Federparchi
Federazione Italiana Parchi e Riserve Naturali


PARCHI
Rivista del Coordinamento Nazionale dei Parchi e delle Riserve Naturali
NUMERO 23 - FEBBRAIO 1998

Le aree naturali protette nel Friuli Venezia Giulia
Franco Musi *

La Regione autonoma Friuli Venezia Giulia ha avviato fin dagli anni 70 una propria esperienza mirata alla realizzazione di un sistema di aree naturali protette. Si trattava allora di un vero e proprio sistema poiché le aree protette erano inserite in un quadro di pianificazione vasta, di scala regionale, definito formalmente nel 1978 con l'emanazione del Piano Urbanistico regionale generale (P.U.R.G) che costituì all'epoca la prima esperienza del genere in Italia.
Con tale strumento, di forte valenza urbanistica e al quale gli enti locali subordinati dovevano adeguarsi, oltre il 30% del territorio regionale veniva sottoposto a tutela ambientale. La singolarità dell'esperienza regionale derivava però soprattutto dal fatto che, contrariamente alle altre regioni italiane, veniva data forte valenza alla fase pianificatoria dei parchi regionali facendo addirittura coincidere l'adozione dei relativi piani di conservazione e sviluppo con la loro formale istituzione. In effetti, in oltre un decennio, nella Regione Friuli Venezia Giulia si è sviluppata una straordinaria esperienza nel campo della pianificazione attuativa delle aree naturali protette, sia sul piano quantitativo (oltre 150 amministrazioni comunali coinvolte) che su quello qualitativo, per la grande variabilità delle situazioni ambientali e sociali presenti (habitat naturali marini, lagunari, planiziali, alpini; zone marginali e degradate, comprensori ad elevata pressione antropica ed economica). Mentre lo sforzo complessivo, pur tra innumerevoli difficoltà, stava producendo i primi risultati soprattutto per il fatto che i parchi si presentavano come l'unico convincente modello di governo integrato e multidisciplinare del territorio, l'entrata in vigore della legge quadro nazionale 394 del 1991 provocava un brusco arresto del processo di attuazione in corso e, in molti casi, una retromarcia da parte di parecchi enti locali nei quali i conflitti insuperabili posti da alcune norme quadro fondamentali, in primo luogo il divieto di caccia, divenivano fonte di contrasto politico è sociale in accettabile. Prendeva così avvio il processo di revisione della normativa regionale di riferimento che, dopo un iter estremamente sofferto, si concludeva con l'entrata in vigore della legge regionale 30 settembre 1996, n. 42. Con questa legge la regione Friuli Venezia Giulia si omologava sostanzialmente ai dettami del legislatore statale prevedendo l'istituzione contestuale delle proprie aree protette e cioè due parchi e dieci riserve naturali regionali. Per i parchi venivano altresì istituiti gli appositi enti di gestione mentre alla gestione delle riserve si provvedeva con appositi accordi di programma stipulati tra la Regione e Comuni interessati. Per effetto della L.R 42/96 la superficie complessiva delle aree protette nel Friuli Venezia Giulia oggi è scesa dal 30% previsto dal P.U.R.G. del 1978 a circa il 6,6% del territorio regionale per complessivi 51.800 ettari. Non occorrono sofisticate analisi per osservare che i due parchi naturali regionali superstiti rispetto ai 14 previsti dal P.U.R.G. sono collocati nella regione prealpina, da tutti conosciuta come l'area più marginalizzata tra fra le aree deboli della stessa montagna. I parchi previsti dal P.U.R.G. nella pianura, nella laguna, sul Carso non hanno trovato in passato serie obiezioni o motivi di confronto o scontro sul piano dei contenuti naturalistici e della conservazione attiva del territorio: le difficoltà sono sempre derivate sul piano delle proposte di modelli di sviluppo economico evidentemente diversi da quelli consueti che vedono tuttora la prevalenza di un'agricoltura intensiva, del turismo di massa sulla zona costiera, dello sviluppo delle grandi infrastrutture di trasporto, cioè, in sintesi, di economie molto impattanti sull'ambiente. In tale contesto la politica delle aree protette è evidentemente centrata sul tema della conservazione delle aree sensibili, del rovesciamento di certe regole d'uso dei beni naturali (terra, acque, coste) e dunque è vero che si propone con un diverso modello di sviluppo, basato sul concetto di sostenibilità da parte dell'ambiente. Nelle regioni prealpine friulane la situazione è del tutto diversa: sono ormai esigue le risorse del territorio e soprattutto quelle umane.
Il parco è stato percepito a livello degli strati sociali più attivi ed aperti come un fondamentale strumento per arrestare ed invertire le tendenze di continuo declino in corso da molti decenni. n bilancio ad un anno dall'entrata in vigore della legge regionale 42 del 1996 vede per i due parchi l'entrata in funzione dei rispettivi organi di amministrazione, con l'approvazione dei relativi bilanci di gestione: molto utile peraltro si è rivelata per ambedue i parchi l'esperienza della precedente gestione che, avendo prodotto già discreti risultati sul territorio, ha ridotto non solo le ulteriori resistenze negli Enti Locali, che sono peraltro i più importanti protagonisti nell'organismo di gestione, ma anche nei vari strati sociali dove si sono sciolte parecchie delle diffidenze presenti prima della costituzione delle aree protette. Per quanto riguarda le riserve naturali sono stati conclusi con i Comuni coinvolti gli appositi accordi di programma con la Regione per stabilire specifiche formule gestionali consensuali che prevedono fra l'altro ha anche la destinazione delle risorse finanziarie provenienti dal bilancio regionale. n sostanziale abbandono del progetto del P.U.R.G. per cui parti molto significative del territorio non venivano più assoggettate alla legislazione delle aree protette (bene sette parchi fluviali, il parco della laguna di Grado e Marano, il parco del Carso), è stato oggetto di particolare preoccupazione durante i lavori del consiglio regionale che hanno portato all'emanazione della L.R. 42/96. La soluzione prodotta dalla legge costituisce un importante e significativo atto di trasferimento di responsabilità in materia di tutela del territorio agli Enti Locali: gli articoli 5 e 6 della legge prevedono infatti che l'individuazione di aree sensibili e meritevoli di particolare tutela sia con i piani particolareggiati di tipo paesaggistico che con progetti di parchi comunali e intercomunali siano proposti e attuati d'intesa ovvero con l'iniziativa autonoma dei Comuni. Si tratta di una sfida e di un impegno di notevole portata i cui risultati dimostreranno la volontà e la capacità concreta delle comunità locali di salvaguardare attivamente il proprio territorio realizzando proprio in questo campo quel principio di sussidiarietà che viene tanto invocato. Tomando però al tema delle aree naturali protette (sensu 394), la prospettiva più interessante aperta dalla legge 42/96 è senz'altro offerta dall'articolo 33 che attribuisce ai Comuni interessati al parco la priorità di accesso ai finanziamenti previsti da tutta una serie di normative di settore quali ad esempio per strutture ricettive, le opere igienico-sanitarie, di risanamento dell'acqua, dell'aria, del suolo, di sistemazione dei dissesti idrogeologici, recupero di nuclei abitativi rurali, agriturismo, attività regionali tradizionali, attività culturali e di formazione e altro ancora. La sfida per gli amministratori è dunque finalmente quella di dimostrare la capacità di saper adeguare i propri programmi e obiettivi alla dimensione locale: il principale difetto finora imputato alle politiche gestionali dei parchi italiani è stato infatti quello di rimanere distanti dai problemi specifici delle comunità interessate e dunque astrattamente interessati alla sola dimensione della conservazione della natura. Sempre l'articolo 33 della legge 42/96 stabilisce che la Regione promuove e sostiene le cooperative tra i residenti nei Comuni del parco per l'esercizio delle attività economiche, produttive e culturali prima citate. A proposito di queste va anche sottolineato il fatto che la legge dispone esplicitamente che la Regione, le Province e le Comunità Montane determinino la quota parte dei rispettivi bilanci da riservare annualmente al finanziamento di tutte le iniziative per cui si presentassero richieste.
Anche in merito a queste opportunità è evidente che l'Ente parco deve fungere da sportello di informazione, di indirizzo e di coordinamento dei cittadini potenzialmente interessati dal provvedimento di legge. Accanto a questo ventaglio di possibilità direttamente promosse dalla L.R. 42/96 vanno citate altre interessanti e non meno importanti occasioni che possono, anzi devono essere colte: ci si riferisce in particolare a tutta la vasta gamma derivante dai Fondi strutturali e dai Programmi collegati all'applicazione di Direttive e Regolamenti dell'Unione Europea. In particolare nelle aree protette ci sono interessanti opportunità per attingere risorse dagli Obiettivi 2 e 5B, dai Programmi Interreg., dai Regolamenti 2078 e 2080, da HabitatLife, ecc. ecc.. L'unica condizione è la capacità progettuale e propositiva che sembra essere l'ostacolo maggiore per una reale possibilità di accesso a quelle risorse. Le leggi, le disponibilità finanziarie, l'accesso a programmi e progetti non sono però sufficienti di per sé a innescare quel processo di sviluppo economico che tutti auspicano poiché rimane centrale il ruolo delle strutture sociali e dunque della partecipazione attiva e in definitiva delle volontà positive da parte di una serie di soggetti. Si tratta, in altre parole, di quel consenso senza il quale tutti sostengono che non vi è speranza di consolidare e mantenere un'iniziativa di parco. Per i parchi però, a differenza di quasi tutte le altre proposte di gestione territoriale, viene richiesta una pressoché totale adesione aprioristica pretendendo garanzie di risultato che quasi mai vengono pretese da altri soggetti che vogliano utilizzare le stesse risorse territoriali e che magari successivamente producono forti delusioni e talvolta fallimenti. Basti pensare alle molte illusioni portate nei territori prealpini del Friuli Venezia Giulia da iniziative artigianali, industriali, energetiche, turistiche che sono iniziate con luminose prospettive per poi naufragare miseramente. n Parco si caratterizza come una struttura complessa, di avvio piuttosto lento proprio perché è compenetrato nelle strutture istituzionali e sociali, e non potrà mai contare su risorse di tipo intensivo ma estensivo: per contro assicura una continuità e una durabilità quale nessun al investimento territoriale può garantire poiché trae la propria esistenza dalla conservazione delle risorse e dei valori piuttosto che dal loro consumo. Non e possibile concludere questa breve nota senza un accenno alle relazioni fra alla legge regionale 42/96 e la legge quadro nazionale 394/1991.
La Regione autonoma Friuli Venezia Giulia dopo l'entrato in vigore della 394 e della successiva 157/92 è stata esclusa di riparti finanziari previsti dai Piani triennali a motivo della mancata adesione ai principi fondamentali della Legge quadro: ciò è stato uno dei più convincenti argomenti che hanno indotto il legislatore regionale ad emanare la nuova legge pur con le difficoltà e le significative rinunce territoriali di cui si è sopra riferito. La severità di giudizio del Ministero dell'Ambiente nei confronti della Regione Friuli Venezia Giulia non era peraltro giustificata nei fatti poiché, proprio nei parchi e nelle riserve istituiti già ai sensi della precedente legislazione, fin dal 1992 era scattato il divieto di caccia e dunque era cessato dichiarato motivo di esclusione della Regione dai riparti operati dal Ministero. Nonostante i notevoli malumori per tale ingiustificata esclusione (che ha posto la Regione all'ultimo posto l`a quelle italiane in materia di aree protette e che anche nei dati diffusi dalla Conl`erenza nazionale del settembre 1997 continua vederla assente dall'elenco ufficiale delle aree protette) il Friuli Venezia Giulia ha voluto perseguire la via dell'adeguamento alla legislatura statale. I fatti concreti parlano in modo sostanzialmente diverso da quanto si potrebbe desumere dalle tabelle ministeriali: i parchi e le riserve naturali del Friuli Venezia Giulia esistono e sono realtà vive e attive, alcune conosciute in campo internazionale e con risultati nel campo della conservazione attiva di grande valenza scientifica. Basti pensare alle Foci dell'Isonzo e dello Stella che hanno visto il ritomo alla nidificazione di specie di grande interesse anche in campo europeo come la Spatola, l'Airone rosso, il Cavaliere d'Italia, il Fraticello, l'Oca grigia, la comparsa di specie rare o rarissime sul territorio nazionale come il Cigno minore, il Cigno selvatico, la Gru cinerina, l'Aquila anatraia maggiore, l'Aquila di mare, il Mignattaio.
Molto conosciuti sono poi i progetti di reintroduzione di specie come il Grifone che ha già nidificato in libertà nella riserva naturale di Comino nelle Prealpi friulane e che rappresenta un eccellente risultato per la conservazione della specie. Tutto ciò dimostra che le aree protette regionali non hanno meriti inferiori a quelle nazionali in l`atto di conservazione di valori naturalistici e neppure sotto quelli dello sviluppo socio economico delle popolazioni locali: dovrebbe quindi essere abbandonata quella assurda discriminazione fra parchi nazionali regionali come aree di valore superiore e inferiore poiché non corrisponde ad alcune requisito oggettivo e finora, per quanto concerne il Friuli Venezia Giulia ha provocato unicamente la mortificazione degli ottimi risultati raggiunti con una pericolosa perdita di fiducia nell'organo statale. Anche per il Friuli Venezia Giulia dunque l'impegno è quello di procedere nel nuovo assetto determinato dalla L.R. 42/96 verso la più completa attuazione del proprio sistema di aree naturali protette, ispirate innanzitutto alla difesa della propria biodiversità e alla ricerca dello sviluppo sostenibile, specie nelle aree più marginali sotto il profilo sociale ed economico. Ma non si può sottacere che tutto quanto è stato fatto, nel bene e nel male, è il frutto del solo impegno regionale e degli enti locali di questa regione che hanno supplito in modo più che soddisfacente a compiti che lo Stato italiano ha più volte sottolineato come propri fini istituzionali. Siamo pertanto in perfetta sintonia con tutti coloro i quali, dal versante delle Regioni soprattutto, chiedono un profondo, radicale, mutato atteggiamento da parte dello Stato nei confronti delle aree protette regionali riservando all'autorità statale i poteri di coordinamento e di indirizzo e decentrando invece alle Regioni completamente le funzioni di gestione con le relative risorse.

*Direttore regionale