Federparchi
Federazione Italiana Parchi e Riserve Naturali


PARCHI
Rivista del Coordinamento Nazionale dei Parchi e delle Riserve Naturali
NUMERO 16 - OTTOBRE 1995


Le religioni di fronte alla natura
Don Giordano Remondi *

Come si deduce dall'articolo precedente, i cinque componenti del comitato organizzatore (Enti locali più le due comunità religiose dei frati francescani e dei monaci camaldolesi) hanno chiamato relatori di cultura laica e religiosa proprio perché la salvaguardia del creato è un bene così prezioso che non è più immaginabile "litigare" sulle differenze confessionali o di credo politico. Con questo spirito lo scrivente monaco di Camaldoli, non un esperto della materia, ma solo un membro del comitato organizzatore - risponde all'invito di un redattore di codesta rivista, Oscar Bandini (consigliere del parco dove abita) per tentare un primo bilancio dell'iniziativa già apprezzata da molti, in attesa di avere a disposizione gli Atti, promessi per 1'inizio della primavera 1996.

Distinguerò per comodità espositiva quattro aspetti:

  • 1. La tradizione biblica; I'idea di creazione e la responsabilità delle Chiese
  • 2. La prospettiva della storia delle religioni
  • 3. La questione ecologica sotto il profilo filosofico, etico, sociale e politico
  • 4. La tutela dell'ambiente casentinese nella tradizione camaldolese e francescana.
Nel corso delle giornate gli aspetti erano stati volutamente intrecciati per favorire il dibattito, nel quale ognuno dei relatori si era avvicinato all'altro in "spirito penitenziale", consapevole del proprio limite e soprattutto di una ricerca che si muove su un terreno culturale e spirituale ancora relativamente giovane. Pertanto questo convegno ha preparato una sorta di inventario ragionato in modo che tutti gli "attori" presenti sullo scenario di un parco nazionale - con le caratteristiche peculiari di questo parco che oggi esiste non per destino naturale, ma per la custodia millenaria di chi lo ha abitato e lo abita tuttora - sappiano farne tesoro per le scelte future, a qualunque livello.
E' ovvio allora che il mio bilancio è ancora assai provvisorio, nonché parziale.
 
1. La tradizione biblica: I'idea di creazione e la responsabilità delle Chiesel

La natura non è Dio, ma non è fuori dal suo progetto di bene e di salvezza. La fede biblica nella creazione è una fede particolare. Non è la fede in una dottrina, prima di tutto, ma è una fede che mette ogni giorno nel cuore sulle labbra: "Toh, guarda che cosa c'è di bello!». Quindi tutti i giorni ognuno riceve la consegna da parte di una persona di essere custodi della bellezza che trova. Allora, dipendere dal Dio ebraico-cristiano vuol dire sia dipendere da un Dio che ama ognuno, sia dipendere da un Dio che chiede di vivere in modo libero la dipendenza gli uni dagli altri attraverso il mondo.
In questa prospettiva la natura non è abitata da un Dio, ma al contrario, è l'uomo che la abita, coltiva la terra e la trasforma in un mondo secondo un comando divino di diventarne "servo responsabile" in obbedienza al bene di tutti. Emerge un certo "disincanto" che ci mette davanti con insistenza questa domanda: "Dove sarebbe la natura se non ci fosse l'opera dell'uomo che se ne sente responsabile davanti a Dio e ai fratelli?".
Quindi la natura, il cosmo, il creato è inserito in un progetto divino molto più largo. Gli scrittori della Bibbia riconoscono il valore "non ingenuo" della natura: viene sì accolto il sentimento religioso che accomuna uomo e natura, ma viene purificato o trasferito in un'unica storia di salvezza. In definitiva, nella Bibbia non si risale tanto dal creato a Dio, quanto piuttosto si crede che il mondo nella sua globalità è "parte integrante" del dialogo Dio-uomo; quel mondo nel quale discende la sua parola creatrice e salvatrice (vedi il salmo 8 e il salmo 104).
La natura non è sacra o inviolabile, ma simbolo della comunione Dio-uomo. E' un aspetto delicato l'uso del termine "sacro", o dell'aggettivo "sacrale". Il Dio della Bibbia ama essere riconosciuto come il Santo, non come il "sacro", termine che sottintende una netta separazione del divino da tutti noi, i "profani". Bisogna sempre
diffidare del linguaggio "sacro-profano". Rivela che c'è qualcosa che pesa, che opprime il nostro vivere quotidiano, qualora sia visto come profano, cioè fuori dal rapporto con Dio. E allora può capitare di spostare tutto su un bisogno di fusione col sacro che, ovviamente, è difficile da sradicare nel precipitare di certe crisi, quando siamo in preda all'angoscia di forze sconosciute e terribili. Certamente, è scusabile in alcuni ambientalisti e ecologisti la ripresa della fusione sacra con la natura, ma alla fine risulta una confusione sul posto che pure deve ricevere nella vita. Certo, vedendola ribellarsi... di fronte ad alcune aberrazioni della rivoluzione scientifica e tecnologica, s'impone l'autocritica.
Questo movimento pendolare è affrontato in radice nella Bibbia stessa, che offre un criterio equilibrato per giudicare i vari progressi delle attività lavorative, quali c'erano già stati con l'evoluzione dell'Homofaber, nell'età del ferro, del bronzo (quando forse l'uso del fuoco è paragonabile alla scoperta dell'atomo...). La Bibbia cerca di smussare nelle punte estreme due opposti sentimenti (e in ciò si rivela utile per orientarsi anche davanti agli squilibri tecnologici odierni): da un lato, la diffidenza verso un lavoro che riesca a difendere da certe catastrofi naturali che non sono da imputare solo alla cattiveria degli uomini; dall'altro, l'entusiasmo verso un intervento sulla natura senza vincoli di sorta.
Al primo sentimento troppo rassegnato, la Bibbia risponde incoraggiando ogni soluzione che rende più abitabile il deserto, anzi la terra promessa è la terra dove "scorre latte e miele"; al secondo sentimento, troppo sognatore, risponde offrendo un limite: le scoperte vanno bene solo se servono a far star meglio tutti, di qui l'invito a lavorare secondo "rettitudine e felicità" (giustizia e pace) per cercare di soddisfare i bisogni primari, già messi in pericolo da catastrofi e malattie.
La Bibbia ha fiducia nelle capacità dell'uomo di rigenerare e di rigenerarsi, sempreché egli riesca a compiere l'atto di fede di sentirsi creatura, sia quando denuncia in modo implacabile la spietatezza a cui conduce la logica del dominio, sia quando sente l'impotenza di fronte alle sciagure di cui non è direttamente colpevole.
Certamente oggi, rispetto alla cultura in cui nasce la Bibbia, la cosa si complica. Ci sono due dati dopo 250 anni dalla rivoluzione industriale-tecnologica:

  • a) si muore di meno. Il numero della popolazione mondiale è quadruplicato non per aumento delle nascite ma per lo sfruttamento delle risorse
  • b) il pericolo di distruzione aumenta. Il motivo non sarà più forse lo scoppio della bomba nucleare, quanto, fra alcuni secoli, per l'inquinamento atmosferico (effetto serra).
    Ora l'interrogativo che ci sta di fronte, per la prima volta, è questo: come umanizzare la natura (in nome di Dio o meno)? Come di conseguenza operare scelte che ci vincolino gli uni agli altri sia per aiutare chi ancora muore come 200 anni fa, sia per far sopravvivere la specie stessa in tutte le latitudini della terra? Albergano in ciascuno di noi delle idee sulla natura sulle quali la Bibbia dice: a Dio vanno bene tutte, purché non diventino sacrali, o assolute, o onnipotenti. La risposta è affidata al singolo e al suo senso sociale su cui deve sempre vigilare, perché molti hanno interesse ad oscurarglielo. Il cuore, la testa e la mano sono a nostra disposizione perché corrispondano all'amore, alla sapienza e alla legge del criterio di "giustizia e pace".
    Siccome la risposta a questi interrogativi non dipende esclusivamente dalla prospettiva biblica per quanto tesa ad "ascoltare" la verità da qualunque parte provenga-, è necessario raccogliere gli stimoli provenienti dalle altre religioni. Le quali possono trovare punti di analisi comune e di incontro per andare alle radici. Potrebbe essere anche un contributo per sconfiggere i diversi tipi di fondamentalismi (pure quello laicista "cova la serpe in seno", anche quando non arriva ad azioni terroristiche...).

 

2. La prospettiva della storia delle religioni2
Sotto il profilo storico è difficile stendere un bilancio sul rapporto tra "religioni e ambiente", per cui alla prudenza proverbiale in fatto di storia si congiunge la consapevolezza del limite nella fase attuale delle ricerche. Tentando una provvisoria sintesi, si può dire che le religioni hanno guardato sempre con ambivalenza alla natura: percepita come minacciosa, nel contempo è adorata per le potenze che consentono la vita. Varia sicuramente la proporzione dell'ambivalenza in ciascuna religione, anzi varia lungo le epoche, non sempre da leggersi secondo lo schema evolutivo. Soprattutto occorre distinguere il vissuto religioso - lo strato profondo arcaico che tende all'assoluto, all'infinito - dai riti, dai miti, dall'elaborazione concettuale di quello che si chiama il simbolismo primario biocosmico, vale a dire la consapevolezza di un Principio unico che sorregge la vita.
Certamente permane un conflitto con l'ambiente come nota dominante, sia quando l'umanità lotta per sopravvivere, sia quando lo trasforma secondo un ordine, formando un (micro)cosmo. Ma forse, proprio per questo, parallelamente ai riti propiziatori per il buon raccolto, si ringrazia la Divinità per un ambiente che può diventare persino "il giardino di Dio". E' difficile vedere nella conflittualità di questo genere un'ambivalenza originaria, perché essa si rivela frutto delle fasi di "migrazione-insediamento" che formano tutt'uno con la storia stessa, anzi con quel processo temporale che fa coincidere la storia con l'invenzione dell'agricoltura, della navigazione, della metallurgia, della geometria, del numero, della parola, della scrittura. Mentre, quando parliamo di civiltà arcaica e di religiosità "non dottrinale" (che sta alla base della spiritualità dei popoli), ci riferiamo al simbolismo primario biocosmico, che è così forte da attrarre l'uomo occidentale di oggi, a volte in preda alla nostalgia dell'arcaicità perduta. Qui la montagna, l'albero, il sole, l'acqua, l'animale sono di nuovo riconosciuti veicoli del sacro, anche se non raggiungono l'intensità religiosa di chi le vede cariche di potenza.
Ad ogni modo, le religioni non hanno mai condannato la trasformazione dell'ambiente, tutt'altro: si sono impegnate nel lavorare la "terra di nessuno" che l'ambiente offriva. E' vero che ne sono state maggiormente protagoniste le religioni "profetiche" (Buddismo, Cristianesimo, Islam), ma anche le religioni "etniche" (le religioni delle "terre patrie") hanno subito la medesima tendenza. Si veda il "Celeste Impero" cinese, la "Terra della Melarosa" indù, la "Mezzaluna fertile" della Mesopotamia, il "dono del Nilo" egiziano, la "Terra dell'olivo" greca. Si pensi dapprima alla funzione delle "montagne sacre" e al loro prolungamento ripetitivo nella fitta emergenza templare; e all'emergere in seguito, tramite l'assidua esperienza dei pellegrinaggi, della rete viaria figurativa del territorio.
Si pensi, soprattutto, al passaggio dalla "casa dell'Islam" alla "casa della guerra", ma una guerra la cui vocazione è il cambiamento della forma del territorio e dell'incidenza sacra sull'habitat umano. Interessante come nell'Islam è pensata la relazione dell'uomo con il creato: è una relazione "ontologica", cioè alla base della religione musulmana sta la fede del mondo creato da un Dio unico che chiama alla costruzione di una "casa" (dar), intesa come spazio-ambiente e quindi come città. Di qui la grande rilevanza, in ogni latitudine, delle metropoli (Medina, Damasco, Baghdad, Cordoba, Dar-el-salam...) in cui sta al centro la costruzione del giardino ricco e bello, spazio ridotto del macro-cosmo.

3. La questione ecologica sotto il profilo filosofico, etico, sociale e politico3
La questione ecologica è nata dal fatto che sono venuti al pettine i nodi d'un progetto che, nell'epoca contemporanea, s'era basato quasi esclusivamente sullo sfruttamento dell'ambiente per il soddisfacimento dei bisogni. Tutti partono da una dato di fatto: la specie umana ha modificato l'equilibrio di milioni di anni in un tempo brevissimo, e per di più concentrato in soli tre secoli, dal 1700 ad oggi. E' indubbio che a questa mentalità "competitiva" nei confronti della natura, dovuta alla spinta a piegarla alle esigenze dell'uomo, siamo debitori delle migliorate condizioni di vita del nostro tempo. ma è altrettanto indubbio che la stessa rivoluzione scientifica e tecnologica non è più in grado di prevedere il sistema complesso che ha partorito e che ha già provocato un degrado dell'ambiente molto preoccupante, non sempre fronteggiato con mezzi adeguati. Lo sfruttamento del mondo, insomma, stà rivelando tutto il suo carattere di ambiguità: da un lato promuove l'uomo, dall'altro lo minaccia. Di questa ambiguità risente il vario atteggiarsi della sensibilità ecologica. C'è infatti un atteggiamento ecologico che scaturisce solo dalla paura d'una rivolta catastrofica del mondo (disastro ecologico); e un altro atteggiamento che nasce, per così dire, dal bisogno di trovare una rappacificazione dell'uomo col mondo.
Il primo atteggiamento di per sé può coesistere con la stessa logica dello sfruttamento e della "competitività" col mondo; infatti, se si potesse sfruttare il mondo senza creare pericoli, non si dovrebbe avere remore a farlo. Per questa mentalità, il mondo è essenzialmente uno strumento o tutt'al più un habitat dell'uomo, cioè il luogo
con cui ed in cui l'uomo esplica la sua vita; ma resta l'uomo, per così dire, l'unico soggetto di diritti.
Il secondo atteggiamento non nasce solo dalla paura del disastro, ma anche dal bisogno di una vita armonicamente conciliata col mondo. Il mondo non è sentito tanto come habitat dell'uomo, ma come partner, cioè come compagno nell'avventura della vita. Si stabilisce un solidarismo tra l'uomo e il cosmo; c'è la percezione che anche il mondo abbia la dignità di un "fine" da rispettare in sé e non la funzione di un semplice "strumento" per l'uomo.
In questo secondo atteggiamento si trovano parecchie posizioni dentro un panorama molto frastagliato, in cui rientra anche la tendenza di massa a scappare dalle città, inospitali fino alla invivibilità. Il soggetto vuol sentire sempre più l'emozione di essere immerso in un flusso vitale che riabilita soprattutto il corpo e i sensi come mediatori dell'incontro con una realtà assoluta. Alcuni movimenti "pescano" da questa esigenza per fondere insieme una generica istanza ecologica con un modello sacrale per proporsi di raggiungere la totalità (olismo). Qui l'esperienza della natura è fatta per dilatarsi, per superarsi fino ad arrivare alla comprensione globale di tutta la realtà e, in questo, trasformare la coscienza. Lo sfondo diventa sincretistico e gnosticheggiante, per cui il cosmo-ambiente è il frutto e la manifestazione di un'energia in continua metamorfizzazione. Nell'uomo risiede una scintilla di questa energia coincidente con il proprio sé, che può essere attivata congiungendosi con il Sé universale.
Sono questioni serie, che non possono non essere tenute presenti dentro il rapporto "religioni-ambiente". Eppure, le persone coinvolte possono finire in un rifugio privatistico e quasi consumistico, allontanandosi dalla presa di coscienza politica che invoca scelte urgenti, necessarie per fermare il degrado ambientale. Se prendiamo ad esempio il Mediterraneo - nel novembre 1995 a Barcellona si tiene una Conferenza euro-mediterranea indetta dall'Unione europea -, la situazione è allarmante. Scorriamo brevemente l'agenda della Conferenza medesima.
L'ambiente naturale dello spazio euro-mediterraneo è a rischio (inquinamento, deforestazione, incuria, saccheggio, armamenti). Lo sviluppo sociale ed economico si presenta assai divaricato e si caratterizza per notevoli povertà. Tensioni, conflitti e persino guerre scuotono l'area. Lo sviluppo demografico presenta grandi squilibri. Una modernizzazione spesso imposta e non smaltita destabilizza vaste aree ed interi popoli; persino l'eredità comune delle tre grandi religioni dell'area (Ebraismo, Cristianesimo e Islam) appare talvolta più come fonte di contraddizione che di conciliazione.
Sappiamo che in fatto di ecologia non basta la protezione o il risanamento puntuale di un sito o di una specie minacciata attraverso provvedimenti o divieti, bensì occorre il ripristino e la reintegrazione di un habitat complessivo e comprensivo. Così nello spazio euro-mediterraneo non basterebbe un "pacchetto" di misure economiche, ambientali, sociali, tecnologiche, amministrative, ma occorre innanzitutto uno sforzo articolato e congiunto per reintegrare un habitat comune, nel quale il meglio della comune eredità possa rifiorire. La prospettiva, allora, di una Comunità euro-mediterranea, fortemente intrecciata con l'unione europea, ma non esaurita in essa, esige innanzitutto la riscoperta e la valorizzazione delle radici comuni, di un'ispirazione culturale ed ideale capace di suscitare energie, entusiasmi, creatività. A questa prospettiva le tre grandi religioni del Mediterraneo potrebbero e dovrebbero dare un apporto determinante.

4. La tutela dell'ambiente casentinese nelle tradizioni camaldolese e francescana4
Area casentinese
Com'è noto, è caratterizzata dalla presenza di insediamenti monastici ed eremitici che hanno lasciato il segno nell'organizzazione del paesaggio dei boschi e delle foreste, frutto dell'opera delle comunità religiose. L'interesse tuttavia per la conservazione delle foreste - patrimonio comune delle diverse famiglie religiose (benedettini, camaldolesi, vallombrosiani, francescani) insediate nell'Appennino casentinese e nel Pratomagno - ha conosciuto nel tempo storico momenti differenziati di applicazione. In realtà, la salvaguardia della foresta, perseguita da vallombrosani e camaldolesi, ha comportato pure una vistosa sostituzione delle essenze arboree (emarginazione del faggio a favore dell'abete bianco), e una non casuale individuazione di aree di deforestazione, fino alla loro trasformazione in terreno da mettere a coltura (Badia Prataglia).
I monasteri di Badia Prataglia e San Fedele a Strumi sorgono su importanti direttrici di comunicazione con la Romagna e la Val Tiberina (Badia) e con il Valdarno (Strumi). Anche il monastero di Fontebona di Camaldoli (1105) era legato ai percorsi di valico per il passo del Mandrioli. Il monastero contrapponeva all'ambiente inospitale della foresta l'idea di uno spazio ordinato, che racchiudeva in se stesso tutte le componenti necessarie per la vita spirituale e materiale di chi l'abitava.
Il processo di assimilazione/approvazione del paesaggio naturale trova compimento nella fondazione della Verna (1239). Qui la natura assume il ruolo di testimone della presenza divina e nell'impianto insediativo e architettonico si fondono i caratteri dell'eremo e quelli del convento; dell'eremo si attua la dimestichezza con lo spazio silvestre tramite la ricerca di itinerari e luoghi resi sacri dalla presenza del Santo, mentre del modello conventuale è la disposizione degli ambienti comunitari e la formula scelta per la Chiesa.
Il "Codice forestale" di Camaldoli
Fin dal 1080, anno delle prime consuetudini scritte dal Beato Rodolfo per la comunità romualdina a Camaldoli, c'è un bel testo che applica alla vita nell'Eremo un passo del profeta Isaia (41, 19): "Pianterò nel deserto il cedro e il biancospino, il mirto, I'olivo e l'abete, I'olmo e il bosso" . Sono esaltate le virtù dei monaci e degli alberi, in un sorprendente reciproco confondersi, che l'afflato poetico rende un'autentica testimonianza di contemplazione vissuta dall'uomo e dalla natura. Pagina quindi basilare per comprendere tutta la successiva cura e attenzione modificatrice dei monaci che sfocia nella legislazione 1278-1285. Con le prime norme scritte a tutela dell'integrità della foresta si passa ad una vera e propria legislazione, che nel 1520 verrà promulgata da Paolo Giustiniani.
Dai decreti di Priori, atti capitolati, tariffari, eccetera, si nota una straordinaria, spesso sorprendente capacità tecnica, sia per il rinnovamento del bosco, sia per regolare il sistema di commercio del legname, sia per coltivare le erbe officinali. Dalle lettere dei visitatori si legge la testimonianza che i luoghi sono incantevoli non per se stessi, ma perché si vede "quanto possa operar natura, quando non la si maltratta, e quanto essa contraccambi l'amore dell'uomo' (H. Bassermann). Libri, fogli, registri, verbali, decreti, contatti, prospetti, promemoria, atti notarili, corrispondenze: è un enorme materiale giacente in scaffali di archivi, che attende di essere sfogliato, letto, esaminato, soprattutto organizzato con un'articolazione che evidenzi i suoi aspetti spirituali, tecnici, economici e sociali.
I monaci custodivano una foresta che li custodiva; garantivano la vita alla foresta che a sua volta garantiva ai monaci il silenzio, quel silenzio di cui avevano bisogno vitale per poter ascoltare la voce di Dio e dell'umanità, insieme con la storia che andavano scrivendo con gli alberi. Sono otto secoli e mezzo di lavoro complesso e appassionato che attende di esser conosciuto come riflessione ecologica di chi non vede nella natura un idolo inappellabile, ma la realtà che cammina verso il suo compimento con l'Umanità e per mezzo dell'Umanità.
La tradizione francescana
Essa si innesta in modo originale sulla precedente contemplazione monastica della natura, a partire da San Francesco, passando per San Bonaventura per giungere alla produzione artistica coeva e successiva. L'apporto specifico dei frati minori è molto semplice, in quanto la custodia della reciproca ospitalità tra ambiente e umanità sfocia nell'amore "fraterno" con piante e animali. Una responsabilità che, riprendendo la proposta biblica esaminata da noi nel primo paragrafo, richiama anche alla sobrietà in modo tanto discreto quanto esigente. Quindi il rispetto per i luoghi si tramuta in passione per edificare un habitat conforme al progetto divino. Dovunque, sui monti o in città e nelle campagne, i frati minori sono al servizio dell'integrità originaria "sacramentale" del creato riconciliato in Cristo. E' proprio questa dimensione che sta alla base dello sviluppo dell'arte francescana: la materia, il corporeo è spiritualmente eloquente. E' superata la tradizione monastica (non tanto di quella del primo millennio, che è più variegata di quanto si pensa di solito); l'architettura francescana, pur derivando direttamente da quella cisterciense, riconosce l'importanza delle immagini per evangelizzare, e rifiuta lo svuotamento delle pareti.
Di tutta questa spiritualità, Assisi per un verso, La Vema per un altro, sono l'emblema. Appunto La Verna e il suo bosco, costantemente utilizzato secondo "le necessità del convento", sono
rimasti in equilibrio, più col buon senso che per i canoni codificati poi dalla scienza forestale, o meglio, "governati" da quel senso evangelico che smaschera ogni volontà di dominio prepotente.

NOTE:
1. Condenso i contributi del teologo cattolico Armido Rizzi, La creazione: tra naturalismo e disincanto; dello storico ebreo Bruno di Porto, "E Dio vide che tutto era buono! Non guastiamo!"; del pastore della chiesa evangelica Hanns Kemer, La salvaguardia del creato: le chiese evangeliche ed il processo conciliare; e dello studioso ortodosso Vladimir Zelinskij, La pazzia e la saggezza. L'uomo davanti al creato.
2. Condenso i contributi dello storico Maurilio Adriani, Religioni e ambiente; dell'islamista Khaled Fouad Allam, Dalla complementarietà all'interdipendenza: il caso dell'lslam; dell'antropologo Dipak R. Pant, Una voce delle tradizioni asiatiche. Riflessioni circa l'uomo e la natura alla luce delle tradizioni indù, buddiste e sciamaniche.
3. Condenso i contributi del monaco camaldolese ed esponente del dialogo interreligioso Thomas Matus, Natura e scienza: in cerca di un nuovo paradigma; del filosofo Paolo Nepi, Sulla metamorfosi dell'idea di natura; del sociologo Arnaldo Nesti, I dilemmi del sacro e l'ambiente; dell'eurodeputato verde, prematuramente scomparso, Alexander Langer, Ambiente mediterraneo: nei paraggi del Paradiso perduto.
4. Condenso i contributi dello storico Giovanni Cherubini, Monachesimo e ambiente nel Medioevo occidentale; dell'architetto Giuseppina Carla Romby, Abbazia, eremi, monasteri e la foresta casentinese; del monaco camaldolese e artista Salvatore Frigerio, Camaldoli: storia di monaci e di alberi; dei contributi degli esperti francescani: Carlo Paolazzi, Francesco, il creato e la contemplazione di Dio "in tutte le cose"; Ambrogio N. Van Si, La natura come linguaggio in San Bonaventura; Pasquale Magro, San Francesco e l'arte "nuova"; Vittorio Battaglioli, 11 rapporto francescano di amore con il creato; Andrea Cutini - Roberto Mercurio, La gestione del bosco nella tradizione francescana.

* Monaco di Camaldoli