Federparchi
Federazione Italiana Parchi e Riserve Naturali


PARCHI
Rivista del Coordinamento Nazionale dei Parchi e delle Riserve Naturali
NUMERO 16 - OTTOBRE 1995


La corretta promozione come forma di incentivo della qualità della presenza turistica delle aree protette
Walter Giuliano *

450 milioni di persone l'anno si mettono in movimento per conoscere il mondo. E' questo il dato più aggiornato che riguarda l'industria del turismo. Un movimento che fattura ogni anno 3.000 miliardi, rappresentando il 13% della spesa globale.
Cresce la domanda, aumenta l'offerta.
Ma qual'è, se esiste, il rapporto tra offerta e qualità della presenza turistica?
L'interrogativo è importante nel momento in cui la qualità della presenza turistica diviene elemento sempre più strategico e fondamentale, soprattutto quando ci troviamo nell'ambito delle aree protette.

Ecoturismo in crescita

D'altra parte sono proprio queste a essere sempre più prese d'assalto dal flusso turistico. Il "turismo verde" è in crescita e se ne prevede un aumento del 3% l'anno di qui al 2005.
Secondo un'inchiesta recentemente pubblicata da Eco - La nuova ecologia gli ecoturisti che scelgono come meta un'area protetta sarebbero in Italia circa un milione, con un livello culturale medio-alto ed età compresa tra i 35 e i 44 anni o tra i 14 e i 24.
E i parchi e le riserve naturali sono mete ambite in tutto il mondo, dai parchi delle grandi montagne della catena himalayana alle Galapagos, dai grandi scenari africani alle sconfinate lande dei territori del nord canadese, dai parchi americani delle Montagne Rocciose fino ai ghiacciai antartici o della Groenlandia. In taluni parchi americani la presenza è decuplicata rispetto a qualche anno fa, e numerosi sono i parchi costretti ad applicare il numero chiuso su parecchi itinerari.
Questo flusso in crescita comincia a preoccupare ed è ormai dato acquisito che l'impatto della presenza turistica in aree protette debba essere sempre più sottoposto a controllo e a regolamentazione. Ben sappiamo infatti che anche le attività apparentemente più in sintonia con l'ambiente non mancano di avere effetti blandamente o fortemente compromissori degli equilibri ecologici, soprattutto se se ne rileva la continuità per ampi periodi di tempo.
Lo abbiamo visto in uno dei precedenti seminari e ne richiamiamo qui soltanto alcuni sintetici elementi basilari che meglio ci consentiranno di comprendere il fenomeno.
La sfida dei prossimi decenni sta infatti tutta nelle scelta tra un turismo inteso come risorsa rinnovabile attenta ai bisogni dell'ambiente e un turismo di rapina in linea con la tendenza che si è affermata nel passato e che rischia dunque di divenire un problema non secondario per il futuro stesso delle aree che ne sono investite, prime tra tutte quelle istituite come aree a parco o riserva naturale.

Il turismo, risorsa o problema?

Il turismo, come sappiamo, può costituire oggi un'attività economica fondamentale per molte aree protette. Ma l'esperienza insegna che rispetto al boom degli anni del dopoguerra non si può oggi prescindere dalle conseguenze ecologiche che la monostruttura turistica può avere su interi comprensori territoriali. Tutto il settore necessita di un ripensamento che apporti rilevanti modifiche nella filosofia di intervento, capaci di strutturarlo in una forma ambientalmente accettabile sia per le componenti naturali sia per le società locali.
Sale la consapevolezza che anche attività normalmente ospitate e ospitabili dall'ambiente naturale possono diventare nocive, nel momento in cui si trasformano in attività di massa, richiamando e concentrando un numero inaccettabile di praticanti in una stessa area. Il principio dell'eccessivo carico del suolo, fino a ieri applicato al bestiame, va esteso all'animale uomo che fa dell'ambiente il suo terreno di svago e di pratica motoria.
Le conclusioni dell'ultima Conferenza mondiale sull'ambiente di Rio de Janeiro ha stabilito che la politica di conservazione dell'ambiente trova le sue possibilità di successo duraturo solo nella territorializzazione delle politiche ambientali, situando cioè in ambito territoriale la tutela delle singole emergenze naturali (flora, fauna, paesaggio).
E perché questo progetto risulti vincente, diventa indispensabile promuovere una valorizzazione delle culture locali che potenzi l'identità collettiva e il legame con la terra che si abita, rifiutando quelle politiche esogene che tanti danni hanno provocato nel recente passato.
Per raggiungere questi obiettivi è dunque indispensabile perseguire nella pianificazione turistica del territorio naturale il fine di uno sviluppo ecosostenibile, capace cioè di ribaltare l'attuale concezione basata sul consumo e lo spreco delle risorse naturali e dello spazio disponibile. Dunque occorre orientarsi verso un tipo di turismo dolce, a basso impatto ambientale, la cui valutazione dovrà regolare qualsiasi intervento nel settore.
E' sempre più necessario prevedere la limitazione, in accordo con le collettività interessate, dei diritti di accesso a determinate aree, e vincolare la pratica degli sport au plein air secondo regole che rispettino natura e paesaggio con la rinuncia all'uso sportivo o ricreativo di mezzi motorizzati rumorosi e nocivi all'equilibrio naturale. Abbiamo visto in occasione del seminario di Monte Bondone come anche attività turistico-sportive, tradizionalmente considerate in sintonia con l'ambiente, nei fatti stanno divenendo sempre più a rischio, soprattutto a causa del notevole incremento nel numero dei praticanti.
In aree montane è noto l'impatto negativo non solo della pratica dello sci da discesa (con tutte le infrastrutture a esso dedicate) ma anche dello scialpinismo o dello sciescursionismo, con possibili danneggiamenti al novellame boschivo e il disturbo della fauna in periodi già naturalmente critici, con conseguente dispersione di riserve energetiche difficilmente recuperabili.
La pratica dell'escursionismo, in notevole crescita, sta caricando in maniera sempre più difficilmente sostenibile interi comprensori di interesse ambientale, a cominciare proprio dalle aree protette.
Una presenza massiccia che si riflette sull'ambiente naturale e sulle sue singole componenti (flora, vegetazione, fauna), nonché sulla presenza nei rifugi, crea notevoli problemi, ad esempio, per lo smaltimento dei rifiuti. Non meno preoccupante è il fatto che l'aumento di domanda stimola una risposta da parte dell'offerta, con il moltiplicarsi di proposte e progetti di nuovi punti di appoggio. Analoghe preoccupazioni provengono dalla realizzazione di nuovi sentieri che contribuiscono a indebolire l'equilibrio ambientale, aumentando la penetrazione antropica in aree isolate, spesso rifugio importante per la fauna che è così indotta a ridurre gli areali frequentati.
L'interferenza con i cicli alimentari e riproduttivi della fauna è un pericolo che può derivare anche dalle pratiche più intensamente attuate dagli amanti della natura, come ad esempio il birdwatching, oppure il video e la fotografia naturalistica.
I problemi legati al calpestio e al costipamento del suolo e il connesso fenomeno dell'erosione dei suoli preoccupa già oggi i responsabili di alcune aree protette che, per ovviarvi, stanno predisponendo interventi di limitazione degli accessi e di sostituzione dei tragitti - nei tratti di sentiero costipati - al fine di permettere il rinnovo della cotica erbosa o del sottobosco.
Per i territori protetti maggiormente frequentati l'unica via di uscita sembra essere quella di sottrarre alla fruizione turistica le aree maggiormente sensibili sotto il profilo ambientale, canalizzando i frequentatori su itinerari più facilmente controllabili.
Nuovo mezzo che agevola la penetrazione nell'ambiente naturale è la mountain bike oggi in diffusione crescente. Le conseguenze del suo impiego sono paragonabili a quelle dell'escursionismo, purché sia praticata in maniera adeguata su strade agro-silvo-pastorali o forestali o su mulattiere. Ma gli effetti negativi si accentuano quando la pratica si estende agli ambienti d'alta quota, ancor più fragili sotto il profilo della stabilità idrogeologica.
E' auspicabile un intervento dei responsabili delle aree protette per limitare al massimo gli impatti negativi delle biciclette, escludendole dalle aree più delicate sotto il profilo ambientale, non solo per il danno diretto che la bicicletta può arrecare, ma anche per limitare l'afflusso dei visitatori. Il Wwf esclude le due ruote da tutti i suoi parchi, altri parchi sia nazionali che europei non hanno normative apposite.
Negli USA e nei grandi parchi canadesi vige il divieto se non sui tracciati appositamente segnalati.
In alcune aree protette è da tempo all'ordine del giomo un altro grave problema che è quello delle frequentazioni di talune pareti rocciose, su cui nidificano e vivono specie di rapaci particolarmente sensibili, da parte degli appassionati di arrampicata sportiva.
Il loro impatto su un tipo di fauna già in grave difficoltà per motivi legati alla diffusione degli elementi inquinanti nella catena alimentare è tutt'altro che trascurabile. Basti pensare che delle 19 specie presenti nel nostro Paese ben 7 si riproducono esclusivamente sulle pareti rocciose, e di queste 2 sono al limite della sopravvivenza; l'aquila reale e il falco pellegrino.
Vi è un periodo stagionale di stretto rapporto tra rapace e parete rocciosa ed è in questo periodo che l'interferenza con i climber diviene insostenibile e di assoluta gravità in considerazione della rarità dei rapaci che ne sono le vittime più comuni: il falco pellegrino, la poiana e l'aquila reale.
L'argomento è delicato perché intervenire con specifici divieti sulle pareti fa correre il rischio di fornire segnalazioni utili ai cacciatori di uova, in azione soprattutto nei confronti del falco, per collezione o per utilizzo nella falconeria.
Ovviamente in presenza di aree protette, parchi e riserve naturali, il problema non si pone, essendo d'obbligo il divieto di arrampicata, perlomeno nei periodi critici. Meno allarmante, ma altrettanto preoccupante, è l'impatto che l'arrampicata sportiva su parete provoca là dove si assiste al proliferare di vie "protette".
In ultimo si sottolinea che l'arrampicata può risultare dannosa per biocenosi omogenee, per specie vegetali e per fitocenosi minacciate.
Particolarmente dannosa può essere l'arrampicata su massi, qualora questi siano testimonianza delle antiche glaciazioni, i cosiddetti "massi erratici" che conservano infatti molto spesso vegetazione relitta originaria della zona di provenienza del blocco di pietra trasportato dalla forza del ghiacciaio, dunque elemento importante sia sotto il profilo storico-documentario che vegetazionale.
L'escursionismo a cavallo, in crescita nelle aree protette, è apparentemente un mezzo legittimo, che tuttavia comporta qualche problema oltre a quello generale di un aumento delle frequentazioni: il disturbo alla fauna selvatica nonché una accentuazione dei danni al fondo dei tracciati maggiormente smossi dagli zoccoli dei cavalli con successivo innesco facilitato di fenomeni erosivi.
E' allora opportuno che si prevedano sentieri appositamente destinati ai cavalli (con aree attrezzate per la sosta) in cui siano intensificati gli interventi di manutenzione e ripristino. Buon esempio quello del Parco nazionale d'Abruzzo che ha elaborato un apposito regolamento che disciplina l'escursionismo a cavallo all'interno del suo territorio.
Anche il volo con i mezzi ultraleggeri, deltaplano, deltaplano a motore, parapendio, paramotore, pur essendo ascritto al comparto degli sport "puliti" non sono esenti da impatto ambientale e dunque vanno attentamente valutati nelle aree protette. Si tratta di interferenze negative non solo nelle zone di partenza (spesso terreni a picco su pareti rocciose frequentate da avifauna) e di atterraggio, ma anche per disturbo provocato dal rumore e per le reazioni di stress sulle popolazioni di selvatici che tendono a cercare rifugi coperti diminuendo così, ad esempio, il normale periodo di pastura. Alcune ricerche scientifiche in corso alla Stazione etologica Hasli dell'Università di Bema e alla Società di biologia della selvaggina di Monaco di Baviera mettono in guardia sull'interferenza negativa con i selvatici; un unico sorvolo giornaliero sarebbe sufficiente a tenere lontani dagli spazi aperti gli animali. Il disturbo si riflette negativamente anche su popolazioni animali allontanate periodicamente dai loro quartieri stagionali, riproduttivi o di allevamento della prole. Oltre agli ungulati ne sono colpite alcune specie di avifauna alpina tra cui il gallo cedrone, il forcello, il francolino di monte che possono giungere all'abbandono delle covate.
L'impatto ambientale di discipline come la canoa, il kayak, l'hydrospeed, il rafting, il torrentismo, è ridotto e sarebbe ulteriormente ricondotto entro limiti pressocché trascurabili se agli accessi selvaggi nei punti più facilmente raggiungibili dai mezzi motorizzati si sostituisse una pianificata predisposizione di basi organizzate, da realizzarsi con tipologie e materiali a basso impatto ambientale, opportunamente segnalate dalle vie di accesso. La canalizzazione degli appassionati in queste basi organizzate, realizzate nei punti ambientalmente meno delicati e sensibili delle sponde, è già realtà in altri Paesi come, ad esempio, la Francia.

Corretta informazione e corretto rapporto con l'ambiente

Richiamati in sintesi i concetti fondamentali del difficile rapporto tra alcuni elementi di fruizione dell'ambiente naturale, considerati generalmente in sintonia con l'ambiente naturale, vediamo quali possono essere gli strumenti, necessari, per indirizzare in senso ambientalmente compatibile la domanda di fruizione turistica delle aree protette.
Nodo fondamentale è senza dubbio quello dell'informazione.
Grande è infatti la responsabilità che i mezzi di comunicazione di massa assumono nell'indirizzare il cittadino desideroso di un contatto con l'ambiente naturale verso forme di fruizione compatibili con la tutela e il corretto uso delle risorse.
Alla normale funzione di informare si affianca in questo caso anche quella di formare, di educare.
L'educazione ambientale è nel nostro Paese ancora in gran parte carente e sconta gli stessi ritardi di cui soffre la cultura scientifica, per troppo tempo subordinata a quella umanistica.
La pubblicistica a riguardo non offre molte scelte e soprattutto spesso non è aggiornata. Ecco allora che il ruolo dei mass media diventa di primo piano.
Ma come l'informazione ambientale sia emarginata all'interno dei grandi organi di informazione lo abbiamo visto nel seminario del Passo Rolle che è stato efficacemente intitolato "L'ambiente in barattolo".
Il discorso vale per radio, televisione, quotidiani e settimanali, tutti egualmente interessati a dare la notizia ambientale se è di effetto o se si riferisce a qualche catastrofe, ma restii a svolgere con continuità un ruolo di corretta informazione ambientale capace di arricchire la cultura dei cittadini.
Rimangono quindi i periodici specializzati. Una nicchia di mercato tutt'altro che trascurabile, che a partire dagli anni settanta ha assistito ad alti e bassi, con il fiorire di numerose testate e con la scomparsa di altre.
Hanno generalmente tenuto il campo con dignità testate "storiche", come La nuova ecologia, oggi Eco, Airone, Oasis, e i numerosi house organ delle principali associazioni ambientaliste. Breve esistenza è invece toccata a esperimenti di avanguardia come Arancia blu, o Silva. Non è affatto un caso che le testate rimaste in edicola propongano con sempre maggiori spazi il tema del turismo ambientale. La domanda turistica è in crescita e di conseguenza sale il desiderio di conoscere non solo viaggiando, ma anche preparandosi al viaggio. Il nostro Paese ha una naturale predisposizione in campo turistico e accanto alle bellezze storico-monumentali dispone di un patrimonio naturale altrettanto imponente, anche se ancora misconosciuto.
In Italia non è soltanto presente uno dei maggiori patrimoni storico-artistici del mondo ma anche una varietà di paesaggi naturali tra le più alte d'Europa.
In entrambi i casi, tuttavia, la conservazione e la fruizione - tranne le dovute eccezioni - non sono certo da prendere ad esempio.
La colpevole latitanza della pubblica amministrazione nella gestione di questi tesori si è in questi ultimi tempi attenuata e, grazie anche all'intervento della sponsorizzazione culturale, si sta pian piano ponendo rimedio a un accentuato stato di abbandono e di trascuratezza.
Sotto il profilo della conoscenza e dell'invito al turismo culturale hanno giocato un ruolo importante proprio alcune testate.
Oltre a quelle già ricordate e specificatamente rivolte agli aspetti ambientali, non possiamo dimenticare quelle geografiche, dalla pioniera
Atlante dell'Istituto geografico De Agostini alla più recente Bella Italia che si è subito conquistata uno spazio di mercato di tutto rispetto.
In mezzo tutta una serie di testate turistiche con diffusione variabile e con contenuti giornalistici più o meno "commerciali" e promozionali.
Se generalmente in tutte è cresciuta recentemente l'attenzione agli aspetti ambientali, rimane comunque un divario tra quelle appunto turistico-commerciali e quelle invece di tipo ambientale o geografico.
Sono queste che svolgono, oltre a un'opera di informazione, anche un ruolo di educazione che tende a far meglio comprendere l'importanza delle zone che si promuovono.
Se di una zona si è parlato su qualche rivista oppure se è appena uscita una guida che ne illustra le possibilità di frequentazione, si può star sicuri che quell'area sarà maggiormente affollata.
Ed è questo un aspetto non secondario, giacché il primo effetto di un servizio su una zona di interesse turistico è quello di canalizzare in quell'area un afflusso di eccezione, con tutte le conseguenze sul territorio che ciò comporta e che abbiamo in precedenza affrontato, sia pure in sintesi.
E le riviste che pubblicano itinerari si moltiplicano non meno delle guide escursionistiche o per mountain bike o alpinistiche.
Il fenomeno è così preoccupante che qualche anno fa, nel primo convegno di Mountain Wildemess, e poi in altri incontri organizzati dal Filmfestival di Trento, si auspicò una sorta di codice di autoregolamentazione da parte degli editori di riviste e di guide. Fu addirittura auspicato che alcune zone, fragili e delicate, fossero se non escluse, trattate con molta cautela e poca frequenza. Ma la concorrenza ha effetti del tutto contrapposti e vi è una sorta di gara per dare tutte le informazioni possibili su tutte le zone trattabili. La conseguenza è che da un lato si sovraccarica il territorio, dall'altro si toglie una parte non trascurabile del fascino della scoperta e dell'avventura.
D'altra parte non si può certo demonizzare la pubblicazione di guide o di itinerari. Diventa importante la qualità degli scritti. Le cose vanno dette e scritte bene con una punta di educazione che non cada tuttavia nella catechizzazione.
Dunque occorre affrontare con molta responsabilità l'esercizio del mestiere di giornalista anche quando si trattano argomenti, come quello del turismo, apparentemente esenti da rischi, perché dalla maniera di trattarli e dunque di preparare il lettore - potenziale visitatore - dipende il corretto uso del territorio nonché la possibilità di meglio apprezzare le caratteristiche.
Lo stesso tipo di habitus mentale deve appartenere agli autori delle guide che negli ultimi anni hanno inondato il mercato.
Alla redazione cosciente degli itinerari, da verificarsi attentamente sul terreno, deve sempre accompagnarsi una forma di presentazione che metta nella dovuta evidenza la fragilità delle aree che si visitano e la loro delicatezza ambientale.
Nelle guide edite dal mio editore e dedicate ai luoghi dell'arrampicata si è, ad esempio, rivolto l'invito ai climber di rivolgersi agli ornitologi della loro zona per una consultazione tesa ad evitare la frequentazione delle pareti critiche per l'avifauna. E il suggerimento sembra aver avuto un certo successo.
Nel caso delle aree protette, le stesse potrebbero effettuare una sorta di controllo sulla qualità, dando o meno la propria "raccomandazione" ad alcune opere piuttosto che ad altre.
Quel che rimane fondamentale è la crescita della conoscenza e della coscienza naturalistica. Vale tuttora il motto dei primi ambientalisti italiani della Pro Natura: "Far conoscere la natura perché, conoscendola, la si ami e amandola la si protegga".
Solo la buona conoscenza a livello di opinione pubblica della natura può far sì che questa si mobiliti per la sua difesa, a cominciare dal convinto sostegno della politica dei parchi.
L'arrivo di un turismo dolce in aree sino ad ora poco frequentate, ma comunque appetibili, in un'ottica di crescita della domanda e dell'offerta turistica, può convincere sulle possibilità di un'industria verde alternativa che impedisca - a parità di ricaduta dei benefici - di evitare di ripercorrere strade come quelle dei grandi centri della speculazione turistica degli anni cinquanta e sessanta, da Cervinia a Cortina, da Porto Cervo alla Costa Smeralda.
Allora più parchi e aree protette, ma anche più rigore nella gestione di queste zone, con introduzione, dove necessario, di numero chiuso e di riserve integrali.
La politica della pianificazione e dell'educazione sono le uniche armi possibili. Non è più tempo di riservatezze e di segreti che sarebbero di Pulcinella. Un tempo, non dicendo nulla sulle zone frequentate da certe specie faunistiche o areali di determinate rarità botaniche, si poteva avere la speranza che nessuno li avrebbe scoperti. Oggi non è più così. E anche allora c'era il rischio che, non evidenziandone l'importanza, sarebbe stato impossibile opporsi alla loro distruzione.
E' oggi il tempo di promuovere partecipazione attiva e sostegno. All'ignoranza si deve opporre la consapevolezza, perché ogni area protetta, ogni specie vegetale e animale siano il frutto dello sforzo individuale e collettivo, conseguenza di atti di intelligenza, di volontà e di atti politici intelligenti e lungimiranti.
Il silenzio va invece rispettato per quel che concerne i dettagli: l'esatto habitat di una specie vegetale o il luogo preciso di nidificazione di una specie rara vanno mantenuti il più possibile segreti, così come accade, da sempre, per le pubblicazioni scientifiche.

* Giornalista ambientalista, caporedattore del mensile ALP