Federparchi
Federazione Italiana Parchi e Riserve Naturali


PARCHI
Rivista del Coordinamento Nazionale dei Parchi e delle Riserve Naturali
NUMERO 22 - SETTEMBRE/DICEMBRE 1997


I possibili effetti della riforma "Bassanini" sulla disciplina delle aree naturali protette
Arduino Tassi*
 

Considerazioni introduttive
L'attuale disciplina delle aree naturali protette si è consolidata dopo un lungo periodo di incertezze e di sostanziale assenza di una normativa generale di riferimento. I primi parchi nazionali sono stati istituiti negli anni '20 (Gran Paradiso e d'Abruzzo) e negli anni '30 (Stelvio e Circeo) con intervento diretto dell'amministrazione centrale, la quale provvedeva direttamente a delimitare i territori e a disciplinare la gestione con modalità organizzative differenziate nei singoli casi.
Dopo un lungo periodo di stasi, negli anni '70 con l'istituzione delle Regioni a statuto ordinario, il legislatore ribadisce le competenze statali in materia di protezione della natura e parchi nazionali, fatti salvi "interventi regionali non contrastanti con quelli dello Stato" (art. 4, lett. h ed s, D.P.R. 15 gennaio 1972, n. 11). In questo modo si apre un primo varco all'azione delle Regioni le quali ricevono un avallo dalla stessa Corte costituzionale (sent. 14 luglio 1976, n. 175); ma è soltanto con il D.P.R. 24 luglio 1977, n. 616, che si trasferiscono alle Regioni le funzioni amministrative concernenti la protezione della natura, le riserve ed i parchi naturali regionali, rinviando la disciplina generale e la ripartizione dei compiti tra Stato, Regioni e Comunità montane ad una futura legge-quadro, da emanarsi entro il 31 dicembre 1979.
Con legge 8 luglio 1986, n. 349, come noto, si istituisce il Ministero dell'Ambiente, cui vengono affidate le competenze dell'amministrazione statale in ordine alla protezione della natura e alla tutela ambientale, nonché la competenza ad individuare parchi e riserve di carattere interregionale, la cui gestione si realizza mediante "intesa" tra le Regioni interessate.
Di poco successive sono due importanti pronunce del Giudice costituzionale, le quali contribuiscono a definire, la prima, la figura soggettiva del parco (poteri degli organi, strumenti di azione, ecc.), la seconda, il principio di leale collaborazione tra Stato e Regioni e i contenuti essenziali della legge-quadro promessa dal D.P.R. 616, citato.
La normativa statale di riferimento giunge con legge 6 dicembre 1991, n. 394, la quale provvede alla organizzazione dei servizi amministrativi centrali (comitato, consulta tecnica), alla disciplina delle istituzioni di governo dei parchi (ente parco, Comunità del parco) e dei loro strumenti operativi (piani, regolamenti, nulla-osta), nonché alla definizione degli atti di governo propri delle istituzioni centrali (programma triennale, carta della natura) e dei principi per il legislatore regionale (partecipazione degli Enti locali, pubblicità degli atti, ecc.).
L'itinerario seguito dalla disciplina dei parchi, cui si è voluto brevemente accennare per richiamare l'evoluzione della normativa, evidenzia un'attenzione largamente prevalente del legislatore nazionale verso le istituzioni centrali, pur con un peso crescente assegnato alle Regioni che si sono conquistate sul campo una maggiore presenza nel settore
Sono note la critiche alla 1. 394 mosse al centralismo in essa contenuto, alla farragginosità e lentezza delle procedure (nomine, risorse), allo scarso, o inesistente, ruolo assegnato agli Enti locali, ecc., ma ora in virtù dei processi di riforma varati dall'attuale governo, pare questo un momento propizio per uscire dalle critiche sterili e per tentare una riflessione seria sui possibili effetti che le riforme, attualmente in cantiere, possono avere sulla disciplina vigente.
 

Un nuovo rapporto tra centro e periferia
Il riferimento essenziale, per quanto ci interessa in questa sede, è costituito dalla legge 15 marzo 1997, n. 59, la quale delega il governo ad emanare una serie di decreti per il conferimento di funzioni a Regioni ed Enti locali, per la riforma della pubblica amministrazione e per la semplificazione amministrativa. Tale provvedimento è stato presentato dal relatore di maggioranza Vincenzo
Cerulli Irelli, nella seduta alla Camera del 28 gennaio '97, come la "riforma più importante degli ultimi decenni", la quale si ispira a quattro principi fondamentali: in primo luogo, il principio di delegificazione cui attenersi per sfoltire la grande massa di leggi che ingessano le istituzioni e la vita dei cittadini nel nostro Paese; in secondo luogo, il principio di razionalizzazione volto a rivedere l'organizzazione e l'assetto delle competenze di ministeri e amministrazioni periferiche; in terzo luogo, il principio di semplificazione dei regimi amministrativi che irrigidiscono ogni procedimento; in quarto luogo, il principio di efficienza per passare da un'amministrazione di procedure ad un'amministrazione di risultati.
Secondo la c.d. Legge Bassanini, con formula molto ampia, sono conferite alle Regioni e agli Enti locali "tutte le funzioni e i compiti amministrativi relativi alla cura degli interessi e alla promozione dello sviluppo delle rispettive comunità" ai sensi degli artt. 5, 118 e 128 della Costituzione (art. 1, c. 2), mentre restano di competenza delle amministrazioni centrali i compiti non suscettibili di frazionamento territoriale (difesa, affari esteri, giustizia, ordine pubblico, ecc.).
Si tratta, come è stato affermato, di un ribaltamento del rapporto centro-periferia in base al quale tutto spetta alle amministrazioni regionali e locali tranne ciò che non può essere meglio gestito in sede locale applicando il principio di sussidiarietà. L'art. 1, c. 4, let. c), esclude dal conferimento agli enti regionali e locali, tra le altre cose, i "compiti di rilievo nazionale" in materia di tutela dell'ambiente (in cui le aree protette rientrano); ciò, se da un lato consente la piena legittimità della legge 394 nel suo impianto attuale, dall'altro lato nulla vieta, nel senso dei principi generali sanciti nella legge, che si riformi la legge medesima con un accresciuto ruolo di Comuni, Province e Regioni.
Nelle materie non comprese nell'art. 117, c. 1, della Costituzione (come nel nostro caso) spetta alle Regioni soltanto il potere di emanare norme attuative di leggi statali, ed è il caso della legislazione regionale di attuazione della legge 394, varata sino ad oggi; dopo la legge Bassanini, sia nelle materie comprese nell'elenco di cui all'art. 117, c. 1, che nelle altre materie in cui il conferimento di funzioni e compiti avverrà mediante i decreti delegati, le Regioni in sede di attuazione sono tenute a conferire ulteriormente alle Province, ai Comuni e agli altri Enti locali "tutte le funzioni che non richiedono l'unitario esercizio a livello regionale" (art. 4, c. 1, L. 59). Tali conferimenti di funzioni devono avvenire in base ad una serie di principi elencati all'art. 4, c. 3 (sussidiarietà, completetezza efficienza economica, cooperazione, responsabilità e unicità, omogeneità, adeguatezza organizzativa, differenziazione, copertura finanziaria e autonomia organizzativa).
Appare quindi evidente che si aprono nuove prospettive, anche in materia di aree protette, quanto ad una massiccia opera di decentramento e trasferimento di compiti e funzioni, sia da parte dello Stato che da parte delle Regioni, a favore di Province, Comuni e altri Enti locali; ciò in una direzione sostanzialmente in controtendenza rispetto all'itinerario evolutivo richiamato in apertura. Il governo, peraltro, è delegato ad individuare "le procedure e gli strumenti di raccordo, anche permanente, con eventuale modificazione o nuova costituzione di forme di cooperazione strutturali e funzionali, che consentano la collaborazione e l'azione coordinata tra Enti locali, tra Regioni e tra i diversi livelli di governo e di amministrazione" anche disciplinando la presenza e l'intervento di rappresentanti statali, regionali e locali nelle diverse strutture necessarie per l'esercizio di tali funzioni (art. 3, c. 1, let. c). Si pensi agli organi centrali per il governo delle aree protette (comitato, consulta tecnica).
 

Aree protette e processi di riforma
Le norme appena citate si inseriscono in un processo di riforma che non avrà tempi brevi (la stessa legge n. 59 parla di tre anni), ma appare opportuno sin d'ora pensare concretamente, oltre la critica demagogica, ai punti della legge-quadro che si sono dimostrati insoddisfacenti o inattuati.
Innanzitutto, nell'ambito dei principi contenuti nella riforma Bassanini, appare ancora più anacronistico pensare ad aree protette "imposte" dall'alto o, comunque, previste ex-lege come fa in alcuni casi la stessa legge n. 394. In questo modo si finisce per incontrare la naturale opposizione delle popolazioni locali, le quali percepiscono prima e più direttamente gli effetti negativi della istituzione di una nuova area protetta (vincoli di destinazione dei beni, limitazioni delle attività produttive, ecc.) e dopo i vantaggi, talvolta soltanto indiretti (stimolo ad attività tradizionali e tipiche, migliore qualità della vita). Si tratta, nella logica della riforma, di dare maggiore concretezza ai processi democratici e partecipativi i quali preludano, dal basso, all'istituzione di nuovi parchi o riserve; ciò in attuazione del principio di sussidiarietà che prevede l'attribuzione delle "responsabilità pubbliche anche al fine di favorire l'assolvimento di funzioni e di compiti di rilevanza sociale" ai Comuni, alle Province e alle Comunità montane, secondo le rispettive dimensioni territoriali, associative e organizzative, con l'esclusione delle sole funzioni incompatibili con le dimensioni medesime (art. 4, c. 3, let. a, L. 59).
In secondo luogo, appare di grande importanza il principio di "differenziazione nell'allocazione delle funzioni in considerazione delle diverse caratteristiche, anche associative, demografiche, territoriali e strutturali" degli enti istituzionali (art. 4, c. 3, let. h). La tradizione amministrativa italiana è all'insegna dell'uniformità ordinamentale delle amministrazioni locali, nel senso che le regole fondamentali di funzionamento di un Comune di 3 mila abitanti sono pressoché le medesime di un Comune di 3 milioni di abitanti (un paradosso!). Ora, con la riforma, si sancisce espressamente la differenziazione funzionale e organizzativa delle amministrazioni locali. Se ciò è valido per gli enti istituzionali a maggior ragione deve valere per le aree protette, poiché appare del tutto irrealistico predisporre una medesima "impalcatura" amministrativa per aree, zone di protezione, beni da tutelare e valorizzare, tipologie di ambienti e di risorse naturalistiche, intrinsecamente differenziati, unici e irripetibili (da ciò stesso deriva la necessità di protezione e mantenimento).
In sede di riforma della legge-quadro occorrerà quindi pensare seriamente a come rendere flessibili le strutture di governo e gli strumenti di attuazione delle politiche di protezione all'interno di parchi e riserve: non sembra ci si possa fermare alle dispute generalizzanti sulla pratica venatoria in talune zone dei parchi ed appare fuorviante l'accusa di inaffidabilità degli Enti locali, in ordine ad un loro accresciuto ruolo, mossa da alcuni settori del mondo ambientalista. La riforma federale ed amministrativa proposta da più parti e con diverse impostazioni e graduazioni parte dalla concezione opposta: cioè una maggiore affidabilità, concretezza, responsabilità ed efficienza degli enti periferici rispetto alle amministrazioni centrali dello Stato, ipertrofiche, inefficienti, con duplicazioni di competenze e poco responsabili nei confronti dei cittadini amministrati.
 

Le proposte di riforma della L. 394
Alcune delle critiche rivolte alla legge 394 del 1991 sono sfociate, da tempo, in proposte e disegni di legge presentati in parlamento; appare utile, in questa sede, valutarne i contenuti anche allo scopo di individuare temi Comuni e possibili terreni di confronto per un miglioramento della normativa-quadro.
Occorre preliminarmente avvertire che, al di là della parte politica rappresentata, le relazioni alle proposte di riforma contengono, in larga prevalenza, riferimenti alle difficoltà insorte con le popolazioni locali quando ci si appresti alla istituzione di nuove aree protette. Se in parte una certa conflittualità di associazioni o categorie particolari è da mettere nel conto, in realtà, si tratta di una problematica diffusa che mette in discussione le procedure istitutive, il ruolo e lo spazio lasciato agli Enti locali (specialmente dopo la legge 81/93 sull'elezione diretta del sindaco), i meccanismi di partecipazione e la rigidità del modello amministrativo adottato.
In assonanza con i problemi cui abbiamo appena accennato, alcune proposte di modifica della normativa nazionale prevedono l'istituzione di referendum popolari per verificare preventivamente il consenso delle popolazioni interessate (A.C. n. 2901 del 18 dicembre 1996) o per intervenire sulle decisioni importanti assunte dagli organi del parco (A.S. n. 965 del 16 luglio 1996). Altre proposte intendono accrescere il ruolo dei Comuni in ordine alla istituzione di aree protette nazionali modificando l'art. 8 della 394, oppure aggiungendo il gradimento della maggioranza dei sindaci coinvolti, quanto alla nomina del presidente dell'Ente parco di cui all'art. 9 della legge-quadro (A.S. n. 1394 del 2 ottobre 1996; A.S. n.2292 del 28 marzo 1997).
In un caso, si tenta di snellire le procedure per l'ottenimento di autorizzazioni, concessioni e nulla-osta da parte degli organismi competenti e, allo stesso tempo, si pone particolare attenzione ai parchi del mezzogiorno, istituendo un comitato dei presidenti degli Enti Parco della Campania, della Basilicata e della Calabria, cui si affianca una commissione scientifica. Pur nel lodevole intento di porre attenzione ai temi del mezzogiorno si finisce, in effetti, per appesantire inutilmente la legge con ulteriori strumenti di governo per particolari territori protetti (A.S. n. 333 del 15 maggio 1996).
Alquanto fantasioso un disegno di legge che vuol introdurre l'elezione a suffragio universale, con sistema proporzionale, degli organi dei parchi nazionali (A.S. n. 2226 del 13 marzo 1997).
Un'ulteriore proposta di legge intende riformare organicamente la normativa in materia di tutela ambientale e, pur non contenendo norme specifiche per le aree protette, contempla una ripartizione di competenze tra Stato, Regioni ed Enti locali in coerenza con le linee di riforma contenute nella legge n. 59 del 1997 (A.C. n. 1878 del 15 luglio 1996); ciò segnala una tendenza generale al decentramento che conferma e rafforza l'idea della necessità di intervenire nell'ottica della legge Bassanini anche in settori non direttamente investiti dalla riforma (es. ambiente, urbanistica, beni culturali).
Da ricordare che parte dell'iniziativa parlamentare tende a rendere meno vincolanti le norme sull'attività venatoria, talvolta demandando all'Ente parco la relativa disciplina, nelle zone c) e d) (aree di protezione, aree di promozione economica e sociale) di cui all'art. 12, c. 2, della L. 394 (A.C. n. 1826 del 9 luglio 1996), in altri casi prevedendo direttamente l'esercizio dell'attività venatoria nelle zone c) di cui all'articolo citato (A.S. n.2292 del 28 marzo 1997).
Infine, è da dire che molte proposte, come spesso accade, non si preoccupano di porre in essere interventi di riforma sufficientemente articolati ed organici ma costituiscono interventi singoli e isolati i quali, da soli, non produrrebbero che effetti del tutto irrilevanti sull'impianto generale della legge.
 



Prospettive ed ipotesi di lavoro

Dalla breve analisi condotta, risulta che la disciplina nazionale e quella regionale sulle aree protette può essere direttamente e/o indirettamente influenzata dai principi e dagli indirizzi fondamentali su cui poggia il processo di riforma amministrativa, a Costituzione invariata, avviato dal ministro della funzione pubblica (nonché dalla riforma istituzionale di cui si sta occupando la commissione bicamerale). I decreti di conferimento delle funzioni agli enti regionali e locali dovranno attenersi ai principi della legge n. 59, e le Regioni potranno reimpostare il rapporto con gli enti subregionali in base ai suddetti principi.
Appare chiaro che le linee di riforma della legge-quadro sulle aree protette sono, in realtà, già state tracciate: il sostanziale ribaltamento della posizione degli Enti locali rispetto all'amministrazione centrale, lo snellimento e la semplificazione delle procedure, il riassetto delle competenze istituzionali, la flessibilità e la differenziazione dei modelli organizzativi, il potenziamento dei raccordi tra amministrazioni equiordinate o di diverso livello, I'autonomia organizzativa e finanziaria, la nuova configurazione della responsabilità nel lavoro al servizio delle pubbliche amministrazioni, ecc., dovrebbero costituire una chiara linea di orientamento per il legislatore che voglia migliorare o riformare la legge 394.
Come abbiamo visto, le proposte di legge che giacciono in parlamento non costituiscono, nel loro insieme, un quadro orientativo sufficientemente chiaro, anche se le preoccupazioni per la conflittualità locale e l'auspicato maggior intervento e partecipazione delle amministrazioni comunali e provinciali, appaiono coerenti con l'evoluzione indicata per il sistema amministrativo-istituzionale nel suo complesso.
Particolare attenzione dovrà essere posta ai raccordi tra la legislazione sulle aree protette e quella di altri settori (beni culturali e paesaggistici, urbanistica e territorio, sostegno allo sviluppo, ecc.), perché si giunga a politiche integrate di assetto, cura e valorizzazione del territorio. Come spesso accade il legislatore regionale ha già anticipato, in alcuni casi, esempi di tali politiche attraverso l'istituzione di parchi naturalistici-archeologici-storico-culturali, quali istituzioni unitarie a valenza multipla. Pare questo un esempio di cui tenere conto.

* Ricercatore in diritto amministrativo