Federparchi
Federazione Italiana Parchi e Riserve Naturali


PARCHI
Rivista del Coordinamento Nazionale dei Parchi e delle Riserve Naturali
NUMERO 16 - OTTOBRE 1995


NOTES
L'Agenda 21 e il ruolo delle aree protette marine

L'Agenda 21, approvata da oltre 180 Stati rappresentati a Rio, costituisce un vasto programma d'azione per il XXI secolo (da cui il nome dell'agenda), prevedendo una serie di provvedimenti volti a conciliare, sulla base della collaborazione e della solidarietà internazionale, le esigenze dell'ambiente e di un sano sviluppo economico.
Il documento propone politiche e programmi per raggiungere un equilibrio sostenibile fra il consumo, la situazione demografica e le reali potenzialità di ogni Stato, citando tecnologie e strategie e tenendo conto della gestione delle risorse naturali. Il documento offre inoltre alcune alternative per combattere il degrado del suolo, dell'aria e dell'acqua, conservando le foreste e la diversità delle specie viventi. Inoltre esso afferma che i governi dovrebbero adottare una strategia nazionale per lo sviluppo sostenibile, con l'obiettivo di assicurare uno sviluppo economico adeguato, proteggendo, nel contempo, le risorse ambientali per il beneficio delle future generazioni. Il documento suggerisce inoltre ai Paesi sottoscriventi alcune indicazioni per realizzare tale tipo di sviluppo.
Le aree protette svolgono un ruolo fondamentale per l'attuazione delle indicazioni dell'Agenda 21: esse, infatti, costituiscono un vero e proprio rifugio in cui le diverse forme di vita si mantengono a garanzia della variabilità biologica su cui si basa la nostra stessa sopravvivenza e rappresentano il cosiddetto sistema"in situ" di conservazione dei patrimoni genetici delle specie.
L'istituzione di un'area protetta comporta una serie di vincoli nell'utilizzo delle risorse, che solo in apparenza possono sembrare un ostacolo allo sviluppo economico. La regolamentazione di alcune forme d'uso è ovviamente finalizzata ad evitare uno sfruttamento eccessivo e ad assicurare che l'uso delle risorse sia sostenibile, tale cioè da consentire alla risorsa stessa di rinnovarsi.
Prendendo come esempio un'area protetta marina, è possibile ottimizzare il rapporto tra la disponibilità delle risorse ittiche e lo sforzo di pesca; inoltre si possono tutelare le fasi più delicate del ciclo vitale delle popolazioni mediante strumenti legislativi o la creazione di strutture artificiali sommerse in aree limitrofe al parco. Queste, oltre ad incrementare gli ambienti a disposizione di numerose specie ittiche, costituiscono un valido deterrente meccanico nel controllo della pesca a strascico.
L'impoverimento della diversità biologica sta aumentando anche a causa della distruzione di habitat, dello sfruttamento agricolo eccessivo, dell'inquinamento e dell'inadeguato inserimento di piante ed animali estranei ai loro ambienti naturali di origine. E' quindi ormai urgente intraprendere azioni decisive volte alla conservazione e al mantenimento dei geni e degli ecosistemi, e recenti progressi nel campo della biotecnologia dimostrano che il materiale genetico presente nei vegetali, negli animali e nei microrganismi può influire positivamente sull'agricoltura, sulla salute e sul benessere delle persone, nonché sulla protezione dell'ambiente.
Una delle soluzioni per salvaguardare la biodiversità è quella di proteggere in modo particolare alcune zone, anche mediante uno sviluppo ecologico delle regioni circostanti, e promuovere il ripristino degli ecosistemi lesi e la tutela delle specie minacciate. Come già detto, le aree protette possono conservare al loro interno un patrimonio genetico di grande valore, consentendo alle specie vegetali ed animali di vivere in condizioni ambientali idonee. Tali aree rappresentano quindi dei serbatoi di specie, le quali possono diffondersi e ricolonizzare le zone circostanti, spesso compromesse dall'inquinamento e dal degrado ambientale. Esse, con il loro patrimonio storico, culturale e naturalistico svolgono una funzione educativa fondamentale, i cui benefici sono difficilmente quantificabili. La possibilità di venire a contatto diretto con la natura aiuta a scoprire i processi naturali e rendersi conto di quanto l'uomo ne sia dipendente.
Sulla base di quanto detto, le aree protette possono divenire uno strumento efficace per realizzare la conservazione della biodiversità e per potenziare lo sviluppo sostenibile. Ai fini della loro istituzione è indispensabile effettuare studi mirati all'elaborazione di un quadro conoscitivo dell'ambiente naturale e socio-economico dell'area interessata, individuando le attività economiche compatibili con le finalità cui la zona protetta è destinata. Nell'ambiente marino lo sviluppo indiscriminato della pesca, l'inquinamento, la realizzazione di piattaforme per la ricerca di idrocarburi hanno infatti provocato modificazioni agli organismi marini e per molti anni gli ecosistemi marini sono stati spesso trascurati: in Italia, ad esempio, due terzi degli 8.000 chilometri di coste sono sepolti dal cemento e circa il 70% dell'inquinamento marino proviene da attività che si svolgono sulla terraferma.
Queste modificazioni degli ecosistemi marini, avvenute nell'ultimo trentennio, sono state evidenziate da ricercatori e da associazioni ambientali, facendo quindi maturare nell'opinione pubblica la consapevolezza che si è ormai superato il livello di guardia nel processo di degrado ambientale. Appare quindi evidente la necessità di studiare, sviluppare ed adottare programmi mirati alla conservazione e all'utilizzo (e non sfruttamento) razionale delle risorse marine.
Ai parchi la legge deve assegnare quindi compiti molto variegati in campo economico-sociale, con un coinvolgimento del settore privato, allargato anche ai territori adiacenti. Le aree protette, previste dalla normativa attuale italiana, devono presentare pertanto soluzioni innovative rispetto ad un'antiquata concezione di parco.
Le nuove potenzialità in campo economico-sociale potrebbero essere largamente vanificate se alle aree protette non saranno garantite risorse e strumenti adeguati ed idonei alla realizzazione dei piani e programmi previsti dalle nuove normative. Chiaramente, oltre alle forme amministrative più idonee, occorrono strutture professionalmente preparate e tecnicamente attrezzate per gestire tutte le attività previste, tenendo conto, in ogni caso, delle risorse umane, sociali ed economiche presenti nelle singole realtà locali.
La pianificazione territoriale e le verifiche di compatibilità costituiscono dunque lo scheletro portante all'interno di contesti particolarmente sensibili e fragili quali sono i parchi.
Qualcuno teme che con lo sviluppo sostenibile si voglia conservare soprattutto lo sviluppo anziché la natura, ma dal momento che le ricadute positive delle attività promosse e gestite dai parchi sono legate principalmente al turismo (un turismo diverso, più intelligente e in buona sostanza, "sostenibile"), le aree protette possono garantire una nuova era di sviluppo economico rispettoso dell'ambiente. Giovanni Diviacco (ricercatore Icram); Marina Pulcini, Claudia Virno Lamberti (collaboratrici Icram)

S.O.S. Gran Paradiso
L'uscita del libro 1I Parco nazionale del Gran Paradiso, 1992, 70 anni di storia, di cultura e di ricerca, edito dall'Ente Parco nazionale del Gran Paradiso a cura di Bruno Bassano, Vittorio Peracino, Elio Pontrepini, Carla Carniel, avrebbe dovuto rappresentare una di quelle felici occasioni per fare un bilancio di tanti anni di lavoro e guardare al futuro con l'ottimismo di chi sa di avere acquisito esperienze e competenze da spendere utilmente per sé e per tanti altri che sono alle prime armi.

Ma le cose non sono andate così.
Alla rispettabile età di 70 anni uno dei maggiori e celebri parchi del nostro Paese rischia la paralisi, è gestito da un commissario ormai in scadenza, per cui non è in grado di varare il piano del parco e quello socio-economico, non può insediare la Comunità del parco e disponendo di soli 51 guardaparco rispetto ai 68 previsti in organico non riesce neppure ad assicurare i servizi essenziali, a cominciare dal censimento della fauna che è fondamentale per un'area protetta. E tutto ciò perché ancora non si è proceduto da parte del Ministero dell'ambiente all'attuazione di quanto previsto dalla legge-quadro, nonostante vi sia oggi, dopo tante polemiche e controversie una sostanziale intesa tra le due Regioni interessate (Valle d'Aosta e Piemonte). E' già sorprendente che vicende di questo tipo possano accadere senza suscitare reazioni adeguate e lo è ancora di più che su di esse, salvo le cronache locali, i giornali e la RAI-TV osservino il più totale e scandaloso silenzio.

Il Ministero dell'ambiente (diabolicamente) persevera
Nel numero precedente avevamo cercato di documentare le inspiegabili disfunzioni del Ministero dell'ambiente in fatto di "inflazione".
Che si tratti di un argomento tutt'altro che marginale lo ha confermato lo stesso ministro ... scusandosi, in un certo senso, dinanzi al Parlamento per i gravi ritardi nell' istituzione dell'Agenzia per l'ambiente, incagliata nei meandri della burocrazia.
Anche il ministro Frattini ha recentemente affermato che il Governo è impegnato a rendere trasparenti tutti gli atti della pubblica amministrazione, precisando, perché non ci fossero dubbi al riguardo, che per informazione non ci si riferisce a quella dei "portavoce" politici, ma alle strutture operative ed agli atti amministrativi.
Ma le strutture operative del Ministero dell'ambiente la pensano, evidentemente, in maniera del tutto diversa dai ministri e dal Governo. I parchi italiani hanno infatti ricevuto una lettera della Società Carsa di Pescara, con la quale li si informa che il Ministero dell'ambiente gli ha affidato l'incarico di realizzare la prima mostra italiana sull'attuazione della legge 394/1991, dal titolo: L'ltalia dei parchi. Mostra laboratorio sulle aree naturali protette, che si doveva tenere a Roma dal 10 al 15 ottobre.

La lettera è stata inviata anche ai parchi regionali, sebbene la mostra riguardi solo i parchi nazionali.
Naturalmente quelli dell'Agenzia Carsa vanno creduti sulla parola, perché nulla è pervenuto al riguardo da parte del Ministero, il quale, evidentemente, si considera "sgravato" da ogni incombenza di un'iniziativa "clandestina" che affida ad una sconosciuta società di Pescara un incarico in base al quale vengono richiesti direttamente anche ai parchi regionali, che non potranno essere rappresentati nella mostra - riservata (tanto per cambiare) ai soli parchi nazionali materiali vari, del cui uso e impiego non si sa bene chi risponderà.
In quali sedi è stata decisa questa mostra? Con chi sono stati discussi i criteri di raccolta ed esposizione dei materiali, e perché l'attuazione della 394 dovrebbe riguardare soltanto i parchi nazionali?
A questi ed altri interrogativi noi non siamo ovviamente in grado di rispondere, essendo peraltro venuti a conoscenza della cosa solo grazie alla segnalazione di qualche parco che, come è naturale, ci ha manifestato sorpresa e sconcerto. Sappiamo che anche al Ministero sono pervenute proteste e critiche. Ma lì, evidentemente, a fare orecchie da mercante ci hanno fatto ormai il callo.

P.S. A proposito di lettere abbiamo visto anche quella inviata dal Censis ai parchi nazionali per la realizzazione di una "banca dati coordinata". L'iniziativa, apprendiamo, è stata discussa in una riunione dei presidenti dei parchi nazionali presso il Servizio conservazione natura. Le sette pagine della nota spiegano con dovizia di motivazioni e di esempi gli scopi di questo monitoraggio che il Ministero intende affidare al Censis. Se non abbiamo letto male la parola Regioni non ricorre mai.

Domanda: che senso ha una rilevazione "Comune per Comune" delle aree a parco che riguardi soltanto i parchi nazionali?
In Piemonte la banca dati raccoglierà le informazioni sulla Val Grande e il Gran Paradiso ignorando le diecine di parchi regionali? In Toscana monitorerà la parte relativa alle foreste Casentinesi e non i parchi della Maremma, di S. Rossore-Migliarino-Massaciuccoli e delle Apuane? E a cosa servirà questa parziale e poca rilevazione? Non sarebbe stato più giusto e coerente con la legge-quadro che della cosa ne avesse discusso il Comitato Stato Regioni così da prevedere una banca dati per l'intero sistema nazionale delle aree protette? Anche per la Carta della natura il Ministero intende procedere a pelle di leopardo come se lo Stato avesse doveri e incombenze soltanto verso i parchi nazionali? Possibile che non si avverta l'incongruenza di questo modo di operare? (R. M.)

Lo stambecco ritorna sull'Adamello
Con la liberazione, il 4 ed il 5 maggio, rispettivamente di 20 capi nel territorio del Parco dell'Adamello (BS) e di altri 10 capi in Val di San Valentino nel parco Adamello-Brenta (TN) ha preso l'avvio ufficialmente l'operazione di reintroduzione dello stambecco nel comprensorio dell'Adamello.
Per oltre 10.000 anni la storia dello stambecco si è intrecciata con quella degli antichi abitatori delle Alpi; cacciato per la carne, ma soprattutto per le sue presunte proprietà terapeutiche attribuite alle varie parti del suo corpo, lo stambecco scomparve dalla quasi totalità delle Regioni alpine a partire dal XVI secolo.
Nel 1821 sopravviveva solamente un nucleo di un centinaio di capi, nelle valli più impervie del Piemonte e della Valle d'Aosta. Protetto, nel suo ultimo rifugio, dalle prime norme di tutela emanate dai sovrani di casa Savoia e, in un secondo tempo, dall'istituzione del Parco nazionale del Gran Paradiso, lo stambecco sta tornando, soprattutto per effetto di reintroduzioni, ad occupare parte del suo antico areale alpino.
Lo stambecco, raffigurato nelle incisioni rupestri dei Camuni, era con tutta probabilità ancora presente nel gruppo dell'Adamello fino alla metà del XVIII secolo. La reintroduzione dello stambecco nei territori protetti dai due parchi naturali confinanti si configura quindi come un reintegro di un'importante componente della comunità animale alpina, un significativo passo verso il ripristino di un ecosistema più completo e stabile.
Le prime liberazioni del maggio scorso rappresentano una fase iniziale del "Progetto stambecco", promosso in collaborazione dai due parchi, alla quale seguiranno altre nel corso dei prossimi anni. Gli stambecchi liberati provengono dal Parco naturale dell'Argentera, sulle Alpi Marittime. Le varie operazioni di cattura, di trasporto, di liberazione e successivamente di controllo degli animali liberati sono seguite costantemente da un gruppo di studiosi coordinati dal professor G. Tosi dell'Università di Milano.
Per condurre correttamente la fase di controllo, i capi rilasciati sono stati muniti di marche auricolari colorate ad entrambe le orecchie per facilitarne il riconoscimento individuale, e di radiocollari che contribuiranno a ravvisare, in modo continuo, i loro spostamenti ed a studiarne i ritmi di attività. Le fasi di controllo della neo-popolazione, nei primi anni successivi ai rilasci, sono molto importanti per una continua verifica degli esiti dell'operazione stessa. (S.F.)

Movimento cooperativo e aree protette
Non è certo un caso che il legislatore (legge 394/91) indica nel piano del parco e nel piano socio-economico i primi atti che devono costituire i punti di riferimento certi; piani che partano dall'ascolto dei desideri e dei bisogni della gente per tramutarsi in indirizzi di politica economica.
Sì, la scommessa per l'Ente parco è individuare i contenuti di una politica economica avendo consapevolezza che si tratta di conseguire finalità difficilmente conciliabili: organizzare delle attività, che già sappiamo produrranno bassi margini in modo economico, cioè puntando a produrre utili di impresa.
Ecco allora che l'attenzione si sposta sugli strumenti in grado di conseguire finalità così impegnative, i quali dovranno avere dimensioni sufficientemente ampie, che sviluppino una pluralità di attività, che abbiano all'interno le capacità professionali, solidità economica, che possano contare, nel rapporto con il parco, su accordi almeno di medio periodo.
Ancora una volta è la legge 394 che viene in soccorso quando parla di "accordi di programma", di "specifiche convenzioni" perché per quasi tutte le attività occorre concordare prima il percorso da compiere, all'interno del quale l'impresa calcola l'entità del suo rischio e l'eventuale ammortamento dello stesso nel tempo, e l'Ente le risorse da mettere a disposizione.
Uno strumento che può contenere in sé caratteristiche adatte ad un simile disegno è la cooperazione.
L'impresa cooperativa è adatta perché non ha finalità lucrativa, perché la sua finalità è quella di soddisfare il bisogno dei soci, cioè un reddito e un'occupazione possibilmente stabili.
La stessa predisposizione del piano o di stralci del piano, la tabellazione, la sentieristica, il turismo naturalistico, scolastico, è occasione per organizzare lavoro e occupazione per i residenti.
Dal momento che siamo convinti assertori di un ruolo realmente propulsivo della cooperazione per lo sviluppo delle attività di impresa, siamo contrari ad un'impostazione eccessivamente spontaneistica. Il protagonismo, specie dei giovani residenti, sarà tale se poggerà su iniziative economiche valide e solo così diventerà solido e duraturo nel tempo.
Perché la cooperazione può essere lo strumento di una strategia dell'Ente parco e non parimenti di un'impresa privata? Perché la cooperazione aggregando gente del posto utilizza la realizzazione di un appalto per rafforzare il suo legame con il territorio, l'impresa privata realizza il suo utile di impresa e tutto finisce lì.
Valga per tutti il richiamo al "rapporto sul sistema cooperativo" elaborato dal Censis nell'ottobre '94: nonostante la dimensione quantitativa e la sua diffusione sul territorio, il giudizio che si dà è di un comparto che ancora stenta a guadagnare il mare aperto del mercato, stretto tra una concezione solo solidaristica o solo economicistica, strutturalmente debole per i bassi capitali di dotazione.
La cooperazione avrà futuro e avrà peso se riuscirà a competere nel mercato: i connotati della partecipazione, della solidarietà, saranno vantaggi competitivi se poggeranno su condizioni di efficienza imprenditoriale.

Un conto però è fare impresa nella così detta "polpa" e un conto è farla nelle aree interne.
La sfida, che però deve vedere l'istituzione parco e la rappresentanza della cooperazione intorno ad un tavolo, è proprio questa: organizzare delle imprese economiche sviluppando quelle attività ecocompatibili.
La forma cooperativa è adatta non perché, come purtroppo da più parti si ritiene, è una forma di imprese per la cui costituzione bastano pochi capitali, e comunque può essere un luogo di organizzazione del consenso; è adatta perché, se dotata di capacità finanziaria e professionale, meglio di altre forme di impresa realizza una finalità sociale.
Allora, quale cooperazione, come organizzarla, come strutturarla, come dimensionarla, come legare i soci potenziali del territorio alla rete di ciò che già è organizzato, al meglio di ciò che già è organizzato.

Ecco perché parliamo di "promozione programmata" come peraltro indica la stessa legge 59l92.
Se esiste una rete di cooperative che opera nel turismo naturalistico, l'obiettivo è quello di metterle in rete affinché l'organizzazione che ne deriva sia la più efficiente e rispondente ad organizzare l'offerta del turismo naturalistico, e a questa organizzazione si leghino i giovani che tramite la stessa conseguiranno una sicura professionalità.
Sta qui il senso del protocollo di intenti delle quattro Centrali cooperative delle Marche e Umbria, strumento di lavoro per promuovere sulla base di una corretta impostazione programmatica concreti progetti imprenditoriali.
Peraltro una simile impostazione coincide con quello che lo stesso Censis indica a conclusione del suo rapporto: "Un maggiore insediamento delle cooperative nel tessuto economico di un'area nel momento in cui è più intensa la ricerca di qualità su ogni punto della catena produttiva, comporta il tentativo di conseguire soglie ottimali di efficienza e di efficacia per tutte quelle cooperative che considerano la loro presenza sul mercato come il fine ultimo cui tendere". Non si sfugge pertanto dal binomio conseguimento di obiettivi di sviluppo del parco, organizzazione di efficienti strumenti di gestione. L'impostazione deve essere questa, da subito.
Veniamo da un periodo nel quale la cooperazione non ha vissuto come sue queste impostazioni. Ecco i motivi della sua debolezza e del suo insufficiente radicamento (salvo autorevoli eccezioni) nel Paese; ma oggi è chiara in noi la consapevolezza che non c'è alternativa a questa impostazione (sempre che vogliamo contare nel contesto economico-sociale di un'area o del Paese).
Lavoreremo per affermarla, in un confronto ravvicinato con i gruppi dirigenti degli Enti parco, perché sempre più convinti che solo questa può costituire il contributo vero per promuovere i parchi.
Lo faremo ricercando il necessario confronto con le organizzazioni ambientalistiche, cercando di far capire loro che la nostra non sottende alcuna volontà prevaricatrice, al contrario fissa i termini della nostra missione la cui chiara definizione non potrà che giovare a quella di entrambi i cui ruoli, pur diversi, concorrono a perseguire la stessa finalità: lo sviluppo socio-economico al territorio dei parchi.
Non vediamo francamente alternative a questa impostazione, che unica può contribuire a far decollare le attività dei parchi, a dare le risposte che la gente si aspetta. Su questa impostazione, che oggi va data con la necessaria determinazione affinché cominci a produrre risultati concreti, si sconfiggeranno nel medio periodo le forze avverse, quelle che, in assenza di una precisa inversione di tendenza, non potranno che occupare uno spazio progressivo.
E' un disegno impegnativo ma che suscita in tanti di noi una grande suggestione: la possibilità di vedere realizzata una grande idea.
(Teodoro Bolognini, Lega regionale cooperative e mostre delle Marche)