Federparchi
Federazione Italiana Parchi e Riserve Naturali


PARCHI
Rivista del Coordinamento Nazionale dei Parchi e delle Riserve Naturali
NUMERO 16 - OTTOBRE 1995


Le religioni scendono in campo a fianco della natura

Presentiamo in questo numero due contributi relativi al Convegno internazionale e interreligioso "Religioni e ambiente" che si èsvolto nel Parco nazionale delle Foreste Casentinesi, Monte Falterona e Campigna nel maggio scorso.

Il primo èfrutto di Gianni Boscolo, componente della redazione e attento cronista di questa "tre giorni" di dibattito intenso. Il secondo scritto èopera del padre camaldolese Giordano Raimondi, promoter e prezioso organizzatore di questo evento culturale che ha incontrato il favore e il giudizio positivo degli specialisti, del numeroso pubblico presente e della stampa.

Due visioni a confronto, un laico e un religioso, per un tema non propriamente facile e popolare. L'idea del convegno si èconcretizzata grazie all'apporto delle due comunità religiose di Camaldoli e della Verna, potendo anche contare sul supporto finanziario e organizzativo del parco, della Provincia di Arezzo e della Comunità montana del Casentino.

Poiché èintenzione del gruppo di lavoro, che ènato in occasione del convegno, fornire una sede di dialogo permanente non solo sulle questioni di più ampio respiro ma cimentandosi anche sul terreno della gestione di un'area protetta in termini di stimolo e di proposta nuova, soprattutto nel campo dell'offerta culturale del parco.

Poiché, realisticamente, gli appuntamenti di livello nazionale avranno una scadenza biennale, per il 1995 il gruppo di lavoro ha abbozzato due momenti di confronto. Un giornata di studi dedicata ad Alexander Langer, scomparso tragicamente e da molti anni legato culturalmente alle due comunità religiose e la presentazione degli atti del Convegno "Religioni e ambiente" nella primavera del 1996.

Sul tema della spiritualità si ècimentato anche il Parco regionale del Conero. Il suo presidente, Mariano Guzzini, ci conferma che il Monte Conero ha fatto da sfondo prestigioso all'incontro di Papa Woityla con i giovani di tutto il mondo. Da questo splendido promontorio ricco di antichissimi insediamenti religiosi èpartito anche l'appello di pace per la martoriata ex Jugoslavia pronunciato dai sacerdoti di quattro sedi (cattolica, mussulmana, ebraica e ortodossa). Oggi, dopo la riscoperta della natura da parte delle religioni, èpossibile che in alcuni parchi questo ruolo antico venga riscoperto e valorizzato? E' questo, a nostro avviso, un ulteriore tema di riflessione da non lasciar cadere. (O. B.)


Per la prima volta insieme, a discutere di natura e ambiente, le maggiori religioni del pianeta - cattolici, protestanti, ortodossi, ebrei, musulmani, induisti e buddhisti - hanno rilanciato dal cuore spirituale e paesaggistico d'ltalia l'impegno a favore della natura dinanzi ad una delle sfide più importanti del terzo millennio.

Questi gli obiettivi del Convegno internazionale su "Religioni e ambiente", svoltosi in Toscana dal 4 al 6 maggio scorso. Il convegno èstato organizzato dalla Comunità montana del Casentino, dall'Ente parco nazionale delle Foreste Casentinesi, Monte Falterona e Campigna, dalla Comunità francescana de La Verna, dalla Comunità monastica di Camaldoli e dalla Provincia di Arezzo.

Un rilancio della difesa ambientale tanto più importante e significativo in quanto proposto dal Casentino, dove si respira la magia profonda di un'antica comunione tra natura e cultura, tra montagna, foresta e spiritualità.

Si è trattato di un convegno itinerante: il 4 ad Arezzo, il 5 al Santuario de La Verna, il 6 al Monastero di Camaldoli. Va sottolineato intanto che l'iniziativa ha visto tra i promotori il Parco nazionale delle Foreste Casentinesi, Monte Falterona e Campigna, di recente istituzione (è nato infatti nel 1993), che comprende al suo interno due importanti poli della spiritualità mondiale: il Sacro eremo e il Monastero di Camaldoli, e il Santuario francescano de La Verna.

Si è trattato di un'occasione culturale per un'approfondita riflessione sul rapporto uomo-natura, legame che ha caratterizzato, per oltre otto secoli, la storia delle foreste casentinesi, inscindibile dalle pur diverse concezioni spirituali di cura e conservazione del territorio dei monaci e dei frati, nel tentativo di collegare gli aspetti storico-culturali della gestione della foresta, la sua tutela, nonché di promuoverne il turismo ambientale e religioso.

A partire dal grande incontro fra le chiese cristiane d'Europa a Basilea nel maggio del 1989, la natura si va ponendo al centro delle preoccupazioni e dell'impegno delle religioni cristiane, e più in generale delle grandi religioni del mondo; un impegno che è cresciuto di pari passo con l'articolarsi dell'azione ecologica dei movimenti verdi e delle stesse istituzioni politiche un po' in tutte le parti del mondo. Va detto tuttavia che il dialogo tra questi due "mondi" è stato labile.

L'iniziativa ha seguito altre tappe di quest'impegno delle religioni: i grandi incontri multireligiosi di Seul nel '91, di Canberra nel '92 a cui parteciparono tutte le grandi confessioni religiose del pianeta, e infine l'incontro internazionale della Conferenza mondiale delle religioni per la pace di Riva del Garda, lo scorso novembre: appuntamenti tutti caratterizzati dalla nuova presa di coscienza delle religioni in favore della natura.

Questo impegno relativamente recente ha fatto sì che si venisse diffondendo anche la consapevolezza delle non lievi responsabilità delle religioni nel secolare processo di sfruttamento dell'ambiente e delle altre specie.

Di fronte ai gravissimi rischi che minacciano la stessa sopravvivenza dell'umanità, le religioni hanno infine capito che è giunta l'ora di invertire la rotta e di impegnare il loro enorme patrimonio di tradizioni etiche e spirituali in favore della salvaguardia della natura, come ha dimostrato lo stesso Giovanni Paolo II nella sua Enciclica "Evangelium vitae", in cui, accanto agli efferati attacchi alla vita che contrassegnano questa fine di millennio, ha ricordato il dissesto ecologico.

Un messaggio che è stato ben compreso dai francescani e dai camaldolesi che, collaborando attivamente al Convegno, hanno mostrato di voler attingere alla ricchezza stessa del messaggio francescano di amore per tutte le creature ed alla tradizione di grande rispetto ed armonia con la natura che si respira nelle magiche foreste casentinesi per conferire più forza e determinazione al coinvolgimento delle religioni sul terreno della difesa ambientale.

Ed in effetti si è trattato di una "tre giorni" intensa per stimoli e spunti di riflessione per chiunque, credente o meno, agisca sul terreno ambientale.

"L'uomo non è il padrone della natura, secondo una infelice traduzione della Genesi (1,28), ma ne è il responsabile di fronte a Dio. Quindi la natura è affidata non al dominio dell'uomo, ma al suo buon governo". Da questa interpretazione, o rilettura biblica, il teologo Armido Rizzi di Fiesole ha preso le mosse per "la riscoperta e la valorizzazione delle radici comuni, di un'ispirazione culturale e ideale capace di suscitare energie, entusiasmi, creatività. A questa prospettiva le tre grandi religioni del Mediterraneo (ebraismo, cristianesimo e Islam) possono e debbono dare un apporto determinante".

Vladimir Zelinskiy, docente della Cattolica a Brescia e all'istituto ecumenico San Bernardino di Venezia, ha affermato che: "l'uomo si trova ad un bivio: scegliere tra la morte futura dell'umanità o una nuova creazione, che dipende dalla riscoperta del dialogo con Dio. Anche le Chiese ortodosse sono alla ricerca della salvaguardia del creato alla luce della saggezza di Dio. Il rapporto religioni-ambiente - ha concluso lo studioso russo - è quindi un argomento molto utile per il movimento ecumenico mondiale, perché qui possiamo ritrovare tanti elementi di unità e di dialogo fra le Chiese".

Ma se il nodo ambientale si propone per il mondo religioso, una riflessione sulla sua valenza etica è compito anche delle forze laiche. Ancora il teologo Rizzi infatti ha ricordato che naturalismo e disincanto disegnano i due atteggiamenti oggi più diffusi nei confronti della natura. Da una parte essa viene considerata con un rispetto che rasenta la sacralizzazione, dall'altra viene vista e trattata come un materiale di cui l'uomo scientifico e tecnologico può disporre "ad libitum".

"La visione biblica della creazione non è riconducibile né all'una né all'altra di queste posizioni - ha ricordato -; in essa la natura non è né sacra né indifferente; è"creatura", cioè opera di Dio e testimonianza della Sua benevolenza. Quanto all'uomo, la visione biblica lo colloca in una posizione che è insieme di privilegio e di responsabilità: fine della creazione ma non suo signore, l'uomo in quanto "immagine di Dio" si vede affidato dal Creatore il compito del "buon governo" (non del "dominio", secondo il versetto biblico Gen. 1, 28, più volte citato nella sua "infelice" traduzione).

Così la prospettiva biblica, se da un lato non può offrire ricette per le problematiche odierne, dall'altro porta in dote una sapienza (non l'unica possibile!) alla cui luce tentare un'equilibrata coniugazione dell'istanza ecologica e dell'istanza tecnologica. L'antropologo Dipak R. Pant, riflettendo intorno al rapporto uomo-natura alla luce delle tradizioni indù, buddiste e sciamaniche, ha sottolineato come la visione unitaria sembra una scoperta nuova ("nuova coscienza", "new age", "nuovo paradigma", eccetera ), ma in realtà, ha le sue radici nella consapevolezza antica ed arcaica dell' "homo religiosus". E' la consapevolezza dell'unicità delle molteplici manifestazioni dell'essere e del non-essere, del divenire e del sapere, dell'al-di-qua e dell'al-di-là, dell'immanenza e della trascendenza che è sempre stata la base della spiritualità dei popoli.

Anche le società orientali odierne sono pienamente investite dalla crisi ambientale. Mentre il mondo occidentale sembra logorato dalla nostalgica ricerca dell'arcaicità perduta, la crisi dell'Oriente nasce proprio dall'affannosa ricerca della modernità.

E poiché la crisi spirituale sempre si riversa sul rapporto uomo-ambiente, è un ritorno alla contemplazione, ossia "l'allenamento alla calma, il silenzio vigile e l'attesa fiduciosa della luce interiore" che può aiutare l'uomo a ritrovare un equilibrio fra sé ed il mondo circostante.

Gli interventi di Alexander Langer, eurodeputato verde, e Ahmed Ben Bella ex presidente dell'Algeria, hanno riportato la riflessione sugli squilibri esistenti fra nord e sud del mondo come cause determinanti nel dissesto ambientale. Interprete del disagio dei popoli opulenti si è fatto Arnaldo Nesti, direttore della rivista Religioni e società. Il disincanto del mondo, ossia la perdita del magico e dell'irrazionale, non è riuscito infatti a esorcizzare il negativo. "L'opulenza - ha detto - non è riuscita a placare l'esigenza di altro ed una pressante domanda di altrove, di silenzio rispetto al fracasso, di ambiente-naturale rispetto alla manipolazione dello spazio. Si è di fronte ad una tendenza che mira a superare i limiti della realtà quotidiana metropolitana, di per sé ripetitiva e snervante, per raggiungere contemporaneamente l'unione con la natura percepita sempre più come un tutto vivente e con il sé profondo dove è presente l'alterità".

Grande assente in un dibattito sui temi ambientali, il problema della sovrappopolazione. Unica eccezione Bruno Di Porto dell'università di Pisa, ebreo, che ha detto: "un tema delicatissimo, che non trova consenso tra le religioni, ma che ritengo opportuno e sincero non eludere, è quello demografico. Fedele al valore della procreazione, che è alla base della civiltà biblica e della tradizione ebraica, penso tuttavia che essa debba essere consapevole e che la consapevolezza includa il criterio della proporzione tra le risorse disponibili e prevedibili e i figli da mantenere, così per le famiglie e per le collettività".

Questa breve sintesi degli interventi più significativi non può render conto di altri stimolanti interventi, densi di contenuto, che hanno messo in luce il rapporto tra le ricchezze del territorio che ospitava il convegno e gli ordini religiosi. Gli obiettivi del convegno, in estrema sintesi, intendevano affrontare tre aspetti:
1. la mentalità collettiva circa i rapporti natura-ambiente-storia
2. le tradizioni monoteiste mediterranee e il loro radicamento/estraneazione verso la terra
3. confronto tra la tradizione occidentale e quella orientale sul rapporto natura-scienza.

Le religioni sono apparse unitariamente consapevoli e d'accordo sulla necessità di un'azione e di una regola comune, forse anche un'etica comune che la fondi, per darle un respiro maggiore.

E' urgente sviluppare una mentalità collettiva che sappia operare scelte di lunga durata. Pur non nascondendosi le difficoltà oggettive nell'aggredire questi nodi su questa tematica eticopolitica il Convegno si proponeva di oltrepassare lo stadio delle "buone intenzioni", ritrovando proprio nelle religioni uno stimolo per una coraggiosa scelta di civiltà.

In questa fase le tradizioni monoteiste devono ammettere le loro responsabilità nella storia del Mediterraneo, perché non sempre hanno avuto un rapporto equilibrato verso la terra come "ambiente da custodire".

Nelle coscienze più illuminate del Cristianesimo - Cattolicesimo, Protestantesimo, Ortodossia - dell'Ebraismo e dell'Islam si è fatta strada, seppur con una certa difficoltà, un'autocritica per non aver vigilato abbastanza sul degrado ambientale. Infatti l'uomo non può considerare la natura come un tesoro inesauribile da depredare.

L'occasione di questo convegno è stata troppo significativa per non tentare, seppur sommariamente, di tratteggiare gli stimoli che ne potrebbero e dovrebbero derivare anche per chi si muove "laicamente" sul terreno della salvaguardia della natura. In primo luogo sarebbe errato sottovalutare il fatto che pensatori e teologi hanno cominciato a riflettere sulla tradizione cristiana in questo campo e sui doveri morali del credente verso la natura e la sua salvaguardia.

Anche se, nel complesso, il mondo dei credenti pare muoversi in risposta a un'accusa secondo la quale il pensiero cristiano è troppo antropocentrico, ed esiste una responsabilità storica e diretta del cristianesimo nell'aver sostenuto prassi di distruzione dell'ambiente.

(A proposito degli atteggiamenti del mondo cattolico nei confronti dell'ambiente, di utile lettura per "entrare nel merito" risulta il breve saggio di Giorgio Osti "I cattolici italiani di fronte alla questione ambientale"- in Aggiornamenti sociali 5/1994).

In secondo luogo è possibile enucleare alcuni temi che dovrebbero costituire lo sfondo di una riflessione "a tutto campo" sull'esperienza di salvaguardia:
1) riequilibrio/redistribuzione delle risorse. Se i nodi di difesa dell'ambiente si muovono tra la limitatezza delle risorse e la loro distribuzione inadeguata, è opportuno che la difesa puntuale di singole realtà trovi un riscontro di riferimento più ampio. In altre parole è evidente che gestire aree protette non comporta direttamente affrontare la questione delle risorse; tuttavia questo elemento non può essere assente nel messaggio che parte dai parchi
2) le motivazioni al cambiamento. Lavorare sull'ambiente significa operare con una proiezione sul futuro all'interno della quale trovare stimoli e prospettive. Ossia, operare sul territorio vuol dire anche fornire motivazioni per cambiare atteggiamenti e mentalità. E' un tema che richiama immediatamente ad un'altra questione. E' possibile eludere riferimenti e richiami ad un'etica (anche laica) se si ritiene importante stimolare cambiamenti di stili di vita, richiamare alla responsabilità individuale e collettiva, presente e futura?
3) il concetto di limite e di divieto. L'idea di parco, riserva od area protetta è legata al divieto, magari parziale, di utilizzo del territorio. Il parco rimane una porzione del territorio governato da leggi particolari o per lo meno su cui si esercita un controllo particolare. Si tratta di un'idea che, pur prendendo forme anche molto diverse, ha percorso i secoli. Finora si è cercato di far accettare i parchi minimizzandone i "divieti" od offrendo delle contropartite (sviluppo compatibile, volano economico, eccetera). Non si tratta, ovviamente, di ignorare la possibilità che i parchi possano offrire delle potenzialità economiche (non a caso si sta sviluppando un dibattito ed anche una ricerca concreta sull'economia compatibile). Ma occorre forse uscire da una prospettiva "difensiva", rielaborando in positivo il concetto di limite come "occasione", "sfida" a percorrere strade nuove, anche inedite, frontiera non tabù. Potrebbe essere questo il terreno di quel dialogo tra uomini e parchi che auspicava Valerio Giacomini ormai dieci anni fa.

Gianni Boscolo
Direttore di Piemonte Parchi