programma di sviluppo, adatto alla propria caratterizzazione, ai beni da difendere, alle condizioni dei propri referenti sociali. Altro aspetto determinante è la concretezza dell'azione. Siccome alcuni esempi si ripetono retoricamente, ed altri sono quasi sconosciuti, è probabile che occorra portare alla luce anche alcune "microesperienze" e, senza pretendere che siano per forza un modello applicabile ovunque, verificarne i caratteri di trasferibilità ed i limiti di estensione. Penso possa essere utile analizzare a fondo esperienze diverse, non solo italiane, come ad esempio l'agricoltura biologica, o il turismoverde dei rifugi, o le linee di prodotti naturali, o gli effetti indotti dallo studio e il monitoraggio del territorio. Sarebbe significativo conoscere le posizioni di partenza, gli investimenti fatti, la composizione sociale ed anagrafica degli operatori, il grado reale di soluzione dei problemi". Parchi ha pensato di raccogliere quella sollecitazione a compiere analisi puntuali di esperienze significative, inaugurando un ciclo di articoli che partirà dal prossimo numero di ottobre 1995. Il ciclo si chiamerà "Esperienze e progetti di sviluppo", e racconterà in ogni numero di attività imprenditoriale di successo, avviate in vari campi, all'interno di aree protette o in stretta connessione alla loro presenza. L'intento è di mettere in luce quali sono stati i fattori che hanno fatto il successo di queste esperienze, e quale sia il progetto che le orienta e le fa crescere. Si baderà dunque alla storia delle imprese, a come sono nate e si sono sviluppate, al ruolo che vi hanno giocato competenze, finanziamenti, legami sociali, soggetti istituzionali; si analizzeranno le attività svolte e il rapporto col mercato: si porrà attenzione alle connessioni tra queste singole esperienze, il contesto sociale ed economico in cui si collocano, il ruolo del parco.
Con questa iniziativa, Parchi si propone di mostrare una pluralità di tipi e modi di collegare natura e bisogni sociali, ambiente e mercato, e di articolare il rapporto tra iniziativa privata e istituzione-parco, che arricchisca il dibattito sulla promozione dello sviluppo sostenibile nelle aree protette. Questa pluralità è una diretta conseguenza delle tante e diverse condizioni sociali, economiche, territoriali con le quali i parchi si confrontano, e rendono necessario individuare caso per caso, area per area, i sentieri promettenti e le strategie appropriate.
il ciclo sarà curato da Anna Natali, che lavora da tempo sui parchi con studi e progetti di taglio socio-economico, nell'ambito di Eco & Eco Economia e Ecologia srl, società di ricerca con sede a Bologna. Anna Natali preparerà i singoli pezzi in collaborazione col gruppo di Eco & Eco, prendendo contatto diretto con i protagonisti delle esperienze e con i responsabili dei parchi, nel corso di brevi missioni sul posto. In questo numero è pubblicato un suo contributo sulle economie del parco, che può essere letto come una introduzione al lavoro che, nei prossimi mesi, comincerà a svolgere per la rivista.
Le esperienze imprenditoriali saranno individuate prendendo contatto con i singoli parchi ed i servizi parchi delle Regioni. E' possibile segnalare sin da ora casi di interesse ai quali dedicare attenzione e da presentare sulla rivista, telefonando o inviando comunicazioni e messaggi a:

Anna Natali
Eco & Eco - Economia e Ecologia srl,
Strada Maggiore 29, 40125 Bologna
Tel. (051) 6483.309-6483.315-6483.307
Fax (051) 225.352
E-Mail: eco.eco @ bologna.nettuno.it