Federparchi
Federazione Italiana Parchi e Riserve Naturali


PARCHI
Rivista del Coordinamento Nazionale dei Parchi e delle Riserve Naturali
NUMERO 17 - FEBBRAIO 1996


Parco della Valle del Lambro, ultimo atto: cronaca di una sentenza annunciata
Alberto Tenconi *
ed Emilia Benfante **

Un doveroso aggiornamento

Il Parco naturale regionale della Valle del Lambro non gode certo, a livello nazionale, della fama che arride ad altri più illustri parchi fluviali della Lombardia, certamente più ricchi di questo di valori naturali e di elementi di interesse paesistico. Tuttavia, almeno tra gli addetti ai lavori, le vicissitudini di quest'area protetta hanno destato, negli ultimi anni, una certa attenzione, non foss'altro che per la singolarità della vicenda, più volte illustrata anche nel contesto di rassegne e di incontri svoltosi sotto l'egida del Coordinamento nazionale dei parchi e delle riserve.
Un certo spazio alle questioni di questo parco è stato dedicato, d'altra parte, anche dalle pagine di questa rivista, perlomeno nell'ambito dei numeri speciali curati dalla stessa Regione Lombardia (allegati ai nn. 13/94 e 14/95 di Parchi).
Ma anche chi non segue abitualmente le questioni dei parchi naturali ne è stato perlomeno inconsapevole e forse involontario spettatore, allorquando i "media" nazionali si sono appassionati, per brevi ma intensissimi periodi, delle estenuanti "querelles" sulle modifiche del circuito automobilistico di Monza, collocato all'interno dell'omonimo parco storico; ben pochi, comunque, avranno appreso, da quei mezzi di informazione, che la vertenza aveva tratto origine proprio dalle previsioni di tutela del Parco di Monza, contenute nel piano territoriale del Parco naturale della Valle del Lambro!
Sono per l'appunto le vicende relative alla formazione di tale piano territoriale quelle che ci intessano più direttamente e sulle quali ci pare opportuno, anche per questo, dare una più completa informazione ed un più puntuale aggiornamento, soprattutto a seguito del poco edificante epilogo politico-giudiziario di questa iniziativa.

Il piano territoriale di coordinamento: una tormentata gestazione

La vicenda prende le mosse dalla legge di istituzione del Parco naturale della Valle del Lambro, previsto dal piano generale delle aree protette della Regione Lombardia, la l.r. 16.9.83, n. 82, che ne affidava la gestione ad un Consorzio tra i 33 Comuni interessati e le Provincie di Milano e Como.
La legge istitutiva del parco ne individuava il perimetro provvisorio, sottoponendo a protezione un'area di circa 6500 ettari, estesa per circa 2 chilometri lungo il tratto superiore del fiume Lambro, compreso tra i laghi di Pusiano e di Alserio a nord ed il Parco della Villa Reale di Monza a sud.
La formazione del Consorzio, a cui la legge istitutiva affidava la gestione del parco e l'elaborazione del suo piano territoriale, è stata per l'appunto ostacolata, fin dall'inizio, dall'ostilità manifestata principalmente dall'amministrazione comunale di Monza, proprietaria, insieme al Comune di Milano, dell'area del parco storico, propensa a considerare qualsiasi forma di regolamentazione e controllo superiore sull'organizzazione e la gestione di quest'area come un'indebita ingerenza negli affari municipali.
L'approvazione dello statuto consortile e l'insediamento dei suoi organi hanno pertanto subito molti anni di ritardo, durante i quali il parco non è stato oggetto di alcuna attenzione gestionale, mentre il Consiglio regionale rinnovava più volte, con avvilente ritualità, il blando ed inefficace regime di salvaguardia introdotto dalla legge istitutiva.
Durante questa situazione di stallo, però, 1 a Giunta regionale trovava modo, nell'estate del 1987, di dare avvio all'attività di pianificazione del parco, affidando ad un'apposito gruppo di esperti il compito di predisporre gli studi preliminari al piano. Grazie al lavoro interdisciplinare di questo gruppo, è stato possibile raccogliere, in un arco di tempo relativamente breve, una ricca ed aggiornata documentazione sulle componenti ambientali e territoriali del parco, organizzata secondo gli indirizzi formulati dalla committenza regionale. Tali indirizzi, peraltro, tendevano a favorire ed accelerare il processo decisionale del pianificatore, rendendone trasparenti e congruenti le scelte progettuali. Per tali ragioni il prodotto richiesto non risultava limitato all'illustrazione acritica dei vari temi di analisi, ma richiedeva l'esplicitazione di diversi livelli di valutazione intersettoriale e la produzione di elementi propositivi e di sintesi pre-progettuale in appositi elaborati.
Alla fine del 1988 il lavoro era già completato e veniva immediatamente consegnato al Consorzio, finalmente costituito, con l'indicazione di provvedere con urgenza alla formulazione della proposta di piano, dando atto che gli elementi conoscitivi raccolti dalla Regione risultavano adeguati alle esigenze di pianificazione del parco.
Il Consorzio provvedeva, in effetti, a conferire l'incarico per l'elaborazione della proposta di Ptc, ma ancora nel 1991 non si risolveva ad adottarla.
Nel frattempo il Consiglio regionale, nell'approvare la quinta legge di proroga di un regime di salvaguardia che da provvisorio quale intendeva essere rischiava ormai di apparire definitivo (l.r. 25.11.91, n. 27), decideva di dare un ultimatum al Consorzio di gestione, stabilendo un termine perentorio oltre il quale la stessa Giunta regionale avrebbe dovuto provvedere ad adottare il piano in sua vece: una simile eventualità era in effetti già contemplata dalla stessa legge-quadro regionale, ma in nessun caso ne era stata data attuazione, né erano precisati i termini e le modalità per la sua applicazione.
In attuazione di tale disposizione, il presidente della Giunta regionale provvedeva, nel dicembre del 1992, a costituire un apposito gruppo di lavoro, formato da funzionari tecnici di diversi settori della stessa Regione, incaricandolo di predisporre la proposta di piano territoriale del Parco della Valle del Lambro, da adottare da parte della Giunta: tale lavoro veniva completato nel gennaio del 1994 e la proposta di Ptc veniva adottata dalla Giunta regionale il 24 maggio dello stesso anno.
Non è il caso di soffermarsi, in questa sede, sui contenuti specifici di questo piano: chi volesse conoscerne gli aspetti salienti può comunque ritrovarne una disamina esauriente nei due numeri speciali che Parchi ha dedicato alla pianificazione dei parchi regionali della Lombardia.
Basterà ricordare, qui, la particolare attenzione dedicata dal Ptc agli aspetti relativi al risanamento ecologico della Valle del Lambro ed al recupero delle situazioni di degrado, elementi che la Regione ha considerato strategici per la pianificazione di un territorio già da tempo considerato di elevato rischio ambientale. Ma insieme a questi si devono ricordare anche gli aspetti innovativi legati alla pianificazione paesistica, affidati, tra l'altro, all'identificazione ed alla particolare disciplina di specifiche unità di paesaggio. Tra queste, naturalmente, ha assunto uno speciale interesse quella relativa al Parco della Villa Reale di Monza, i cui problemi sono stati affrontati organicamente, per la prima volta, con apposite previsioni normative. D'altra parte, la stessa Giunta regionale ne ha voluto sottolineare il carattere esemplare ed innovativo, esponendone i risultati nella rassegna nazionale di urbanistica di Venezia del 1984.
Tuttavia, le cronache dei mesi immediatamente successivi all'adozione del Ptc hanno fatto registrare una forte contestazione da parte delle amministrazioni locali, alla cui radicalizzazione, comunque, non è parso estraneo il particolare clima politico del momento, che portava, tra l'altro, ad un traumatico avvicendamento nella direzione politica della Regione.
A fomentare questa ostilità hanno peraltro contribuito le polemiche, immediatamente succedutesi all'adozione del piano, sulla questione delle modifiche al circuito automobilistico di Monza, richieste dagli organizzatori per consentire la disputa dei Gran Premi di Formula 1 del 1994 e del 1995, che purtroppo hanno favorito, più che altro, la radicalizzazione e la banalizzazione delle questioni in gioco, mortificando lo sforzo di razionalizzazione dei problemi e di congrua ponderazione degli interessi pubblici coinvolti, che la proposta di piano aveva cercato di affermare.
In quel periodo, dunque, la stessa Regione è apparsa paradossalmente impegnata, più che altro, nello sforzo di trovare le soluzioni politiche e giuridiche che le consentissero di eludere le norme di tutela che essa stessa si era recentemente imposte, anziché dedicarsi ad una più attenta e doverosa riflessione sulle ragioni di tale tutela e sull'opportunità di fornire, una volta per tutte, una soluzione veramente efficace al persistente degrado del parco.
Comunque, il Consorzio di gestione del parco, che in un primo momento aveva sottoscritto un apposito protocollo d'intesa con la Regione, che stabiliva i termini della collaborazione per la stesura della proposta di piano, ne contestava successivamente l'applicazione, contrastando l'iniziativa regionale ed opponendosi ad essa sia in sede politica che in sede giudiziaria, per ottenere la revoca o l'annullamento del piano adottato.
Ed in effetti, nell'estate del 1995, il Consorzio otteneva soddisfazione dal Tribunale amministrativo regionale (a sorpresa, in realtà, dato che lo stesso Tar aveva precedentemente respinto le sospensive richieste dal Consorzio e da una parte dei Comuni), che riscontrava gli estremi per l'annullamento del piano regionale, giudicando illegittimo il provvedimento della Giunta regionale.
La sentenza del Tar mette in discussione, inopinatamente, alcuni aspetti procedurali del provvedimento regionale, accreditando una versione parziale e fantasiosa dei rapporti intercorsi tra il Consorzio e la Giunta regionale: se il giudizio si fosse limitato a censurare tali aspetti non varrebbe certo la pena darne conto in questa sede.
Ma il Tribunale amministrativo ha basato il suo giudizio, in gran parte, anche su valutazioni di merito, che riguardano l'efficacia del piano del parco ed i suoi rapporti con la pianificazione urbanistica locale: tali considerazioni sono parse, a chi scrive, particolarmente sorprendenti e tali da mettere in discussione orientamenti che sembravano da tempo acquisiti e consolidati nella materia della pianificazione dei parchi, non solo in Lombardia.
Da qui l'interesse generale che l'episodio ci sembra rivestire e l'opportunità, quindi, di spendere alcune righe della rivista per considerare gli aspetti giuridici più controversi della sentenza.
Considerazioni giuridiche sulle censure del Tar Lombardia
Le censure mosse dal Tar all'operato regionale, concernente l'adozione della proposta di piano del parco della Valle del Lambro, suscitano notevoli perplessità, sotto il profilo giuridico, con particolare riferimento alle considerazioni, assolutamente non condivisibili, del giudice amministrativo in merito sia ai rapporti tra piano del parco e strumenti urbanistici comunali, sia all'adeguamento della legislazione regionale ai principi della legge-quadro 394/91 .
Prima di entrare nel merito di dette problematiche, è interessante evidenziare che il Tar Lombardia, pur censurando l'operato regionale per il "mancato rispetto" di taluni accordi intercorsi tra l'assessore regionale al territorio e l'ente gestore di parco, relativi alle modalità collaborative tra i due enti nella fase istruttoria di elaborazione della proposta di piano del parco, non contesta, anzi ribadisce, la legittimità dell'intervento sostitutivo della Regione nell'adozione della proposta di piano a fronte della persistente inerzia del Consorzio di parco. Ribadita, quindi, la legittimità dell'intervento sostitutivo regionale, il Tar contesta, però, l'operato della Giunta regionale sotto il profilo dell' "eccesso di potere dell'azione amministrativa" in relazione al "mancato rispetto" dei suddetti accordi con l'Ente gestore di parco, diretti a consentire la partecipazione dell'ente stesso nella fase istruttoria di elaborazione della proposta di piano. Pur non essendo certamente questa la sede per difendere l'operato della Giunta regionale sul punto, occorre, comunque, rilevare che lascia quantomeno perplessi la mancata valutazione, da parte del Tar, del comportamento del tutto omissivo tenuto dal Consorzio di parco in detta fase istruttoria. In proposito va, peraltro, rilevato che l'Ente gestore di parco non solo non ha collaborato alla stesura del piano, ma ha, addirittura, ostacolato in tale fase istruttoria l'operato regionale, adottando, in totale carenza di potere, una sua proposta di piano, poi annullata dal Comitato regionale di controllo.
Poste tali brevi premesse sui rapporti tra Giunta regionale e Consorzio di parco nella fase istruttoria di predisposizione della proposta di piano, si osserva che sono, comunque, altre le censure del Tar che suscitano perplessità e preoccupazione. In particolare ci si riferisce alle considerazioni del giudice amministrativo in merito all'efficacia e alla portata del piano di parco e ai rapporti tra tale piano e gli strumenti urbanistici comunali. In proposito occorre accennare preliminarmente alle censure del Tar in merito all'estensione dei confini del parco, operata dalla Giunta regionale in sede di proposta di piano, riferita al territorio di Comuni non consorziati. Sul punto si precisa che la vigente legislazione regionale in materia di aree protette (l.r. 30 novembre 1983 n. 86) non preclude affatto l'esercizio di tale facoltà in sede di pianificazione di parco, qualora, naturalmente, ciò sia necessario per motivare esigenze pianificatorie, né circoscrive l'esercizio di tale facoltà al territorio di Comuni già consorziati nella gestione del parco (articolo 17, comma 3, l.r. 86/83). Con il piano di parco, da approvarsi con legge, è possibile, infatti, in base alla vigente legislazione regionale, modificare i confini, stabiliti con la legge istitutiva, senza distinzione tra territorio di Comuni consorziati e non. Il Tar Lombardia, invece, nel censurare sul punto l'operato regionale non tiene conto della vigente legislazione regionale, fondando le proprie tesi su valutazioni di mera opportunità, addivenendo, in tal modo, ad un discorso "de iure condendo" più che "de iure condito". Sarebbe, infatti, opportuno che le predette disposizioni della l.r. 86/83 venissero modificate, introducendo meccanismi partecipativi obbligatori per i Comuni non consorziati, il cui territorio venisse ricompreso, per motivate esigenze pianificatorie, entro i confini di parco, ma tale disposto normativo non esiste attualmente nella legislazione regionale, ed è per questo che le tesi del giudice amministrativo non si fondano, come dovrebbero, sul dato testuale della vigente legislazione, bensì su valutazioni connesse più che altro ad un'ipotesi di revisione legislativa. Sempre con riferimento alla problematica relativa all'efficacia e alla portata del piano di parco suscitano, poi, forti perplessità e viva preoccupazione le censure del Tar concernenti i rapporti tra piano del parco e strumenti urbanistici comunali. Sul punto va evidenziata una palese contraddizione tra le premesse da cui parte il Tar, che dimostra di essere perfettamente a conoscenza delle disposizioni di legge tanto regionali che statali sull'efficacia sovraordinata del piano di parco rispetto agli strumenti urbanistici comunali, e le conclusioni cui perviene il giudice amministrativo, laddove censura la Giunta regionale per non essersi attenuta, in sede di pianificazione del Parco della Valle del Lambro, alle previsioni degli strumenti urbanistici comunali, approvate antecedentemente all'adozione della proposta di piano del parco e contrastanti con le esigenze pianificatorie del parco stesso. In sostanza il Tar, pur ricordando la predetta normativa statale e regionale, arriva di fatto a disattenderla, non considerando che, qualora scelte urbanistiche comunali si frappongano al perseguimento degli obiettivi del piano di parco, legittimamente, cioè in base a ben precise disposizione di legge sia statali che regionali, il piano stesso può dettare disposizioni difformi dai piani urbanistici comunali e prevalenti sugli stessi. La normativa di settore detta, infatti, specifiche disposizioni sui tempi e sulle modalità di adeguamento degli strumenti urbanistici comunali al piano di parco, stabilendo, altresì, l'automatica prevalenza del piano stesso su difformi previsioni eventualmente contenute negli strumenti urbanistici comunali. Che senso avrebbero le predette disposizioni normative sulla natura e sull'efficacia del piano di parco, nonché sulla prevalenza di tale piano sugli strumenti urbanistici comunali e sull'adeguamento degli stessi al piano di parco se, poi, in sede di pianificazione di un'area protetta si fosse vincolati dalle pregresse scelte urbanistiche operate dai Comuni?
Per tali aspetti, quindi, il Tar Lombardia sembra porsi in contrasto non solo con la vigente legislazione di settore, ma anche con la giurisprudenza costante in materia di aree protette, che considera distinto e prevalente, in quanto costituzionalmente garantito (articolo 9 Cost.), l'interesse pubblico alla tutela ambientale rispetto a quello urbanistico, espresso in sede comunale.
Le censure del Tar suscitano, infine, forti perplessità con riferimento agli aspetti concernenti l'adeguamento della legislazione regionale in materia di aree protette ai principi della legge-quadro 394/91. Secondo il giudice amministrativo, infatti, la mancata individuazione, da parte della legge 394/91, di esplicite conseguenze per l'infruttuosa scadenza dei termini, ivi fissati, per l'adeguamento della legislazione regionale ai principi in tale legge contenuti, non comporta il c.d. "effetto abrogativo", previsto dalla legge Scelba (legge 62/53) per le norme regionali in contrasto con i principi delle leggi-quadro. Sul punto occorre rilevare che il Tar, nel censurare la scelta della Giunta regionale di attenersi, in sede di pianificazione del Parco della Valle del Lambro, ai principi della legge-quadro 394 sul divieto di caccia nei parchi naturali regionali, sembra ignorare le modifiche apportate dalla legge 157/92 (legge-quadro sull'attività venatoria) ai disposti della legge 394. Infatti la legge 157, nel prorogare i termini fissati dalla legge 394 per l'adeguamento della legislazione regionale ai principi sul divieto di caccia nei parchi naturali regionali, stabilisce che, all'infruttuosa scadenza di tali termini, il divieto stesso scatti automaticamente nei parchi naturali regionali, istituiti prima dell'entrata in vigore della stessa legge 394/91. Di conseguenza, indipendentemente dalle posizioni assunte dal Tar in merito ai rapporti tra legislazione regionale e legge-quadro in materia di aree protette, in Lombardia, nel caso di infruttuosa scadenza dei predetti termini di adeguamenti, il divieto di caccia scatterà automaticamente, ope legis, nei parchi naturali istituiti prima dell'entrata in vigore della legge 394, tra cui è ricompreso il Parco della Valle del Lambro.
Un epilogo amaro ed un futuro incerto per il Parco della Valle del Lambro
Purtroppo, la Giunta regionale non ha ritenuto di presentare ricorso contro il pronunciamento del Tar, benché non mancassero, come si è visto, gli elementi per contestarne la fondatezza giuridica: l'adozione della proposta di Ptc del parco è così definitivamente annullata.
L'imprevisto esito giudiziario della vicenda rende ora oltremodo incerto il futuro sviluppo della pianificazione dell'area protetta e la stessa sopravvivenza del Parco regionale della Valle del Lambro, sul cui destino gravano, peraltro, le incognite tuttora aperte sull'evoluzione degli orientamenti regionali sia nella materia delle aree protette che su quella della pianificazione territoriale e paesistica sovracomunale. Aldilà delle considerazioni giuridiche sopra esposte, la vicenda ci pare che si presti ad altre non meno preoccupanti riflessioni sulle prospettive di quest'area protetta e sull'effettiva validità degli assunti su cui si è voluta basare, in Lombardia, la politica dei parchi regionali.
Deve far riflettere, in primo luogo, la posizione del Consorzio del parco, che dopo essersi sottratto, per più di un decennio, alle responsabilità gestionali e pianificatorie per le quali era stato costituito, ha in seguito profuso il massimo impegno, e parte delle risorse che la stessa Regione gli aveva conferito, per contrastare l'iniziativa pianificatoria regionale, adoperandosi per coalizzare la contestazione locale, anche mediante un'intensa campagna di stampa, attraverso la quale non ha mancato di esternare la propria soddisfazione per la citata sentenza, grazie alla quale il parco ora si trova, forse definitivamente, privo di qualsiasi regime di tutela!
C'è da domandarsi, ora, quale credibilità possa conservare questo consorzio come responsabile degli obiettivi di tutela e riqualificazione ambientale del parco, alla cui realizzazione si è così tenacemente opposto.
E c'è da chiedersi anche, in una prospettiva più generale e perciò ancora più preoccupante, quale credibilità e quali prospettive mantenga l'intera politica regionale sulle aree protette, alla luce di questo episodio, certo abnorme ma non del tutto isolato, tenuto conto che la Regione, in definitiva, si affida quasi esclusivamente alla responsabilità degli Enti locali, riuniti nei consorzi di gestione, per raggiungere i suoi obiettivi di riqualificazione ambientale, quando proprio questi stessi consorzi si rivelano i più risoluti ed incontrastati paladini delle autonomie locali contro ogni possibile forma di subordinazione dei Comuni a superiori esigenze di tutela del territorio.
Ma ancora più avvilente ci è sembrata, nell'acceso dibattito che ha scatenato tutta questa vicenda, la mancanza di attenzione dedicata dalle parti interessate ai contenuti concreti delta pianificazione proposta, alle prospettive effettive di riqualificazione ambientale e di riordino urbanistico che tale progetto voleva suggerire, alla necessità reale, certo non diminuita, di contrastare il pesante degrado di questa parte della Brianza, a prescindere dai risvolti politico-giudiziari del conflitto istituzionale che si è generato.
Eppure, a prescindere dall'esito finale della vicenda, si può ritenere che tale iniziativa abbia conseguito, in ogni caso, degli importanti risultati, sia sul piano politico, che su quello tecnico e culturale.
In primo luogo, appare politicamente rilevante che, per la prima volta nella sua storia, la Regione abbia affermato con tanta risolutezza l'irrinunciabilità degli obiettivi di tutela e riqualificazione ambientale stabiliti dalla legge 86/83, assumendosi con coraggio e con coerenza la diretta responsabilità di dare piena attuazione alle previsioni della normativa sulle aree protette e contrapponendo all'imperturbabile inerzia degli Enti locali la provocazione di un'esemplare volontà pianificatoria.
Il significato esemplare dell'iniziativa della Regione è legato, oltretutto, ad un inconsueto risultato conseguito anche sotto il profilo organizzativo: infatti, la volontà e la capacità dimostrate dalla Giunta regionale di far fronte a questo difficile adempimento avvalendosi unicamente delle proprie strutture tecnico-amministrative, senza l'abituale avvalimento di super-esperti esterni e quindi senza alcun aggravio di spesa per l'Ente, ha consentito di valorizzare le potenzialità tecniche spesso ignorate e mortificate dell'amministrazione regionale, garantendo il massimo contributo interdisciplinare e la più ampia partecipazione dei diversi settori regionali coinvolti nel governo delle politiche ambientali e territoriali.
Tale scelta, peraltro, ha consentito di sviluppare il tema della pianificazione di questo parco con un approccio quanto più possibile ampio ed articolato e con una visione a tutto campo dei problemi territoriali ed ambientali dell'area interessata che rispecchiano nella forma più completa ed evoluta gli orientamenti culturali e metodologici voluti dalla Regione Lombardia per il proprio sistema di aree naturali protette.
Sul piano culturale si può infine affermare che tale approccio alla pianificazione di un parco naturale così anomalo e problematico può costituire un'importante ed esauriente esemplificazione della validità degli orientamenti regionali in materia di pianificazione di aree protette. Nessun altro caso, forse, dimostra più di questo della necessità di valutare in modo coerente ed integrato i vari fattori ambientali, territoriali, paesaggistici e socio-economici sui quali occorre interagire per raggiungere obiettivi che realizzino insieme la tutela ed il risanamento di un'area afflitta da un così forte squilibrio ambientale.
Tale esempio può quindi dimostrare quanto l'esperienza di pianificazione dei parchi della Lombardia sia capace di integrare e di superare gli aspetti settoriali e specialistici tipici di un'area naturale protetta, proponendosi quindi come modello generale di pianificazione territoriale ecologica, offrendo una formula estendibile verosimilmente anche alla pianificazione del restante territorio regionale.
Quand'anche tale politica dovesse essere abbandonata nel futuro, riteniamo che l'esempio del Ptc del Parco della Valle del Lambro non potrà essere ignorato nel futuro, qualora si ritenesse ancora, anche da parte di altri livelli di responsabilità istituzionale, di dover orientare le scelte di politica territoriale verso obiettivi di compatibilizzazione ed integrazione con le esigenze di tutela e riqualificazione ecologica, dando atto che, a prescindere dagli orientamenti politici transitoriamente prevalenti, tali esigenze saranno in ogni caso ineludibili per chiunque.

* Servizio tutela ambiente naturale e parchi della Regione Lombardia
** Servizio giuridico amministrativo e per i beni ambientali della Regione Lombardia