Federparchi
Federazione Italiana Parchi e Riserve Naturali


PARCHI
Rivista del Coordinamento Nazionale dei Parchi e delle Riserve naturali
NUMERO 22 - SETTEMBRE 1997


IL RUOLO DELL'ASSOCIAZIONISMO AMBIENTALE NELLA POLITICA DELLE AREE PROTETTE
Walter Giuliano *
  Il 24 luglio del 1985 la Camera dei Deputati approvò con 322 voti favorevoli, 82 contrari e 50 astenuti, il disegno di legge governativo per l'istruzione del Ministero dell'Ambiente.
Il 30 lug]io dello stesso anno Valerio Zanone diventò il primo vero Ministro per l'ambiente d'Italia.
Prima di lui Alfredo Biondi (dall'agosto 1983) e nel lontano l973 il socialista Corona avevano condotto un Ministero dell ' Ambiente senza portafoglio e di fatto senza possibilità di intervento concreto sulla situazione ambientale della penisola.
Tra i primi impegni del nuovo ministro Zanone ci fu quello per l'istituzione di quattro nuovi parchi nazionali entro il 1986. "Quanto ai parchi nazionali - dichiarò in una intervista al mensile Airone - va disincagliata dalla Commissione agricoltura del Senato la legge quadro che li riguarda e con gli stanziamenti previsti dalla finanziaria dell'86 istituirne quattro nuovi - e penso al Pollino, al Casentino, alle Dolomiti Bellunesi e alle Alpi Marittime - in forme che compensino il regime dei vincoli con i legittimi interessi delle popolazioni locali".
Fu necessario arrivare al 1991 perché finalmente 1' Italia disponesse di una legge quadro sulle aree protette. Una vittoria del mondo ambientalista che da oltre venticinque anni si era posto quell'obiettivo.
E' infatti del 1964 il primo progetto di legge in materia sollecitato da Italia Nostra e presentato per iniziativa dei deputati Rossi, Restivo e altri (Camera dei Deputati, IV Legislatura, ddl. n. l 669).
Ad esso ne seguirono molti altri, nelle varie legislature, ma nessuno arrivò mai alla discussione definitiva in aula. Tra quelli che andarono più vicini al successo, quello presentato dal ministro Giovanni Marcora nel corso della settima legislatura in collaborazione tra Ministero dell'agricoltura e foreste, Italia Nostra, WWF, CAI. ma la precoce conclusione della legislatura ributtò indietro anche il provvedimento per una politica delle aree protette.
L'iniziativa del Ministro rispondeva alle impostazioni del DPR n.616 del quale, per legge, si sarebbe dovuta disciplinare, definiti-vamente, la complessa materia delle aree protette. Ma fu ampiamente disatteso.
Occorreva attendere il 26 novembre 1987 per vedere registrata nell'ordine del giorno del Parlamento una nuova proposta di legge recante il numero 1964 (ironia della sorte coincidente con la data della prima proposta in materia di aree protette), primo firmatario il deputato dei Verdi Gianluigi Ceruti.
Ceruti non è un politico. Avvocato, è un ambientalista convinto, per anni vicepresidente di Italia Nostra, da sempre impegnato nello sforzo di veder nascere un parco sul Delta del Po, ha accertato la candidatura nei Verdi e ha lavorato sodo a quella vecchia idea partita dal mondo ambientalista nei primi anni sessanta. Buon per lui che ha incontrato sulla sua strada il ministro per l'ambiente, Giorgio Ruffolo, che rinuncia a presentare un autonomo disegno di legge del Governo e si riserva di apportare modifiche al testo dei Verdi. E' così che l'iter è veloce.
Le schermaglie politiche modificano il testo della legge, lasciandone però sostanzialmente integra la filosofia e 1 ' impostazione fondamentale, entrambe valide tuttora, sia pure con gli adeguamenti imposti dalle più recenti disposizioni in materia di semplificazione amministrativa e di federalismo.
Un cammino lungo e soí`ferto, dunque, quello della legge quadro.
Che va difeso da chi vorrebbe oggi rimettere in discussione i principi della legge.
Non è comunque un caso che una legge, fortemente voluta dal mondo ambientalista, abbia poi avuto come protagonista un personaggio proveniente da quel mondo e che caparbiamente ha saputo perseguire un obiettivo così importante per il paese.
Come non è un caso che proprio un ministro dell'ambiente verde abbia saputo dare attuazione alle previsioni di quella legge, portando il nostro paese a contare oggi su 18 parchi nazionali (13 realizzati dal l991 a oggi) formalmente istituiti in aree da tempo indicate dal mondo scientifico e ambientalista come meritevoli di attenta tutela. Peraltro vi sono ambienti che per la loro unicità necessitano di ulteriori attenzioni e pensiamo ad esempio a due paesaggi simbolici della catena alpina come le Dolomiti e il massiccio del Monte Bianco, per i quali occorrerà promuovere o definire strumenti di conservazione adeguati e magari innovativi. L'esperienza in corso con l'Espace Mont Blanc potrebbe essere una di queste.
Come sarà necessario insistere per incentivare ulteriormente gli interventi a difesa del mare e per completare gli interventi di attuazione della Convenzione di Ramsar.
Come si vede la strada è ancora lunga e difff1cile e non si conclude con l'istituzione delle principali aree protette storicamente segnalate dagli ambientalisti all'attenzione dei vari Governi.
Rimangono innumerevoli resistenze in ogni angolo del paese e lo stesso governo sembra non essere particolarmente sensibile alle questioni ambientali invocate e fatte proprie a livello teorico ma poco perseguite sul terreno della realizzazione pratica, dove continuano spesso a prevalere altri interessi. E da sola la pattuglia dei Verdi al governo non sembra in grado di fronteggiare una cultura ancora fortemente indirizzata ai miti industrialisti e all'utopia di una crescita illimitata.
Su questo la diversità tra i due poli della politica italiana appare ancora troppo poco evidente. Segno di un ancoraggio pesante a concezioni economiche e a dinamiche di mercato condizionanti, che ben diffficilmente si adatteranno in tempi brevi alle esigenze di una rivoluzione che ponga l'ecosostenibilità del modello di sviluppo e del sistema economico tra le priorità di governo, qualunque sia il raggruppamento che ne avrà la responsabilità.
Far crescere una cultura e una coscienza per costituire davvero l'ecosostenibilità dello sviluppo è impegno
che il mondo ambientalista mantiene immutato e che va sviluppato nell'intera società, al di là delle appartenenze politiche. Certo registrando le diverse sensibilità e i tempi diversi di reazione, ma non rinunciando a farne patrimonio comune. Perché se così non fosse, la politica della aree protette, da sola, sarebbe insufficiente e inevitabilmente, nel lungo periodo, comunque perdente.
Per intanto comunque va salutata con soddisfazione 1 ' accelerazione imposta negli ultimi anni, sia pure con qualche strascico polemico che tuttavia non tarderà a essere superato. Certo 1' attuazione della legge 394 accusa ancora molti ritardi, ma non è secondario che oggi il 6,5% del nostro territorio nazionale sia comunque sotto tutela. Anche quando le Regioni non collaborano, non avendo ancora recepito i principi della legge quadro nazionale (solo risultano al momento adempiti) e dunque non consentendo di dare attuazione alla legge con la costruzione di un vero sistema nazionale delle aree protette con la partecipazione di tutti gli enti, secondo una collaborazione non gerarchica ma in sintonia tra i vari livelli istituzionali in cui di articola lo Stato.
Ma il mondo ambientalista non ha soltanto segnato l'ultimo periodo della politica dei parchi. Anzi ne è motore storico, da quando gli ambientalisti ancora non si chiamavano così ma più poeticamente naturalisti, naturofili, amanti della natura.
Perché gli ambientalisti mantengono nel loro imprinting quella visionaria fiducia nel mondo e nel1' uomo che fu dei pionieri, accovacciati intorno ad un grande fuoco della grande prateria americana, che decisero nel 1872 di creare il primo parco nazionale nelle sperdute regioni nordoccidentali delle Montagne Rocciose, nelle vicinanze del tranquillo fiume Yellowstone, il "fiume giallo delle rocce" della cultura dei nativi amerindi.
Oppure sentono la stessa magnetica, pervasiva sensazione della bellezza intrinseca della natura che indusse i pittori della scuola di Barbizan a proporre la tutela, nel 1853, della foresta di Fontainebleau.
Sensibilità e istinto poetico che ha dovuto sempre più fare i conti con un modello di sviluppo insensibile alla bellezza e teso unicamente al consumo e alla ricchez-
za che il consumo induce e comporta. A tal punto che la corsa al consumo fine a se stesso, al profitto, alla speculazione, hanno comportato sempre più rischi per la sopravvivenza del pianeta e con esso dell'uomo. Tuttora molti poteri sembrano ignorare le conseguenze di questo atteggiamento volto solo al guadagno immediato e perdurano su una strada che non ha sbocchi. ll pianeta si scalda sempre di più per l'effetto serra, ma questa febbre sembra non preoccupare più di tanto i governanti, incapaci di assumere misure adeguate.
Tra i parchi, sempre lì, vigili di un futuro che secondo le indicazioni dellaConferenzaMondiale sull'ambiente di Rio de Janeiro dovrebbe essere lo sviluppo ecocompatibile, sono gli ambientalisti.
Spesso considerati alla stregua di grilli parlanti e perciò schiacciati da chi si rifiuta di pensare al futuro e alle generazioni che verranno. Non è un caso che tra i propugnatori dei primi parchi nazionali troviamo Paul Sarasin (Engadina), Gian Giacomo Gallarati Scotti e Fausto Stefenelli (Adamello Brenta), Alessandro Ghigi e Pietro Romualdo Pirotta (Abruzzo).
E se il primo parco sulle Alpi, quello nazionale svizzero, nacque per iniziativa di Paul Sarasin e della Ligue Suisse pour la Protection de la Nature, sugli Appennini il Parco Nazionale d'Abruzzo vide sorgere, il 21 ottobre 1921, il suo primo nucleo per iniziativa di Alessandro Ghigi del professore Pirotta e della Società Pro Montibus et Sylvis, fondata nel 1899, una delle prime associazioni naturalistiche della penisola, tuttora operante all'interno della Federazione Nazionale Pro Natura.
Non dobbiamo dimenticare che analoghe sensibilità permeano in quegli anni anche istituzioni come il Touring Club Ciclistico, poi Touring Club Italiano, e il CAI. Sono ad esempio proprio due appassionati alpinisti, i coniugi Frigerio di Milano, a sostenere con forza la necessità di tutelare il massiccio dell'OrtlesCevedale. Grazie al vicepresidente del club Alpino Bertarelli, l'iniziativa fu coronata dal successo con la realizzazione del Parco Nazionale dello Stelvio.
Ma i parchi nazionali da soli non bastano. Senza un movimento di opinione che li sostenga rischiano di essere isole minacciate circondate da un territorio all'abbandono. Se ne rende conto benissimo il direttore del Parco Nazionale Gran Paradiso Renzo Videsott, attivo ambientalista ante litteram. Insieme a un nucleo di amici raccolti a Torino, a Trento e a Milano, segue con attenzione l'evolversi del movimento protezionista a livello internazionale. Non a caso rappresenterà il nostro paese alla prima riunione dell'UlPN (Unione Internazionale per la Protezione della Natura, oggi UICN sostituendo la protezione con la Conservazione).
Videsott sente il fermento del dopoguerra "all'estero c'è una incalzante ripresa per la difesa della Natura, la quale non è che un fatale compenso equi]ibratore, dopo le distruzioni belliche" e coglie la necessità di affermarlo anche in Italia. E' così che si affretta a scrivere, convocando le riunioni di Oreno e di Sarre da cui nascerà il 25 giugno 1948 il Movimento Italiano per la Protezione della Natura (oggi Federazione Nazionale pro Natura): "L'idea di radunare in Italia alcuni fra i rari e sparsi uomini che sono valorose e appassionate forze nel campo della protezione della natura (...) mi è nata dopo aver visto e constatato come alI'estero in questo campo, si sia tanto lavorato e raccolto, e come troppo poco sia stato fatto in Italia. (...) è da anni che cerco i più disparati aiuti umani, per poter così salvare l'esistenza del Parco Nazionale del Gran Paradiso. Se creare un sistema circolatorio, che potrà dilatarsi in sempre più minute arteriole, sarà possibile, bisogna partire da un pulsante, appassionato cuore. (...) L'esperienza, in Italia, secondo me dimostra che le troppo cerebrali, troppo scientifiche società naturalistiche, non sono riuscite e non potevano certo raggiungere nemmeno parzialmente questi scopi. Sono convinto che il cuore pulsante può essere un ben diretto Parco di protezione della Natura. Attorno a una realtà visibile, a bellezze rare e solitarie, di monti, di alberi e di fauna, si devono raccogliere le migliori umane forze operanti, non rese limbo da un sublimato ed astratto pensiero scientifico, ma rese nobile vita da una creativa interpretazione poetica, dei fatti misteriosi del mondo naturale, che ci è diventato soffocante solo perché troppo artefatto anche dall'arroganza delI'umanità inflazionata. Dovremo difendere questo nostro futuro sforzo diastolico e sistolico, che si irradia da un Parco dove si soffre, si lotta e si vince per una concreta protezione della Natura: difenderlo tanto da una troppo elevata concezione poetica, come da una troppo angusta profondità scientifica; dobbiamo specialmente difenderlo dalla impaludante retorica, dal formalismo, dall'oppio delle burocrazie, dalla piovra delle speculazioni della bassa concezione politica, dalla tisi della miseria economica, dalla peste della faciloneria, dal mare dell'ignoranza, dagli oceani del1' indifferenza umana".
In fondo questo messaggio mantiene purtroppo intatto il suo valore a distanza di tanti anni e la sua attualità risulta ancora più evidente quando osserviamo gli atti di coloro che vorrebbero tornare indietro, minando sconsideratamente i principi e la filosofia della legge quadro. Dunque la vigilanza del mondo ambientalista è tanto più necessaria nel momento in cui, davanti alle azioni positive del ministro Ronchi, verrebbe voglia di abbassare la guardia tirando un sospiro di sollievo e concedendosi una pausa di soddisfazione.
In questo impegno, ieri come oggi la presenza delle associazioni ambientaliste è più necessaria che mai. E se il sogno di Renzo Videsott fu coronato dal successo con la costituzione della prima associazione ambientalista italiana, che il prossimo anno festeggerà il cinquantenario, ben presto quel movimento si radicò, lavorando con impegno perché anche nel nostro paese si affermasse una politica dell'ambiente.
La stessa Pro Natura, insieme a Italia Nostra e via via WWF, LIPU, Legambiente saranno instancabili propugnatrici e sostenitrici della politica delle aree protette. Sempre in prima linea, con un ruolo insostituibile a partire dalla metà degli anni sessanta quando il boom economico calpesta senza riguardo anche gli angoli più belli e preziosi della penisola - facendo lanciare ad Antonio Caderna il grido indignato contro "i barbari in casa" - gli ambientalisti sono gli unici, tenaci difensori delle bellezze naturali e ambientali, insieme alle frange più illuminate del mondo accademico; valga per tutti il nome di Valerio Giacomini.
In quegli anni le battaglie più accese sono a difesa delle aree protette, anch'esse minacciate dalla speculazione che sobilla il malcontento locale che nasce da una politica che a vincoli non sa far seguire - per as-
senza di investimenti - un impegno attivo per quella che pure, pochi anni dopo, sarà chiamata l'industria verde.
Questa è storia. Storia di un impegno di persone che disinteressatamente si sono battute per salvare i territori più importanti della nostra penisola. Un impegno che sfiora il secolo.
Eppure qualcuno si meraviglia o addirittura si vorrebbe opporre alla presenza - prevista dalla legge quadro nazionale e da numerose legislazioni regionali - dei rappresentanti delle associazioni ambientaliste all' interno degli enti gestori delle aree protette.
Hanno mai riflettuto sul fatto che le associazioni ambientaliste svolgono un' azione di pubblico interesse, riconosciuta dallo Stato con la legge istitutiva del Ministero dell'Ambiente, difendendo interessi collettivi e non di parte? Gli ambientalisti non sono negli organi di gestione dei parchi per difendere interessi o privilegi di categoria, ma per vigilare e dare un contributo alla conservazione dei beni ambientali, per tutelare la qualità della vita, per cercare insieme agli altri soggetti che operano sul territorio, la corretta strada per un equilibrio tra i principi della conservazione e lo sviluppo delle attività dell'uomo. In definitiva per cominciare, a partire dalle aree protette, a costruire elementi per uno sviluppo ecocompatibile. E non invece, come spesso I ' esperienza insegna accade per altri amministratori dei parchi, per difendere interessi specifici, di categoria o, a volte peggio ancora, di campamle.
Nel campo della politica delle aree protette, come abbiamo visto, vantano inoltre un ruolo storico, che nessun altro soggetto può rivendicare.
Non è un caso se ripercorrendo la storia dell'impegno per la creazione delle aree protette a tutela di territori di particolare pregio della nostra penisola, dal dopoguerra in poi ci imbattiamo quasi sempre nelle organizzazioni ambientaliste.
Non è un caso che nel sistema nazionale delle aree protette le associazioni ambientaliste siano presenti con realizzazioni concrete: 42 oasi del WWF,15 della LIPU, 7 la Federazione Nazionale Pro Natura. E' la testimonianza di un vedere lontano, in prospettiva, consapevoli che l'attività dell'uomo non può confliggere con la madre Terra. Che non è possibile sl`uggire ai cicli naturali di cui siamo parte. Saremo felici quando non ci sarà più necessità di una politica delle aree naturali . Perchè vorrà dire che 1 ' uomo avrà raggiunto la consapevolezza di un poter continuare ad agire contro natura.
Qualche ripensamento sembra fin d'ora essere già in atto. L'augurio è che non rimanga caso isolato, ma possa propagarsi all'intero territorio. Gli ambientalisti stanno facendo di tutto perchè ciò accada il più presto possibile.

* Redazione Parchi