Federparchi
Federazione Italiana Parchi e Riserve Naturali


PARCHI
Rivista del Coordinamento Nazionale dei Parchi e delle Riserve naturali
NUMERO 22 - SETTEMBRE 1997


I PARCHI REGIONALI: UNA SOLIDA REALTA' PER LA TUTELA DELL'AMBIENTE NATURALE
Sandro Flaim *
  La legge-quadro in materia di aree protette (L. 6 dicembre 1991, n. 394) è stata salutata con entusiasmo, alla sua comparsa nel panorama giuridico italiano, dalla maggioranza di coloro a cui stanno a cuore la salvaguardia ambientale e la tutela di aree di particolare pregio e valore naturalistico: si è trattato infatti del risultato di un percorso, durato più di venti anni, nel corso del quale ormai molti avevano perso la speranza che il nostro paese potesse dotarsi di una normativa che garantisse lo sviluppo di una politica difficile e contrastata come quella dei parchi. La legge 394 è pertanto diventata il simbolo di una lunga battaglia vinta, ma come tutte le cose che nascono dopo una gestazione così complessa risente assai di compromessi politici, di valutazioni ormai obsolete, di orientamenti vecchi e superati dai fatti.

Ciò non significa che la legge 394 debba essere buttata via, anzi sarebbe auspicabile che venisse veramente attuata in considerazione del fatto che, a sei anni dalla sua emanazione, più dell'80% delle sue previsioni più fondate e più efficaci devono ancora essere realizzate; si tratta infatti di temi quali la programmazione degli interventi, che vede nella Carta della Natura il vero obiettivo, la creazione di un rapporto equilibrato tra le istituzioni (Stato, Regioni, Province, Comuni), la definizione di adeguati strumenti di pianificazione territoriale, l'effettivo riscontro in termini di crescita economica delle realtà locali.

La legge 394 è stata peraltro certamente influenzata, nel mentre si operava per definirne i contenuti, da quando, si era sviluppato nelle Regioni - soprattutto negli anni '70 - sia in termini di normativa, sia per quanto concerne le aree protette istituite e, in molti significativi casi, anche ben funzionanti e rispondenti ai requisiti di tutela e di buon governo e buona gestione che dovrebbero sempre caratterizzare i parchi e le riserve naturali. Peraltro la legge-quadro non è riuscita a tenere nel debito conto l'evoluzione che, in molte Regioni, la politica delle aree protette aveva compiuto e pertanto risulta parzialmente zoppa e talvolta scarsamente applicabile anche in situazioni di protezione che possono essere considerate al] ' avanguardia nel panorama nazionale.

L'assurda differenziazione, nel caso italiano, ancora esistente tra importanza della protezione a seconda che la stessa sia riferita ad aree protette nazionali piuttosto che ad aree protette regionali è il frutto di una impostazione che ha guardato alle realizzazioni regionali senza approfondire fino in fondo il significato di quanto veniva realizzato. E' infatti assai difficile comprendere, a titolo esemplificativo, perchè il Parco nazionale del Vesuvio debba essere considerato più importante, sotto il profilo delle caratteristiche naturali ed ambientali e della tutela, rispetto al Parco regionale dell' Etna ovvero perchè il Parco regionale delle Alpi Marittime non debba essere ritenuto di pari importanza rispetto al Parco nazionale del Gran Paradiso.

Per comprendere però dove e come la legge 394 potrebbe essere migliorata in modo tale da riuscire veramente a compiere il disegno di istituire un sistema nazionale di aree protette è necessario ripercorrere, seppure molto brevemente, la genesi della politica dei parchi da parte delle Regioni che tale politica avevano avviato fin dagli inizi degli anni '70. Infatti, prima del 1970, anno di nascita delle Regioni a statuto ordinario, soltanto la Provincia autonoma di Trento aveva affrontato il tema dei parchi in modo organico attraverso l'approvazione, nel 1967, del PUP (Piano Urbanistico Provinciale): si trattò di un provvedimento innovativo in quanto, per la prima volta nel nostropaese, la tematica delle aree protette non era trattata attraverso l'istituzione diretta delle stesse, ma mediante uno strumento di pianificazione territoriale generale che, oltre ad individuare una rete di aree da sottoporre a tutela, ne fissava anche i principi di uso e gestione. Si trattò pertanto di un modo di affrontare la questione parchi e riserve naturali veramente nuovo poichè si passava dalla concezione di area protetta come momento isolato di salvaguardia ambientale al concetto, ben più logico e moderno, di area protetta come parte di un sistema gestionale esteso al territorio inteso come elemento da tutelare nel suo complesso "anche" mediante la creazione di una rete di aree di particolare pregio naturalistico ed ambientale.

Questo primo passo segnò l'avvio della nuova gestione dei parchi che, da quel momento, furono generalmente intesi dalle nuove realtà regionali quali soggetti di interesse ed importanza territoriale diffusi e non limitati al puro e semplice, seppure rilevantissimo, interesse naturalistico e, conseguentemente, portatori esclusivi di vincoli. Questo concetto, di non facile apprendimento immediato, ha faticato - ed ancora fatica - ad affermarsi nelle realtà locali che spesso continuano ad interpretare, sbagliando, le aree protette come elemento di blocco o limitazione di ogni attività di interesse economico. Si trattava infatti di fare comprendere e di realizzare una politica che non considerasse il territorio come elemento suddivisibile in due categorie tra loro nettamente distinte ed indipendenti: I'una, sulla quale un'azione di tutela puntuale esercitata attraverso un'area protetta impediva ogni modificazione e, l'altra, sulla quale invece ogni intervento era ammesso e lecito seppure sottoposto alle regole dell'urbanistica. Un tale approccio al problema avrebbe portato a considerare il territorio non come unicum sul quale ogni forma di gestione e di destinazione deve essere considerata interdipendente e comunicante con il contesto nel quale è inserita, bensì come un soggetto suddivisibile in parti tra loro indipendenti.

Questo salto culturale trovò una sua prima concreta affermazione nell'azione condotta dalla Regione Lombardia che, nel 1973, attraverso l'approvazione della prima legge regionale cornice sui parchi e sulle riserve naturali connotò tale politica come una politica territoriale. Questo orientamento trovò peraltro fondamento nello stesso quadro giuridico riferito alle competenze regionali: infatti l'articolo 117 della Costituzione, che individua le competenze delle Regioni a statuto ordinario, non contempla tra queste la materia "parchi e riserve naturali": la mancanza di questa attribuzione avrebbe di fatto impedito alle Regioni di operare in tale materia. La tesi vincente che la Regione Lombardia sostenne e che si sposa con il concetto sopra richiamato di politica territoriale fu proprio quella di affermare che le aree protette, pur nella loro specificità, non potevano essere considerate una materia a sè, bensì dovevano essere considerate come un insieme di competenze (agricoltura, caccia e pesca, turismo, pianificazione territoriale, urbanistica, forestazione etc.) che la Costituzione attribuisce comunque alle Regioni. Per tanto da questo assunto giuridico la Regione Lombardia propose una normativa impostata su un semplice, ma efficacissimo, schema concettuale articolato su tre momenti tra loro consequenziali: il primo, costituito dalla formazione ed approvazione di un Piano regionale dei parchi e delle riserve naturali; il secondo, consistente nella conseguente istituzione con provvedimento ad hoc di ogni singola area protetta; il terzo, costituito dalla pianificazione puntuale del territorio di ogni singola area protetta attraverso una strumentazione specifica.

Rileggendo la normativa lombarda del 1973 e confrontandola con alcuni principi generali della legge 394 possiamo notare come questa impostazione abbia influenzato la legge-quadro nazionale trovandovi collocazione: è facile leggere l'analogia tra Piano regionale dei parchi e delle riserve naturali e Carta della Natura, sebbene quest'ultimo sia uno strumento di pianificazione territoriale più raffinato, ma certamente fondato sui medesimi principi di lettura e verifica della complessiva situazione ambientale e territoriale per individuarne i punti di vulnerabilità e quelli da valorizzare attraverso una politica di tutela e salvaguardia più moderna; è altrettanto evidente l'importanza che assume la pianificazione territoriale puntuale per ogniarea protetta, ripresa dalla legge 394 con il Piano per il Parco.
Tornando alle realtà regionali possiamo riscontrare come, dopo la Lombardia (che pure non diede puntuale applicazione alle procedure previste dalla propria legge cornice), altre Regioni si attivarono negli anni '70 per dare vita ad una politica di tutela territoriale che trovasse la sua attuazione in una rete di aree protette. Tra queste dobbiamo citare la Regione Piemonte e la Regione Lazio che, attuando con regolarità le procedure previste dalle loro leggi cornice, risalenti rispettivamente al 1975 ed al 1977 e che ricalcavano sostanzialmente lo schema descritto proposto dalla Regione Lombardia, costruirono nei primi anni ' 80 un sistema regionale di aree protette.
La rigidità nell'applicazione, anche nella sequenza temporanea, delle tre fasi per la costituzione delle aree protette ha dimostrato che questo è il metodo più efficace per definire un vero e proprio sistema coordinato e radicato
(e pertanto più forte ed affermato anche nei confronti delle popolazioni locali). Laddove infatti si è prodotto un piano generale delle aree protette, si è proceduto alla loro istituzione e, infine, si è dotata ogni area protetta di propri strumenti di pianificazione territoriale e di programmazione socio-economica e gestionale, si è riusciti a costruire un sistema di parchi e riserve naturali vero e proprio con risultati tangibili e con il rafforzamento dei parchi e delle riserve nella cultura e nella coscienza dei cittadini.
Al contrario, laddove si è ritenuto inutile procedere con questo approccio e con questa metodologia, non si è riusciti ad affermare la politica dei parchi che è rimasta ferma al palo e ha prodotto quasi esclusivamente forme di tutela puntuali e più difficilmente gestibili, spesso con rapporti molto conflittuali con le popolazioni locali.
Si può ricordare, a titolo di esempio, quanto è avvenuto nella Regione Liguria dove fu approvata una prima legge cornice nel 1977, legge che provvedeva ad individuare immediatamente 15 sistemi di aree protette e 10 aree definite "minori", garantendone una tutela di tipo transitorio, rimandandone l'istituzione al compimento di una procedura di consultazione e di partecipazione allargata che avrebbe dovuto portare e predisporre il piano territoriale e di gestione delle aree protette antecedentemente alla loro istituzione formale: il risultato di questo approccio procedurale fu quello di non riuscire in pratica ad istituire, per molti anni, alcuna area protetta: soltanto di recente la Regione Liguria, anche in adeguamento alla legge 394, è riuscita a proporre un sistema complesso di parchi e riserve naturali, dopo aver definitivamente rinunciato al procedimento previsto dalla legge del 1977.
Oggi possiamo comunque affermare che le Regioni che sono intervenute in questa politica in modo concreto sono riuscite, in molti casi, ad ottenere risultati che non possono e non debbono essere disconosciuti a livello nazionale, anche perchè spesso si sono rivelati molto più concreti rispetto alle iniziative statali: citiamo ad esempio la Lombardia, il Piemonte, la Liguria, il Friuli-Venezia Giulia, l'Emilia-Romagna, la Toscana, I'Abruzzo, il Lazio, la Sicilia come punte più avanzate di un complesso di Sistemi regionali, integrati con i parchi nazionali laddove esistenti, che hanno portato alla costituzione di quasi quattrocento aree protette in Italia. Altre Regioni hanno avviato politiche analoghe e stanno procedendo a dare attuazione a molte aree protette; ciò ci fa dire, con sicurezza, che si tratta ormai di una realtà solida e fondata che deve essere considerata dallo Stato come tale e pertanto, anche in attuazione della legge Bassanini, deve trovare una sua adeguato collocazione nel sistema nazionale delle aree protette, tenendo conto anche delle molte realtà provinciali che si stanno muovendo in positivo nel panorama nazionale.

Tornando alla legge 394 ed alla sua attuazione, come già accennato in precedenza, non possiamo sottolineare come la stessa, per alcune realtà regionali, sia in parte superata e come, pertanto, sia necessario pensare ad una sua attuazione che tenga conto dell'evoluzione che molte politiche regionali hanno avuto dagli anni '70 ad oggi: in altri termini è doveroso che delle esperienze maturate a livello regionale si faccia tesoro evitando di ripetere errori e cogliendone tutti gli aspetti positivi.
A titolo di esempio è sufficiente rimarcare come gli strumenti di pianificazione territoriale previsti dalla legge 394 (Piano per il parco e relativo regolamento e Piano economico-sociale) siano in gran parte superati, in meglio, da molte leggi regionali di pianificazione territoriale e come pertanto non siano definibili strumenti quali quelli voluti dalla struttura del Ministero dell'Ambiente in quanto non è pensabile che questi strumenti possano essere omogenei su tutto il territorio nazionale: sarebbe necessario procedere, spesso non correttamente, alla revisione di molte leggi regionali in materia urbanistica, pianificazione territoriale e tutela del suolo.
Ancora a titolo esemplificativo può essere ricordato che, almeno fino ad oggi, il Ministero dell'Ambiente è stato ed è sordo alla necessità di procedere all'adeguamento della classificazione delle aree protette tenendo conto delle realtà regionali e della situazione che è venuta a determinarsi in molte Regioni; si è sostenuto che alcune classificazioni non possono essere accettate e prese in considerazione in quanto in contrasto con trattati internazionali, ma ciò pare fuori luogo per due ordini di motivi: il primo, riscontrabile nella stessa legge 394, è dato dal fatto che esiste una precisa norma della legge (art. 3, comma 4, lettera a) che prevede la possibilità che il Comitato Stato-Regioni proceda all'integrazione della classificazione delle aree protette sentita la Consulta tecnica (quale significato avrebbe una norma che prevede l'integrazione della classificazione attraverso la partecipazione delle Regioni se non esistesse lo spazio per definire anche classificazioni diverse da quelle previste nella legge 394?); il secondo, ancor più rilevante, dato dal fatto che nessun trattato internazionale vieta di individuare classificazioni che consentano comunque di rispettare il principio generale della tutela ambientale (è sufficiente, per convincersi della varietà enorme di classificazioni esistenti, consultare l'elenco delle classificazioni proposte dall'lUCN).
E' pertanto necessario che, anche senza introdurre modifiche puntuali alla legge 394, siano sbloccate resistenze delle strutture ministeriali che possono portare soltanto a contenziosi con le Regioni invece di conseguire il risultato di integrare i diversi livelli istituzionali al fine di garantire quella leale collaborazione che, nel caso di specie, potrebbe portare al risultato di costituire, finalmente, un vero e proprio Sistema nazionale di aree protette.
Non è neanche giustificabile l'atteggiamento di considerare le Regioni arretrate rispetto al tema dei parchi in quanto i fatti dimostrano il contrario.
Non ultimo vi è da sottolineare che, ad oggi, tredici Regioni su venti si sono adeguate totalmente o parzialmente alla legge-quadro nazionale. Mancano ancora all' appello sette Regioni, di cui ben quattro a statuto speciale (Valle d'Aosta, Trentino Alto Adige, Sicilia, Sardegna) e soltanto tre a statuto ordinario (Veneto, Molise, Calabria). In una situazione di questo tipo non si può certamente pensare, anche alla luce della legge Bassanini, di non instaurare un rapporto profondo e solido con Regioni, Province e Comuni, da parte del competente Ministero dell'Ambiente.

* Direttore del Coordinamento Nazionale Parchi e Riserve Naturali