Federparchi
Federazione Italiana Parchi e Riserve Naturali


PARCHI
Rivista del Coordinamento Nazionale dei Parchi e delle Riserve Naturali
NUMERO 17 - FEBBRAIO 1996


"Costruiamo insieme il sistema nazionale delle aree protette"
I documenti approvati

Gruppo di lavoro: Il ruolo degli enti di gestione dei parchi
(Coordinatore R. Moschini)

L'assemblea nazionale del Coordinamento dei parchi e delle riserve tenutasi il 18 e 19 ottobre '95 a Firenze, a 4 anni dall'entrata in vigore della legge 394 e di una serie di leggi regionali con le quali le Regioni si sono "adeguate" alla nuova normativa quadro, giudica positivamente la scelta di affidare la gestione delle aree protette nazionali e regionali ad Enti autonomi. In particolare rileva che le Regioni, le quali avevano già sperimentato forme di gestione autonome prevalentemente a carattere consortile, abbiano nella maggior parte dei casi preferito non confermare lo strumento consortile. La scelta a favore dell'ente anziché del consorzio pur previsto dalla legge-quadro ha consentito infatti di designare nell'organo di gestione del parco anche le rappresentanze dell'associazionismo e di affiancare ad esso un nuovo organo: la comunità del parco.
Con questa opzione la situazione complessiva delle aree protette sia a carattere nazionale che regionale risulta oggi più omogenea e soprattutto vede fortemente accresciuto il ruolo e la responsabilità istituzionale dei parchi.
Ruolo e responsabilità che non confliggono con la titolarità che lo Stato e le istituzioni decentrate regionali e locali conservano nelle decisioni fondamentali del governo del territorio e specialmente della tutela ambientale.
L'assemblea di parchi non considera infatti le competenze che la legge nazionale e le leggi regionali assegnano agli enti di gestione delle aree protette alla stregua di una sottrazione di poteri e di titolarità alle Regioni, alle Province e ai Comuni.
La legge-quadro sui parchi e la legge 142 non solo non hanno penalizzato, come taluno sostiene polemicamente ma infondatamente, gli Enti locali, ma hanno riconosciuto per la prima volta alle Regioni e agli Enti locali una competenza in materia di aree protette fino a ieri negata.
Dall'esame delle prime esperienze della nuova gestione dei parchi nazionali e regionali in base alle nuove norme emerge semmai una perdurante difficoltà a cogliere le novità positive della situazione, anche per quanto riguarda il ruolo delle comunità del parco, quale efficace e autorevole organo di raccordo e di collaborazione tra parco e istituzioni, sia nella fase istitutiva che di gestione dell'area protetta.
Da questo punto di vista non possono essere condivise le interpretazioni tendenti ad assegnare ai parchi poteri e ruoli "sostitutivi" o comunque "separati" rispetto a quelli delle assemblee elettive. Si tratta infatti di forzature della legge la quale è ispirata invece, e non a caso, al principio tante volte richiamato e ribadito dalla Corte costituzionale della "leale collaborazione". Insistere perciò nel presentare la legge-quadro come la sanzione di un distacco o peggio di un "esproprio" di competenze a favore del parco, ma a danno delle rappresentanze elettive, oltre che sbagliato è dannoso in quanto contribuisce ad attizzare e mantenere aperte polemiche e conflitti che non hanno ragione d'essere e che servono esclusivamente a chi osteggia l'istituzione ed il buon funzionamento dei parchi.
Sotto questo profilo una particolare responsabilità hanno le rappresentanze dell'associazionismo all'interno degli enti di gestione le quali, talvolta ingiustamente osteggiate nel loro ruolo, nulla debbono concedere ad una visione "conflittuale" del loro rapporto con le istituzioni.
I nuovi enti di gestione non costituiscono insomma una sorta di rivincita nei confronti delle autonomie che non sempre, come sappiamo, sui temi della protezione sono state all'altezza della situazione; rappresentano al contrario una forma più matura ed evoluta di governo del territorio in cui le diverse sensibilità politico-culturali possono e debbono incontrarsi per assicurare le competenze che spesso in passato sono mancate.
Ciò assegna agli Enti locali, alle Regioni e allo Stato non minori ma maggiori responsabilità, a cominciare dalla scelta degli amministratori dei parchi per i quali si debbono seguire esclusivamente e unicamente criteri ispirati alla competenza e professionalità, al di fuori di qualsiasi altra logica, il che vale sia per le designazioni locali, regionali ed anche per quelle ministeriali. Per queste ultime in particolare c'è da dire che finora non sembra si sia riusciti a coordinare tra ministeri le designazioni, come invece riescono generalmente a fare le comunità del parco per i rappresentanti locali, così da evitare scelte poco qualificate o "estranee" alla realtà del parco.
In sostanza bisogna tener conto che le logiche burocratico-ministeriali non sono meno dannose di quelle meramente localistiche. Nell'uno e nell'altro caso verrà infatti a mancare quella sensibilità e visione del parco come realtà unitaria in cui esigenze locali e generali debbono "amalgamarsi" e non sfidarsi.
L'assemblea dei parchi, alla luce di queste considerazioni, invita gli enti rinnovati e le comunità del parco insediate a verificare nel concreto della gestione operativa le modalità più idonee a garantire la massima collaborazione nella definizione delle scelte e nella loro attuazione.
A questo riguardo l'assemblea esprime preoccupazione per il ritardo di alcune Regioni, incluse quelle a statuto speciale, a mettersi in regola con le leggi 394 e 142. Tale ritardo rende incerta e precaria la situazione di molti parchi, impedisce di operare sulla base di una programmazione regionale e locale che in talune realtà rischia di veder rimessi in discussione addirittura assetti ed esperienze consolidati ed apprezzati.
L'assemblea esprime inoltre preoccupazione per le notizie che pervengono da talune Regioni che, pur avendo legiferato, non sembrano impegnarsi adeguatamente nel sostenere il ruolo dei parchi o tardano inspiegabilmente ad istituire le aree protette previste in qualche caso da anni, ma rimaste finora lettera morta.
In questa situazione ancora caratterizzata da notevoli scompensi da Regione a Regione che configura un quadro nazionale quanto mai variegato e disomogeneo, assume un rilievo decisivo la capacità dello Stato di muoversi in piena sintonia con le istituzioni regionali e locali attraverso una seria e credibile politica di indirizzo e di programmazione degli interventi e della spesa, che favorisca la circolazione e lo scambio delle esperienze.
Si tratta in sostanza di agire in maniera tale da stimolare, pungolare, aiutare chi segna il passo, attivando un'emulazione che richiede innanzitutto il superamento di qualsiasi residua visione "settoriale" dei parchi. Da qui passa infatti la costruzione di un funzionante sistema nazionale delle aree protette il cui strumento principale è il comitato per le aree protette che dal '93 non è stato più riunito.
A questo riguardo, mentre sarà richiesto al ministro di procedere alla sua sollecita convocazione, il Coordinamento promuoverà un incontro con le Regioni per verificare insieme la situazione, mentre la rivista Parchi dedicherà un dossier a questi temi, sui quali l'agenzia del coordinamento è stata incaricata di compiere una più accurata indagine che consenta di approfondire le varie esperienze e situazioni.

 

Gruppo di lavoro: La pianificazione dei parchi
(Coordinatori A. Peano - S. Flaim)

  • 1 - La legge 394/91, introducendo l'obbligatorietà del piano come strumento ordinario di governo dei parchi nazionali e regionali, ne ha affermato l'imprescindibile necessità per un'adeguata gestione. L'obiettivo che ogni parco sia dotato di un proprio piano richiede però alcune precisazioni rivolte a rendere i piani capaci di realizzare gli obiettivi ad essi assegnati.
  • 2 - Il piano del parco rappresenta una componente, forse la più importante e significativa, ma non esclusiva, del processo di pianificazione e gestione delle aree protette che si sviluppa in altri strumenti di tipo programmatico, attuativo e gestionale. Ciò comporta che il piano non può essere caricato di troppi significati, come se potesse risolvere tutti i problemi, una volta per tutte, e che deve essere concepito come aperto e perfettibile, quando se ne ravvisi la necessità attraverso la verifica dei risultati raggiunti e la conoscenza di nuovi problemi ed esigenze.
  • 3 - Oggetto di tutela e valorizzazione è l'ambiente del parco complessivamente inteso, prodotto dall'interazione tra processi naturali e culturali. Il piano dunque non può separare gli aspetti naturalistici da quelli culturali, gli uni e gli altri costitutivi dei vincoli e dei doveri entro cui si dispiega la pianificazione.
  • 4 - L'obiettivo primario di conservazione dell'ambiente naturale previsto dalla legge-quadro non può essere inteso come cristallizzazione dei sistemi ecologico-territoriali allo stato attuale, anche se dotati di particolare valore. L'orientamento che emerge dalla stessa legge è quello di tendere al mantenimento dei meccanismi naturali e del loro equilibrato dinamismo, in molti casi di parchi italiani frutto dell'organizzazione e del controllo dell'uomo.
  • 5 - L'esigenza di considerare nel piano il rapporto tra uomo e natura comporta di far interagire le esigenze di tutela con quelle dello sviluppo locale, ricercando e promuovendo forme di sviluppo sostenibile che coinvolgano gli interessi localmente rilevanti in forme di valorizzazione e fruizione delle risorse ambientali. Ciò comporta l'esigenza di abbandonare la logica dell'esclusiva difesa passiva, per concepire il piano come insieme di azioni di protezione, valorizzazione e fruizione capaci di orientare le politiche di spesa dell'ente parco e di altri soggetti, istituzionali e non.
  • 6 - Importanza nodale riveste, per l'ottenimento di piani efficaci, la costruzione sociale del piano. Occorre cioè riscoprire e sviluppare, attraverso il dialogo e il ragionamento, quell'alleanza sostanziale tra territori tutelati e popolazione residente che nel tempo ha consentito il mantenimento dell'equilibrio ecologico, diventando la ragione della stessa istituzione dell'area protetta.
  • 7 - Poiché le esigenze di gestione del parco comportano il confrontarsi con realtà e processi inseriti in più vasti contesti ambientali-territoriali-economici, diventa ineludibile un rapporto tra piano del parco e altri piani. Il primo rapporto da costruire è quello tra piano del parco e piano pluriennale economico e sociale, due strumenti che non devono diventare contrapposti, né uno compensativo dell'altro, ma che devono trovare integrazione o almeno coerenza. Il piano economico e sociale, che per ora soffre di crisi d'identità, può diventare l'occasione per sperimentare metodiche e contenuti nuovi, aprendosi ad esempio al progetto di reperimento dei finanziamenti, agli orientamenti per una gestione manageriale, alla valutazione degli effetti di politiche economico-sociali sul contesto del parco.Più in generale, il rapporto tra piano del parco e piani urbanistici, territoriali e paesistici non può che essere un rapporto dialogico e cooperativo, come peraltro si verifica nell'esperienza europea. Le leggi regionali potrebbero utilmente sviluppare in modo originale questo rapporto, istituzionalizzando forme di confronto e di cooperazione, al fine di dare sostanza reale al coordinamento tra piani che rischia di fallire se resta esclusivamente affidato alla definizione giuridica, presente nella legge-quadro, di prevalenza del piano del parco su tutti gli altri piani.
  • 8 - Dal punto di vista della costituzione tecnica del piano, occorre attivare processi interdisciplinari ed interattivi di analisi, valutazione e progetto e si rende opportuno sperimentare forme di diversificazione della disciplina anche differenti da quelle estesamente praticate nelle zone omogenee per livello di tutela. Quest'ultima infatti può rivelarsi talvolta insufficiente o addirittura determinante di fratture ecologiche e di separazione degli spazi della protezione da quelli della fruizione e dello sviluppo.
  • 9 - In generale, soltanto la convergenza di azioni di pianificazione ai diversi livelli istituzionali può contribuire alla costruzione del sistema nazionale delle aree protette.
    A livello nazionale, un ruolo importante può assumere la formazione della Carta della natura prevista dalla legge-quadro, se essa venisse concepita come strumento per connettere tra di loro i parchi, in termini ecologici e funzionali, e per coordinare i piani, superando l'attuale isolamento dal contesto degli spazi protetti e la valenza esclusivamente locale della protezione.