Federparchi
Federazione Italiana Parchi e Riserve Naturali


PARCHI
Rivista del Coordinamento Nazionale dei Parchi e delle Riserve Naturali
NUMERO 16 - OTTOBRE 1995


Il sistema nazionale delle aree protette

La legge-quadro, su questo concordano pressoché tutti i commentatori, ha il merito di avere posto come obiettivo concretamente perseguibile la costruzione di un sistema nazionale di aree protette.

La sensazione però è che su questo punto permanga una notevole confusione o quanto meno prevalgano ancora comportamenti e convinzioni poco coerenti rispetto a questo ambizioso e giusto traguardo.

Un'analisi anche molto sommaria di quel che si scrive, del linguaggio che si usa e soprattutto di quel che si fa (o non si fa) a proposito dei parchi conferma a nostro giudizio questa impressione. C'erano prima i parchi nazionali e i parchi regionali e così è ora. Se una novità c'è, e la si riconosce, è che lo Stato, dopo anni e anni di latitanza istituendo nuovi parchi nazionali si è finalmente assunto delle dirette responsabilità in questo settore. Da questo punto di vista è perciò abbastanza naturale che l'attenzione dell'opinione pubblica sia calamitata soprattutto dalle vicende dei parchi nazionali.

Assai meno scontato e condivisibile è invece che da più parti, compresi organismi e associazioni pur sensibili e impegnati a sostegno della legge-quadro, si continui a considerare la vicenda dei parchi nazionali, intesi si badi bene come sommatoria di situazioni specifiche e in qualche modo quindi separate, di fatto esaustiva, o quasi, ai fini della costruzione di quel sistema nazionale di cui parlavamo. Significa pure qualcosa che il Censis proponga banche date e monitoraggi per i soli parchi nazionali o che riviste come Airone, peraltro molto attente a ciò che accade nei parchi, dedichino inserti speciali alle sole aree protette nazionali. Non è certo casuale che il WWF dedichi una sua pubblicazione con tanto di 'pagelle' sui risultati conseguiti ai soli parchi nazionali e che ad essi sia dedicato anche un recente libro di Maggioli.

Sono soltanto alcuni esempi, e se ne potrebbero fare altri, di comportamenti dai quali traspare, a 4 anni dall'entrata in vigore della legge-quadro, il perdurare di una visione non unitaria e davvero 'nazionale' di questi problemi.

In documenti ufficiali di associazioni che si battono con grande impegno e vivacità a sostegno della legge 394 questa visione sbilanciata a favore dei parchi nazionali è sovente manifesta.

Di quanto poco conti inoltre anche agli occhi di chi è preposto all'attuazione della legge questo obiettivo 'nazionale' (inteso appunto come strategia politica unitaria), lo dimostra ad esempio la fine che ha fatto l'indagine del Coordinamento nazionale dei parchi sulla condizione dei parchi regionali, finanziata dal Ministero dell'ambiente. Consegnata ormai da più di un anno al Ministero nessuno ne ha saputo più niente, e quel che più importa è che nessuno ha potuto prendere visione di quei dati i quali, se conosciuti, eviterebbero fra l'altro a più di un commentatore di scrivere cose inesatte sulla reale condizione delle aree protette del nostro Paese.

Insomma, sebbene sia chiaro ormai che tra i vari parchi, nazionali, regionali ed oggi anche locali non può esistere una differenza di 'valori', ma tutt'al più (e neppure sempre) di dimensioni e di tipo di gestione istituzionale, come studiosi del valore di Giacomini avevano sostenuto d'altronde in tempi lontani, si fa ancora una tremenda fatica a pensare ed agire secondo parametri nuovi, cioè di 'sistema nazionale'.

Anche la nuova classificazione delle aree protette elaborata dall'Uicn, la quale ha corretto vecchie impostazioni risultate troppo schematiche specialmente in riferimento alla realtà europea, non sembra avere contribuito granché a correggere visioni e concezioni superate.

Certo il 'riconoscimento' del ruolo delle Regioni da parte della legge 394 ha introdotto un elemento fortemente innovativo e dinamico in una situazione che ha visto le Regioni costrette per tanti anni ad operare praticamente in 'clandestinità' legislativa sulla scena nazionale.

Perché allora, nonostante queste significative e rilevanti novità, si continuano a riproporre distinzioni, sottovalutazioni e talvolta persino contrapposizioni che di fatto negano prima ancora che una parità di diritti tra diversi livelli istituzionali, una dimensione unitaria nazionale dei problemi? Perché questa "devianza" appare tanto più paradossale nel momento in cui, in virtù proprio della legge-quadro e della nuova legislazione regionale, anche le differenze istituzionali sono andate sensibilmente riducendosi e affievolendosi fino quasi a scomparire almeno nella maggior parte dei casi.

Basterebbe pensare a ciò che erano gli organi di gestione dei parchi nazionali storici rispetto ai parchi regionali e quanto invece sono simili oggi gli enti di gestione dei nuovi parchi nazionali e di quelli regionali (anche per quanto riguarda le Comunità del parco).

Questo insieme di fattori innegabilmente positivi non è stato finora sufficiente a rimuovere antichi 'pregiudizi' e modi di pensare che - questo è il punto da sottolineare con forza - rendono estremamente arduo costruire quel sistema unitario nazionale delle aree protette che pure quasi tutti dicono di volere.

Da cosa dipendono queste 'resistenze', queste 'vischiosità' così dure a morire?

Sappiamo, ad esempio, che da parte delle associazioni ambientaliste vi è stato, specialmente in passato, un atteggiamento di maggior favore nei confronti del momento nazionale rispetto a quello decentrato, tanto che in una recente pubblicazione abbiamo trovato tracce di vecchie polemiche sul ruolo dello Stato e delle Regioni. E tuttavia va detto che oggi l'ambientalismo nel suo complesso è assai più attento (ma non ancora quanto basta) ai problemi delle Regioni e degli Enti locali. Potremmo dire che le prove non esaltanti del Ministero dell'ambiente hanno reso molto più 'realisti' anche quegli ambientalisti che avevano riposto tutte le loro speranze nello Stato centrale.

Dove sta allora la ragione o le ragioni di queste incomprensioni che raramente, ad esempio, fanno comparire persino la locuzione 'sistema nazionale', tanto che si continua generalmente a parlare solo di parchi sia che ci si riferisca a quelli nazionali che a quelli regionali, quasi mai associati e uniti in una visione e dimensione regionale e nazionale.

Anche nell'immaginario popolare e nelle campagne di stampa i parchi compaiono sempre come 'segmenti', realtà specifiche mai proiettabili in una dimensione più ampia.

Intendiamoci: ciò è giusto sotto il profilo delle 'specificità' proprie di ciascun parco che ne legittimano l'istituzione e l'esistenza. Un parco è prima di tutto una realtà ben definita, peculiare e come tale non confondibile o assimilabile e omologabile ad altre parti di territorio.

E tuttavia la tutela 'speciale' che il parco (qualunque parco) esercita su un territorio trova la sua giustificazione e discende anche da un 'disegno', un obiettivo più generale, regionale, nazionale e oggi anche comunitario.

Lo attestano sia la legge nazionale, sia le leggi regionali ed anche le sempre più numerose direttive e regolamenti dell'unione europea.

Ma taluno evidentemente intende il ' sistema nazionale' come una pura e semplice presenza di parchi nazionali ai quali tutt'al più si sommano, ma su una diversa scala di valori, anche i parchi regionali.

Un certo equivoco sul punto lo si è potuto verificare d'altronde anche nel dibattito sulla legge-quadro, da taluno concepita e considerata alla stregua di una legge soprattutto istitutiva di nuovi parchi nazionali e solo in via del tutto subordinata 'anche' una legge cornice volta, come in effetti è, a delineare una strategia dello Stato, inteso come 'Stato ordinamento' e non come 'Stato persona' tanto per usare vecchi ma sempre validi concetti.

Per chi si appaga dell'istituzione di nuovi parchi è chiaro che 'sistema nazionale' significa esclusivamente o principalmente la somma degli interventi statali rivolti a queste nuove realtà. Per chi invece la legge 394 è soprattutto una legge-quadro che ambisce a tratteggiare i percorsi e fornire gli strumenti e le risorse per una politica nazionale delle aree protette è naturale che non può bastare questa interpretazione riduttiva e minimalista.

Da questo punto di vista la 'sottovalutazione', chiamiamola così, della legge 394 sembra riguardare tanto gli organi centrali dello Stato che le Regioni.

Nel primo caso più ancora che i ritardi, le inadempienze e gli errori ministeriali, in parte dovuti anche alla congenita fragilità di una struttura rimasta a livello 'larvale', colpisce l'assenza di 'idee', di input sui quali chiamare a discutere, confrontarsi e decidere i vari livelli istituzionali. La vita precaria della Consulta tecnica, la scomparsa' del Comitato Stato-Regioni, la carta della natura a cui nessuno ha mai messo seriamente mano, un piano triennale che nonostante sia divenuto legge ed abbia usufruito dei finanziamenti non riesce poi ad erogarli concretamente se non con il contagocce e in ritardo, sono solo gli aspetti più vistosi della mancanza i una strategia, di una politica capace di coinvolgere anche le Regioni. Queste ultime, che per fortuna non sono rimaste tutte con le mani in mano, essendo numerose quelle che hanno proceduto al recepimento della normativa quadro nazionale, non hanno trovato negli organi centrali alcuno stimolo, alcun pungolo ad agire e muoversi in maniera coordinata, secondo obiettivi e sforzi comuni.

Ciò ha fortemente depotenziato l'iniziativa centrale ma ha anche indebolito e impoverito quella regionale favorendo quelle persistenti sacche di 'resistenza', talvolta anche solo passiva, che registriamo, ad esempio, in molte Regioni a Statuto speciale. Tutto sembra insomma ancora ruotare intorno alle vicende più o meno travagliate dei singoli parchi: insediamento degli organi di gestione, nomina dei direttori, definizione delle piante organiche, messa a punto degli strumenti di pianificazione, eccetera. Nessuna di queste vicende si è però finora intrecciata in qualche modo con quella di altre aree protette presenti nei vari territori regionali.

Così l'adeguamento alle nuove norme dei vecchi parchi nazionali, I'avvio di quelli nuovi è stata e continua ad essere gestita (intoppi a parte) come questione distinta, separata, quasi che quelle decisioni fossero prive di impatto su territori nei quali spesso operano altre aree protette. La considerazione dell'insieme delle aree protette non pare andare quasi mai al di là di un 'conteggio' volto, un po burocraticamente, a verificare se è stato raggiunto o no il famoso traguardo del 10%, sul quale peraltro continuano a circolare, nonostante le stime 'ufficiali', le cifre più varie. Eppure questa esigenza di 'unitarietà' non discende da ragioni di mera coerenza formale ad un disegno astratto, ma da ben più sostanziali e validi motivi.

Infatti queste connessioni tra interventi nazionali e realtà regionali non si esauriscono nell'ambito istituzionale (procedure, consultazioni, pareri, intese e così via) ma investono e riguardano il piano ambientale.

La carta della natura, ad esempio, dovrebbe consentire di valutare su un piano di perfetta parità e unitarietà i molteplici 'tasselli' del territorio, indipendentemente, appunto, dal livello istituzionale di gestione.

Ma di tutto questo non vi è traccia alcuna nell'impegno e neppure nel dibattito sulle aree protette. Anzi, come notavamo, c'è ancora chi pensa che persino il monitoraggio delle aree protette debba avvenire per 'comparti' separati, dove quello nazionale ovviamente dovrebbe fare la parte del leone.

Anche interventi in sé giusti come quelli a sostegno dell'agricoltura biologica furono riservati ai soli parchi nazionali di cui peraltro nessuno ha saputo più niente.

Ora il valore 'sperimentale' degli interventi riservati alle aree protette ha un senso se la sperimentazione non avviene per comparti, tanto meno istituzionali.

Ma anche sotto il profilo istituzionale la legge quadro ha introdotto rilevanti innovazioni che richiedono una valutazione ed una 'gestione' nazionali.

Enti di gestione 'autonomi' e comunità del parco rappresentano ambedue una novità carica di effetti tutti da sperimentare e analizzare specialmente nel momento in cui tornano di grande attualità i problemi di una riforma 'federalista' dello Stato. Possibile che a quattro anni dall'entrata in vigore della 394 non si sia pensato ad una prima verifica e bilancio di quel che è successo nei parchi nazionali e regionali, vecchi e nuovi, in virtù di queste innovazioni 'istituzionali', lasciando così campo libero a chi continua a polemizzare sull'esproprio dei poteri locali per opporsi all'istituzione di nuovi parchi'?

Riflessione che dovrebbe impegnare in ugual misura sia le istituzioni che l'associazionismo a cui la legge-quadro ha 'aperto' un accesso 'politico' che non può evidentemente esaurirsi in un 'riconoscimento' di tipo ministeriale.

Sono aspetti, questi, praticamente ignorati sia nelle sedi ministeriali che in quelle dell'associazionismo, se è vero che un libro come quello del WWF dedicato ai parchi nazionali non ne fa neppure cenno.

Eppure qui passa una frontiera caldissima e decisiva per il futuro delle aree protette del nostro Paese, solo che si pensi ai rapporti tra gli enti parco e le varie istituzioni in materia di pianificazione. I nuovi parchi nazionali rispetto a questo tema non sono ancora sulla linea di fuoco, ma negli altri parchi, compresi alcuni dei vecchi parchi nazionali, le cose non stanno così; basta pensare, ad esempio, alle vicende del PTC del Parco del Ticino o di quello del Gran Paradiso per averne una più chiara percezione.

Ecco, quando si parla delle carenze, dei ritardi, delle pastoie burocratiche del Ministero bisognerebbe pensare anche, se non prima di tutto, a questo 'buio' politico-culturale, a giustificazione del quale non si possono accampare motivi, pur reali, di insufficienza e inadeguatezza delle strutture. Di questo, sì, bisognerebbe poter discutere in un'occasione nazionale che dovrebbe riunire gli organi del Governo, del Parlamento, delle Regioni, degli Enti locali, del mondo scientifico e ambientalista.

Non una passerella beninteso, ma una sede in cui sia finalmente possibile delineare una 'politica nazionale' per le aree protette. (R. M.)