Federparchi
Federazione Italiana Parchi e Riserve Naturali


PARCHI
Rivista del Coordinamento Nazionale dei Parchi e delle Riserve Naturali
NUMERO 16 - OTTOBRE 1995


Uomini e parchi oggi
Ricordando Valerio Giacomini (1914-1981)
Quindici anni fa moriva Valerio Giacomini. Laureato in scienze naturali a Pavia, ordinario di botanica dal 1956, fu direttore degli istituti botanici delle Università di Catania, Napoli e Roma, dove ricoprì negli ultimi anni la cattedra di ecologia.
Riconosciuto come una delle figure di spicco nel campo delle scienze naturali per i suoi contributi in fitosociologia, cartografia vegetazionale ed in ecologia applicata e teorica; convinto assertore di una visione interdisciplinare dell'ambiente, tra le sue 350 pubblicazioni particolarmente significativa è stata l'ultima "Uomini e parchi", completata dopo la sua morte da Valerio Romani che collaborò a lungo con lui in particolare nella stesura del progetto per il Parco dell'Alto Garda Bresciano.
A quindici anni dalla scomparsa ricordare le sua figura è un'occasione per riprendere alcuni temi che gli furono cari e di cui fu uno degli anticipatori culturali e scientifici ponendoli alla verifica del tempo trascorso e delle esperienze che nel corso di quindici anni sono maturate nel campo dell'istituzione di parchi nel nostro Paese.
La riflessione di Valerio Giacomini nasce negli anni '70 quando, sulla spinta culturale del Club di Roma, vengono evidenziati i "limiti dello sviluppo". Scrive nel suo ultimo libro: "Entrano in crisi pertanto l'etica stessa della nostra civiltà, il significato di progresso e benessere, la filosofia e la prassi di collocazione della specie umana nei confronti dell'ecosfera" (p. 23).
Quando viene pubblicato il libro scritto in collaborazione con Romani la situazione delle aree protette in Italia è ancora fortemente arretrata; qualche parco nazionale ed primi incerti passi delle Regioni in materia. Ma la sua analisi della situazione mantiene a distanza di tre lustri, pur in mutate condizioni quantitative e qualitative, una grande attualità.
"Attualmente gli orientamenti in materia di parchi, e in generale delle zone di tutela, non sono certamente il frutto di una visione chiara ed unitaria, come simile argomento esigerebbe... sono al contrario il risultato di un disordinato sovrapporsi di interpretazioni, spesso controverse ed approssimative che, non appena se ne tenta la trasposizione sul piano pratico, divengono facilmente e puntualmente oggetto di incomprensioni fra promotori, amministratori e fruitori" (p. 27).
Alcuni suoi passi testimoniano una grande capacità di intuire gli sviluppi del problema. Scrive nelle sue ultime pagine: "... i parchi cessano di costituire un interesse esclusivamente naturalistico ed ecologico in senso stretto per divenire problema di respiro territoriale, sociale, economico e politico" (p. 29).
Temi questi presenti nella realtà fin dalla metà degli anni ' 80 ma recepiti, in qualche modo, soltanto dalla tanto attesa legge-quadro nazionale nel 1991 .
Ma la specificità del contributo scientifico di Giacomini sta nella convinta adesione ad un'indagine che cerca di comprendere il complesso e la complessità attraverso un approccio sistemico.
"Le barriere tra discipline devono dunque cadere... per lasciare in evidenza la fertilità delle zone di interfaccia e l'interesse per quegli ambiti che prima erano considerati 'di confine' e che oggi rivelano grande fecondità scientifica" (p. 33).
Giacomini è conscio che la sistemica è un approccio difficile, che non va confuso con il pur utile incontro di diverse discipline che tuttavia non riescono a portare a sintesi né la conoscenza né l'intervento pratico.
Così come è consapevole che un rapporto equilibrato, armonico tra l'uomo e la natura non è "mai definitivamente conquistato, ma evolve in continui assestamenti di equilibrio dinamico" (p. 38).
Prevalentemente è uomo di scienza ma con una chiara visione che questa è supporto dell'azione politica: azione politica ed amministrativa che orienta e guida le dinamiche sociali. Natura e uomini stanno in rapporto inscindibile tant'è che scrive: "non si dà politica dell'ambiente senza soluzione dei problemi sociali".
Valerio Giacomini non ha potuto vedere lo sviluppo della politica dei parchi nel nostro Paese che ha preso forza soprattutto negli anni '80, eppure già lamentava una certa ritualità nell'istituire aree protette, leggi fatte con la fotocopia, inadeguate a cogliere pertanto la specificità sociale e culturale di ogni territorio. "...Risulta difficile a molti amministratori e legislatori e politici il discostarsi dalla facile lettura di normative divenute ormai consuetudinarie e di abitudinari paradigmi" (p. 46).
Se, in estrema sintesi, si volesse cogliere il nocciolo forte del suo contributo, questo si trova nelle ultime righe di "Uomini e parchi" quando scrive: "...dobbiamo lasciare alla nostra progenie una civiltà, non solo un capitale". Soltanto se una politica dei parchi saprà alimentarsi delle sue dimensioni culturali "allora il discorso sulla natura abbandonerà i territori, le leggi, le pianificazioni, la fauna e la flora. E tornerà ad essere un dialogo degli uomini e sugli uomini, un discorso fra uomini e parchi".
Uso consapevole del territorio, costruzione di una morale collettiva, ecologia non come moda ma foriera di comportamenti coerenti, la pianificazione diventata nei fatti strumento di potere e non metodo di convivenza di interessi diversi, scarso contributo critico alle politiche di salvaguardia che generano incensazioni dei parchi o stereotipate denunce sugli eccessi vincolistici, visione sistemica dei problemi come scambio interdisciplinare e non semplice giustapposizione di concezioni multidisciplinari che non giungono a sintesi. Una "moralità" che stenta a farsi strada tra amministrati e amministratori nei confronti dell'ambiente, parchi che evolvono da difesa esclusiva di interessi scientifico naturalistici verso la soddisfazione di istanze più complesse di ordine culturale, sociale ed economico.
Questi potrebbero essere i "nodi" lasciati in eredità da Valerio Giacomini. Ricordarlo degnamente significa forse discutere di queste questioni. Furono "voli pindarici" che non hanno trovato applicazione o l'hanno trovata in modo discutibile? La ricchezza delle esperienze gestionali ha finito per dargli ragione nel creare un sistema caotico e, soprattutto, scarsamente comunicante al suo interno ed all'esterno, nella società? Il parco come laboratorio è un facile slogan o può ancora diventare realtà? Il parco formatore ed informatore, utopia e percorso inevitabile se la politica ha un fine ed un senso?
La proposta di un convegno da tenersi il prossimo anno vorrebbe appunto riprendere queste ed altre domande che, rileggendo "Uomini e parchi" a distanza di quindici anni, si ripropongono per offrire una prospettiva alla politica delle aree protette.