Federparchi
Federazione Italiana Parchi e Riserve Naturali


PARCHI
Rivista del Coordinamento Nazionale dei Parchi e delle Riserve Naturali
NUMERO 16 - OTTOBRE 1995


Applicazioni del concetto di capacità portante per i piani ambientali e per la stima delle possibili fruizioni turistiche dei parchi
* Franco Viola* e
Dina Cattaneo **

Capacità portante è locuzione condivisa da più discipline; la si trova impiegata, ad esempio, sia da chi si occupa di ecologia pura, sia da chi ne fa applicazioni nella pianificazione territoriale e in economia.
Nel primo caso il concetto di capacità portante è perlopiù destinato a spiegare il dinamismo delle popolazioni e delle biocenosi e a giustificarne le modalità di crescita soprattutto in funzione della densità. Secondo i più diffusi modelli della dinamica demografica, una popolazione ha dapprima una fase di rapido sviluppo, quasi non limitato da fattori in grado di inibire le naturali capacità di riproduzione, di sopravvivenza e di accrescimento somatico degli individui; segue poi una fase di declino degli incrementi, conseguenza, in particolare, dell'affollamento del biospazio. Fattore limitante è la scarsità di risorse, cui la popolazione si adegua nel tentativo di raggiungere un numero di individui equilibrato con le reali disponibilità di quelle.
Il valore massimo di densità che la popolazione potrebbe permanentemente mantenere senza intaccare la disponibilità futura delle risorse viene indicato con il simbolo K e con la locuzione capacità portante (E.P. Odum, 1994). Di conseguenza essa è indice sintetico della resistenza dell'ambiente all'aumento della pressione esercitata da una componente biologica dell'ecosistema; è dunque legata sia al concetto di equilibrio sia a quello di stabilità, che ne è importante corollario.
Ai fini pratici, determinare l'uno può significare raggiungere la misura indiretta dell'altro.
La stabilità viene generalmente intesa come "immutabilità di aspetti" o, in alcuni casi, come "ciclica ripetitività di cambiamenti", ma solo qualora se ne possano definire le cadenze temporali fondamentali per prevederne il divenire. La stabilità di un sistema è quindi la sua capacità a resistere a imprevedibili impatti. Sistemi stabili sono quelli che durano nel tempo, probabilmente perché posseggono proprietà di resistenza, ovvero sono insensibili ai fattori di cambiamento.
Com'è noto, la sensibilità ai fattori di perturbazione possiede almeno due accezioni diverse, la resilienza, che dipende dalla capacità della struttura a ritornare prontamente agli originari assetti quando ne venga allontanata, e la resistenza, che misura invece la capacità di evitare i cambiamenti. Molto dipende anche dalla connettività del sistema, cioè dall'insieme delle mutue relazioni tra le popolazioni che le formano; si va da situazioni di semplice coabitazione, nel caso di comunità giovani, a situazioni di assoluta complessità, come avviene nelle comunità mature, nelle quali ogni individuo condiziona ed è, insieme, condizionato da tutti gli altri.
In base a ciò la capacità portante delle popolazioni resilienti può essere elevata, ma può anche subire repentini e forti cambiamenti; la capacità portante delle popolazioni resistenti è, all'opposto, più modesta, ma è assai più stabile nel tempo. In caso di fluttuazioni, cioè di forti cambiamenti d'effettivo, le popolazioni del primo tipo sono in grado di recuperare più prontamente, rispetto alle altre, condizioni analoghe a quelle originarie.
Le biocenosi, ovvero le comunità biotiche, crescono e cambiano di assetto come le popolazioni che le costituiscono. I fattori che influiscono sulla crescita di una comunità sono principalmente l'energia necessaria ai processi autotrofi e l'acqua. Quando entrambi sono disponibili, la biomassa della biocenosi aumenta finché nel bilancio energetico-materiale l'assimilazione supera il catabolismo dell'intero sistema; tende comunque a stabilizzarsi intomo ad un valore massimo, che può essere assunto come espressione di capacità portante, quando i due termini del bilancio si equivalgono.
Sembra accertato che ciò accade quando la comunità raggiunge la sua massima complessità, che pare dunque essere un buon indicatore dello stato di equilibrio dell'ecosistema. Ma benché intorno a questo tema si sia molto lavorato in passato, ancora incerta è l'universale applicabilità degli indicatori di biodiversità sia per parametrizzare lo stato evolutivo del sistema, sia per classificare le diverse tipologie e le condizioni in ragione delle caratteristiche d'ambiente.
Molte sono le difficoltà che incontra chi conduce ricerche in questo campo; in larga parte esse derivano dal fatto che gli ecosistemi sono un continuum di aspetti variabili nello spazio e nel tempo, e non strutture monotone e immutabili, se non in tempi lunghissimi. Entro la macroevoluzione, come la definì Ramon Margalef (1978), quella cioè che si realizza ad ampio raggio in conseguenza dei cambiamenti del macroclima, si ha, ad esempio, una microevoluzione, fatta di piccoli episodi frequenti e di breve durata, come il recupero di una frana, o la morte di un albero in un bosco e la successiva crescita della rinnovazione arborea, capaci di cambiare radicalmente l'assetto del territorio per tutti quegli organismi che vivono in biospazi ristretti.
Si innesta in questo tema anche l'aspetto legato alle fasce ecotonali, che sono la risultante dell'incontro tra due tipi differenti di ecosistema; laddove si mescolano, ad esempio, acque e terra, si realizzano particolarissime condizioni di ambiente che favoriscono la coabitazione di valore e di faune numerose ed abbondanti provenienti dall'uno e dall'altro sistema. All'elevatissima biodiversità non corrisponde tuttavia una pari stabilità biologica, che anzi quella degli ecotoni è tra le più modeste tra quelle dei più diffusi sistemi ecologici.
In una interpretazione puramente antropocentrica delle scienze ambientali, la capacità portante finisce per essere riferita alla società e alle attese che essa manifesta nei confronti del suo territorio. Il concetto assume un forte spessore culturale pur essendo talvolta impiegato sul piano tecnico per tentare risposte a quesiti del tipo:

quale può essere, in una determinata area, l'ideale dimensione per la popolazione umana? Ovvero, quale vi può essere l'ottimale intensità degli interventi colturali o gestionali?
 
quale può essere la dimensione di una popolazione o di una biocenosi in un territorio sottoposto al controllo dell'uomo?

In quest'ottica, e in linea col tema della tutela della natura, di grande aiuto potrebbe risultare la lunga tradizione di studi compiuti negli Stati Uniti per la pianificazione dei parchi e delle attività ricreative che vi vengono previste.
Com'è noto, il potenziamento ai massimi livelli della funzione ricreativa rientra tra gli obiettivi di molti parchi americani. Il limite posto a questa funzione viene da due distinti ordini di fattori: il primo sta negli assetti naturalistici dell'area, e può essere definito come capacità portante del territorio; il secondo viene dalle attese dei fruitori e viene pertanto definito come capacità portante sociale.
In tutti e due i casi la capacità portante è una "limitazione all'uso di un'area imposta dalla resistenza di vari fattori dell'ambiente" (John Hendee et al., 1978). Non si tratta, ovviamente, di limitazioni intrinsecamente e stabilmente connaturate al territorio, ma di vincoli destinati a variare con esso, per cause naturali come per cause legate direttamente o indirettamente alle attività antropiche, compreso il turismo.
Per ben dimensionare l'attività ricreativa in un'area di pregio naturalistico bisognerebbe sapere come i caratteri dell'ambiente fisico-biologico "resistono" alla pressione turistica, tenendo conto che ogni attività umana, ma anche la sola presenza dell'uomo, produce qualche tipo di alterazione sugli ecosistemi. Bisognerebbe anche conoscere quanti e quali sono gli usi capaci di mantenere elevata l'offerta di quei pregi ambientali che più vengono richiesti dal "turismo naturalistico", tenendo conto che ogni tipo di ecosistema offre opportunità per diverse possibili fruizioni.
E' quindi possibile individuare non una, ma una serie di definizioni diverse di capacità portante da impiegare nei diversi contesti di pianificazione e di gestione delle aree protette.
Nonostante la lunga tradizione di lavoro intomo a questi argomenti, si è rimasti ad un livello di conoscenza quasi soltanto qualitativa, poco più che descrittiva, dei fenomeni ambientali e di trasformazione ecosistemica indotti dall'uso turistico dei parchi e delle analoghe aree naturali, tant'è che, nonostante l'utilità, finora non è stato quasi mai possibile impiegare formule o modelli per prospettare con sicurezza previsioni circa il comportamento di un sistema sottoposto a definite forme e intensità di impatto turistico.
Il turismo infatti innesca in ogni sistema ecologico che ne venga toccato una sorta di complesso processo di successione, le cui variabili sono ben lungi dall'essere conosciute, sia in termini strutturali (quali sono e quale importanza hanno i fattori che la innescano e ne indirizzano il divenire?) sia in termini funzionali (quali sono le principali relazioni di causa/effetto, o le correlazioni, tra la variabilità di un fattore e quella di un altro?). Si sa comunque che ogni cambiamento strutturale del sistema produce, inevitabilmente, un declino delle sue potenzialità produttive, così come venivano stimate prima del cambiamento, e dunque una riduzione della sua capacità portante.
Nel caso delle aree protette e delle risorse naturalistiche che ne costituiscono il pregio fondamentale, il valore delle potenzialità produttive può anche essere stimato in termini di domanda di accesso e di visitazione dei luoghi ovvero di quei siti che portano le caratteristiche di naturalità che più qualificano l'area, divenendone quasi l'emblema. Tra queste, vi sono spesso aspetti di rarità dei paesaggi, l'idea di selvaggio che essi trasmettono e il senso, che ne deriva, di solitudine e di contatto esclusivo con la natura.
Assecondare senza limiti la domanda turistica mossa dalla curiosità verso queste caratteristiche porterebbe a un degrado qualitativo del paesaggio e delle sue componenti tale da indurre un calo della capacità portante del parco. Uno dei più frequenti motivi di involuzione delle potenzialità ricreative di un parco sta dunque nella pregressa crescita del suo uso turistico. Donde l'opportunità di stabilire soglie limite al cambiamento strutturale prodotto dalla visitazione del territorio, sotto le quali gli assetti naturali restano ancora portanti, ma oltre le quali il sistema perderebbe in parte, o del tutto, le sue potenzialità produttive, che sono legate al turismo.
In questo contesto gli economisti fanno spesso riferimento alla locuzione capacità di carico del territorio, di cui forniscono tre diverse definizioni. Una prima riguarda l'ambiente, ed "è quella oltre la quale va in crisi la risorsa fisicamente intesa". La seconda è riferita all'utente, ed assomiglia alla definizione proposta dagli americani: "è il limite oltre il quale la qualità dell'esperienza deperisce al punto da rendere assolutamente inappetibile la risorsa". La terza definizione è attribuita ai "residenti" nel territorio turistico, ovvero a coloro che posseggono la risorsa o ne sono sempre a diretto contatto; per costoro la capacità di carico "è una sorta di soglia di tolleranza, superata la quale il beneficio del turismo (che può essere anche nullo) è superato dagli svantaggi che ne derivano, in termini di degrado ambientale, o sociale" (P. Costa, 1993). Vi sono due aspetti tecnici che vanno considerati: il primo consta nella stima della soglia di accettabilità di carico indicata dal visitatore (quanto sono disposto a pagare, sensu lato, per godere di una data risorsa?); il secondo è dato dalla tolleranza della società locale verso gli inconvenienti portati dalla presenza turistica. In mezzo c'è, o ci può essere, un punto di equilibrio, dove si produce ricchezza a basso costo, non solo materiale, e nel quale non eccessivi sono i rischi di cambiamento sostanziale della natura, nel suo complesso, e delle sue componenti di spicco.
Il primo aspetto ha indole economica, e può essere affrontato con le tecniche delle discipline che si riconoscono nell'economia del mercato turistico. La quantificazione del secondo aspetto pone invece un problema di natura sostanzialmente politica, e solo in parte pianificatoria: si tratta infatti di trovare una mediazione, un compromesso, tra due categorie di cittadini, quella che trae sostanziali benefici dal mercato delle risorse ambientali (esempio gli albergatori), e quelli che invece non sono assolutamente toccati dai vantaggi, di diversa natura, portati dal flusso turistico. In mezzo si pone comunque l'ambiente, con le sue componenti fisiche e biologiche, che nei parchi dovrebbe essere particolarmente tutelato attraverso una serie di strumenti coordinati da uno specifico piano, ma che non sempre viene considerato con sufficiente attenzione e competenza.
La teoria della vulnerabilità, sviluppata per affrontare problemi legati alla necessità di stabilire gerarchie o priorità di intervento di fronte ad emergenze ambientali, ha dato alla pianificazione ecologica del territorio alcuni interessanti spunti di ragionamento capaci di eliminare qualche spigolosità dal difficile concetto di capacità portante. Tra i più potenti sul piano operativo si pongono quelli relativi al valore posseduto dalle risorse ambientali e naturalistiche e al rischio che su di esse grava a seguito della presenza o delle attività dell'uomo. I due concetti si saldano, attraverso opportuni algoritmi, nell'espressione della vulnerabilità, che si sta imponendo come uno tra i più validi strumenti di scelta strategica entro i processi di pianificazione ambientale (F. Viola, 1992-94).
Rispetto al passato, anche recente, fatto di metodi urbanistici applicati nella pianificazione dei parchi, si sta, ad esempio, recuperando i principi della zonizzazione, che viene però articolata su due differenti livelli:

uno, della zonizzazione strutturale, viene definito dai valori delle risorse (ad esempio quelli attribuiti alle strutture ecosistemiche) e dalla loro intrinseca stabilità
 
l'altro, della zonizzazione funzionale, è organizzato sugli usi compatibili, ovvero sulla stima della vulnerabilità indotta dalle attività previste o proposte all'interno dell'area protetta. La compatibilità di questi usi col regime di tutela naturalistica dipende dalla soglia di rischio accettata dal pianificatore, ovvero dall'Ente di gestione; essa è proporzionale al valore del sistema ecologico e all'impatto che gli viene portato da queste attività.

In un parco potrebbero essere ammesse attività turistiche, anche con carichi pesanti, solo nei sistemi meno vulnerabili, ovvero in quelli di minor valore, che quindi subirebbero minori danni anche nel caso di cambiamenti strutturali importanti. Dovrebbero invece essere bandite le attività più a rischio nei siti e nelle zone in cui siano state rilevate emergenze di alto valore naturalistico, ovvero in quelle i cui sistemi hanno modesta resistenza, cioè alta vulnerabilità.
Il principio della vulnerabilità si coniuga quindi in misura significativa con quello di capacità portante, o di carico turistico, eliminandone in parte i risvolti che hanno difficile applicazione nella redazione dei piani di parco. Ne stravolge, in verità, anche l'intimo significato ecologico poiché esso ha dimensione totalmente antropocentrica, legata com'è all'idea di un valore, che assume importanza solo per convenzione sociale. Ma la stessa protezione della natura è attività che porta in sé un significato squisitamente umano, come la voglia di fuggire dall'artefatto e quella di godere, fosse anche solo per un attimo, del silenzio e della quiete che solamente il contatto con la natura sa donare.
E per ottenere con una certa sicurezza questo obiettivo, fondamentale per l'uomo come l'aria e l'acqua pulita, è accettabile anche qualche semplificazione e qualche rozza costruzione logica, purché ci segnalino una strada che porta a concreti e a pronti risultati.
Molti degli argomenti appena accennati in questa brevissima sintesi sono ampiamente trattati in alcune recenti pubblicazioni degli autori.

* Ordinario di ecologia, Università di Padova
** Incaricato di pianificazione ecologica del territorio, Università di Padova