Federparchi
Federazione Italiana Parchi e Riserve Naturali


PARCHI
Rivista del Coordinamento Nazionale dei Parchi e delle Riserve Naturali
NUMERO 20 - FEBBRAIO 1997

La legge n. 70 del 1975 e la gestione dei Parchi nazionali: problemi di applicazione e di compatibilità

Agatino Cariola*


La legge quadro sui parchi7 6 dicembre 1991, n. 394, stabilisce un complesso riparto di competenze tra Stato, Regioni ed enti locali a proposito della struttura e dell'attività dei parchi.
Il sistema di nomina dei componenti il Consiglio direttivo, designati in parte dalla Comunità del Parco ed in parte tra esperti, e la presenza della Comunità del Parco, formata dai presidenti delle regioni e delle provincie, dai sindaci dei comuni e dai presidenti delle comunità montane, nei cui territori sono comprese le aree del parco, disegnano già un assetto organizzativo nel quale coesistono, e dovrebbero fondersi assieme, competenze di ordine tecnico e legittimazioni politiche vere e proprie.
Sul piano dell'attività l'adozione dello statuto (elaborato dal Consiglio direttivo ed adottato dal Ministro dell'ambiente, d'intesa con la regione), I'approvazione del Regolamento (deliberato dal Consiglio ed approvato dal Ministro, sentita la Consulta e previo parere degli enti locali), I'elaborazione del piano per il parco (di competenza, ancora, del Consiglio, ed adottato, poi, dalla regione), e la definizione del piano economico e sociale (che vede l'elaborazione ad opera della Comunità del parco e la successiva approvazione della regione), conl`ermano l'intreccio di competenze tra soggetti rappresentativi di istanze diverse, allusive, in definitiva, del diverso dimensionamento degli interessi coinvolti e di "specializzazioni", di volta in volta, tecniche o politiche. A fronte di ciò, la stessa legge dispone l'applicazione agli enti parco della legge 20 marzo 1975, n. 70, cosiddetta sul parastato, ed il loro inserimento in una delle tabelle allegate allo stesso atto, Probabilmente, I'inclusione degli enti parco tra quelli del parastato continua la tradizione della legge n. 70, che già comprendeva il parco degli Abruzzi e quello del Gran Paradiso tra gli enti cui applicarsi. Noi confronti dei parchi la disposizione dell'art. 9, L. n. 394, apparirebbe una norma di chiusura, che, poi, esplicherebbe rilievo per quanto riguarda il personale, i controlli, i bilanci e la contabilità, costringendo i parchi all'applicazione dell'ormai "vecchio" regolamento n. 696 del 1979.
Dal 1975 la "fuga dal parastato", che pure ha riguardato tanti enti, i quali sono riusciti a "contrattare" con il potere politico statuti particolari, non ha coinvolto gli enti parco, ridotti, anzi, entro uno schema particolarmente angusto. L'inclusione degli enti parco nella disciplina del parastato sembra risentire della tesi secondo la quale gli stessi enti sarebbero strumentali allo svolgimento di compiti propri dello Stato. Con l'espressione di enti strumentali la dottrina amministrativa indica, infatti, quegli enti creati per raggiungere un fine proprio dello Stato, attraverso una struttura più adeguata di quanto non sia la comune organizzazione amministrativa, eppure posti sempre in posizione di dipendenza rispetto allo Stato, in quanto concorrenti alla cura del medesimo interesse statale, sino a far configurare tra l'amministrazione dello Stato e quella dell'ente un unico complesso organizzativo. La strumentalità, in altri termini, rileverebbe sia per la cura di un interesse pubblico riferibile allo Stato, sia, ancora, per il rapporto esclusivo che l'ente intratterrebbe con lo Stato, e che comporterebbe la piena disponibilità del primo da parte del secondo. Da questo punto di vista la tesi della strumentalità degli enti parco sembra subire una profonda smentita a causa della positiva regolamentazione di tali enti ad opera della stessa L. n. 394, che pone gli stessi enti in rapporto con più livelli di governo e non con il solo Stato. Il modello teorico dell'ente strumentale dello Stato risulta, in altri termini, superato dalla stessa legislazione. Semmai, I'elemento - per dir così - spurio rispetto ai principi è rappresentato dalla riproposizione dell'inquadramento dei parchi nel sistema del parastato e dei suoi stringenti vincoli di gestione.
Anzi, la necessità di preservare il ruolo delleregioni nell'organizzazione e nell'attività dei parchi è stata riconosciuta dalla Corte costituzionale come espressione di un principio fondamentale, a causa della connessione tra le competenze dello Stato e quelle delle regioni nella tutela di un interesse, che non può essere individuato come una materia, rivendicabile dall'uno o dalle altre, ma come una funzione che esige il rispetto delle attribuzioni di entrambi i livelli e, soprattutto, il loro esercizio coordinato e leale. Invero, la giurisprudenza costituzionale che ha accompagnato l'elaborazione della L. n. 394 e le prime sue applicazioni, ha voluto assicurare un ruolo regionale che fosse, al tempo stesso, di garanzia delle attribuzioni regionali e, più a monte, di coinvolgimento delle popolazioni interessate nella gestione delle aree protette. Il che, poi, è condizione di effettività delle prescrizioni di regolamentazione.
La L. n. 394 ha confermato tale quadro di competenze. Regioni ed enti locali sono costantemente presenti nell'organizzazione del parco come nello svolgimento delle sue attività.
La regione, approva, addirittura il piano per il parco e quello di promozione economica e sociale dell'ente, elaborato dalla Comunità del parco.
Attraverso i poteri conformativi, programmatori ed autorizzatori, il Parco risulta attributario della gestione del territorio, assumendo funzioni tradizionalmente tipiche dell'ente locale, ed alla stessa stregua di questi ultimi può proporre azione per il risarcimento del danno ambientale, che la legge istitutiva del Ministero dell'ambiente, la 1. n. 349 del 1986, riservava ancora allo Stato ed agli enti territoriali.
Sulla base di tali attribuzioni, e soprattutto per il l`atto che il parco adotta il piano economico e sociale relativo allo sviluppo delle collettività residenti all'interno del parco e nei territori adiacenti, appare improponibile la tesi del parco come ente strumentale del solo Stato.
Al contrario, tutto ciò attribuisce al parco un ruolo autonomo ed una configurazione politica, come centro di imputazione diretta degli interessi di tutela ambientale, "staccato" dallo Stato e dagli altri enti, in posizione assimilabile a quella degli altri enti territoriali, dove il territorio, appunto, fa assumere a questi ultimi carattere politico per la possibilità di curare tutti gli interessi della popolazione ivi insediata.
Non è d'ostacolo a tale configurazione la circostanza che la tutela ambientale abbia un forte contenuto "tecnico", riflessasi sul versante organizzativo anche attraverso l'assetto cui si accennato in precedenza.
In realtà, al riconoscimento di natura politica agli enti parco ed alla valorizzazione della loro autonomia nei confronti dello Stato come degli altri enti pubblici, non è d'ostacolo l'esercizio di discrezionalità cosiddetta tecnica da parte del parco. L'interesse alla particolare preservazione ambientale è divenuto un interesse obiettivizzato dall'ordinamento e riconosciuto di fondamentale rilievo costituzionale.
Anzi, proprio la circostanza che il parco sia preposto alla tutela di tale interesse giustifica (e rafforza) la sua definizione di ente autonomo, centro di imputazione di funzioni, distinto sia dallo Stato che dagli altri enti.
In via generale, poi, l'esercizio di discrezionalità tecnica sembra alludere all'esercizio di un potere sociale, in relazione al quale vengono in rilievo le competenze specialistiche di un ceto professionale, utilizzate dall'amministrazione per l'accertamento di dati di fatto cui prestare attenzione ai fini di tutela degli interessi pubblici. Al contrario della discrezionalità amministrativa vera e propria, ove viene al riguardo la valutazione degli interessi pubblici, e che allora non potrebbe che essere svolta da soggetti pubblici, dotati in via diretta o mediata di una legittimazione di natura politica, la discrezionalità tecnica si esercita in settori ove comunicano i mondi delle professioni e della burocrazia, accomunati dal condiviso possesso di cognizioni specialistiche, quasi dall'appartenenza ad un unico ceto di "tecnici", e dall'uso di un dato linguaggio.
Per questo, I'esercizio della discrezionalità tecnica consente quel processo di socializzazione dell'amministrazione pubblica che elide la distanza di quest'ultima dalla comunità civile e che t`onda alcuni momenti di partecipazione.
L"'ingresso" di saperi specialistici nell'amministrazione pubblica oggettivizza e limita la potestà amministrativa di decisione.
Le competenze di ordine tecnico restringono l'ambito dell'apprezzamento di carattere politico-amministrativo, circoscrivendone la vis for-temente espansiva. Alla valutazione ed al bilanciamento degli interessi, tipici dei giudizi di natura politica, si accompagna e talvolta si sostituisce un apprezzamento dei fatti nella loro oggettività naturale e per questo estremamente vincolante.
Prevedendo la contemporanea presenza di "esperti" e "politici" in organi amministrativi o disciplinando il procedimento per l'adozione di un determinato atto, I'ordinamento in realtà seleziona e gradua la tutela degli interessi coinvolti in una fattispecie e ne configura il tipo di protezione. Il sistema di designazione dei collegi, il numero del "tecnici", il procedimento di decisione da seguire, e tanti altri fattori, disegnano un assetto nel quale risultano privilegiati o meno alcuni interessi nei confronti di altri.
Appunto per questo diviene possibile verificare la corrispondenza delle scelte adottate agli interessi presi in considerazione ed individuare eventuali soluzioni organizzative "squilibrate" rispetto agli interessi da curare, per la sovrarappresentazione di legittimazioni estranee o per l'assenza di competenze appropriate al campo di tutela. Il valore dell'imparzialità, in altri termini, se non esclude che saperi specializzati arricchiscano le decisioni amministrative, sembra impedire che competenze e legittimazioni tecniche e politiche possano sovrapporsi in maniera confusa, vanificando le rispettive responsabilità.
L'organizzazione degli enti parco interseca tutti questi profili ed impone di at`frontarne i conseguenti problemi. In definitiva, l'ente risulta strutturato sulla scorta di legittimazioni di natura diversa, rispettivamente di ordine tecnico e politico, e di moduli organizzatori che procedono, contemporaneamente, dall'alto (Ministero) e dal basso (regioni ed enti locali). Ne risulta una soluzione organizzativa che unisce, o tenta
di unire, gestione degli interessi ambientali, ma anche sociali ed economici, e consenso delle popolazioni coinvolte. Soprattutto, ne viene esaltata la capacità del parco di porsi come il centro di imputazione degli interessi che gli sono attribuiti con tutto l'armamentario degli strumenti disponibili per la sua posizione di garantita autonomia.
Ne discendono conseguenze di un certo spessore, sia in ordine alla lettura della L. n. 394, che riguardo le sue eventuali modifiche L'ente può sperimentare, ad esempio, forme di organizzazione in parte diverse da quelle imposte dal modello statale e può prevedere modalità di consultazione e di presenza degli interessi rappresentati. Le leggi regionali possono determinare di lasciare distinti sul versante organizzativo i profili tecnici e quelli propriamente politici.
La posizione di autonomia pone, soprattutto, il problema di esigere il rispetto di tempi certi circa l'adozione degli atti ed il regime dei controlli, pensando - anche a questo proposito, a titolo di esempio - ad introdurre il sistema di recente adottato per le università, il cui statuto ed i regolamenti principali divengono esecutivi se non sono oggetto di rilievi da parte del Ministero.
E l'esempio delle università offre, ancora, I'occasione per ripensare l'istituzione di un organismo di rappresentanza a livello nazionale delle aree naturali protette, di derivazione degli enti parco. La legge n. 394 richiede, allora, di essere attuata e "difesa", anche attraverso quelle "piccole" sue modifiche, rese necessarie dall'integrale applicazione dei suoi principi ispiratori, ai quali sono certamente contrari quelle disposizioni, come l'inserimento nel parastato, e quelle prassi che disattendono il fondamentale valore dell'autonomia dei parchi.

*Docente dell 'Università di Catania