Federparchi
Federazione Italiana Parchi e Riserve Naturali


PARCHI
Rivista del Coordinamento Nazionale dei Parchi e delle Riserve Naturali
NUMERO 19 - OTTOBRE 1996


OSSERVATORIO REGIONI
a cura di Roberto Saini


Al quadro complessivo delle leggi regionali di adeguamento alla legge 394/91 si sono recentemente aggiunti due tasselli: le normative della Regione Abruzzo (l.r. 21 giugno 1996, n. 38) e della Regione Friuli-Venezia Giulia (l.r. 30 settembre 1996, n. 42) che, per inciso, è la prima Regione a Statuto speciale ad aver provveduto in merito.
Per quanto concerne la legge abruzzese, si può rilevare come la stessa contenga alcuni elementi molto positivi - e talvolta originali ed innovativi - e come, al contrario, faccia ancora emergere alcuni limiti che, in parte, sono anche stati oggetto di ampia discussione rispetto alla loro applicabilità in sede di valutazione della legge 394/91.
Tra gli aspetti certamente positivi deve essere prioritariamente richiamata la previsione di individuare, tra i principi generali, l'Appennino Parco d'Europa inteso come sistema ambientale complessivo di interconnessione tra aree protette: si tratta certamente di un progetto ambizioso, che non si limita peraltro ai confini della Regione Abruzzo, ma si estende a gran parte della dorsale appenninica interessando altre realtà regionali, ma allo stesso deve comunque essere riconosciuto un grande valore tale da giustificarne l'ambizione.
Altro passaggio della legge abruzzese che può essere valutato positivamente è quello di proporsi il fine di costituire un "sistema integrato di aree protette" a livello regionale, con ciò evidenziando l'intendimento di definire un vero e proprio coordinamento territoriale ed amministrativo (articolo 3): la norma così come formulata dimentica peraltro la connessione al sistema nazionale previsto dalla legge 394/91 e la sovraordinazione ad un sistema provinciale e locale che non è espressamente previsto dalla legge abruzzese; questo ultimo punto dovrà sicuramente, in futuro, essere ripreso dalla Regione Abruzzo anche alla luce dello sviluppo che si prevede avrà la politica di decentramento amministrativo e di funzione conseguente all'applicazione della legge 142/90 ed alle riforme in corso di discussione.
Ancora positivamente deve essere valutata la scelta di affidare la gestione dei parchi ad Enti di diritto pubblico che si sono rivelati, in tutte le esperienze nazionali e regionali, come i soggetti più efficaci ed efficienti a rispondere alle esigenze gestionali delle aree protette: non altrettanto positivamente può invece essere letta la scelta, contenuta nella stessa legge abruzzese, di affidare la gestione delle riserve naturali a Comuni, Province ovvero alla stessa Regione, a fronte di esperienze generalmente - e pertanto facendo le debite eccezioni - negative già sperimentate in alcune Regioni.
Infine deve essere sottolineata la volontà di costituire piante organiche proprie di ogni Ente di gestione in quanto è ampiamente dimostrato che la presenza di personale specifico per ogni area protetta costituisce uno degli elementi basilari per l'affermazione in positivo della politica di tutela: tale norma, contenuta all'articolo 12, pare peraltro entrare in rotta di collisione con un'altra previsione della legge (articolo 29) laddove, limitatamente alla sorveglianza del territorio protetto, si dispone l'affidamento alla polizia locale provinciale ed al Corpo forestale dello Stato dimenticando la possibilità di affidare la sorveglianza stessa a personale proprio di ogni Ente di gestione. Siamo, in questo caso, nel campo interpretativo e pertanto sarà opportuno chiarire rapidamente che esiste comunque la possibilità di creare un apposito gruppo di personale addetto alla sorveglianza (guardiaparco). La legge abruzzese contiene altresì alcuni passaggi che, ad una prima valutazione, possono apparire negativi o comunque di difficile applicazione: ci si riferisce, ad esempio, alla complessità della procedura per definire le proposte di legge istitutive di nuovi parchi che, di fatto, vincola i proponenti (ivi compresi i Consiglieri regionali, con ciò limitandone la facoltà di proposizione) a giudizi tecnici preventivi espressi da organismi a puro contenuto tecnico e obbliga a presentare la proposta attraverso l'adozione della Giunta regionale che pertanto diviene il giudice unico di una proposta che può pervenire anche da membri dell'opposizione.
Altro elemento che si è già dimostrato negativo, e in alcuni casi di parchi nazionali addirittura inapplicabile (Dolomiti Bellunesi, Val Grande) se non bloccante (è uno degli elementi che sta rendendo difficile l'intesa tra Stato e Regioni per il Parco nazionale del Gran Paradiso), è la individuazione obbligatoria della sede, legale ed operativa, all'interno del territorio protetto: a puro titolo esempificativo, nel caso del Parco nazionale Val Grande, non esistono località accessibili se non a piedi ovvero con difficoltà connesse alle condizioni stagionali (strade non percorribili nei mesi invernali).
In conclusione pare ancora opportuno richiamare alcune norme della legge regionale abruzzese che dovranno essere oggetto di valutazione in sede di applicazione della normativa: in primo luogo, nel richiamare che gli strumenti di programmazione e di pianificazione ricalcano abbastanza fedelmente quanto stabilito della legge 394/91, ad esempio per quanto riguarda la zonizzazione, al piano per il parco è assegnata un'efficacia apparentemente minore rispetto a quella prevista dalla legge-quadro in quanto "sostituisce i piani paesistici, territoriali di pari livello" mentre l'articolo 25 della legge 394/91 si riferisce a "piani di qualsiasi livello"; inoltre l'articolo 34 della legge abruzzese, che stabilisce le sanzioni, rimanda ad atti amministrativi la possibilità di definire l'entità delle sanzioni con ciò sollevando alcuni dubbi di applicabilità rispetto a quanto stabilito dalla legge 689/81 che prevede comunque l'individuazione delle sanzioni in forza di legge (su questo punto, peraltro, non si può che rimandare all'ambito interpretativo).
Per quanto riguarda la legge della Regione Friuli-Venezia Giulia deve essere, innanzi tutto, tenuto presente che si tratta di una realtà regionale che, prima della legge 394/91, aveva comunque operato nel settore delle aree protette attraverso la pianificazione territoriale e si è trovata nella necessità di procedere ad una revisione profonda pur tenendo conto della situazione in essere. E' sufficiente pensare, per comprendere le difficoltà oggettive di adeguamento, che le aree protette del Friuli-Venezia Giulia erano comunque aree destinate all'attività venatoria e che il recepimento della norma generale di divieto di caccia ha necessariamente comportato una revisione, anche in termini di superfici, della situazione in atto.
Deve comunque essere rilevato che la legge friulana si colloca, fin dal primo articolo, tra le normative che danno grande risalto al rapporto con gli Enti locali che è dalla legge stessa regolato fino ad individuare la categoria dei parchi locali. Peraltro - e ciò è certamente innovativo e soprattutto garantisce maggiormente il processo di istituzione delle aree protette - il documento di indirizzo, che costituisce momento fondamentale di confronto tra i vari livelli istituzionali, è successivo all'istituzione dell'area protetta, che avviene mediante lo strumento legislativo (articolo 9), ed è finalizzato a definire la strumentazione di pianificazione e di programmazione. Questo richiamo alla strumentazione di pianificazione connota in modo profondo il testo di legge: fin dai primi articoli si pone infatti in risalto la coerenza che deve esistere tra sistema in costruzione delle aree protette e pianificazione territoriale regionale tanto che si viene ad individuare in un piano di conservazione e sviluppo (Pcs) il soggetto attomo al quale far crescere l'area protetta (parco o riserva) e la sua gestione.
In merito a quest'ultimo punto la legge friulana prevede di affidare la gestione dei parchi naturali ad Enti appositi sottoposti alla vigilanza regionale, mentre è più possibilista per quanto concerne le riserve naturali per le quali la gestione può esser affidata a soggetti pubblici o privati, ad Enti parco esistenti ovvero alla stessa Regione: su questo aspetto rimangono le perplessità già sollevate in ordine alla normativa della Regione Abruzzo.
Innovativa è altresì la previsione di individuare, tra gli organi dell'Ente parco, la Consulta, organismo che diventa momento di espressione e partecipazione delle associazioni e delle categorie economiche: il giudizio sulla funzione della Consulta e sul grado di effettiva capacità di diventare strumento della partecipazione non può che essere rimandato a posteriori.
La sorveglianza delle aree protette è affidata al Corpo forestale regionale, che già esercitava tale funzione nella situazione di specialità statutaria della Regione Friuli-Venezia Giulia, e la cui entità è incrementata dalla legge di 68 unità: contestualmente si procede alla
soppressione dell'Azienda regionale delle foreste ed all'istituzione di un'Azienda dei parchi e delle foreste regionali.
Vi è ancora da rilevare che la legge friulana provvede ad istituire direttamente 2 parchi naturali (Dolomiti Friulane e Prealpi Giulie) e 9 riserve naturali, ad individuare 21 aree di reperimento ed a promuovere la creazione di un'area protetta del Carso e di un piano territoriale regionale particolareggiato per l'area del Tarvisiano (quest'ultimo strumento previsto al fine di riorganizzare un territorio complesso a seguito dell'entrata in vigore delle nuove norme).
In conclusione di commento alle norme regionali di recente approvazione, pare opportuno segnalare una "stranezza" contenuta nella legge regionale piemontese di adeguamento alla legge-quadro in materia di caccia (legge 157/92): infatti tale legge (l.r. 4 settembre 1996, n. 70) prevede il divieto di esercizio dell'attività venatoria nelle aree contigue, con ciò vanificando del tutto la norma dell'articolo 32 della legge 394/91 ed impedendone di fatto la costituzione: sul punto è opportuno peraltro ragionare in merito all'applicabilità della norma regionale con riferimento alla gerarchia delle fonti. E' un addio alle aree contigue piemontesi oppure soltanto un arrivederci a presto?
 

Per il parco contro la miniera a cielo aperto
Un fronte unito contro la richiesta di rinnovo e trasferimento ad una multinazionale di una vecchia concessione mineraria mai sfruttata a Pianpaludo, nel Parco naturale regionale del Beigua, è stato opposto da Regione Liguria, Provincia di Savona, Ente parco del Beigua, Comunità montana del Giovo, Comuni di Sassello e Urbe, Camera di Commercio di Savona, Corpo forestale dello Stato, Soprintendenza ai B.A.A. della Liguria.
La Giunta regionale, con apposita deliberazione assunta tempestivamente in seduta straordinaria, ha presentato una documentata serie di motivazioni contrarie tra cui, in primo luogo, la legge regionale 12/1995 (recepimento della 394/1991), che vieta espressamente l'apertura di miniere in un parco regionale.
Soddisfazione è stata espressa dalle Associazioni e dai Comuni liguri e piemontesi che, in un'atmosfera tesa per lo sproporzionato presidio di polizia, hanno assistito alla conferenza dei servizi il 24 ottobre a Savona, preoccupati per le conseguenze territoriali e socio-economiche a vasto raggio, in particolare sulla salute degli abitanti, anche perché la lavorazione del minerale libererebbe ingenti quantità di amianto.
Lo Stato potrebbe ora invocare il preminente interesse nazionale; poiché per fortuna l'Italia non si trova in guerra, non si vede come possa essere imposta una decisione così pesantemente centralista nell'attuale fase di riforme in senso federale. (F. B.)