Federparchi
Federazione Italiana Parchi e Riserve Naturali


PARCHI
Rivista del Coordinamento Nazionale dei Parchi e delle Riserve Naturali
NUMERO 16 - OTTOBRE 1995


Un parco nazionale sull'Appennino Tosco-Emiliano?
Fausto Giovannelli * e Sergio Fiorini **

Pubblichiamo volentieri questo articolo del presidente del Parco regionale del Gigante, Sergio Fiorini, e del senatore Fausto Giovannelli nel quale viene posto un tema ambizioso e impegnativo: quello dell'istituzione di un parco nazionale sull'Appennino Tosco-Emiliano.
Come gli autori ricordano l'idea - chiamiamola così - è presente nella legge-quadro sui parchi che vi accenna in termini molto generali; anzi sarebbe meglio dire estremamente generici.
Non si svela alcun segreto se si ricorda che al momento della stesura della legge questo inserimento fu voluto soprattutto da chi ipotizzava e puntava sulla costituzione di un parco nazionale delle Alpi Apuane, che si pensava potesse fare meglio e di più di un parco regionale di cui sono note le difficoltà. Ora il tema viene ripreso ma, come riconoscono gli autori, esso non riguarda tanto le Alpi Apuane, la cui specificità difficilmente può amalgamarsi con aree anche contigue, quanto altri territori appenninici soprattutto emiliani.
Da questo punto di vista l'articolo ha il merito di porre una questione non facile ma sempre meno eludibile o aggirabile: quella del superamento della 'microprotezione', ossia di una rete di parchi non necessariamente minuscoli, che però non riesce a superare le colonne d'Ercole delle numerose e spesso intralcianti divisioni amministrative.
L'idea di un parco nazionale viene ripresa dagli autori in questa chiave e riesce a dare anche una concretezza, diciamo così, ad un'ipotesi che, come dicevamo, neppure con l'avallo della legge era riuscita ad assumere connotati precisi e credibili. Tanto è vero che si è cominciato a parlarne tra amministratori, in qualche riunione, ed ora anche sulla nostra rivista.
Il discorso è perciò aperto e ci auguriamo che altri vogliano intervenire. Da parte nostra vorremmo limitarci per ora ad una sola notazione a proposito del 'valore', verrebbe da dire della 'superiorità', che l'articolo assegna al parco nazionale rispetto gli altri parchi.
L'articolo insiste molto su questo punto quasi a voler vincere con la forza di questo argomento le 'resistenze' a rimettere in discussione i parchi esistenti in almeno tre province emiliane; Reggio, Parma e Modena, per imboccare coraggiosamente la via dell'accorpamento, del superamento delle microgestioni.
Se l'intenzione è nobile, meno convincente è l'assunto.
Stabilire una scala di valori, una sorta di 'borsino' in cui le quotazioni del parco nazionale prevalgono sempre e comunque su quelle di un parco regionale o provinciale non ci pare corretto. Perché quella distinzione tra parchi nazionali e regionali, che non ha valore dirimente per quanto riguarda la natura e l'ambiente, dovrebbe averla in maniera così drastica e assoluta per un rustico o il richiamo turistico?
Perché un tipo di gestione istituzionale a carattere nazionale dovrebbe 'di per se' arrecare ad un'area protetta tanti e tali vantaggi da farla preferire comunque, in via di principio e di fatto, a soluzioni diverse?
Non vorremmo insomma - questo è il succo del nostro ragionamento - che si riaprisse una controversia che proprio con la legge-quadro pensavamo potesse essere finalmente e definitivamente accantonata.
Si ricerchino dunque con coraggio le forme migliori di collaborazione e di gestione del territorio già protetto e di quello che sarà possibile proteggere in futuro sull'Appennino, ma lo si faccia senza precostituire soluzioni e modelli che andranno invece costruiti con buonsenso, senza penalizzare quel che già c'è e funziona. (R. M.)
L'Appennino Tosco-Emiliano accomuna robusti valori di storia umana e di storia naturale.
Tracce di un'antica cultura sono presenti nelle vie di comunicazione, nei borghi medievali e seicenteschi, negli edifici al servizio del lavoro dell'uomo, metati, mulini, fienili.
Ancora oggi il significato della parola "monta-naro" identifica quasi quanto "emiliano" o "toscano".
Qui si trovano le cime più alte della catena appenninica (Cimone, Cusna, Prado, Alpe di Succiso), la straordinaria emergenza delle Alpi Apuane, la Pietra di Bismantova di dantesca memoria.
Qui si ha un'eccezionale presenza di zone umide, specchi d'acqua e torbiere, ecosistemi ricchissimi di endemismi animali e vegetali.
Qui c'è ancora una flora tramandata dalle glaciazioni che conserva evidenti caratteri alpini a testimonianza delle comuni origini geologiche, tra cui le uniche stazioni spontanee di abete bianco.
Qui animali da proteggere stanno ritornando a popolare le valli, tra cui il lupo, che risale la dorsale del Parco d'Abruzzo, la marmotta recentemente reintrodotta, l'aquila reale che nidifica sui rocciosi versanti toscani, la lontra che ricompare in Val d'Enza, il capriolo e il cinghiale che proliferano oltre ogni anche remota previsione.
Dal sentiero di crinale, sullo spartiacque, nelle giornate limpide si abbraccia con lo sguardo un grande scorcio d'Italia, dai mari Ligure e Tirreno, alle vallate toscane, dalla Pianura Padana all'arco alpino.
Garfagnana, Lunigiana, Appennino Reggiano, Parmense, Modenese: aree contigue, paesisticamente, naturalisticamente, culturalmente affini. L'economia di queste valli sta mutando. Anche qui dalla stagione produttivistica si ereditano mancati decolli industriali e qualche chiusura. Una funzione "produttiva" in senso tradizionale può resistere nella media montagna. Ma verso il crinale le condizioni sono diverse. Lì siamo allo zero delle nuove nascite. Lì è l'ecosistema umano quello che tende all'estinzione. La crisi del ruolo economico e sociale di quella fascia può trovare soluzione solo in un'economia di tipo ecologico. Mentre una funzione economica classica si è esaurita, un altro ruolo, sociale ed economico insieme, va delineandosi.
Occorre proteggere l'Appennino per destinarlo a finalità socio-economiche di lunga durata. Occorre collocarlo fuori dall'anonimato in cui può cadere. Collocarlo nell'Europa della natura e dei parchi, in competizione con altre aree con queste caratteristiche, che vengono rivalutate come serbatoi per il tempo libero e la vita di milioni di europei.
Oggi il nostro territorio non è all'interno di questa competizione nazionale ed europea.
E' protetto solo ad intervalli, ed è valorizzato in modo confuso e sporadico.
E intanto l'Italia dei parchi nazionali cresce. Fra le polemiche, e non senza errori e con fatica, tanto che chi ci lavora non si rende conto di procedere in avanti. Ma cresce come non mai.
Dal Pollino alle Foreste Casentinesi, dalle Dolomiti di Belluno all'Aspromonte, dai Monti della Laga al Gennargentu Orosei... Sono molti i luoghi, anonimi fino a qualche tempo fà (e per i più ancor oggi) che hanno iniziato il cammino controverso - ma probabilmente irreversibile - che li porterà a diventare:

  • 1) luoghi di conservazione più attenta della natura e della cultura, cioè del segno dell'uomo che con essa si intreccia;
  • 2) mete privilegiate del turismo ecologico internazionale in costante crescita nel mondo;
  • 3) zone fino a ieri avviate all'abbandono, ora sulla strada di una nuova identità del territorio e della gente che lo abita;
  • 4) aree in cui si sperimentano nuove entità e strumenti di governo (i comitati, i direttori, i piani, eccetera).
Non ci facciamo illusioni su quest'ultimo punto. Non sarà un idillio questa "sperimentazione". Ma di una cosa siamo sicuri: non esistono per quelle zone prospettive migliori al di fuori di quelle indicate dall'essere parco, soprattutto se il parco, prima ancora che un ente (espressione di un'ambizione dirigistica e di micro-amministrazione) sarà un'agenzia culturale e, perché no, economica, se sarà teso ad indirizzare all'offerta di qualità ambientale le iniziative private esistenti e a crearne di nuove, prima ancora che a "sostituirsi" al tessuto sociale esistente, promuovendone delle proprie con risorse esclusivamente pubbliche. Per le zone del crinale appenninico reggiano sarebbe un'occasione sprecata e forse sprecata per sempre - il non adoperarsi ora per entrare in questo processo tumultuoso in corso della creazione dei parchi nazionali.
L'acquisizione dell'identità di parco regionale del Gigante e dei vincoli ambientali ad esso connessi - e in gran parte precedenti la creazione dello stesso - è un dato ormai acquisito come dato che riguarda il modo di essere della pubblica amministrazione del territorio. Ma lo è come cultura della gente? Lo è come punto di vista de-gli operatori economici? Lo è come aspettativa dei giovani che cercano un'occupazione o una prospettiva? Lo è come speranza degli anziani che si chiedono se le piccole comunità in cui hanno passato una vita, o sono tornati dopo una vita di emigrazione, avranno un futuro? Cioè vi si formeranno nuove famiglie, vi nasceranno bambini? Vi si ricostruirà una comunità umana fatta - sempre - di uomini, genitori, figli, di lavoro, ma anche di scuola, di luoghi di assistenza e di luoghi di educazione?
Forse no. Non lo è ancora. E non siamo certi che lo diventerà. Che c'entra tutto questo con l'ipotesi di parco nazionale? C'entra, eccome. Perché ci sembra che in qualche modo diventare parco nazionale sarebbe fare in pieno una scelta di identità territoriale, di tipologia e qualità dello sviluppo da perseguire; di prospettiva per cui impegnare la nascita di nuove imprese; le scelte di molte di quelle esistenti.
Un parco che si interrompe sul crinale, un parco che cessa di essere tale ai confini della Provincia, un parco che raccoglie pochissimi Comuni, può essere poco più che un ente locale che si aggiunge agli altri. Utile senz'altro. Ma non tale da far fare il salto di qualità al territorio. Da farlo essere, nella percezione di chi lo vive dall'interno e di chi lo guarda dall'esterno, un luogo di valore.
Dove vale la pena di andare, anche da lontano. Dove vale la pena di investire in ricettività, senza opere faraoniche, prevedendo una presenza turistica non oceanica, ma ben distribuita nelle quattro stagioni e nei dodici mesi dell'anno.
Dove vale la pena salvare, ristrutturare, riabilitare vecchi borghi, vecchie chiese, vecchi mulini.
Dove si può pensare di rivolgersi a un "target" di visitatori che va oltre la nostra Provincia e il nostro Paese.
Dove si è invitati e costretti non a vivacchiare nella propria piccola dimensione, ma ad entrare in relazione - faticosa sì ma feconda - con livelli nazionali del governo del territorio, della cultura ambientalista, della promozione turistica. Dà le stesse opportunità un parco "regionale" che confina ad est e a ovest con altri parchi più o meno uguali e identici? Anch'essi regionali di nome ma "provinciali" di fatto? Di modo che avremo 4/S parchetti contigui. Con 5 presidenti, 5 consigli di amministrazione, 5 piani del parco, 5 regolamenti dei funghi e 5 regolamenti delle castagne?
Crediamo di no, crediamo che, abbandonando le gelosie di piccola comunità e gli sciovinismi di piccola potenza, unificando le forze e le risorse ambientali, storiche, umane ed economiche di ben più ampi territori e aggiungendo a queste quelle connesse al ruolo dello Stato centrale (che non possiamo vivere come un nemico essendone i cittadini), si possa fare molto di più.
Si possa cioè avere più alti livelli di lettura e studio del territorio. Avere più alti livelli di autorevolezza in tutte le direzioni. Avere più alti livelli di audience in tutta l'Europa. Avere più credibilità in tutta Europa.
E facciamo esempi.
Un rustico in un parco nazionale vale di più che un rustico nel parco provinciale. Un albergo a 15 minuti d'auto dal parco nazionale vale di più di un albergo in un posto come un altro. Un seminario di studi in un parco nazionale ha più audience e interesse che nel parco dell'Appennino piacentino. Una "politica commerciale" verso i tour-operators del centro Europa o degli USA ha più probabilità di successo se propone un parco nazionale.
L'insieme dei valori dell'Appennino emiliano cresce, e di molto, se letto e proposto insieme con quelli del versante toscano della Garfagnana e della Lunigiana, che hanno una grande identità storica e culturale.
La legge 394 propone l'Appennino Tosco-Emiliano come area di reperimento di nuovi parchi nazionali al primo posto di un lungo elenco.
Vogliamo che l'elenco sia tutto quanto scorso e utilizzato rinunciando ad attuare quell'intuizione della legge per il nostro territorio? Lo faremmo per timidezza e per paura di confrontarci a livello nazionale.
Non investiremmo sul futuro. Un dibattito stringente non può essere rinviato. Ai giovani dei Comuni del crinale si può offrire un terreno di competizione ai vertici dell'offerta del turismo ambientale, un progetto per sottrarre sé stessi all'isolamento e dare un valore ai luoghi delle loro radici.

* Commissione ambiente del Senato
** Presidente del Parco del Gigante