Federparchi
Federazione Italiana Parchi e Riserve Naturali


PARCHI
Rivista del Coordinamento Nazionale dei Parchi e delle Riserve Naturali
NUMERO 22 - SETTEMBRE/DICEMBRE 1997


Le aree protette e la riforma istituzionale italiana
Mario Di Fidio *
 

Il centro studi Valerio Giacomini ha organizzato a Gargnano per il 16-17 ottobre 1997 un Convegno dal titolo "Le aree protette e la riforma istituzionale italiana", con l'esplicito invito ad approfondire il confronto tra le due linee politiche, definite rispettivamente conservatrice e riformista, che ormai da qualche anno si confrontano su questo tema in Italia. Da convinto assertore della necessità di cambiamenti, non posso che vedere con grande interesse la nuova stagione delle riforme amministrative (legge Bassanini) e costituzionali (testo della Bicamerale), la quale, al di là di incertezze, confusioni e rischi inevitabili, rappresenta un'occasione per il rilancio di una politica, come quella delle aree protette, che ha avuto momenti alti, ma da troppo tempo si trascina con stanchezza e penosi ripiegamenti. Nel recente passato ho sottolineato l'esigenza di ampliare l'orizzonte per uscire dalla crisi: le aree protette sono solo una parte della politica di difesa della natura e del paesaggio, ma questa a sua volta è solo una parte della politica ambientale. Sono convinto che in questa tumultuosa fase storica, per ritrovare la rotta, si debba cercare una visione dall'alto, ponendosi tre domande fondamentali sui rapporti tra le aree protette e rispettivamente la politica, la normativa e l'amministrazione dell'ambiente, nell'ottica della riforma istituzionale.
 

Le aree protette e il rilancio della politica ambientale
Negli ultimi decenni la politica ambientale si è articolata in due polarità, che potremmo definire tecnologica ed ecologica. La prima si propone di rendere minimi i carichi su singole componenti ambientali (aria, acqua, ecc.) per mezzo di metodi e processi tecnici. La seconda si propone di rendere minimi i carichi sugli ecosistemi e i paesaggi ed ha carattere spiccatamente trasversale, valorizzando le interdipendenze tra le componenti ambientali; essa ha il suo punto di forza attuale nelle aree protette, ma si realizza anche con altri strumenti, quali la valutazione d'impatto ambientale, l'orientamento ecologico della pianificazione territoriale ed urbanistica, ecc. e costituisce l'indirizzo finora meno sviluppato, ma più fecondo in prospettiva.
La difesa tecnologica dell'ambiente è ormai saldamente affermata nelle istituzioni e nella società e dotata di cospicue risorse proprie; gradualmente essa ha saputo realizzare un equilibrio tra vincoli, incentivi e servizi, con una forte integrazione nell'economia di mercato.
Assai diversa è la situazione della difesa ecologica dell'ambiente, finora in prevalenza sviluppata con strumenti vincolistici, ma insufficiente nei servizi resi (il restauro e la manutenzione dei paesaggi e la fruizione culturale e ricreativa) e nel coinvolgimento degli operatori privati, per carenza di strumenti e di risorse adeguati. Ne è derivata una comprensibile difficoltà generale, che ha portato alla paralisi attuale. La risposta della politica finora non è soddisfacente, sia quando essa difende il sistema esistente, ma non lo sa sviluppare, talvolta perfino accentuandone connotati ormai obsoleti di centralismo burocratico, sia quando chiede l'abolizione o il forte ridimensionamento dei vincoli esistenti, senza peraltro definire alcun programma alternativo e quindi di fatto vanifica anche quanto di buono è stato fatto in passato.
Dobbiamo renderci conto che la crisi delle aree protette è sostanzialmente legata ad una grossa carenza di proposta e di progetto, che può essere colmata solo se si avrà la capacità di affermare una nuova, più alta e matura politica di difesa ecologica dell'ambiente sull'intero territorio, rimettendo in discussione l'assetto esistente, in parallelo con le riforme istituzionali in corso. Solo un nuovo patto tra le istituzioni e i cittadini potrà consentire di mobilitare le volontà e le risorse che oggi latitano. Si rifletta che, per affermare pienamente il principio di prevenzione, peculiare di una più avanzata politica ambientale, occorre che la stessa non sia concepita in modo separato, come spesso in passato, ma integrata alle politiche settoriali che provocano il consumo e il degrado delle risorse ambientali. Questa esigenza offre un vantaggio alla difesa ecologica dell'ambiente, a motivo del suo carattere trasversale.
Si rifletta altresì che i principi di sussidiarietà e di differenziazione, in relazione alle caratteristiche dei territori e delle popolazioni, che ispirano la riforma istituzionale, sono adattabili anche alla politica ambientale, ma in termini differenziati per le sue due componenti, con un ulteriore vantaggio per quella ecologica. Infatti la difesa tecnologica dell'ambiente, avendo implicazioni economiche di ampia portata, tende sempre più ad essere definita strategicamente a livello internazionale, in parallelo alla globalizzazione dei mercati. Invece la difesa ecologica dell'ambiente, interessando aree più limitate, si presta meglio ad essere gestita ai livelli territoriali regionali e locali, quindi con maggior coerenza rispetto ai nuovi modelli di organizzazione decentrata dello Stato.
La riforma istituzionale offre dunque una grossa opportunità: il riequilibrio della politica ambientale, affiancando al braccio tecnologico un braccio ecologico altrettanto robusto. Ma questo potrà svilupparsi solo se si avrà la capacità di ricomporre politiche settoriali contigue, da troppo tempo marginali perché separate, come la difesa della natura, la difesa del paesaggio e per certi aspetti anche la gestione forestale, che formano sistemi di vincolo assurdamente sovrapposti, per trasformarle in un'unica grande politica, da porre al centro dell'attenzione del Paese.
La difesa ecologica del territorio, con una pluralità di strumenti, non esclude un ruolo speciale per le aree protette, che anzi assumono una più forte identità, uscendo da una concezione sostanzialmente isolazionistica, assumendo una pluralità di funzioni complementari, interconnettendosi a rete fin dentro i comprensori più urbanizzati, integrando aree e componenti d'interesse nazionale, regionale, provinciale e comunale. Prende così forma una nuova concezione delle aree protette come rete d'infrastrutture verdi grandi, medie e piccole, da gestire con efficienza, capaci di garantire l'intera gamma dei servizi ecologici e sociali richiesti dalla società moderna, anche attraverso strumenti di tipo privatistico.
Per far fronte alle nuove esigenze di incentivi e servizi da affiancare ai vincoli, dovranno essere rese disponibili risorse economiche in misura alquanto maggiore rispetto al passato. Come reperire queste risorse è un problema della politica, che deve creare anche nuove forme di autofinanziamento, come ha saputo fare per la difesa tecnologica dell'ambiente; le possibilità teoriche non mancano. Importante è che nel frattempo non si smobilitino i valori, perché la società sarà comunque chiamata a pagare e, in questa fase storica di contrazione delle risorse, sarà disponibile a farlo solo per ciò che ai suoi occhi ha molto valore.
 

Le aree protette e il riordino della normativa ambientale
Se consideriamo la vigente normativa sulla aree protette nel quadro della normativa ambientale complessiva, troviamo i caratteri di un impianto provvisorio, senza netti confini, ma anzi frequenti sovrapposizioni e contraddizioni, dovute alla stratificazione storica in assenza di coordinamento.
Ciò comporta un'elevata problematicità, ma anche maggiori spazi per una riforma parallela a quella istituzionale. Se convenzionalmente stabiliamo tra la fine degli anni '60 e l'inizio degli anni '70 la nascita di un diritto ambientale in senso stretto, dobbiamo peraltro ammettere che anche nel periodo precedente si possono rintracciare disposizioni giuridiche e in qualche caso interi corpi normativi significativamente finalizzati alla difesa dell'ambiente, pur in carenza di una concezione organica generale. Spesso tali discipline, secondo il costume italiano, sono rimaste in vigore senza essere adeguate a quelle successive.
Nel settore della difesa tecnologica dell'ambiente, soggetto ad una più rapida evoluzione tecnico-scientifica, le normative precedenti, come quella delle industrie insalubri, pur formalmente conservate, hanno perso rapidamente importanza pratica. Assai diversa è la situazione nel settore della difesa ecologica dell'ambiente, dove sono tuttora attive, con importanti riflessi amministrativi e pianificatori, le normative in materia di vincoli idrogeologico e paesistico, nonché di disciplina venatoria ed alieutica, parallele a quella più recente sui parchi e le riserve naturali. In tal modo fatalmente si è aggiunto vincolo a vincolo, processo a processo, in un periodo storico in cui l'insofferenza dei cittadini nei confronti del labirinto normativo ed amministrativo era già molto alta.
Va detto che in tutta Europa si sta affermando una tendenza all'unificazione del diritto ambientale, mediante processi di codifica che assicurino il coordinamento e la semplificazione di obiettivi e principi, misure e strumenti, organizzazione, processi amministrativi, ponendo rimedio all'attuale complessità e disarmonia. Ma in nessun Paese europeo questo problema è così acuto come in Italia, perché è aggravato dal disordine normativo generale prodotto da ben 150.000 Ieggi.
In questa situazione, non si possono tacere le responsabilità del movimento ambientalista, in cui è presente una certa tendenza al riduzionismo e al frazionismo, molti preferendo coltivare il proprio campicello con la massima autonomia anziché collaborare con gli altri ed ignorando che è interesse primario della difesa dell'ambiente favorire un processo generale di semplificazione e codifica del diritto, che valorizzi i collegamenti e le sinergie, riordini e concentri risorse amministrative oggi separate, contraddittorie ed a conti fatti marginali.
Occorre dunque cogliere l'occasione del processo di riordino delle competenze, avviato dalla riforma istituzionale, per riordinare in modo più radicale anche il corpus normativo statale e regionale sulla difesa dell'ambiente, realizzando in particolare testi unici sulla difesa, la gestione e lo sviluppo della natura e del paesaggio, che comprendano, accanto alla disciplina delle aree protette, altri strumenti e misure di carattere generale.
Tra questi ultimi, molto importante appare la pianificazione naturale e paesistica, da riordinare a tre livelli (Regione, Province e Comuni), in forma tecnicamente autonoma, ma contestuale rispetto alla pianificazione territoriale ed urbanistica, per evitare la duplicazione di strumenti aventi valore giuridico vincolante.
Queste nuove forme di pianificazione dovrebbero in particolare garantire la difesa integrata delle specie e dei biotopi e la fruizione culturale e ricreativa della natura e del paesaggio secondo standard minimi su tutto il territorio.
Un altro importante strumento generale è la disciplina amministrativa degli interventi di trasformazione della natura e del paesaggio. L'intero sistema dei controlli dovrebbe essere riordinato per realizzare il massimo dei risultati in termini di prevenzione, compensazione e risarcimento dei danni, riducendo al minimo il carico burocratico e promuovendo la collaborazione tra tutti gli interessati. Appare necessaria una radicale semplificazione, fondendo i processi autorizzativi nelle aree soggette ai vincoli idrogeologico, paesaggistico e naturalistico e ridistribuendo le competenze amministrative tra Comuni, Province e Regioni, secondo il principio di sussidiarietà. Il miglioramento della qualità dei progetti e degli interventi sarà frutto della semplificazione.
Il sistema delle aree protette dovrebbe essere ridisegnato secondo l'illustrato modello delle infrastrutture a rete di dimensioni nazionali, regionali, provinciali e comunali, con adeguate risorse finanziarie, attinte in gran parte in forma autonoma grazie ad una nuova capacità impositiva di Regione ed Enti locali, senza escludere contributi di altri livelli istituzionali, secondo il principio di cooperazione. Particolare attenzione dovrà essere dedicata a nuovi strumenti di autofinanziamento, legati alla revisione degli standard urbanistici e delle misure di compensazione e risarcimento (eventualmente monetizzate) dei danni alla natura ed al paesaggio connessi con gli interventi di trasformazione del territorio.
 



Le aree protette e la riforma dell'amministrazione dell'ambiente
L'amministrazione dell'ambiente, intesa come il complesso autonomo delle strutture pubbliche preposte alla difesa dell'ambiente, è di recente istituzione ed in rapida trasformazione, parallela al divenire della politica e della normativa ambientale, trovandosi ancora lontana da un'organizzazione consolidata, che è sempre il prodotto di un lungo processo storico. Questa dinamica è necessariamente caratterizzata da una molteplicità di tensioni, che non vanno drammatizzate perché sono fisiologiche. Le tensioni della crescita riflettono i grandi temi dell'attualità politica e oggi in Italia e in Europa a tenere banco è la questione federale, con un'intensa dialettica verticale tra i diversi livelli di governo. Ma non vanno dimenticate altre tensioni legate alla questione ambientale, che producono una dialettica orizzontale, nella definizione del confine sempre mobile che delimita lo spazio occupato dalla difesa dell'ambiente nella pubblica amministrazione, nonché dei rapporti interni tra difesa tecnologica e difesa ecologica dell'ambiente e tra strutture amministrative generali (ministero, assessorati) e speciali (agenzie).
Se si riflette sui pericoli connessi con il progressivo livellamento dell'economia e dell'ambiente, si capisce che è interesse dell'ambientalismo integrare una forte componente di federalismo, per bilanciare poteri centrali e periferici. Ma spesso al movimento ambientalista fa velo una sfiducia preconcetta nelle forme di autogoverno regionali e locali, considerate a priori meno "illuminate".
Nella difesa ambientale, caratterizzata da esigenze di sperimentazione e continua innovazione, ancor più che in altri settori dovrebbe essere promosso il pluralismo delle posizioni, poiché esso consente di sviluppare e confrontare diversi modelli. Perciò l'insofferenza di una parte del movimento ambientalista nei confronti della molteplicità dei modelli delle aree protette è del tutto ingiustificata.Tra i vari modelli federalisti, la politica ambientale manifesta maggiore vocazione per il cosiddetto federalismo cooperativo, che consente di realizzare tra le varie istituzioni e con la società, la massima collaborazione per la difesa dell'ambiente, affermando uno spirito di corresponsabilità. Si evita di operare ad un livello istituzionale ad esclusione di altri, ma piuttosto si combinano strumenti ed attori a livelli diversi. Poiché le competenze non sono tagliate in modo rigido, ma si lascia un margine di sovrapposizione, si aumenta la probabilità che ci sia almeno un attore dinamico, evitando che la mancata attivazione di un livello blocchi l'intero meccanismo. In particolare, si deve apprezzare la possibilità di poteri normativi concorrenti dello Stato e delle Regioni in materia di difesa dell'ambiente e un'ampia libertà delle Regioni di scegliere strategie, strumenti e priorità nell'ambito delle leggi-quadro statali. Nella storia della politica ambientale, spesso l'intervento statale è maturato come reazione ad iniziative regionali e locali, provenienti dalle aree più avanzate del Paese (normativa ascendente) per attivare a sua volta interventi simili in aree più arretrate (normativa discendente), come ben dimostra proprio l'esempio delle aree protette. Confrontiamo ora con i suddetti principi la nuova normativa sulle autonomie locali e il cosiddetto federalismo espressa dalla legge Bassanini (L. 59/97) e dal testo approvato dalla Commissione parlamentare per le riforme costituzionali.
Della legge Bassanini si deve innanzitutto apprezzare lo sforzo di riordinare nel suo insieme il sistema amministrativo, agendo contemporaneamente sulle sue principali caratteristiche (funzioni, strutture e procedimenti); volendo, questa impostazione consentirebbe anche il riordino organico della normativa ambientale dello Stato, oggi così sovraccarica da limitare fortemente i poteri regionali di attuazione.
Da condividere è anche l'estesa applicazione del principio di sussidiarietà, secondo cui la generalità delle funzioni amministrative viene attribuita alle Regioni e agli Enti locali, tranne alcune materie riservate allo Stato, capovolgendo la precedente impostazione. L'attribuzione delle funzioni avviene non più secondo il criterio dell'interesse, ma quello della dimensione e ciò contribuisce ad accrescere l'importanza dell'illustrato modello delle aree protette come sistema di infrastrutture verdi. Ma se la dimensione diventa il criterio determinante, sembra evidente che l'attuale classificazione di molte aree
protette nazionali e regionali dovrebbe essere ridiscussa.
Veniamo ora ai contenuti discutibili. Innanzitutto non può essere condiviso il doppio binario seguito nella definizione dei compiti degli Enti locali. Lo Stato non rinuncia ad inserirsi accanto alle Regioni, nell'ordinamento degli Enti locali, perché vuole contrapporre le une agli altri, contraddicendo gli stessi principi di sussidiarietà e di differenziazione territoriale. Va invece affermata una scelta diversa, basata sull'attribuzione alle Regioni di una piena competenza non solo programmatoria, ma anche ordinamentale.
Per gli stessi motivi, non si può condividere la scelta centralista di unificare la Conferenza permanente dei rapporti tra lo Stato e le Regioni con la Conferenza Stato-Città e autonomie locali. Un autentico federalismo dovrebbe tenere distinte le due sfere dei rapporti Stato/Regioni e Regioni/Enti locali, riconducendo ad una rinnovata Conferenza Stato-Regioni tutte le strutture consultive previste dalle leggi statali vigenti, compreso il Consiglio nazionale dell'ambiente e il Comitato per le aree protette, con un'adeguata articolazione per rispettare le differenziate esigenze di discussione e confronto sull'intera politica ambientale e sulle sue componenti.
Altrettanto netto è il dissenso sul modello di federalismo duale o diviso, basato sul principio di unicità dell'amministrazione responsabile; di conseguenza ciascun livello di governo è titolare di funzioni legislative e amministrative compiute e distinte, accantonando, con il modello di federalismo cooperativo, la possibilità di una legislazione concorrente dello Stato e delle Regioni. Fatta questa scelta, la Bicamerale non poteva che riservare allo Stato la competenza legislativa esclusiva nelle materie della tutela dell'ambiente e dell'ecosistema e della tutela dei beni culturali e ambientali, dalle quali esso non può evidentemente ritirarsi. Rispetto all'assetto attuale, definito dal D.P.R. 616/77, che riconosce alle Regioni funzioni di protezione dell'ambiente e della natura e di tutela dagli inquinamenti, è un netto passo indietro del regionalismo ambientale, che non darà certo buoni frutti.
Non sarà possibile sviluppare diversi modelli di difesa ambientale. Ma, a ben vedere, entrerà in crisi anche l'attuale modello delle agenzie miste con rappresentanti dello Stato, delle Regioni e degli Enti locali, adottato anche per i parchi nazionali, che ben si adatta al federalismo cooperativo, ma non al federalismo diviso, il quale pretende l'unicità dell'amministrazione responsabile.
In ogni caso, dal processo in corso, tuttora incerto per gli esiti della riforma costituzionale che sarà votata in parlamento, emergono alcuni punti fissi.
La rottura del tradizionale parallelismo tra competenze legislative e amministrative, associata al principio di sussidiarietà, riapre a favore delle Regioni e soprattutto degli Enti locali l'attribuzione di una pluralità di funzioni amministrative anche nella difesa dell'ambiente. Con un forte decentramento delle attuali competenze burocratiche statali, è prevedibile che prima o poi entri in crisi l'attuale assetto ministeriale, ricevendo un forte impulso la tendenza agli accorpamenti, per aggregare ulteriormente politiche, normative e strutture in materia ambientale e territoriale. Questo processo è da valutare in modo del tutto positivo.
Le Regioni che - sia pure in termini diversi rispetto al passato - nella politica ambientale corrono il rischio di essere schiacciate tra lo Stato e gli Enti locali, sono sollecitate a dare il meglio di sé stesse come negli anni '70. Si rifletta che, per l'efficacia della politica ambientale, oltre alla distribuzione delle competenze formali, contano le condizioni operative sostanziali, ossia le risorse organizzative e finanziarie rese concretamente disponibili. Da ciò deriva l'importanza dell'autonomia impositiva comunque riconosciuta alle Regioni, ma anche della loro volontà di dotarsi di un'organizzazione e di programmi più adeguati, recuperando in particolare un diverso rapporto di collaborazione con gli Enti locali.
Nessuno, né lo Stato né tantomeno le Regioni, potrà più in avvenire sottovalutare il ruolo degli Enti locali. E urgente completare i processi di delega regionali e costituire presso la Regione e le Province - mediante opportune intese - strutture simmetriche preposte alla difesa dell'ambiente, con un rapporto di stretta collaborazione. Regioni e Province dovranno in particolare sviluppare una nuova linea di assistenza e consulenza tecnica ai Comuni, mediante uffici a ciò dedicati. In questo quadro, dovranno essere tra l'altro realizzati un nuovo sistema informativo sui beni naturali e ambientali, a costo zero per i Comuni, corsi di formazione ed aggiornamento per i tecnici comunali ed altri ausili tecnici.
La riforma in corso rivaluta soprattutto il Comune, I'istituzione più amata dagli italiani e ciò non può rimanere senza effetti anche sulla politica ambientale. Si osservi che i Comuni gestiscono tradizionalmente una gamma di servizi pubblici (acquedotto, fognatura, depurazione, smaltimento dei rifiuti) di cui negli ultimi anni è stato evidenziato il grosso interesse ambientale. Tuttavia il carattere fortemente tecnologico di tali servizi tende a spostarli verso dimensioni territoriali e organizzative superiori. Al contrario, notevoli margini potenziali di impegno comunale diretto esistono ancora nel settore della difesa ecologica dell'ambiente, ipotizzando un'evoluzione in senso ecologico di importanti strumenti pianificatori ed amministrativi, come il piano urbanistico e la concessione edilizia. Ma a tal fine occorre superare un pregiudizio, ossia un atteggiamento di sfiducia nei confronti dei Comuni, spesso ritenuti a priori culturalmente immaturi, incapaci di resistere alle pressioni speculative, funzionalmente inadatti per le responsabilità di difesa della natura e del paesaggio. Il principio di sussidiarietà, opportunamente associato a quello di cooperazione, non è un espediente per ridurre gli impegni e far dilagare il permissivismo, ma al contrario, con un'applicazione intelligente, può diventare un formidabile propellente per la politica ambientale.

* Regione Lombardia